Genere: Drammatico/Romantico
Rating: PG13
- Una ragazza, problemi di peso e complesso di Peter Pan.
AVVISI: Angst.
Commento dell'autrice: …quello che non ho patito per trovare il titolo a questa storia XD E non che quello che ci ho messo alla fine mi soddisfi particolarmente, comunque, solo che volevo pubblicarla, stavo ascoltando “Fix you” dei Coldplay e ci ho schiaffato questo titolo qui. È una storiella breve ma abbastanza complessa, penso. Tutto sommato, mi piace il risultato. Ai suoi primordi, cominciava in maniera completamente diversa. C’è voluto il beta-reading di tre persone per farmi capire che non era il caso di cominciarla in quella maniera XD A questo proposito, vorrei ringraziare le tre persone: la mia Juuhachi Go, che l’ha letta per prima, la Caska che l’ha più che altro leggiucchiata XD e l’Arianna (Redhead Witch), che mentre leggeva commentava e mi ha aiutata molto nello sviluppo del personaggio di Enrico, in particolar modo.
Rating: PG13
- Una ragazza, problemi di peso e complesso di Peter Pan.
AVVISI: Angst.
Commento dell'autrice: …quello che non ho patito per trovare il titolo a questa storia XD E non che quello che ci ho messo alla fine mi soddisfi particolarmente, comunque, solo che volevo pubblicarla, stavo ascoltando “Fix you” dei Coldplay e ci ho schiaffato questo titolo qui. È una storiella breve ma abbastanza complessa, penso. Tutto sommato, mi piace il risultato. Ai suoi primordi, cominciava in maniera completamente diversa. C’è voluto il beta-reading di tre persone per farmi capire che non era il caso di cominciarla in quella maniera XD A questo proposito, vorrei ringraziare le tre persone: la mia Juuhachi Go, che l’ha letta per prima, la Caska che l’ha più che altro leggiucchiata XD e l’Arianna (Redhead Witch), che mentre leggeva commentava e mi ha aiutata molto nello sviluppo del personaggio di Enrico, in particolar modo.
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Just Trying To Fix You
Se il mio cervello lavorasse come quello degli altri diciottenni quintoliceali del mondo, questi mocciosi con sedici anni ancora da compiere che sono i miei migliori amici non dovrei guardarli neanche per sbaglio. Il mio cervello non funziona così, ma non certo per questo io mi sento più tollerante, più aperta, meno snob o meno fighetta; mi sento soltanto più idiota, più imbarazzata, meno grande e meno furba che mai. In classe quasi mi ridono dietro quando dico che vado a passare la ricreazione con i ragazzi di terza.
…neanche vi dico come commentano da quando, addirittura, con uno di loro mi ci sono messa.
Sì, bè, ok, lo ammetto. Innamorata. Sono schifosamente innamorata di un compagno di classe di mio fratello, di un quindicenne maniaco di Harry Potter e della saga fantasy di Terry Pratchett e fissato con alcuni dei gruppi metal di peggior gusto che possiate immaginare. E lo dico anche se a me il metal, tutto sommato, piace, e in quasi tutte le sue forme. E anche se non sono esattamente nota per avere gusti raffinatissimi, ma se vi dico che ascolta pessima, pessima musica, potete credermi. Enrico, più o meno, è il ragazzo perfetto. È colto, sensibile, comprensivo e tutto, anche se odio i suoi gusti musicali. Però ha un grande difetto, un difetto odioso. Non mi sa abbracciare. Quando lo fa mette sempre le mani dove non dovrebbe.
In ogni caso, questo innamoramento molesto mi impedisce di agire da fredda e ferma maturanda calcolatrice e mollare il gruppetto come sarebbe “giusto”. Questo innamoramento, e il fatto che, dannazione, questi poppanti sono… adorabili.
In classe, non ero famosa per avere molti amici. I miei compagni passano le serate in discoteca, e le mie compagne per darsi un tono indossano minigonne cortissime e svolazzanti; io, le minigonne e la pista da ballo non andiamo molto d’accordo, dunque non posso darmi alcun “tono” in questo modo. Nel gruppetto di mio fratello, invece, - sì, erano amici suoi prima che miei… diciamo che mi sono infiltrata – era diverso. Questi ragazzi passano pomeriggi interi seduti sulle radici di un albero che chiamano “pruno”, al giardino pubblico, a fumare, suonare la chitarra e complessarsi per cose ridicole tipo “il primo cantante degli Iron Maiden aveva una voce sicuramente migliore di quella di Dickinson, ma Dickinson sa usarla meglio!”; e sembra non debbano crescere mai. Stare con loro è dolce, è come una distorsione temporale, anzi, è il tempo stesso che diventa insignificante.
- …
- Cri…
- …
- Ehm… mi rimetto la maglietta, ok?
Irritata, si voltò a guardare il muro, sbuffando.
- Non puoi farlo senza avvertirmi? Che c’è, vuoi farmi sentire in colpa?
Si infastidì anche lui, rispondendo a tono.
- Non ci provo neanche. Figurarsi, far sentire in colpa te.
Lei scivolò fuori dal letto, infilando a metà le scarpe e alzandosi di scatto in piedi.
- Torno a casa.
- …ma sei rimasta solo mezz’ora…
Uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Enrico si ostina a dire di aver saltato l’adolescenza a piè pari. È convinto di essere maturo, di essere adulto, di essere un uomo. Ed è il più bimbo del gruppo. È educato, ma non tiene niente, ragiona in maniera pratica, ma è del tutto instabile e… ho già detto che adora Harry Potter? Sì, questo sì, ma forse non ho accennato al fatto che ritenga la Rowling una maestra di psicologia del romanzo per ragazzi. Ogni volta che mi dice “il sesto libro è un manuale di psicologia” io penso tra me e me “spero di no, se dovessi trovarmi a studiare su quei noiosissimi tomi quando sarò iscritta all’università, potrei anche cedere alla tentazione del suicidio”. E, ci tengo a precisare, non ho assolutamente nulla contro Harry e compagnia, e i film mi sono perfino piaciuti, ma i libri… a parte il terzo, che è effettivamente molto bello, devo dire…
…ma sto divagando.
Enrico si ostina a dire di aver saltato l’adolescenza a piè pari e mi riempie il cervello di “sono adulto!” perché quando mi ha detto che voleva mettersi con me – tutto un imbarazzo, non vi dico la carineria… - io ho risposto ridacchiando “oddio, corteggiata da un moccioso!”. Lui era in seconda, io in quarta. Ho fatto quella battuta solo per allentare la tensione, non volevo offenderlo e neanche per un secondo avevo pensato di rifiutarlo. Mi piaceva, Enrico, con tutta la sua innocenza e il suo infantilismo.
Un anno dopo, sto per uscire dal liceo e lui è appena entrato al triennio. Un anno è un periodo di grande cambiamento per gli adolescenti maschi con storia fissa.
Enrico, adesso, mi accarezza sotto i vestiti quando siamo distesi sul suo letto.
- Cristina, se non esci subito dal bagno sfondo la porta!
- E’ occupato! Per te ha un significato questa parola?
- Ma devo andare al cesso!
- Ma ci sono già io!
- Sbrigati!
- Mentre aspetti vai a chiamare Roberta, che ti ha cercato poco fa quando eri ancora fuori!
- …ma perché non me l’hai detto subito?!
Sentì i passi di suo fratello allontanarsi lungo il corridoio e sorrise fra sé: giocare la carta Roberta era sempre un’ottima idea. Non era vero che aveva chiamato, ma adesso sarebbero comunque rimasti a ciarlare al telefono per almeno un’oretta. Perfetto.
Di Roberta, per inciso, non aveva mai visto il volto. Non la conosceva molto, ma quello che sapeva non le piaceva affatto. Anche se, forse, i pareri che aveva ricevuto non erano del tutto neutrali, visto che provenivano dal di lei ex ragazzo, Federico, vergognosamente mollato dopo un mese di rapporti fugaci e freddissimi. Comunque sapeva che a suo fratello piaceva molto.
“Tutto è buono e benedetto”, commentò fra sé, “se mi permette di guadagnare tempo qui davanti”.
Abbassò lentamente lo sguardo sulla bilancia sotto i piedi. Memorizzò la cifra. Chiuse gli occhi. Scese dalla bilancia.
Sospirò, rialzando lo sguardo sullo specchio. Bè, si vedevano tutti, quei chili. Fosse almeno stata una falsa magra…
Quando si voltava, il collo faceva una piega di grasso. E quelle braccia, quella pancia, quelle larghissime cosce e quel culo…
Spogliarsi davanti ad un uomo? Spogliarsi davanti ad Enrico?!
Mise un piede sulla bilancia, uno solo. Poi si sporse in avanti, poco a poco, spingendo col piede, piano, non aveva ancora staccato l’altro piede da terra quando l’ago toccò i cinquantacinque, e lei scese senza procedere oltre.
- Che fai stasera? – le chiese Doris all’uscita da scuola.
Lei la guardò, stupita; non si aspettava una domanda simile, visto che già altre volte in passato la risposta era stata sempre la stessa.
- Credo che uscirò con i ragazzi di terza…
Doris sbuffò, roteando gli occhi e mettendo una mano sul fianco.
- Anche oggi? C’è la festa di diciott’anni di Raffaele, stasera. Pensavo che almeno a questa saresti venuta, visto che lo conosci da otto anni…
“Vuol dire qualcosa?”, si chiese con rabbia. Non vedeva perché il fatto di aver frequentato con qualcuno anche le medie, oltre al liceo, dovrebbe renderlo maggiormente meritevole di una serata con lei, rispetto ai suoi veri amici.
- Mi dispiace. – disse abbassando gli occhi sul pavimento.
- Invece di dispiacerti, vieni!
Non si sentì di dirlo a lei, così, apertamente, ma già sapeva che non sarebbe andata affatto.
- Non so. Ti chiamo nel pomeriggio per dirti se posso.
Ovviamente non chiamò affatto.
- Mi hanno fatto fermo. – annunciò Enrico con una buffa espressione stupita, entrando in camera del suo amico Fulvio.
- In che senso? – chiese Paola, una ragazza bionda con un bel sorriso, smettendo di fissare un giochino demenziale al pc per concentrare la sua attenzione sul nuovo venuto.
Cristina ignorò apertamente l’entrata del suo ragazzo, alzando il volume del lettore mp3 fin quasi a stordirsi. Enrico la vide e, con uno sguardo tra l’infuriato e il disgustato, dopo aver salutato tutti i presenti, si diresse verso di lei e le strappò le cuffie dalle orecchie.
- Che ascolti? – le chiese con un falso sorriso stampato sulla faccia.
- Limp Bizkit. “Eat you alive”. – rispose lei atona, incrociando le braccia.
- Musica arrabbiata, eh? Devo cogliere un qualche avvertimento?
- Ma no, cosa vai dicendo…
- Fai poco la spiritosa, sei anche la causa del fermo.
Sollevò lo sguardo, incuriosita.
- La spieghi ‘sta cosa del fermo, una buona volta? – sbuffò Paola sedendosi sul letto accanto a Cristina.
- Praticamente Doris, la sua amica, - disse Enrico indicando la sua ragazza, - quella bionda e bassa, presente?, all’uscita mi avvicina e mi fa “Guarda, io non ho nulla in contrario se voi uscite con Cri, ma dovete lasciarla anche libera di fare altro, ogni tanto…”. Senza parole.
Cristina si strinse imbarazzata nelle spalle, senza sapere cosa dire per, bè, sì, scusarsi.
- Cri, ma i tuoi compagni di classe credono che ti teniamo prigioniera o cosa? – chiese Marta, capelli scurissimi e occhi lievemente storti, lanciandole uno sguardo inquietante.
- Ma… no…! È che stasera… c’era qualcosa che non mi ricordo bene, - mentì, - e lei avrebbe voluto che ci andassi…
- E perché non sei andata?
- Bè, perché volevo… - lanciò uno sguardo ad Enrico, poi si ricordo che avevano “litigato” e realizzò che la scusa del “volevo stare col mio ragazzo” non sarebbe stata credibile, per cui tacque.
- Sei strana, stasera. Anzi, siete strani tutti e due. – sentenziò Marta con un’ultima occhiata di sbieco.
- Oh, basta! Fulvio, quand’è che usciamo? – esclamò lei cercando di portare l’attenzione su qualcos’altro.
Il ragazzo fece spallucce.
- Bè, stiamo aspettando tuo fratello e Roberta…
Cristina spalancò gli occhi.
- Sono insieme?
- A quanto pare… - mormorò Federico, alto e bruno, spuntando dal nulla alle sue spalle, spaventandola.
- Ah! Tu?!
- Ero in bagno. Che c’è?
- Hai un’espressione strana… - commentò notando le sopracciglia aggrottate e lo sguardo spento.
- Prima che me lo chieda anche tu, NO, non soffro perché probabilmente Renato e Roberta si metteranno insieme.
- Smettila di parlare come se per tutta la giornata non avessimo fatto altro che chiederti questo! – sbottò Paola.
- Ma è vero!
- Va bè, va bè, - concluse Cristina, - se anche tu fossi depresso potrei consolarti io… sai, ultimamente col mio ragazzo va così male…
Enrico le tirò un cuscino.
- Non dirglielo, che poi ci crede e allunga le mani. – disse, prima di tirarle ancora un altro cuscino, che la centrò in pieno viso.
- Smettila subito! – gridò lei, tremendamente infastidita, ma lui fece spallucce e la ignorò.
Pochi minuti dopo, Renato e Roberta arrivarono, e tutto il gruppo si spostò al pruno.
I miei compagni di classe, in questo momento, stanno ballando al ritmo del remix dance di una qualche canzone pop molto famosa, oppure stanno brindando alla salute di Raffaele che ha appena spento le candeline, e io invece sto qua, accovacciata sotto un albero tra le braccia di un ragazzo che abbraccia benissimo – ed è Fulvio, non Enrico, chiaramente – e non sono pentita affatto.
Ho visto fin troppe ragazzine, al sabato sera, aspettare i loro ragazzi sotto casa, fasciate in corte gonnelline e aderentissime magliette, con rotolini di ciccia strabordanti da ogni lato, e ho già deciso, tempo fa, che io sarei stata diversa, sarei stata “quella intelligente”. Quella che avrebbe saputo parlare di qualsiasi cosa, che avrebbe apprezzato Eric Clapton ma anche i Beatles, che avrebbe potuto esprimere un parere interessante su Joyce, e anche su Benni, che avrebbe letto gli Adelphi, ma anche la serie delle Ragazzine della Mondadori, che sarebbe stata preparata in storia filosofia arte cinema, su ogni orientamento politico, sulle mostre, su Santoro e su Fede, avrebbe discettato su Dio e sulle sette sataniche, su ogni singolo argomento dello scibile umano; parlando con me la gente avrebbe dovuto spalancare gli occhi e dire “oh, ma com’è colta!”, e poco importava se per raggiungere quest’obiettivo avrei dovuto studiare continuamente, leggere e guardare anche roba che mi faceva schifo, perché grazie a questo sarei stata diversa, sì, sarei stata una ragazza diversa dalle altre, e non avrei avuto bisogno del sesso e di un bell’aspetto per attirare le persone, sarei stata intoccabile, superiore…
…sì, lo so anche io che è tutta autodifesa, anche se ne parlo come di “formazione caratteriale”.
Anche l’uscire con questi ragazzi rientra nel piano, credo. Il che non mi fa certo onore. Sono meschina e calcolatrice sul serio, alla fine, anche se è vero che per loro provo qualcosa, è vero che mi stanno a cuore ed è vero che in loro compagnia mi diverto.
Enrico mi da un colpetto sulla spalla, passandomi accanto mentre si aggiusta gli occhiali sul naso. Lo guardo a lungo, mentre si ferma al mio fianco e mi fa cenno di seguirlo.
So già cosa succederà nei prossimi venti minuti, e non ho alcuna voglia di verificare la veridicità delle mie previsioni.
Ma mi alzo e lo seguo oltre l’albero, verso la panchina dall’altro lato della piazzola.
Lui si sedette sullo schienale della panchina in ferro, i piedi sul sedile. Lei prese posto fra le sue gambe, poggiando il capo sul suo ginocchio. Lui la circondò con le braccia, affondando il viso fra i suoi capelli.
La loro posizione. Una cosa che le riempiva il cuore di tenerezza, ogni volta. Per quanto furiosamente potessero litigare, non poteva continuare ad essere arrabbiata quando stavano seduti e abbracciati in quel modo; lui lo sapeva, e usava tutto questo contro di lei. Lei lo lasciava fare.
- Sono un idiota.
- Sì, lo sei… - sbuffò lei aggrappandosi con le mani alle maniche del suo giubbotto e stringendoglisi contro.
- Sì, non rincarare la dose. Senti, io sono veramente convinto quando ti dico che saprò aspettarti. Però ti rendi conto che è assurdo, o no?
- Che intendi?
- Dico… solitamente è il più grande della coppia, che attende pazientemente che l’altro sia pronto per il sesso, non il contrario.
- Non voglio affatto parlare di questo, Enrico…
- Certo che non ne vuoi parlare, non ti conviene!
- Enrico…
- Ok. Senti, facciamo così… facciamo che io ammetto di essere stato insensibile ed egoista però tu ammetti che c’è qualcosa di strano nel nostro rapporto.
- Non c’è niente di strano nel nostro rapporto.
Lui sbuffò, baciandola sul collo. Le accarezzò una guancia mentre con l’altra mano si insinuava sotto il giubbotto, raggiungendo il seno e sfiorandolo attraverso il tessuto della felpa che indossava.
Lei si scostò violentemente, facendolo quasi cadere per terra.
- Non c’è niente di strano, dici? – le chiese con un sorriso triste, senza guardarla.
- Non c’entra, Enrico! Mi dici che c’entra? È chiaro che sono infastidita, se mi tocchi in un momento come questo!
- Sei sempre infastidita, quando ti tocco. E’ sempre un momento come questo, evidentemente. Cristina, non te ne faccio una colpa, ma almeno ammetti che c’è qualcosa che non va! Non voglio che finisca come è finita con i tuoi compagni…
- Non c’entra niente!
- Lo fai anche con loro, invece. Ed è l’unico motivo per cui passi il tuo tempo con dei ragazzini. Cos’è, sindrome di Peter Pan?
Si sentì improvvisamente debole, ed ebbe bisogno di sedersi. Lo fece, lontano da lui. Lui le si riavvicinò e la abbracciò ancora.
- Fai la sincera, una volta tanto?
- Io sono sempre sincera.
- Non è vero. Sei schietta nel fornire le tue opinioni su tutto, ma non su quello che provi.
- Questa è la Rowling che insegna psicologia, avevo ragione ad avere paura!
Lui sbuffò ancora, dandole un pizzicotto sul fianco.
- Ahi! – si lamentò lei divincolandosi dalla sua stretta e massaggiando il punto dolente, - Sei violento!
Lui sorrise malizioso.
- Questo è niente.
Anche lei sorrise, alzandosi in piedi e fissandolo, una mano sul fianco e il mento sollevato, un’espressione di sfida sul volto.
- Non giocare a fare il bambino pericoloso con me… non ti conviene.
- Sennò che fai?
- Oh, noi andiamo a prendere un gelato da Stancampiano! Voi che fate? – le chiese Paola raggiungendola alle spalle e abbracciandola.
- Veniamo. No? – chiese, rivolgendosi ad Enrico, che scrollò le spalle e scese dalla panchina.
Fulvio si avvicinò e l’abbracciò anche lui.
- Signorina, questo signore la sta importunando? – chiese ridacchiando.
Enrico, passandole accanto, l’afferrò per un braccio, sottraendola alla stretta.
- Smettetela di proteggerla come se fossimo in un telefilm americano e io fossi l’ex ragazzo malvagio che tenta di riportarla sulla cattiva strada! – si lamentò stancamente mentre le circondava le spalle con un braccio, attirandola a sé.
Lei sorrise, colma di tenerezza.
Era pur sempre un’adolescente innamorata.
La bilancia non mi avrà stasera. Sono contenta, non intendo sottopormi a questo strazio giusto per rovinarmi la giornata e andarmi a coricare con le lacrime agli occhi.
Oh, cazzo, lo specchio del bagno è troppo grande, non mi permette di eludere la mia figura che gli passa davanti. Sono graaaassa, grassa da morire. Ma come faccio a piacere ad Enrico? Com’è che non gli piace una ragazza dal peso normale, dalla forma normale? Oddio, guarda che braccia. Devo mettermi a dieta, puttana miseria, in un modo o nell’altro.
La bilancia non mi avrà stasera.
Merdissima merda, ottantacinque e sei. Ottantacinque e sei! Ottantacinque e sei per un metro e sessanta scarsi sono tanti, vero? Mh. Tantissimi. E infatti si vedono tutti. Guarda qua.
- Cristina, devo cagare! Fammi entrare!
- Occupato!
- Ma che cazzo!!!
- Aspetta cinque minuti!
- NON POSSO aspettare cinque minuti, lo capisci?! Fanculo!
- Vai a chiamare Roberta, ha chiamato poco fa.
- Non ha chiamato nessuno, e anche se lo avesse fatto, non potrei chiamarla perché la merda mi sta uscendo dal culo!
- E che schifo!
Giro la chiave nella toppa ed esco dal bagno, guardandolo con disgusto. Lui non perde un attimo prima di entrare e chiudersi la porta alle spalle. Mi dirigo stancamente verso la stanza, sentendo che i piedi mi fanno male. È perché abbiamo camminato tanto, sì, ma non sarà anche perché sono troppo pesante? Non ho le ossa molto robuste…
Ogni tanto ci penso, ed è un incubo abbastanza ricorrente. Sto sdraiata sul letto, e d’improvviso il mio peso aumenta. Aumenta anche la massa grassa, mi schiaccia le ossa, le sbriciola, mi pressa i polmoni e io muoio soffocata.
Perché non esiste una qualche magia che mi faccia dimagrire in un battito di ciglia?
Doris la guardò con espressione severa, le braccia incrociate sul petto e un piede a battere nervosamente per terra.
- Ti avevo detto di venire, ieri sera.
Irritata, scostò lo sguardo, picchiettando la penna sul banco.
- Non avevo capito che era un ordine.
La ragazza bionda sbuffò, sorridendo lievemente.
- Avanti… lo sai che non era un ordine… Raffaele però era molto triste, e anche molto deluso. Penso che non ti parlerà, per un po’… a meno che tu non gli chieda scusa.
- E’ veramente un bambino se mi ignora per questo…
- Bambino, forse. Offeso, sicuramente. Non puoi biasimarlo…
- Perché non posso, scusa? A me sembra una stronzata, e io non smetterei mai di parlargli solo perché non è venuto alla mia festa!
- Perché non ti importerebbe. – constatò Doris guardandola con occhi tristi, - Mentre, se non venisse uno dei ragazzi di terza, sicuramente te la prenderesti a morte.
Piccata, si alzò in piedi, dirigendosi verso la porta.
- Hai un’idea sbagliata di me, - si difese, - sono superiore a certe cose.
Doris fece un’espressione disgustata mentre la afferrava per un braccio e la costringeva a guardarla.
- Questo non lo dire neanche per scherzo! Non ci provare, a prendermi per il culo! Tu sei superiore? Non credo proprio! Semplicemente non te ne frega un cazzo dei tuoi amici, che ti conoscono da anni!
- Stronzate!
- Un cazzo stronzate! Sii sincera almeno! Non mi interessano i motivi… se non ti trovi bene proprio con noi o se semplicemente ti piacciono più i ragazzi più piccoli, ma tu adesso devi ammettere che è vero che non passeresti una serata con noi neanche se ti pagassimo!
Sentì il cuore scoppiarle nel petto, ebbe voglia di ansimare e scappare, e si limitò a stringere i pugni e schiudere le labbra come se avesse qualcosa da dire – mentre in realtà aveva la testa vuota.
- Allora? – l’incalzò Doris strattonandola per il braccio che ancora teneva ben saldo.
Scossa dallo spintone, Cristina si divincolò dalla stretta, facendo un passo indietro.
- Ringrazia solo di avermi fatto questa scenata all’uscita, dopo che si era svuotata la classe, - le disse, minacciosa, - perché altrimenti ti avrei preso a cazzotti fino a ridurti una pezza! – gridò, con le lacrime agli occhi, mentre si voltava e usciva dalla classe.
- No, guarda, Fulvio, stasera non usciamo. No, è qui da me, ma non vogliamo uscire. Non rompere le palle con queste domande del cazzo. Dai, devo andare da lei. Sì, poi se cambiamo idea ti faccio sapere. Ciao. Ciao, ti dico!
Enrico guardò indietro, la ragazza – la sua ragazza – che piangeva disperatamente sul suo letto da più di un’ora. Le tornò accanto, sedendosi al suo fianco e abbracciandola stretta.
- Adesso… adesso ti dico cosa… aspetta un attimo… - singhiozzò lei, con la voce rotta.
- Sì, tranquilla, dai. Piangi, poi parliamo.
Cristina pianse per un altro quarto d’ora almeno; poi sollevò lo sguardo e le braccia, e lo abbracciò strettissimo mentre anche lui stringeva la presa attorno alla sua vita.
- Mi sento una cretina… - disse lei scostandosi lievemente e accomodandosi sul suo petto.
- Mi dici cosa è successo, adesso?
- Non è successo niente, è questo il punto! Ho solo parlato con Doris, mi ha fatto una specie di scenata perché ieri sera non sono andata alla festa di Raffaele, e mi ha detto che non mi frega niente di loro… mi ha rimproverata, capisci? Cioè, ma cosa ho fatto di male?
Lui scollò le spalle.
- Magari semplicemente le da fastidio che trascuri loro per stare con noi…
- Ma io sto bene con voi! E che cazzo, non sono più libera di stare con chi mi pare?
- Sì, ok, ma questo l’hai detto a lei?
- E a che pro?
- Per chiarire, penso. Cioè, intendo, meglio essere sinceri, se non ti piace stare con loro… piuttosto che star lì a tirarsela e dire “ma no, sto bene con voi!” e poi non uscirci…
- Io non l’ho mai detta, questa cosa.
- Però non l’hai neanche mai negata. E quindi lei non riesce a capire. Magari dovresti dirglielo, e cercare di capire anche perché… se dipende dal loro atteggiamento, potranno migliorarlo, se gliene parli.
- Non potrebbero risolvere niente comunque.
Silenzio.
- Che vuol dire?
- …
- Parla chiaro.
- Non è colpa loro. Sono io…
- Non parlare come una ragazza che sta per mollare il suo ragazzo!
Ridacchiò.
- Davvero. Cioè, non posso impedire loro di agire come preferiscono…
- Ma cos’è esattamente che non ti va, nel loro modo di agire?
Inspirò, espirò, buttò fuori.
- Stanno crescendo.
- …sì, chiaro, diciamo che è un vizio condiviso da molti altri nel mondo…
- Non fare umorismo. Capisci cosa intendo?
Enrico rifletté un po’, sistemandosi gli occhiali sul naso.
- Uhm, sì, credo di sì. Che poi è più o meno lo stesso motivo per cui stai con noi… perché siamo piccoli.
Controvoglia, dovette ammettere che aveva ragione.
- Oh. Lo sai che io fra tre mesi faccio sedici anni, vero?
- Mh…
- Non ti azzardare a mollarmi perché supero chissà che cazzo di limite nella tua testa, pedofila che non sei altro.
Rise, strusciando il volto contro la sua maglietta.
- Penso che dovrei semplicemente abituarmi al fatto che si cresce comunque. Che lo farete anche voi e non posso impedirvelo, che dovrò starvi accanto in ogni caso… se vi voglio davvero bene.
- Io penso che se avessi voluto bene davvero anche ai tuoi compagni di classe, forse questo ragionamento lo avresti fatto anche con loro. Così non è stato, quindi in fondo non doveva interessarti tanto. Quindi è tutto ok. L’importante è che non lasci andare le persone a cui tieni, no?
Annuì.
- E… visto che siamo in modalità “risolviamo i nostri problemi”, parliamo anche dell’altra calamità che ci affligge, ok? – le disse lui tenendola più stretta, per impedire che scappasse.
Lei cercò di liberarsi, davvero, con tutte le sue forze. Niente; dunque si arrese.
- Adesso dimmi per quale motivo non vuoi fare sesso con me, perché se mi lascerai ancora un giorno a pensare che non lo fai perché non ti piaccio abbastanza credo che mi sparerò in testa.
Sollevò lo sguardo, fissandolo nel suo e cercando di capire se scherzasse o fosse serio.
- Coglione. – gli disse quando capì che sì, era serio.
- Che?! Pure! Stronza!
- Non c’entri tu! Non capisci un cazzo!
Lui sospirò profondamente, stringendola un po’ più forte.
- Vuoi soffocarmi? – si lamentò lei cercando di liberare almeno le braccia per dargli un pugno.
- Zitta. Prendiamola alla lontana, ti va? Sinceramente, perché stai con me?
- Perché sei piccolo.
- …avevo detto sincera!
- Perché ti voglio bene e sei piccolo. Tu?
- Perché ti voglio bene e sei gnocca, chiaramente. Sai che strafiga saresti se perdessi giusto qualche chilo?
Non avrebbe potuto farle più male, neanche se l’avesse colpita con un cazzotto in pieno viso.
Lo strattonò e si allontanò da lui, alzandosi in piedi. Fece qualche passo verso la porta, dandogli le spalle.
- Che hai adesso?
- L’hai detto, alla fine.
- Cosa???
- Che sono grassa! – gridò, voltandosi improvvisamente a guardarlo. Piangeva.
Lui si alzò in piedi di scatto, raggiungendola e abbracciandola.
- Ma a me piaci! Non mi sarei messo con te, sennò!
- Sì, ma hai detto che preferiresti fossi più magra!
- Non è vero! Ho detto che saresti una strafiga se solo dimagrissi qualche chilo, ma prima ho anche detto che ti trovo gnocca! Ma cazzo, sei un genio nel mettere in bocca agli altri parole che non hanno detto!
- Fanculo, non capisci niente!
- Stronzate! Invece ora capisco proprio tutto! Da quand’è che ti porti dietro ‘sta fissazione del peso?
- Non sono fissata col mio peso!
- Sì che lo sei! Guarda come sei scoppiata a piangere perché ho accennato al fatto che potresti dimagrire un po’, guarda!
- Stronzo!
- Adesso è veramente tutto chiaro! Anche perché non vuoi scopare! Cosa credi, che appena spogliata ti butterei giù dal letto dicendo “quanto grasso! Che schifo! Via!”? Sei tu che non capisci un cazzo!
Lo schiaffeggiò con tanta violenza che si fece male alla mano con i suoi occhiali di merda.
Lui la guardò sconvolto per qualche secondo.
- Ma ti sei rincoglionita?
- Stronzo! – ripeté lei, piangendo più copiosamente, - Perché mi stai dicendo tutte queste cose? Sono orribili! Mi fai un male cane!
Abbassò lo sguardo, singhiozzando disperatamente. Lui le si avvicinò di nuovo, abbracciandola stretta.
- Scusa. Ma mettiti nei miei panni, è come se mi avessi detto “non scoperò fino a quando non sarò magra come, che so, Paris Hilton”! Permettimi di preoccuparmi e incazzarmi anche un pochino, eh.
Cristina tirò su col naso mentre si appoggiava a lui.
- Ma pensi solo al sesso? Meno male che avevi saltato l’adolescenza…
- Si vuole fare sesso a qualsiasi età, mica solo da adolescenti!
- Non potresti avere le voglie di un bambino di quattro anni e per il resto rimanere come sei adesso?
- Guarda che Freud credeva che i bambini vivessero un’intensa attività sessuale proprio intorno a quell’età… c’è tutta una teoria incredibilmente furba sulle zone erogene dei bambini che…
- Ok, smettila, sì?
Lui ridacchiò dandole un bacio sulla fronte.
- Comunque, te lo devi far passare, questo complesso.
- Se permetti, me lo farò passare quando deciderò io!
- E nel frattempo come faccio io???
- Come hai fatto fino ad ora! Tanto lo sanno tutti che le migliori amiche di un ragazzo sono le dita della sua mano!
- Non dirlo neanche! Ho una ragazza e pretendo di esercitare i miei diritti coniugali!
- Puoi sempre scindere il contratto per mancata consumazione del matrimonio!
Risero un po’, tenendosi stretti.
- Scherzi a parte… - disse lui dopo poco, - Veramente, è difficile resistere così.
- …ma io ti piaccio sul serio?
- Non mi ci sarei messo, con te, se non mi fossi piaciuta. Quindi prendila tranquillamente, ok? Non ti butterò giù dal letto.
- …non dirlo come se stessimo andando adesso! È ancora presto!
- Stiamo insieme da un anno, puttana miseria… - disse lui con voce lamentosa.
- Beh, se hai resistito tutto questo tempo scommetto che puoi resistere altrettanto a lungo!
- Un giorno ti butterò dalla finestra. Però prima faremo tanto buon sesso, e ti ripeterò continuamente quanto mi piaci e quanto ti trovo bella, così almeno questo complesso l’avrai risolto, prima di morire.
“Lo spero”, pensò lei, dubbiosa, mentre lo baciava.