Genere: Introspettivo, Romantico, Erotico.
Pairing: José/Zlatan.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Angst, Slash, Lemon.
- In vacanza a Miami, Zlatan riceve una visita inaspettata.
Note: Ci sono delle storie che nascono per motivi molto profondi e seri... questa no XD E' nata semplicemente perché ho visto Zlatan seminudo in vacanza a Miami, e si sa che quando io vedo Zlatan combinato in certi modi poi vado in overdose e devo espellere, e in genere per espellere scrivo porno. Per tale motivo, questa storia doveva essere una PWP. .../o\ Però alla fine è venuta una menata introspettiva all'interno della quale ho anche plagiato il Def, anche se lui si ostina a dire di non avere il copyright sull'atto della respirazione. Probabilmente ha anche ragione, ma io ormai ho deciso che è un plagio e nessuno di voi potrà farmi cambiare idea \o/ *delira* Il titolo è rubato all'omonima canzone dei Pearl Jam.
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Just Breathe


Sdraiato sotto il sole a bordo vasca nel silenzio surreale di mezzogiorno, col calore umido che sale su dall’acqua satura di cloro della piscina, Zlatan fa fatica a respirare, ma è talmente rilassato che, in qualche modo, riesce a trovare abbastanza forza da gonfiare e sgonfiare i polmoni abbastanza da non soffocare. Ripensa al clima della Catalogna, più mite di quello di Miami, e ricorda che ne è fuggito proprio perché, nonostante la temperatura tutto sommato sopportabile, lì si sentiva mancare l’aria.
Si chiede se sia semplicemente normale, per lui, cominciare a sentire la pressione tanto forte da strozzarlo, dopo un po’. E questo qualunque sia il posto in cui vive, perché era così anche in Italia, dopotutto, ed è per questo che ne è scappato a gambe levate non appena ne ha avuto l’occasione, aggrappandosi al primo pretesto disponibile. È anche per questo che, quando gli chiedono se sia dispiaciuto di aver abbandonato l’Inter proprio l’anno in cui poi l’Inter ha vinto tutto, lui non riesce a far altro che ridere: fosse rimasto là, sarebbe morto soffocato ben prima di vedere un qualsiasi trofeo arrivare in quella parte di Milano, per cui tanto meglio. È ancora giovane ed ha fiducia, prima o poi la fottuta Champions League la vincerà, è solo una questione di attese. Lui non è mai stato bravo ad attendere, questo è vero, ma imparerà.
Si concede una smorfia infastidita quando qualcosa si frappone fra lui e il sole, gettandogli addosso un’ombra scura che costringe la sua pelle sudata a sentire in un brivido, per la prima volta da che è lì, il venticello lievissimo e fresco che accarezza la piscina privata dell’albergo.
Schiude gli occhi, strizzando un po’ le palpebre, giusto perché l’ombra non è sufficientemente larga per coprire del tutto la luce abbagliante del sole che si riflette sulle piastrelle chiare e sull’acqua immobile della piscina, e lo stupore di vedere José lì di fronte a lui che gli sorride tranquillo, come niente fosse, è tale che per un attimo dimentica che i suoi polmoni hanno ancora bisogno che lui si ricordi di farli funzionare, per respirare. Si chiede distrattamente quando respirare abbia smesso di essere una cosa perfettamente naturale ed automatica, si chiede quando il suo respiro si sia fermato per la prima volta abbastanza a lungo da permettere al suo corpo di dimenticare come farlo in autonomia, e la ricorda. E ricorda anche che dopo quella prima volta ne sono seguite tante, troppe, fino a sradicargli la respirazione automatica dal DNA. E ricorda che è stata colpa di José. Sempre, ogni volta, colpa di José.
- Mi avevano detto che c’era Ancelotti, da queste parti. Si sbagliavano? – dice, cercando in qualche modo di mantenersi composto e distaccato nonostante la voglia di saltare in piedi e scappare – o saltare in piedi e saltargli addosso – prema da dentro e lo costringa a un leggero tremito.
- Non si sbagliavano. – gli sorride José, sedendosi sul bordo della sdraio mentre lui, con una naturalezza che quasi lo spaventa, piega una gamba per fargli posto. – L’ho incontrato prima, è stato molto felice di rivedermi.
- Una delle numerose cose che non abbiamo in comune. – sorride amaramente lui, guardando altrove. José si finge stupito, schiude le labbra ed inarca le sopracciglia in un’espressione così genuinamente e al contempo fintamente sorpresa da fargli venire voglia di prenderlo a pugni.
- Ma come, zingaro? Non sei contento di vedermi? – lo prende in giro. Zlatan sopprime un ringhio di gola, tornando a guardarlo con la migliore delle sue occhiate omicide, e nemmeno gli risponde. José non sembra intimorito dalla minaccia che i suoi occhi già da soli rappresentano, comunque, e si limita a tornare a sorridere sereno. – Io lo sono. Ti trovo bene. – aggiunge.
- Sto benissimo, infatti. – borbotta Zlatan, tornando a guardare un punto imprecisato sulla superficie dell’acqua poco distante.
- Quest’anno è stato duro, vero? – insiste José, come volesse far conversazione a tutti i costi, una cosa che non è mai appartenuta alla loro routine neanche quando potevano con qualche ragione dire di possederne una. – Ti ho visto parecchio fuori forma, ogni tanto. Troppo magro. Capisco che il gioco di potenza non si adatti granché allo stile del Barcellona, ma deperire per una cosa simile mi sembra un po’ eccessivo.
- Non sono affatto deperito. – protesta, stringendo i pugni lungo i fianchi, - Sto benissimo adesso come stavo benissimo due mesi fa, come stavo benissimo quando me ne sono andato e come starò benissimo anche fra un minuto, quando tu sarai sparito dalla mia vista.
José ride appena, sistemandosi meglio sulla sdraio, pur senza prendersi molto più spazio di quanto lui non gli stia già concedendo.
- Come sei aggressivo. – commenta, - Comunque le vacanze ti fanno bene. Sei molto più bello adesso di quanto non fossi qualche settimana fa.
Zlatan si acciglia, lanciandogli un’occhiata infastidita.
- Non provarci. – dice seccamente, - Neanche per idea, José.
Lui solleva le braccia in segno di resa, ridendo a bassa voce.
- Non ti ho nemmeno toccato. – gli fa notare, e Zlatan sbuffa, contrariato.
- Come se ti servisse farlo.
Il sorriso di José si allarga, così come il posto che prende sulla sdraio quando lentamente, quasi distrattamente, comincia a scivolare più vicino a lui.
- Cosa stai cercando di dirmi? – chiede allusivo. Zlatan si allontana impercettibilmente. – Ti faccio ancora lo stesso effetto?
- Sto cercando di dirti che, qualunque sia l’effetto che mi fai, devi starmi alla larga. – spiega chiaramente, il tono duro, quasi severo, neanche stesse avendo a che fare con Maximilian o Vincent in uno dei loro momenti di peggiore capriccio. E invece sta discutendo col suo ex allenatore. Il suo ex amante. Uno dei nodi più dolorosi del suo passato, uno di quelli che non vuole sciogliere perché sa che non averlo più farebbe se possibile ancora più male.
Zlatan è scappato perché anche José era diventato un elemento di pressione costante nella sua vita. Forse più della squadra, più dei tifosi, più dell’Italia giornalistica così piccola e meschina da ricordare di lui sempre e soltanto gli insuccessi. José era invadente, era pericoloso, gli si stava attaccando addosso come una malattia. Un profumo non suo, abitudini che non gli erano mai appartenute, José era stato in grado di rovesciarlo al contrario in meno di un anno, divorarlo, digerirlo e risputarlo fuori completamente diverso da ciò che era prima che s’incontrassero. Il solo pensiero di avere lui in mente al mattino appena sveglio, piuttosto che Helena o i bambini o una dannata partita di calcio, era terrificante. José lo inseguiva ovunque anche quando non c’era. I suoi occhi, il ritmo del suo respiro, la sua presenza sempre così dannatamente ingombrante, la sua voce incisa sulla pelle e in un’eco costante a rimbombare nelle sue orecchie.
La respirazione, soprattutto. I suoi occhi, la sua voce, i polmoni che smettono di funzionare. Il suo tocco, le sue mani, le sue dita, morte certa per asfissia. Al solo ripensarci Zlatan si sente quasi mancare, e deve ancora una volta distogliere lo sguardo.
- Non sei cambiato. – dice José in un soffio. Zlatan lo guarda di sfuggita e si accorge che anche lui sta guardando altrove, un punto distante, lontano nello spazio e nel tempo. Un punto dal quale dovrebbero stare entrambi ben lontani, se vogliono sopravvivere al tempo che invece hanno ancora davanti. – Un po’ ci speravo.
- Che fossi cambiato? – chiede con una smorfia, quasi offeso. José sospira pesantemente.
- Sì. No. – sospira ancora, - Che qualcosa di te fosse cambiato. Fosse più a posto, almeno.
- Io sono a posto.
- Tu sei scappato.
José si volta a guardarlo e Zlatan vorrebbe sciogliersi. Nel calore umido dell’aria, nell’acqua tiepida della piscina, ovunque, pur di sparire.
- Cosa vuoi da me? – gli chiede alla fine. Lo sputa fuori con una fatica mai provata prima, che gli causa un dolore quasi fisico, un intorpidimento generale di tutto il corpo.
José sorride tristemente, solleva una mano, gli accarezza uno zigomo. Zlatan smette di ragionare.
- Te. – risponde, e Zlatan va in apnea.
Non si muove – perché non riesce – quando José si solleva e si fa spazio fra le sue gambe, avanzando fino a poter sfiorare le sue labbra con le proprie. E non si muove – perché non vuole – nemmeno quando José lo bacia, da subito senza il minimo freno, le labbra dischiuse, la lingua pronta a cercare la sua, i denti che si chiudono con forza sul suo labbro inferiore un attimo prima di allontanarsene.
- Respira. – gli sussurra addosso. Zlatan brucia dentro e fuori, cerca di obbedire e non riesce. José gli sorride, lo bacia ancora, gli strappa via dalla gola il nodo che ha tenuto custodito dentro il suo corpo fino a quel momento e Zlatan esplode in un singhiozzo soffocato dalle sue labbra, e si accorge solo in ritardo della mano di José che è scesa ad accarezzarlo fra le cosce, al di sopra del tessuto sottile e un po’ scivoloso del costume.
Si rompe in un ansito sconnesso quando la sua mano scende al di sotto e le sue dita circondano la sua erezione già quasi dolorosa – il costume da bagno è stretto, Zlatan lo odia, vorrebbe che José glielo strappasse via – e mugola qualcosa che lui stesso non capisce, perché forse un senso nemmeno ce l’ha. Ma José lo coglie comunque, gli sorride sulla pelle e lo spoglia, restando per qualche secondo completamente vestito contro il suo corpo completamente nudo, dandogli i brividi, togliendogli il respiro ancora e ancora e ancora.
- Ricordati di respirare. – sussurra José, e Zlatan annuisce distrattamente, come un bambino che sta per addormentarsi annuisce alle raccomandazioni dei genitori per il giorno dopo. Non importa, non importa, l’aria non è niente, l’aria è solo aria, ma lui ha lì José, José è lì per lui, e se dovrà respirare, d’accordo, lo farà sulla sua bocca.
Cerca le sue labbra e José non gliele nega, restano attaccati in un bacio un po’ goffo anche quando José si allontana di qualche centimetro per sfilare almeno i pantaloni e gli slip, o abbassarli a sufficienza per potersi pressare più disinvoltamente contro di lui. Zlatan mugola quando sente la sua erezione premere contro la sua coscia, e si muove sotto il suo corpo fino a quando non ottiene ciò che vuole – i loro bacini allineati, le erezioni che si sfiorano, si sfregano, cominciare a respirare perché non può fare a meno dell’odore della sua pelle. E inspira a grandi boccate, come fosse appena riemerso dopo aver rischiato di annegare, e José lo calma accarezzandolo piano, lentamente, imponendo al suo corpo il ritmo del proprio, il ritmo di qualcuno che vuole assaporare qualcosa contro il ritmo di qualcun altro che invece vuole divorarne l’anima.
Serra le cosce attorno al suo bacino quando lo sente premere contro la propria apertura, dischiude le palpebre e, al di là del velo di voglia che gli offusca la vista, nota la sua espressione a metà fra il concentrato e il perso, e solleva una mano ad accarezzargli il viso, ridisegnandone i lineamenti che ricorda ancora a memoria, perché no, non è cambiato davvero per niente. E anche se poi gli occhi vorrebbe chiuderli di nuovo, per perdersi completamente nel momento in cui José entra dentro di lui e comincia a spingere per scavarsi nuovamente dentro il suo corpo un posto che sente proprio di diritto, resiste, e continua a guardarlo, perché non vuole perdersi un attimo, e per continuare a farlo lucidamente deve per forza continuare anche a respirare. E perciò respira. E respira. E quando trattiene il fiato, venendo fra le sue dita, è solo per un secondo, ma si sente quasi scoppiare. E si dicepossibile? Ho ricordato come si fa?, e poi sorride e si dà dell’idiota, perché no, non è che ha ricordato, è che José gli ha insegnato a farlo ancora una volta.
José non si allontana da lui, anche dopo essere venuto. Zlatan gli chiude addosso le braccia e se lo stringe contro, ma è giusto un’assicurazione in più, e infatti José ride, divertito.
- Non me ne vado. – gli sussurra sul collo, - Ora riposa. È stato stancante, vero?
Zlatan ride a propria volta, ancora senza fiato, e annuisce. Lo è stato. Stancante, sfiancante, distruttivo. Non è sicuro di potersi svegliare sentendosi la stessa persona che era prima e che forse è ancora, ma dopotutto non è proprio certo che sia un male. E poi José sarà lì, in ogni caso, quindi se avrà bisogno di qualcuno a cui chiedere come si respira perché l’ha dimenticato di nuovo, saprà a chi rivolgersi.
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