Genere: Introspettivo, Romantico, Drammatico.
Pairing: Francesco/Vinicio.
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Lemon, Problemi mentali vari ed eventuali (sul serio), Muccino (è un warning anche lui).
- Anche se ormai hanno fatto coming out da qualche anno, Vinicio e Francesco non sono mai stati chiamati da nessuno a recitare insieme. A risolvere la questione ci pensa Muccino, ma i risultati del soggetto in cui il regista catapulta i due attori non saranno esattamente quelli che loro si aspettano.
Note: Questa storia è in realtà molto semplicemente un parto del mio disagio mentale. Cioè, non è che esistano altre possibilità. *piange* In pratica è successo che in un momento non meglio identificato di qualche settimana fa, Tab mi riferì che il Marchioni era impegnato a girare un nuovo film in cui appunto faceva la parte del fratello di qualcun altro. Da qui, seghe mentali su seghe mentali, venne fuori il mio desiderio di vedere lui e il Montanari a fare i fratelli sullo schermo, subito seguito da "omg, ma t'immagini se stessero insieme e questa cosa del dover recitare due fratelli fuckasse con le loro menti? *O*". Eh. Sì, lo so.
Scritta per l'appropriatissimo prompt Punto di non ritorno, per la Missione 1 della quarta settimana del COW-T. #teamAngeli FTW.
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KISS ON THE LIPS
of the apocalypse

Quando Muccino li chiama, non riescono quasi a crederci.
Sono stesi sul letto di Vinicio. Fuori piove, e Roma, così ingrigita, sembra la nonna di se stessa. Una volta, parlandone, entrambi sono giunti alla conclusione che Roma, se fosse una donna, sarebbe una bella bionda. Non di quelle perfette, col viso tondo da bambola e i lineamenti dolci, magari le labbra piene e gli occhi che sembrano disegnati. No, una tipo la Crescentini, una spigolosa che ogni tanto quando la guardi pensi pure “mah, questa qua mi pare un po’ bruttarella, però”. Una così. Roma è così. E quando piove è uguale, solo che dimostra il doppio della sua età, che già è tanta e le pesa sulle spalle, incurvandola.
Si stanno entrambi facendo cullare dal suono della pioggia che accarezza la finestra. L’ultimo piano del palazzo alto sopra tutti gli altri consente loro di restare a letto nudi e poter tenere le tende spalancate senza doversi preoccupare di chi potrebbe spiare all’interno della stanza. E la vista mozza loro il fiato, tant’è che entrambi respirano molto più lentamente e più pesantemente di quanto non vorrebbero, e dare la colpa per questo alla mezz’ora di sesso affamato e confuso che li ha colti come un raptus ormai più di un paio d’ore fa non sembra davvero possibile.
No, è Roma, così bagnata e cupa, a far loro quell’effetto. È il sentirsi a casa, in casa, fra loro. Francesco sorride, sottoponendosi ad uno sforzo che pare sovraumano solo per rigirarsi a pancia sotto, stendendosi per metà addosso a Vinicio e piantando i gomiti sul materasso per poggiare il mento sui palmi delle mani aperte sotto il viso, per sostenere la testa mentre si sistema per guardare più comodamente fuori dalla finestra. Adesso il suo corpo e quello di Vinicio formano un incrocio. La strada che le dita di Vinicio seguono risalendo la curva della sua schiena per posarsi sulla sua testa, in mezzo ai suoi capelli, seguendo i suoi occhi sognanti per guardare la stessa identica cosa.
- Potrei restare così per sempre. – si lascia sfuggire Vinicio in un sospiro beato. Francesco ride.
- Io no, mi annoierei dopo venti minuti. Però per un po’ si può fare. – conclude con un sorriso dolce e un mugolio compiaciuto, quando le dita di Vinicio cominciano a massaggiargli la cute.
Quando il telefono squilla, Vinicio risponde con evidente fastidio. È domenica pomeriggio, di fuori c’è il diluvio e se quella è sua madre che vuole sapere se andrà a cena a casa, stasera – è divertente come sua madre si ostini a dire “vieni a casa” quando ormai, per Vinicio, l’appartamento dove abitano i suoi genitori non rappresenti più casa da uno sproposito di tempo – be’, sarà la prima e l’unica volta in cui le sbatterà il telefono in faccia senza neanche premurarsi di spiegarle perché. E poi lo staccherà. O lo frantumerà tirandolo contro la parete.
Ma non è sua madre. È Muccino, appunto, e quando Vinicio riconosce la sua voce si irrigidisce immediatamente, tanto che perfino Francesco, pur sbadato com’è e pur perso come si sente nella contemplazione della città, non può fare a meno di accorgersene.
- Salve! – lo saluta. Francesco osserva i suoi lineamenti tesi e si inumidisce le labbra, ansioso. – Sì, è qua. – annuisce Vinicio, e poi si allunga a schiacciare il pulsante del vivavoce.
- Bene, perché la notizia che ho da darvi è per entrambi. – dice Muccino, la voce resa metallica e vagamente aliena dalla cornetta che la distorce, - Vi ho presi tutti e due per i ruoli dei protagonisti per il mio prossimo film.
Vinicio è senza fiato. Francesco, di fiato ne ha da vendere, tanto che salta in piedi e strilla “cazzo, sì!”, prima che la naturale morbidezza del materasso vecchio di Vinicio gli faccia lo sgambetto, costringendolo a rotolare fin quasi per terra. Muccino ride, sciorinando informazioni varie ed eventuali che Francesco si permette di ignorare perché tanto sa che Vinicio ne terrà conto per entrambi, e promette di farsi risentire fra una settimana. Nel frattempo, invierà loro il copione via mail, così potranno dargli un’occhiata e cominciare a entrare nelle parti e bla bla bla. Francesco già non sta più nella pelle. La sola idea di prendere parte a questo film lo esalta. Non è un ruolo secondario, non è un film corale e non è una dannata commedia brillante all’interno della quale avrà sì e no cinque scene.
È un film drammatico. Da protagonista. Con Vinicio.
- Non riesco neanche a crederci. – sillaba, prendendo a rotolarsi avanti e indietro fra le lenzuola sul sottofondo musicale delle risate di Vinicio che lo implora di fermarsi prima di ribaltare il letto.
- Non ci pensare, per ora. – lo invita, girandogli attorno un lenzuolo per tirarselo contro, - Vieni qui.
- Come faccio ad andare in un qualsiasi altro posto? – ridacchia Francesco, franandogli addosso, - Mi hai preso nella rete come un pescatore.
Vinicio sorride, sfiorando il suo naso col proprio.
- Una pesca fortunata. – commenta, e Francesco ride ancora.
- E sei riuscito a dire questa stronzata senza neanche balbettare! – si compiace, - Sono commosso.
- Sei uno stronzo. – protesta Vinicio, tirandogli giocosamente i capelli, - E ti odio.
- Allora partiamo già bene, visto che i protagonisti del film devono odiarsi. – annuisce Francesco, - Muccino ha visto giusto. Muccino! Ci puoi pensare?
- Be’, adesso… - borbotta Vinicio, - Stiamo parlando di Muccino, mica di, chessò…
- Tanto per te chiunque non sia Truffaut è una mezza sega. – sospira Francesco, sollevando gli occhi al cielo, e Vinicio ride, traendolo a sé e zittendolo con un bacio.
- Ti è mancato, in tutti questi anni, recitare con me? – gli chiede in un sussurro, dopo essersi separato da lui. Francesco non ha neanche bisogno di rifletterci.
- Tremendamente. – ammette in un mezzo sospiro, - Pensavo che sarebbe stato molto più facile dopo aver fatto coming out. Pensavo che ci avrebbero chiesto di recitare insieme. Mi ero fatto tutta una serie di filmini! Sai quanto ci avrei visti bene in un bel remake del Vizietto?
- Un altro? – ride Vinicio.
- Sì, un altro! – insiste Francesco, tirandogli uno schiaffetto contro una spalla. – Insomma, avrebbe potuto essere divertente. Senza contare che ci saremmo potuti vedere molto più spesso. E invece niente.
- Ma stavolta sì. – sorride Vinicio. Francesco annuisce, stringendosi nelle spalle.
- Saremo credibili come fratelli? – chiede incerto. Vinicio finge di rifletterci.
- Mmmh, - mugola, - ma sì. Basterà ritornare con la memoria a quel lontano periodo in cui ci rompevamo le palle a vicenda facendoci i dispetti sul set di Romanzo Criminale e tu eri così cretino da ferirti pure con le forchette. Provo un’immensa pietà per quel Francesco. Non sarà difficile.
Francesco scoppia a ridere, rotolando sulla schiena al suo fianco senza risparmiarsi di prenderlo poderosamente a calci sugli stinchi nel movimento.
- E poi lo stronzo sarei io, mh? – domanda, lanciandogli un’occhiata complice. Vinicio neanche risponde.
Fuori ha smesso di piovere.
*
- A Vini’, ma questi se menano. – commenta Francesco, divertito, restando svaccato sulla poltrona di vimini della quale ha preso possesso non appena la stampante ha finito di sputare fuori le centocinquantasei pagine della sua copia di sceneggiatura. Con le gambe incrociate e gli occhiali che scivolano continuamente sul naso e l’evidenziatore rosa fosforescente col quale sottolinea le battute del suo personaggio ogni volta che, leggendo, ne incontra una, lo rendono così simile a un bambino che è più per questo che per l’idea di doversi menare sul set che Vinicio sorride, dondolandosi un po’ sulla poltrona girevole davanti al pc.
- Ah, sì? – domanda, voltandosi nuovamente verso il computer e lasciando scorrere l’indice sulla rotellina del mouse, - A che pagina?
- Venticinque. – indica Francesco, - Non immaginavo che si odiassero così tanto.
- Ma che cazzo, France’, niente spoiler, avevamo detto! – si lagna lui, - Non sono neanche a pagina venti! E tu già mi parli della venticinque. Che poi… - si ferma a riflettere un secondo, - Pagina venticinque, ancora a occhio e croce manca tipo un’ora e un quarto di film, e già loro si menano?
- È quello che dico anch’io. – scrolla le spalle Francesco, - Però vedo che già a pagina trentadue—
- Eddaje, France’! – sbotta ancora Vinicio, voltandosi apposta per tirargli una gomma presa a caso dall’astuccio aperto sulla scrivania, - La pianti?
Francesco ride, parandosi il viso con una mano. La gomma sbatte contro il suo palmo aperto e poi cade sul pavimento con un suono ovattato. Vinicio sorride, alzandosi per raggiungerlo. I suoi piedi nudi, contro il pavimento, producono se possibile un suono perfino più lieve di quello della gomma. È come camminare fra le nuvole, e Vinicio è fermamente convinto che non sia solo colpa della moquette.
- Sono emozionato. – mugola Francesco quando Vinicio si china su di lui, cercando le sue labbra. – Sai cosa pensavo?
- No… - sussurra Vinicio, sollevando una gamba e poi l’altra per salire a cavalcioni sulla poltrona, sovrastandolo e bloccandolo fra le proprie braccia per impedirgli di fuggire, anche se in effetti Francesco non sembra particolarmente interessato a rinunciare alle sue effusioni, e quando lui si china ancora una volta, baciandolo più profondamente, non si tira indietro. - …però posso farti dare un’occhiata a quello che pensavo io, se vuoi. – ridacchia, sollevando sui suoi fianchi morbidi la maglietta bianca sdrucita che spesso indossa per stare in casa.
- Sei un cretino… - ride Francesco, lasciando cadere la sceneggiatura per terra e sollevando le braccia per non impicciare Vinicio mentre gli sfila la maglietta da sopra la testa, - No, seriamente. Pensavo di tornarmene a casa mia, domani.
- Sicuro di averla ancora, una casa? – lo prende in giro Vinicio, inarcando un sopracciglio, - Ormai stai qua da quanto? Tre settimane? Ti avranno considerato morto e l’avranno già affittata a qualcun altro.
- Non penso proprio… o meglio, mi auguro di no, visto che tre giorni fa ho fatto il bonifico al padrone di casa. – risponde lui, ridendo quando Vinicio scivola in una scia di baci umidi lungo il suo collo e il suo petto, facendogli il solletico. – No, comunque voglio starmene un po’ per cazzi miei.
- E perché? – chiede lui, scivolando giù dalla sedia e mettendosi in ginocchio fra le sue gambe, mentre insinua le dita oltre l’orlo elastico dei pantaloni della tuta che Francesco indossa, per tirarli giù, - Ti preferisco quando stai per i miei.
- No, tu mi devi spiegare come riesci a dire ‘ste cazzate senza mai inciampare neanche una volta. – ride Francesco, gettando indietro il capo ma sollevando il bacino perché Vinicio possa abbassare i pantaloni abbastanza da scoprire la sua erezione già tesa per metà. – Comunque… - mugola, mentre Vinicio ne sfiora la punta con le labbra umide dischiuse, - è per leggere il copione e cominciare a entrare nella parte. Come faccio a trasformarmi nel fratello che ti odia e non ti vede da quindici anni se… - sospira, poggiandogli una mano sulla testa per invitarlo a prenderlo più in fondo, - se mi giri sempre intorno in questo modo?
Vinicio mugola qualcosa di ovviamente incomprensibile che fa rabbrividire Francesco di piacere per come quel mugolio vibra tutto attorno al suo sesso ormai completamente eretto, ma lo costringe anche a ridere divertito mentre, malvolentieri, lo invita ad allontanarsi da lui per ripetere.
- Pensavo che ti piacesse avermi sempre intorno in questo modo. – ridacchia anche lui, alzandosi in piedi e trascinandolo con sé verso il letto.
- Oh, non ho detto che non mi piace. – commenta Francesco, divertito, lasciandosi ricadere di schiena sul materasso e indietreggiando fino a lasciare a Vinicio abbastanza spazio da arrampicarsi sulle ginocchia di fronte a lui, un attimo prima che lui riesca ad aprire le gambe per accoglierlo il più vicino possibile a sé. – Ci vedremo comunque quando inizieremo a girare, no? – lo rassicura, accarezzandogli i capelli mentre lui sbottona i pantaloni, cercando di trattenersi dalla voglia che ha di schiacciarsi immediatamente contro il suo corpo.
- Mancano ancora tre settimane… - gli fa notare in un sospiro un po’ deluso mentre si preme contro la sua apertura, rilasciando subito un ansito sconnesso non appena riesce a varcare la resistenza dei suoi muscoli e scivolare dentro di lui.
- Passeranno in un soffio. – ansima Francesco, gettando indietro il capo ed allacciandolo al collo, mentre annoda le gambe dietro la sua schiena per tirarselo contro, accogliendolo più profondamente dentro di sé, - E comunque potremmo sentirci per telefono.
- Sì? – domanda Vinicio in una risata senza fiato, prendendo a muoversi più velocemente contro di lui mentre lascia scivolare una mano fra i loro corpi, per scendere ad accarezzare la sua erezione, - Non ti costringerà a uscire dalla parte?
- Vuoi che i nostri due fratelli non si siano mai sentiti per telefono in quindici anni? – geme lui per tutta risposta, seguendo i suoi movimenti e portandolo ad aumentare il ritmo delle spinte, - Almeno per le feste comandate…
- Allora do-dovremo a-aspettare Natale… - prova a ribattere Vinicio, stringendogli un fianco con una mano mentre lo accarezza più velocemente con l’altra. Francesco gli tappa la bocca con un bacio umido e affamato.
- Stai cominciando a perdere il controllo… - gli sussurra, baciandolo ancora, - Concentrati su di me.
Vinicio non ha bisogno di sentirselo ripetere.
*
- Ho scelto voi due perché mi sembrava che il potenziale fosse interessante. – pontifica Muccino mentre mostra loro l’appartamento in cui saranno girati gli interni, - Insomma, è vero che a me servono due fratelli, ma in un certo tipo di relazioni la chimica è importante. Voglio che ci sia tensione, fra i vostri due personaggi. Voglio che me la mostriate. Questo è il soggiorno in cui sarà girata la scena della rissa. Usate l’ambiente, siate violenti. Non dovrete avere la minima pietà, ricordatevi sempre che ormai vi odiate da più anni di quanti possiate contarne su due mani.
Francesco finge soltanto di ascoltarlo. L’unica cosa che pensa quando, come in un’eco lontana, sente arrivare le parole “più di quanti possiate contarne su due mani”, è che una descrizione del genere si adatta perfettamente ai giorni che ha passato senza mai vedere Vinicio. La voglia che ha di stare un po’ solo con lui è esagerata, devastante. Fa quasi male. Ogni volta che, passeggiando per quelle stanze cercando di mimare un’espressione interessata e compunta, le loro dita si sfiorano, Francesco si sente tremare. Sente le proprie ossa liquefarsi e le ginocchia cedere, e dal modo in cui Vinicio cerca di guardare tutto il mondo tranne che lui ma poi finisce irrimediabilmente ad incollargli gli occhi addosso, sa che anche per lui è lo stesso.
- Allora, avete qualche domanda? – chiede Muccino, sulle labbra un sorriso conciliante, gli occhi che brillano per l’emozione. Si comincia domani, e sono tutti impazienti. Anche loro, non hanno fatto che pensare a questo momento per quasi due mesi, ormai, ma in questo preciso istante il calore delle loro pelli e il profumo dei loro corpi sembra così forte da rendere tutto il resto sbiadito, poco interessante al confronto.
- Tutto chiaro. – risponde tranquillamente Francesco. Vinicio si limita ad annuire e Francesco sa che non parla perché non si fida della propria voce.
- Ottimo. – sorride ancora Muccino, avviandosi verso la porta, - Vi lascio a prendere confidenza con l’ambiente. Questa stanza è il teatro della vostra scena madre. Fatela vostra.
Francesco annuisce, mentre stavolta Vinicio si lascia scappare una risatina nervosa che, lasciandoli soli, fortunatamente Muccino non nota. Francesco fa per voltarsi per prenderlo in giro, ma non riesce a completare il movimento perché, il secondo dopo, Vinicio lo sta già schiacciando contro la prima parete disponibile, riempiendogli il viso e il collo di baci.
- Mi s… mi s… - balbetta incerto, esplodendo in un’imprecazione frustrata quando gli sembra di non riuscire a sciogliere la lingua in altro modo, - Mi sei mancato. – conclude, trovando finalmente la via per le sue labbra.
- Lo so. – sospira Francesco, approfondendo il bacio, - Anche tu. – sorride, premendosi contro di lui perché Vinicio possa sentire quanto.
Vinicio impreca ancora una volta, incerto su cosa fare, ed è Francesco a prendere in mano le redini della situazione, afferrandolo per le spalle e trascinandolo verso l’ampio divano nel centro della stanza.
- Sono arredi di scena, questi… - borbotta Vinicio, che però non fa nulla per cercare di fermarlo, anche quando lo stende fra i cuscini e gli si siede in grembo a cavalcioni.
- Sì, be’, - sospira lui, mordendosi un labbro mentre si domanda se potrebbe spogliarsi, almeno un pochino, per sentire il suo calore sulla pelle, e conclude che forse almeno quello sarebbe meglio evitarlo, - il regista ci ha detto di prendere confidenza con la scena, no?
- Sono quasi sicuro – ansima Vinicio, sollevando le mani per stringergli i fianchi fra le dita, indirizzando i suoi movimenti perché i loro bacini possano continuare a scontrarsi e strusciarsi in un movimento fluido e continuato anche se gli abiti che indossano si mettono di mezzo per complicare tutto, - che non fosse questo quello che intendeva.
- Sai cosa? – dice Francesco a bassa voce, chinandosi a sfiorare le sue labbra con le proprie, - Chi se ne frega.
Vinicio geme violentemente, un mezzo grido di piacere che quasi gli esplode in gola, mentre lo afferra con più forza per ribaltarlo sul divano e premersi meglio contro di lui.
- Chi se ne frega. – ribadisce. Mancano meno di dodici ore all’inizio delle riprese.
*
- No, sai cosa? – dice all’improvviso Francesco, mangiando noccioline mentre sta disteso a ripassare la parte su uno dei divanetti sotto i finestrini della roulotte, - Il tuo personaggio è proprio una merda.
Vinicio, seduto sul sedile passeggero e con le gambe incrociate sul cruscotto, si volta per lanciargli un’occhiata di sbieco.
- Come sarebbe a dire che il mio personaggio è una merda? – borbotta offeso, - Cos’avrei fatto di sbagliato?
- Be’, ci hai lasciati soli. – scrolla le spalle Francesco, girando le pagine con finto disinteresse. Nessuno dei due si accorge di come cambino i soggetti delle frasi che pronunciano. – Per poi tornare immediatamente appena papà è morto, ovvio. Per l’eredità.
- Solo perché il notaio mi ha chiamato. – sbuffa Vinicio, cercando il punto preciso sul copione per essere sicuro di non essersi inventato niente, - Altrimenti sarei rimasto in Inghilterra, con la mia famiglia.
- Ah, e questo ti renderebbe una persona migliore esattamente come? – insiste lui, mettendosi a sedere. I loro sguardi si incontrano e per un momento entrambi sono consapevoli di come la situazione si stia allontanando dal terreno protetto delle ipotesi e della finzione per gettarsi in qualcosa di molto più personale. Senza che ce ne sia il benché minimo motivo.
- Io… - comincia, - Voglio dire, il mio personaggio, non è minimamente interessato ai soldi del padre. Viene apposta per rifiutare l’eredità. Ma – e sorride, stringendosi appena nelle spalle, - questo suo fratello non lo capisce. E tu sei bravo una cifra a fingere di non capirlo nemmeno te.
Francesco resta immobile per un secondo, arrossendo violentemente. Nei suoi occhi passa un lampo di stupore e di consapevolezza che lo porta a serrare i pugni attorno al copione, stropicciandolo un po’.
- Sì, eh? – ridacchia subito dopo, grattandosi nervosamente la nuca. – Sono stanchissimo. – aggiunge in un mugolio lamentoso, - Vieni qui un po’? – domanda, battendo il palmo della mano contro la fodera in pelle del divanetto.
Vinicio sorride, scuotendo il capo, ma si alza comunque per raggiungerlo.
- Abbiamo meno di venti minuti prima della scena. – gli ricorda, sedendosi al suo fianco.
Francesco si sporge verso di lui, poggiando appena le proprie labbra sulle sue.
- Me li farò bastare. – lo rassicura.
Il bacio che si scambiano subito dopo ha un sapore strano. Ma entrambi fingono di non accorgersene, e annegano l’uno nel corpo dell’altro la sensazione straniante di non conoscersi più che li avvolge da quando hanno cominciato a girare.
*
Vinicio è di cattivo umore, anche se non saprebbe spiegare perché. Non è una sensazione mirata, non è che ce l’abbia con qualcuno o con qualcosa in particolare, è più che altro una sensazione di malessere generalizzata, contro tutto e tutti.
Almeno, questo è quello che si racconta quando lui e Francesco quasi finiscono per prendersi a cazzotti in cucina, un sabato sera.
Girano ininterrottamente da quasi due mesi, ormai. Questo è il primo vero weekend di pausa che Muccino concede loro. Deve averli visti particolarmente stanchi, perché venerdì li ha presi in disparte e ha detto loro con molta tranquillità e chiarezza di prendersi due giorni di riposo, che tanto lui ha da girare un po’ di esterni in giro per la città, inquadrature di panchine vuote, di fontane la cui acqua luccica sotto il primo sole primaverile, di enormi giardini pieni di bambini che giocano e via così. “Fatevi due giorni per i fatti vostri,” ha consigliato ad entrambi, “da quant’è che non state un po’ insieme?”.
Vinico potrebbe contare le ore. Le ore, i minuti, i secondi passati dall’ultima volta che ha toccato Francesco sotto i vestiti, dall’ultima volta che ha sentito il calore della sua pelle, l’odore dei suoi capelli, il sapore salato delle goccioline di sudore che gli scivolano lungo il collo mentre scopano sulla punta della lingua.
È arrabbiato, è frustrato. Ha la sensazione che Francesco l’abbia rifiutato, recentemente. Non è successo davvero, sì, ma solo perché lui non si è avvicinato più di tanto. Ogni volta che ci ha provato ha avuto un flash di quel pomeriggio nella roulotte, degli occhi di Francesco attraversati da quel lampo di consapevolezza così violento e repentino. Di quanto la sua pelle sembrasse sconosciuta sotto le dita.
Ha avuto l’impressione che Francesco lo stesse rifiutando. Senza neanche sentire il bisogno di parlare, Francesco l’ha tenuto a distanza. Sì, dev’essere stato per questo. Per quale altro motivo, altrimenti, avrebbe dovuto trovare così incredibilmente fastidiosa la sola idea di accarezzargli una spalla, o sentire il sapore delle sue labbra?
Nel momento in cui entrano in casa e vengono accolti dall’appartamento vuoto e buio, hanno entrambi la sensazione che quelle pareti si aspettino qualcosa da loro. Forse dovrebbero lasciare la luce spenta, chiudere gli occhi e lasciarsi trascinare da quell’ambiente conosciuto. Dovrebbero risalire le tracce della loro storia, dal divano al tavolo della cucina alla vasca da bagno al letto, e ritrovarsi.
Francesco accende la luce, e Vinicio grugnisce, furioso. Sfila la giacca e la getta senza la minima premura sulla panchina di vimini all’ingresso. Continua a spogliarsi con rabbia sulla strada per la camera da letto e ha solo voglia di prendere tutti i suoi stupidi soprammobili e gettarli per terra, per vederli andare in frantumi.
Quando torna di là, Francesco ha appeso la propria giacca all’attaccapanni e sta rovistando fra i suoi cd per cercare qualcosa da ascoltare. Dio, solo guardarlo chino sulla colonnetta stipata di cd mentre fruga così fra le sue cose gli dà ai nervi. Non lo vede da un secolo – non lo vede da un secolo? – e la prima cosa a cui lui pensa è mettere su della fottuta musica.
Impreca ancora, voltandosi per andare in bagno, ma viene fermato dalla voce di Francesco.
- Che cazzo c’è? – chiede. Dura, tagliente. Irriconoscibile.
Vinicio si volta per osservarlo. S’è rimesso in piedi, dimentico di tutta quella voglia di ascoltare musica che sembrava pervaderlo prima. Vinicio pensa che forse non aveva davvero voglia di ascoltare della musica. Forse voleva soltanto darsi qualcosa da fare, cercare di tenersi impegnato per non esplodere.
- Niente. – risponde burbero, - Ti pa-pare che ci sia qualcosa?
- Stai balbettando. – nota Francesco. La sua voce è così gelida che gli infilerebbe la testa nel forno solo per cercare di scongelarla.
- Sì, be’. – risponde, scrollando le spalle, - Lo faccio sempre.
- Quando sei fuori controllo.
- Sempre. – insiste, sferzandolo con un’occhiata furiosa. – Perché hai deciso di rompere i coglioni? Me lo spieghi?
- Ma che cazzo di problema hai?! – sbotta Francesco, allontanandosi infastidito verso l’attaccapanni per recuperare la giacca, - Senti, vaffanculo. Me ne torno a casa, stanotte. Ti chiamo domani.
- Te non vai da nessuna parte. – stabilisce Vinicio, avvicinandoglisi minaccioso. Francesco si volta a guardarlo, gli occhi spalancati. È incredulo. Appena vede la sua espressione, Vinicio si ferma, immobile in mezzo alla stanza. È solo un attimo, si rende conto di ciò che ha appena detto e vorrebbe chiedere scusa, vorrebbe dire a Francesco che non lo sa cosa cazzo gli è preso, è solo che gli manca così tanto, gli manca così tanto che non riuscirebbe neanche a spiegargli quanto, e lui prende e dice che se ne vuole andare? No, cazzo, no.
Ma non ha il tempo di dirglielo, perché Francesco afferra la giacca e poi si muove svelto verso di lui, e quando è abbastanza vicino lo spintona. Con entrambe le mani. Colpendolo in pieno petto. E non risparmia forza, tanto che Vinicio finisce sbalzato indietro e quasi perde l’equilibrio. Riesce a tenersi su solo puntando i piedi ed aggrappandosi allo schienale del divano, e tutto il bisogno di scusarsi e riallacciare i nodi quasi sciolti del loro rapporto si perde nel ringhio furioso col quale, dopo aver ritrovato stabilità sulle gambe, risponde al suo spintone con un altro uguale.
Francesco è allibito. Lo guarda con occhi enormi e vuoti, le labbra dischiuse, il respiro corto. Vinicio vorrebbe ammazzarlo di botte. Lo farebbe sul serio, lo prenderebbe a cazzotti fino a spaccargli la testa e non saprebbe nemmeno dire perché. Se qualcuno lo trovasse ancora immobile accanto al cadavere e gli chiedesse una spiegazione, lui risponderebbe “non lo so. Lo amavo. Lo odiavo.”
La sola idea gli mette i brividi. Ma non saprebbe dire di che tipo siano.
- Vaffanculo. – sibila Francesco, spintonandolo un’altra volta, - Vaffanculo. Vaffanculo! – e ogni imprecazione è un altro spintone, sono le sue mani premute contro il petto, è il male che gli provocano, il respiro che gli mozzano. Vinicio lo afferra per i polsi, inizialmente solo per tenerlo fermo, poi per cercare di toglierselo da davanti, infine per scaraventarlo contro il divano. Francesco inciampa sul bracciolo, perde l’equilibrio, cade per terra. Sbatte un ginocchio e geme per il dolore, e quel gemito risveglia qualcosa nel profondo della sua coscienza.
A Vinicio basta un secondo per essergli addosso. Si preme contro di lui, tenendolo stretto per la vita. Sembra quasi che voglia aiutarlo a rimettersi in piedi, e invece no, tutto quello che vuole è tenerlo bloccato lì, in ginocchio, sul pavimento.
Francesco riesce a sollevarsi abbastanza da piantare le mani sul bracciolo per tenersi dritto. Affonda le dita nell’imbottitura morbida del divano e si volta a guardarlo. Ha le guance rosse e la barba che porta non serve a coprirle. Le labbra umide e dischiuse sono un invito troppo esplicito per poter dire di no, e così Vinicio lo afferra per il mento, strattonandolo con forza per costringerlo a girarsi. Francesco esegue gli ordini, pur con un gemito di dolore causato dal movimento innaturale del collo, e non si tira indietro quando le labbra di Vinicio si premono con forza contro le sue, e la sua lingua si fa avanti, insinuandosi nella sua bocca. La accoglie con un mugolio arrabbiato che ha l’unico effetto di tendere allo spasmo l’erezione di Vinicio, già dolorosa, che lo obbliga ad allontanarsi da lui con uno schiocco umido per piegarlo sul bracciolo, liberarsi dei pantaloni e prepararlo con un paio di gesti spicci prima di penetrarlo all’improvviso in un gesto immediato e secco.
Francesco inarca la schiena, gettando indietro il capo ed erompendo in un grido spezzato che frantuma il silenzio pesante della stanza ma non è abbastanza da spingere a forza un barlume di lucidità nella mente confusa di Vinicio, che chiude gli occhi e segue i movimenti del proprio stesso corpo come fossero sconosciuti. Cerca di fidarsi delle proprie sensazioni, ma anche quelle lo spaventano. Sono nuove e ignote come il corpo di Francesco, come la sua voce, come il sapore della sua pelle. E non saprebbe più dire se fatica a riconoscerlo perché non l’ha avuto in bocca per – Dio, ha dimenticato quanto tempo – o se invece sia così perché Francesco è davvero diventato una persona diversa. O perché lo è diventato lui.
Viene con un gemito sollevato ma rauco, allontanandosi da lui all’istante. Anche Francesco è venuto, chissà quando, chissà come, lui non se n’è accorto. Mentre lo scopava, non gli interessava. E al momento lo preoccupa di più la macchia sulla fodera del divano.
Il pensiero lo devasta non appena lo formula.
Guarda Francesco rimettersi faticosamente in piedi e annaspa, alla ricerca disperata di qualcosa da dirgli. Non la trova.
Francesco nemmeno lo guarda mentre si risistema i vestiti addosso e recupera la giacca, caduta per terra mentre litigavano.
- Ti chiamo io. – sussurra incerto mentre gli passa accanto, prima di andare via.
*
Non lo chiama, invece. E non lo fa per paura, una paura cieca, sorda, muta e irrazionale, come quelle che gli mozzavano il respiro da piccolo. Non erano molte le cose che riuscivano a mandarlo del tutto fuori di testa dal terrore, ma qualcosa c’era. Tutte quelle cose oscure che non riusciva a spiegarsi, come il buio improvviso dei giorni di pioggia, o la scomparsa di qualcuno che conosceva, o il bullo che in quinta elementare lo tormentava alla ricreazione rubandogli i soldi della merenda e che poi durante la notte si trasformava in incubi così spaventosamente fisici da sembrare quasi reali. Incubi dai quali si svegliava con gli occhi sbarrati e il fiato corto. Esattamente come dopo quella scopata con Vinicio.
Non lo chiama per paura, ed è contento di vedere che dentro Vinicio, nascosta in profondità, c’è ancora quella parte di lui che conosce bene abbastanza da chiamarla propria: sa che Vinicio, dopo quello che è successo, non si azzarderebbe mai a sollevare la cornetta e comporre il suo numero per chiamarlo per primo. E in effetti Vinicio non lo fa. E a Francesco sta bene, perché per quanto gli manchi non vuole sentire la sua voce, non vorrebbe neanche pensare a lui, preferirebbe fare come se lui nemmeno esistesse.
Ma non può. E il weekend trascorre lento, pigro e solitario. Ed è già lunedì.
*
Vinicio non regge il suo sguardo, quando s’incontrano sul set.
- Sicuri che sia tutto a posto? – chiede loro Muccino, vagamente preoccupato, - Coraggio, sono gli ultimi sforzi.
Francesco annuisce e sorride, in maniera abbastanza convincente da tranquillizzare il regista, spera, e poi si avvicina a Vinicio, inspirando ed espirando profondamente. Vorrebbe non dover fare questa cosa, ma non farla sarebbe ancora più assurdo. Ingoia il rospo e lo saluta con un mezzo sorriso stanco. Gli occhi di Vinicio sono pieni di paura e senso di colpa, ma in fondo, a fare da base a tutto ciò, c’è anche la strana sensazione di stare guardando un estraneo. O forse non proprio un estraneo, forse solo qualcuno che ha conosciuto un tempo, mille anni fa, ma che ora non vede da tutta una vita.
Come nel loro film.
- Senti, mi dispiace per quello che è successo. – comincia, - Ero fuori controllo.
- Anch’io. – annuisce subito Vinicio. Non aggiunge altro, probabilmente perché non si sente sicuro. Francesco vorrebbe abbracciarlo, ma in qualche modo il pensiero di disturba. Non si sente abbastanza in confidenza con lui.
Non si sente abbastanza in confidenza con lui.
- In scena! – urla uno degli assistenti di regia, e Francesco è felice di poter distogliere il pensiero da questa situazione, troppo scombinata perché lui possa osservarla senza sentire il bisogno di urlare e cavarsene fuori fuggendo, anche se sa che quello che perderebbe scappando non lo ritroverebbe mai più in nessuno, da nessuna parte nel mondo. Ma forse, si dice mentre prende posto al centro della scena, per come stanno andando le cose non sarà più capace di ritrovarlo neanche in Vinicio stesso, quindi che senso avrebbe rimanere?
Oggi girano l’ultima scena insieme. Da domani, le loro tabelle di marcia saranno differenziate, perché la conclusione del film vede i due fratelli salutarsi senza essere mai riusciti a capirsi. Muccino crede molto in questo finale. È amaro e realistico, dice, e se non prendo l’Oscar come miglior film straniero adesso, non lo prendo più.
- Azione! – urla qualcuno dietro di lui. Francesco guarda Vinicio e, anche se non desse le spalle all’intera crew, non riuscirebbe a vedere nient’altro.
- Quindi vai via. – attacca, abbassando lo sguardo. Vinicio inspira ed espira. No, suo fratello inspira ed espira. È questo che sono adesso. Questo film non sta parlando di loro due. Deve tenerlo a mente.
- Mia moglie mi aspetta. Non ho mai detto che sarei rimasto per sempre. – dice amaramente.
- E io non me lo sono mai aspettato. – scatta Francesco, tornando a guardarlo mentre stringe i pugni lungo i fianchi. – Però ci ho sperato. – aggiunge a bassa voce. Suo fratello si muove verso di lui. O forse è Vinicio. No, non lo è. Deve ricordarlo. Cerca di aggrapparsi alla voce di Muccino che suggerisce loro come muoversi, ma è così lieve e lontana che riesce appena a sentirla.
- Cosa dovrei restare a fare? – chiede Vinicio. La sua voce è così triste. – Per chi?
- Per me. – si lascia sfuggire Francesco in un singhiozzo spezzato. C’è qualcosa che non funziona, ma non saprebbe dire cosa. La crew rumoreggia, ma Muccino zittisce tutti, perentorio.
Vinicio solleva una mano e gli accarezza una guancia. Il tocco è caldo e piacevole, e Francesco si sente più a suo agio adesso di quanto non gli sia capitato nell’ultimo mese e mezzo di riprese. Sembra una cosa giusta. Questa, così, in questo momento. Un tocco così lieve. È perfetto.
- Non è abbastanza. – sussurra Vinicio. Il cuore di Francesco si spezza, fa così male che gli viene da piangere. – Non sei abbastanza. – ripete.
Si allontana da lui con uno scatto repentino, rilasciando finalmente il respiro che ha trattenuto in un singhiozzo stremato. Francesco resta immobile accanto al divano. Piange in silenzio. Non saprebbe cosa dire.
Tutti i membri della crew sono straniti, nessuno si avvicina. Solo Muccino osa. Gli appoggia una mano sulla spalla e cerca di dargli forza, in qualche modo. Francesco è convinto che non abbia capito un accidenti di quello che è appena successo.
- Vedi, è questo quello che intendevo! – dice agitato, gli occhi che brillano, - La tensione, la chimica. Non importa se avete cambiato le battute. È fantastica. Dopo la rigiriamo uguale, ok? Ora prenditi una pausa. Scommetto che ne hai bisogno. Vai a cercare Vinicio, magari, fagli i complimenti da parte mia. Siete stati fantastici, Dio. – cinguetta, allontanandosi subito dopo. Cammina a venti centimetri da terra. È surreale. Francesco non ha capito neanche una parola.
Allontanandosi dal centro della scena, arpiona uno degli assistenti, afferrandolo per una spalla.
- Scusa. – biascica, quando quello si volta a guardarlo con aria allucinata, - Ho sbagliato le battute? – chiede poi. Il ragazzo si stringe nelle spalle. È un po’ scosso.
- Dopo che il fratello maggiore domandava “per chi?”, tu dovevi restare in silenzio. – risponde, - E lui poi andava via. Ma al regista è piaciuta! – si affretta ad aggiungere, agitando le braccia per rassicurarlo quando vede i suoi occhi spalancarsi, riempirsi di lacrime e svuotarsi di tutto il resto.
Lo lascia andare. Vorrebbe andare a cercare Vinicio. Sa già che non lo farà.
*
Tornano a casa insieme solo per abitudine. Non si guardano, non si parlano, non si sfiorano per tutto il tragitto in macchina. L’aria fra loro è pesante, e Vinicio è stanco. Drenato. A stento riesce a tenere gli occhi aperti.
Lasciano la luce spenta, quando entrano nell’appartamento. Nessuno di loro due sente il bisogno di accenderla, stavolta, se non altro per dissipare quell’ombra scura che aleggia sopra di loro, imprigionandoli e soffocandoli. È in qualche modo più comodo così, che non dovendo per forza guardarsi negli occhi continuando a non riconoscersi.
Si aggirano per casa silenziosamente. Il pensiero del letto è troppo confortante per rifiutarlo. Vinicio entra in bagno e, a luce spenta, si dà una sciacquata veloce. Poi entra in camera, si spoglia e si getta e peso morto fra le coperte, affondando il viso nel cuscino. Non passano che pochi minuti, prima di sentire i piedi nudi di Francesco avanzare sulla moquette un passo dopo l’altro.
Solleva lo sguardo e lo vede mentre si china su di lui, sedendosi sulla sponda del letto. Vinicio si volta supino e Francesco allunga una mano ad accarezzargli il viso.
- Mi dispiace. – sussurra. Vinicio si mette seduto. Si avvicina a lui ed appoggia la propria fronte contro la sua, chiudendo gli occhi. Sono così distanti. Ha quasi paura di non riuscire a toccarlo se allunga una mano verso di lui. Eppure è lì, sente l’odore del suo respiro, sente il calore della sua pelle. Non li sente più come gli appartenessero, ma sono lì comunque.
- Anche a me. – sospira, sporgendosi in avanti e cercando le sue labbra col terrore irrazionale di non riuscire a trovarle.
E invece le trova. Trova loro e trova lui, ed è così stanco e triste e sfiduciato che non gl’importa del sapore che ha, non gl’importa di non riconoscerlo. Gli basta che ci sia.
Si avvicina ancora, prendendolo fra le braccia. Francesco si appoggia a lui, posando le mani sul suo petto e saggiando la consistenza della sua pelle sotto le dita. Mugola di piacere, e Vinicio rabbrividisce in risposta mentre se lo rigira fra le mani, conducendolo finché non riesce a stenderlo sul materasso. Resta sollevato sulle braccia, ostinandosi a tenere gli occhi chiusi mentre lo bacia lentamente sulle labbra e poi scivola giù lungo il suo collo, il suo petto, il suo stomaco. Francesco geme a bassa voce e Vinicio ha una tale voglia di lui che è disposto ad ignorare perfino che non è lui quello che tiene fra le braccia adesso. Va bene anche se è solo suo fratello, se può fingere per un solo secondo che lui sia Francesco, che sia ancora suo come qualche mese fa, andrà bene lo stesso.
Francesco schiude le gambe, accogliendolo mentre si sistema sopra di lui, e quando Vinicio lo accarezza dolcemente fra le natiche per prepararlo con le dita umide solleva una mano e gli accarezza una guancia e la tempia, perdendo le punte delle dita fra i suoi ricci ancora umidi. La sensazione è piacevole, il calore che gli stringe il bassoventre lo solletica portandolo a muovere il bacino per andare incontro alle sue dita, e quando schiude gli occhi per guardarlo è convinto che sarà felice, che sarà tutto a posto, e invece lì c’è suo fratello, suo fratello, e Francesco scatta a sedere, raccogliendo le gambe al petto e nascondendosi nell’angolo più lontano del letto, il respiro pesante, gli occhi spalancati. Trema dalla testa ai piedi.
- Non possiamo! – strilla, coprendosi col lenzuolo in un gesto immediato e confuso. Vinicio lo guarda e pensa che ha ragione. E poi ad entrambi muoiono le parole in gola.
Noi non siamo fratelli, vorrebbe dire Vinicio, ma non ne ha la forza. E forse in fondo neanche ci crede. È tutto così assurdo, tutto così confuso. Francesco è così spaventato che la sua paura si diffonde attorno al suo corpo come un’ondata di freddo, gelandolo fin nelle ossa.
- …Francesco. – lo chiama, ma Francesco non gli lascia il tempo di parlare. Scatta in piedi, gettando le gambe giù dal letto con tanta foga che rischia di inciampare.
- Non posso restare. – balbetta, cercando i propri vestiti in giro per la stanza. – Dio… - una maglietta piegata sul cassettone, in attesa di essere conservata, - Dio mio… - un paio di pantaloni gettati disordinatamente sulla poltrona di vimini. Si volta a guardarlo un attimo prima di uscire dalla stanza. Ha gli occhi pieni di lacrime, ma Vinicio non può vederli, perché lo sono anche i suoi. – Mi dispiace. – singhiozza, prima di voltarsi e correre via.
Vinicio non riesce a trovare neanche la forza per alzarsi.
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