Genere: Erotico, Introspettivo.
Pairing: Tom/Bill.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Incest, Language, Lemon, Slash, Violence.
- Storia breve del turbolento rapporto dei gemelli Kaulitz.
Note: Può non sembrare, ma in questa fic c’è un’attenzione al particolare che è disgustosa. È ambientata fra ieri ed oggi e tutti i tempi combaciano. L’Adolphus esiste davvero – ed è… *O* La cicatrice di Tom c’è sul serio. Bill ha davvero la fissa del lato destro del letto e Tom ha davvero la fissa del lato del telefono – o almeno così dicono. La teoria di Jost – quella che Bill sia “impazzito” e si sia femminilizzato a partire dalla fine del 2005, nasce dal fatto che la neechan mi ha esposto la stessa teoria vedendola nell’ottica delle foto di Tom con Ann-Kathrin. Che risalgono al novembre 2005, appunto. L’idea che ci sta dietro – spero si capisca, perché se no la fic sembra campata per aria XD – è che la “follia” sia scoppiata per gelosia.
Comunque sì, io con i gemelli violenti vado a nozze. E questa è, per certi versi, anche più violenta di Angry Sex. Non so se più bella XD A me, comunque, piace un sacco.
Baci <3
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IL LATO GIUSTO DEL LETTO

Lui e Bill avevano un rapporto turbolento, e questo non era un mistero per nessuno. Non avrebbe mai potuto esserlo, d’altronde, dal momento che litigavano giornalmente e, ogni volta, l’eco delle loro urla risuonava con tanta potenza da costringere chiunque all’attenzione. Pure coloro che se la sarebbero volentieri risparmiata, per dire.
Il loro problema era molto semplice: il loro rapporto era sempre venuto prima di tutto il resto; perciò, se avevano qualcosa da discutere, non c’era nessuna ragione che potesse giustificare il rimandare la questione. Sorgeva un problema? Si litigava e si risolveva.
Volavano botte, a volte, ma andava bene così. Ricordava ancora perfettamente una volta in cui s’era presentato da David con una guancia così gonfia da non poter neanche parlare.
“Dio!”, aveva strillato il manager, sollevando sconvolto le braccia in una movenza omosessuale in maniera così lapalissiana che, se non avesse sentito dolore praticamente in ogni parte del corpo, l’avrebbe costretto ad una risata tale da far tremare le pareti, “Dimmi che hai sbattuto contro un camion in corsa e che non è stato Bill a farti questo!”.
Tom aveva ghignato.
“E dovresti vedere le condizioni in cui è lui”, aveva risposto con aria furba.
In effetti, l’occhio nero di Bill era sopravvissuto per circa una settimana, prima di riassorbirsi e sparire.
In ogni caso, si trattava di episodi. Come nascevano, si esaurivano. Ed a tutti sembrava andare bene – per lo meno, a lui e Bill sembrava andare bene. Gli altri si adattavano, come sempre.
Era per questo che, anche riflettendoci per delle ore, non sarebbe mai riuscito a spiegare cosa cazzo fosse intervenuto a cambiare così tanto la loro normalissima quotidianità.
Da un paio di mesi a quella parte – una nullità, confrontata al resto della loro vita, ma abbastanza lunga da rompergli sufficientemente le palle – lui e Bill avevano cominciato a saltare la parte del “risolvere”, in favore di una specie di enorme guerra prolungata la cui intensità mutava giorno dopo giorno, confondendo il mondo intero. Alle volte erano battaglie di lunghi silenzi risentiti, altre volte scoppi d’ira ferocissimi ed irrefrenabili – anche qui con botte e tutto, sia mai farsi mancare un livido, non è corretto di fronte al kit di pronto soccorso che poi si sente trascurato, come commentava stancamente Gustav di tanto in tanto.
Per Tom, in effetti, la questione era un enorme mistero. A sentire David, tutto era cominciato molto tempo prima, intorno alla fine del 2005, quando Bill aveva deciso di farsi crescere i capelli e cominciare a truccarsi come una zoccola pure poco costosa. “Non te ne sei accorto?”, gli sibilava maligno il manager di tanto in tanto, “Assieme ai capelli è uscita la maggior parte del cervello, e ciò che è rimasto è stato atrofizzato dal kajal. Molto semplice!”.
Se solo avesse davvero voluto cominciare quella discussione con David, Tom avrebbe saputo esattamente cosa rispondergli. E cioè che del suo semplice pensava fosse molto inappropriato e basta. Perché con Bill non c’era mai niente di semplice. La sua testa era un enorme e disastroso gomitolo di complessità.
Bill aveva un talento enorme per complicare le situazioni. Gli piaceva rimuginare sulle cose. Perciò prendeva fatti di per sé innocui e riusciva – chissà come – a rigirarseli fra i neuroni così a lungo da trasformarli in apocalittici disastri.
Ed era sempre così.
Era per questo che riuscire a capire perché nello specifico fosse arrabbiato era così difficile. Perché stavi lì a fare l’elenco delle tue mancanze e sapevi con certezza che non avresti mai trovato l’unica che l’aveva definitivamente indisposto.
Sarà stato perché ho mangiato l’ultima caramella gommosa?
Sarà stato perché ho dimenticato di spruzzare il deodorante dopo essere uscito dal cesso?
Sarà stato perché mi stava dicendo qualcosa ed io non l’ho ascoltato?
Sarà stato perché mi ha chiamato ed io non me ne sono accorto?

Avrebbe potuto continuare all’infinito. La lista degli errori non aveva fine, perché ogni piccolezza poteva farne parte. Perché magari c’erano cose di cui tu neanche ti eri accorto ma che lui aveva preso per tremende offese in prima persona.
Bill era così, ormai c’era abituato.
Ma questo non gl’impediva d’incazzarsi come una bestia, quando accadevano cose simili.
Nell’ultimo periodo accadevano fin troppo spesso, c’era da ammetterlo. E Tom stava decisamente cominciando a sentirsi a disagio. Era per questo che poteva dire con certezza che David avesse torto e non fosse cominciato tutto nel lontano 2005: perché prima di allora Tom non s’era mai sentito a disagio con suo fratello. Alla fine del 2005 magari Bill aveva lasciato crescere i capelli ed aveva cominciato a truccarsi da troia. E magari loro due già litigavano e Bill ogni tanto gli allungava qualche ceffone da manuale, d’accordo.
Ma non gli tirava addosso le tazze col preciso obiettivo di spaccargli la testa.
Non lo colpiva con un gancio alla mandibola nel tentativo di scardinargliela.
Non lo prendeva a calci, stendendo quelle chilometriche gambe sul metro scarso che separava le loro cuccette, fino a riempirgli gli stinchi di lividi al punto da rendergli difficoltoso perfino camminare.
La stessa cosa, d’altronde, poteva essere detta di lui. Dal momento che Bill picchiava forte, nemmeno lui si sentiva in dovere di trattenere alcunché. E perciò giù pesanti col tirargli i capelli fino a torcergli il collo, lanciargli addosso il giubbotto stando bene attento a colpirlo con la zip o i bottoni, e tirargli sui fianchi certi calci da impedirgli di indossare pantaloni a vita bassa per settimane, in attesa della scomparsa del livido.
In realtà le botte con Bill non erano mai state “un problema”.
Cioè, lo erano – ovviamente – per chiunque, loro madre in prima persona, ma non per loro: era un’abitudine che avevano consolidato col tempo e… a pensarci era stato proprio lui ad iniziare. Bill aveva sempre avuto questa propensione smodata per il piagnisteo logorroico – nel senso che, quando cominciava a lamentarsi per qualcosa, andare a fermarlo era un’impresa impossibile; la cosa non lo infastidiva particolarmente, quando Bill si lamentava di altri.
Quando si lamentava di lui, però, diventava intollerabile.
Non sapeva perché. Non era convinto di essere un fratello perfetto. Anzi, sapeva di essere sostanzialmente il contrario, il più delle volte.
Però Bill aveva un liebe dich facilissimo, facile esattamente quanto l’hasse dich. Il punto era che sentirsi scivolare addosso il primo era bello come mangiare la nutella dal barattolo a cucchiaiate; quanto al sentire addosso il secondo…
Quello faceva schifo.
E perciò Tom odiava gli hasse dich di Bill. Li odiava con una furia sconcertante, li odiava dal profondo, non li tollerava nemmeno. Nach Dir Kommt Nichts lo irritava da morire soprattutto per quello, ed era, d’altronde, il motivo per il quale non era mai stata suonata dal vivo. Era una canzone d’impatto emotivo allucinante, David non l’aveva ancora perdonato per avere imposto che venisse estirpata dalla scaletta.
Lui non l’avrebbe mai suonata in pubblico.
Quando Bill cantava quella canzone, si ricordava tutti i motivi – i più stupidi, i più insignificanti – per i quali avrebbe potuto odiarlo.
Quella canzone era piena di hasse dich.
Era insopportabile.
Quindi, dovevano avere dodici anni all’incirca, e Bill aveva stabilito che avrebbe passato l’intero pomeriggio a lamentarsi di quanto Tom fosse un fratello orribile perché non s’era accorto immediatamente appena l’aveva visto che qualcosa era andato storto a scuola.
Il “fratello orribile”, quel giorno, aveva beccato un orribile sei – un sei, Dio – in matematica, e quindi aveva altri cazzi per la testa che non le paturnie di un gemello deficiente che magari non s’era sentito considerato come avrebbe meritato e quindi aveva pensato bene di cominciare a rompere le palle per rimettersi al centro dell’attenzione.
Perciò, il “fratello orribile”, quando il fratello lagnoso aveva cominciato, appunto, a lagnarsi, l’aveva menato. Punto.
Le parole per Bill contavano tutto e niente. Le sue erano importanti come lingotti d’oro, le altre – perfino quelle di Tom – valevano più o meno come la merda, perciò discutere con lui era del tutto impossibile. Un ceffone bene assestato e la sua guancia pallida era diventata improvvisamente rosso fuoco, ma – cosa ancora più importante – il fiume in piena s’era fermato.
Da allora era stato un crescendo. A Bill la novità era piaciuta tantissimo, tant’è che ci aveva preso subito la mano. In tutti i sensi, poi. La cicatrice sul sopracciglio destro – trattata dalle fan con un amore pari solo a quello che portavano al tatuaggio inguinale del suo gemello – non era che lo spiacevole ricordo di una cazzo di porta chiusa sulla faccia. Già.
Tom la nascondeva, non perché la trovasse antiestetica – non aveva un vero a proprio senso estetico, in realtà – ma perché mostrarla in giro gli faceva male. Era come quella dannata canzone: la prova provata che fra lui e Bill gli hasse dich fioccassero esattamente come i liebe dich.
E vallo a capire, quale contava di più per suo fratello.
*
In sostanza: gli ultimi due mesi erano stati impossibili, le botte erano volate con una frequenza spaventosa e David aveva quasi cominciato ad insistere perché uno di loro si spostasse nell’altro tourbus con Georg o Gustav, dal momento che quasi non c’era mattina senza che ci si svegliasse con gli strepiti di Bill ed i grugniti di Tom nella testa.
“Dovrete frenarvi, prima o poi. A meno di non volervi massacrare a vicenda”, era stato il secco commento del manager quando entrambi – uniti e compatti come sempre quando qualcuno cercava di separarli – avevano detto “mai e poi mai”.
Tom ebbe modo di pentirsi di quell’ostinato rifiuto – almeno da parte propria – quando la sera del ventisette agosto, tra grandi sospiri ed ostentata esasperazione, David gli disse che lui e Bill avrebbero dovuto dividere la stanza in albergo.
- …David, mi vuoi morto? – si ritrovò a chiedere con aria allucinata, mentre stringeva tra le mani la carta magnetica della camera. – Quello mi ammazza! Oggi è stato intrattabile tutto il giorno, con quei cazzo di pantaloni che continuavano a scivolargli di dosso non faceva che smadonnare e prendersela con me, cazzo!
In effetti, neanche la cintura quella sera sembrava in grado di tenere a posto i dannati pantaloni ricoperti di zip che Bill amava tanto, ed il continuo doverseli tirare su prima che gli cascassero alle caviglie aveva enormemente indisposto suo fratello, come Tom aveva avuto modo di provare sulla propria persona, quando, per chissà che miracolo, era riuscito a schivare la lattina vuota di Red Bull con la quale Bill aveva provato ad ucciderlo dopo una presa in giro un tantino più cattiva.
- Tom. – rispose David con un enorme sospiro stremato, - Avete voluto l’albergo più bello di Dallas? Vi ho trovato l’Adolphus. Non puoi pretendere anche che tutte le stanze siano vuote per il vostro piacere. Anche Georg e Gustav divideranno la stanza. Quindi, se non vuoi dormire con Georg, piantala di rompere i coglioni. – Tom aveva provato a protestare qualcosa, ma David gli aveva alzato addosso uno sguardo semplicemente incandescente, e le parole gli erano morte in gola. – Tom, è stata una giornata sfiancante ed abbiamo la sveglia alle cinque. Devo metterti a dormire con un colpo in testa?
Ci penserà Bill, tranquillo, fu l’amaro pensiero di Tom, mentre suo fratello rientrava dai cinque minuti di sigaretta che l’avevano tenuto lontano in giardino a smaltire nervosismo.
- Andiamo? – gli aveva chiesto Bill senza guardarlo negli occhi, il tono rude e secco che usava quando non voleva assolutamente sentirsi dire no.
Tom quel no gliel’avrebbe detto volentieri per puro sfregio, ma lasciò perdere.
La suite, in effetti, sarebbe pure valsa la pena di dividere il letto con Bill, se solo Bill non fosse stato così scazzato. Tom poteva leggerglielo negli occhi: c’era la luce cattiva e compiaciuta di quando si preparava a fare qualcosa di veramente scorretto.
- Ovviamente io dormo a destra. – aveva dichiarato il suo gemello, lasciando cadere sull’enorme divano in pelle marrone la borsa per la notte e dirigendosi a passo sicuro verso la camera da letto.
Tom l’aveva seguito subito, giusto per curiosità, preparando già sulle labbra il solito “d’accordo” senza sentimento che riservava alle stronzate come quelle. Tanto in genere il telefono stava a sinistra. Quando dormiva, stare dal lato del telefono era l’unica cosa che gli interessasse davvero.
Ovviamente, quella suite era troppo bella per non avere nemmeno un difetto.
Nel caso di specie, il fottuto telefono a destra.
Sollevò lo sguardo su Bill. Bill lo fissò di rimando.
- Non se ne parla. – intimò crudo il moro, scalciando in un angolo le scarpe da tennis e muovendosi svelto verso il letto.
- Bill, non fare lo stronzo. – si lamentò lui, imitandolo e sfilando anche il cappellino, posandolo con cura sul comodino. – Lo so che oggi sei furioso, ma non voglio litigare pure per dormire.
- Nemmeno io. – concordò Bill con un sorrisetto stronzo, - Perciò tu dormi a sinistra e basta. – concluse sfilando la cintura e lasciandosi scivolare i pantaloni lungo i fianchi. – Tanto, chi vuoi che chiami?!
- Non mi interessa, io dormo dal lato del telefono, come sempre, Bill. – rispose lui, sfilando la fascia e le magliette con una violenza tale che quasi si strappò via un paio di dread dalla testa.
Bill lo sferzò con un’occhiata semplicemente furibonda.
- Scusa, perché la tua routine dovrebbe valere più della mia? – chiese, mantenendo un tono falsamente casuale che si contrapponeva in maniera fastidiosissima al suo sguardo bollente, - Anche io dormo sempre a destra. Perché tu dovresti continuare a dormire dal lato del telefono ed io invece non posso continuare a dormire a destra?
Tom roteò gli occhi e scalciò via i pantaloni, rimanendo in boxer ed arrampicandosi sul letto.
Bill gettò lontano la maglietta e, con la movenza di un gatto che si avventasse sulla propria preda un attimo prima di lasciarsela sfuggire dalle grinfie, prese posto sul lato destro del letto, colonizzandolo. Tom, in ritardo di un paio di secondi, sbatté il viso contro le sue mani tese in avanti. Sbatté le labbra, per la precisione. A voler essere ancora più puntigliosi, il cazzo di piercing che indossava. E che, grazie alla botta, gli ferì il labbro superiore.
- Ma Cristo… - sibilò allontanandosi da lui e mettendosi in ginocchio sul materasso, tastando con aria incerta il labbro dolorante, - Cazzo, Bill, ma vaffanculo, oggi mi vuoi veramente fare fuori o che?!
Bill scrollò le spalle, infilandosi sotto le coperte ed arricciandosi attorno al cuscino.
- È solo un taglietto. – sminuì con aria superiore.
- Un taglietto il cazzo.
Gli ci volle un po’, per capire che l’aveva detto sul serio. In genere, cercava di tenere pensieri simili sepolti sul fondo del cervello; soprattutto quando doveva stare a contatto così ravvicinato con Bill, perché mancargli di rispetto in maniera così palese era un po’ come chiedergli di picchiarlo.
Gli ci volle ancora un po’ per capire che non s’era semplicemente limitato a parlare, no. aveva anche allungato una mano. E l’aveva afferrato per la spalla. E scrollato. Fino a rivoltarlo sul materasso come un’omelette, costringendolo a guardarlo negli occhi.
- Come hai detto, scusa? – chiese Bill, gelido e retorico, artigliandogli un polso con le unghia perfettamente laccate di nero.
- Un taglietto il cazzo. – ripeté Tom, senza abbassare lo sguardo, - Non osare mai più comportarti così con me.
- Strano. – ringhiò Bill, strattonandoselo di dosso e scattando a sedere a pochi centimetri da lui, rischiando di mollargli una sonora testata sul naso. E non era neanche sicuro che quella non fosse l’idea di base. – Stavo per dirti la stessa cosa.
E l’aveva schiaffeggiato.
A Tom servì un po’ anche per capire quello. Per qualche strano motivo – forse la stanchezza? – le sue percezioni sembravano rallentate.
Bill l’aveva schiaffeggiato. Con rabbia ed anche con un po’ di disgusto. In pieno volto. Fissandolo negli occhi.
Non era esattamente come tirargli un bicchiere o una qualsiasi altra cosa addosso. Uno schiaffo era diverso, uno schiaffo era esattamente come un hasse dich.
Lo schiaffeggiò a propria volta.
Ti odio anche io. Ti odio, ti odio, Cristo, ti odio.
Ti odio quando mi odi.
Ti odio perché non mi ami.
Cosa ti costa un liebe dich? Cosa?

Non passò molto prima che si ritrovassero annodati sul lato destro del letto, in un groviglio di pugni, calci, schiaffi e parolacce sussurrate a mezza voce contro le orecchie, contro le guance, contro il collo. La pelle di Bill era bollente come l’Inferno. Tom stringeva le mani attorno alla sua vita, percepiva sotto i polpastrelli la loro consistenza ossuta, lasciava scivolare il pollice contro l’ombra di un tatuaggio appena riconoscibile al buio, e tutto ciò che riusciva a pensare era che odiava il suo calore. Che amava il suo calore. Che voleva il suo calore e nient’altro, probabilmente.
Bill provò a sferrargli una ginocchiata fra le cosce, e Tom glielo impedì gettandoglisi letteralmente addosso, schiacciandolo contro il materasso con tutto il peso del proprio corpo.
Il ginocchio di Bill s’infiltrò comunque fra le sue cosce.
Ma non fu… doloroso.
Bill non se ne accorse comunque e, frustrato, fece l’unica cosa che poteva ancora fare: scattò in avanti e gli morse il collo. Con violenza. Con cattiveria.
Con una possessività che Tom non aveva mai sentito prima nei suoi tocchi.
E che però probabilmente c’era sempre stata.
Perché quando Bill gli metteva le mani addosso, lo faceva col preciso intento di prenderlo e stritolarlo fra le dita. Quando Bill gli faceva del male, lo faceva col preciso intento di lasciargli sulla pelle quanti più lividi possibile: per marchiarlo.
E questo Tom lo capì sentendo i suoi denti affondare nella propria pelle. Lasciare l’impronta e premere ancora, come scavando fra i nervi nel tentativo di raggiungere le ossa.
Lo strinse con più forza per i fianchi, spingendo il proprio bacino in avanti.
Suo fratello era eccitato.
Lui lo era stato dal primo momento in cui il suo ginocchio l’aveva sfiorato in mezzo alle gambe.
Bill si scostò da lui e lasciò andare un mugolio d’approvazione, andando incontro alla sua spinta e cercando di riprendere fiato. Riuscì in qualche modo anche a liberare le braccia, e lo strinse con forza attorno alle spalle.
- A me succede sempre… - confessò con voce roca e bassa, spingendosi a propria volta contro di lui, - Quando litighiamo, mi succede sempre. Cristo.
Tom ringhiò qualcosa di incomprensibile, che probabilmente non aveva senso neanche in partenza, e lo strinse dietro la schiena, continuando a spingersi furiosamente sul suo corpo, strisciando sulla sua pelle e godendo della frizione sublime della propria erezione sulla sua.
- Vaffanculo. – gli bisbigliò in un orecchio, leccandolo voracemente lungo il collo, - Allora lo fai apposta?
- No. – rispose cupamente Bill, ansimando in maniera incontrollata, - Sì. Forse. Non lo so. Me ne frega un cazzo. Muoviti.
Era un ordine perentorio e, per quanto in genere gli seccasse darla vinta a Bill, quella volta Tom non aveva alcuna voglia di disobbedire. Ed infatti non lo fece: continuò a stringerselo forte contro, strusciandoglisi addosso e succhiandogli un lobo, mentre Bill gli ansimava in un orecchio e gli lasciava scivolare addosso un paio di mani affamate e confuse, marchiandogli la pelle con le unghia, facendogli male – perché no, quello non poteva mancare, assolutamente, sia mai la cassetta del pronto soccorso si senta trascurata, eh, Gustav? – e continuò a scoparlo senza scoparlo davvero, a lasciarsi scopare senza neanche sfilare i boxer, finché non venne contro lo stesso tessuto ormai bollente e sudatissimo e, stremato, si abbatté contro di lui, immobile.
Bill provvide a se stesso spingendosi ancora un paio di volte contro la sua gamba.
E poi rimasero in silenzio, ancora annodati, l’uno sull’altro, dal lato giusto del letto.
Nessun vittorioso, nessun vinto.
All’esclusiva si poteva anche rinunciare.
D’altronde, Bill era a destra e Tom era vicino al telefono.
Tutti contenti. No?
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