Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Freddo/Libanese.
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Lemon, Missing Moment.
- Libano chiede a Freddo di accompagnarlo in Maremma per andare a discutere col boss Cutolo, che lì passa la propria vita da latitante, a proposito del rapimento di Modo e degli sforzi che la banda sta compiendo per ritrovarlo. A Freddo tutta la questione di Moro e dei legami con lo Stato non va bene, ma di fronte alla richiesta di un amico non può dire no, e perciò, controvoglia, accetta.
Note: Allora *_* Questa storia, ci tengo a dirlo perché sia chiaro, è ambientata nella versione della storia fornita dal libro di Giancarlo De Cataldo. Lo specifico perché è evidente che i personaggi e gli eventi di Romanzo Criminale sono diversissimi a seconda che si parli del film, della serie tv o del libro. Per dire, l'evento specifico di cui parlo - Libano che chiede a Freddo di accompagnarlo in Maremma - nella serie tv neanche c'è XD Nel film non so, perché non l'ho ancora visto. Ma resta inteso che non è solo lo svolgersi degli eventi a cambiare, ma anche la caratterizzazione degli stessi personaggi, motivo per il quale, se avete visto solo la serie (o solo il film), potreste non ritrovare fra queste pagine il Libanese ed il Freddo che conoscete. Semplicemente perché questi sono altri personaggi, con le stesse caratteristiche di base ma sviluppati assai diversamente :)
Ciò detto, spero che questa fic possa piacervi XD
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I’M HOME, BUT I’M MILES AWAY

Il Freddo resta zitto per tutto il tempo e il Libanese non sa, davvero, non sa come faccia a non fermarsi dopo cinquanta chilometri per scaricarlo al primo svincolo. Lui ci prova, a parlargli, cerca di coinvolgerlo, gli spiega cosa stanno andando a fare, con chi stanno andando a parlare e perché, ma Freddo sembra non sentirlo neanche, tira su un muro invalicabile attorno alla propria persona e passa tutto l’intero viaggio con le braccia incrociate sul petto a fissare la strada che sfreccia veloce attorno all’automobile, senza degnarlo neanche di un’occhiata, come se lui nemmeno esistesse e la macchina l’avesse fatto prigioniero e stesse correndo a cento all’ora per portarlo al patibolo.
- Ma me lo spieghi perché sei così incazzato? – gli chiede a un certo punto. Freddo stacca gli occhi dalla strada solo per un attimo, lo guarda malissimo – con la testa così incassata fra le spalle e quel grugno insoddisfatto sulle labbra sembra perfino più piccolo del solito – e poi torna a fissare fuori dal finestrino. Il Libanese si rompe le palle e rinuncia a cercare di coinvolgerlo. Accende la radio che però si sente malissimo, per cui dopo un po’ la spegne e si fa compagnia da solo mormorando qualche motivetto di canzoni di cui non ricorda neanche il titolo, ed è solo quando la sua stessa voce gli viene a noia e si volta verso Freddo per provare nuovamente a coinvolgerlo in una qualche chiacchierata – in questo momento, anche un litigio gli andrebbe bene – che si accorge che s’è addormentato, tutto piegato e appoggiato allo sportello, con le mani ficcate sotto le ascelle per ottenere allo stesso tempo di scaldarsi e rimanere chiuso dietro il proprio muro di diffidenza anche durante il sonno.
Arrivano all’imbrunire. Il posto è una fattoria enorme, quasi un’azienda agricola, in realtà. Attraversano chilometri di campi in macchina prima di raggiungere l’edificio in legno che pare essere quello principale. Una vecchia casa un po’ cadente, a guardarla da fuori, con un enorme porticato che gira tutto attorno al perimetro. Ad aspettarli sulla porta c’è Mario il Sardo, e nella luce aranciata del tramonto, che tinge tutto di rosa e pesca, sembra più bello lui come sembra più bello tutto il resto. A Libano non è mai piaciuta granché la natura addomesticata dall’uomo. Quella che gli piace è la natura che l’uomo non vuole. I prati rinsecchiti attorno alle colline, le valli senza neanche un po’ d’erba, il terriccio smosso dei grandi terreni già venduti alle imprese perché ci allestissero cantieri. Però in qualche modo riconosce un certo principio d’ordine dietro gli enormi appezzamenti di terra coltivati ora a ortaggi, ora ed alberi da frutto, ora a vigneti, ora a uliveti, c’è della razionalità, qualcosa di concreto, nei recinti pieni di armenti. Questo gli piace, anche se, in fondo, di guardare gli agnelli che belano chiusi nel loro recinto gli interessa limitatamente. Gli esseri umani sono ben altra cosa. Lascia a quelli come Cutolo la possibilità di compiacersi perché mettono a servizio le vacche. Lui sta mettendo a servizio una città. Viaggiano a due velocità diverse.
- Io non vengo. – gli dice Freddo dopo aver lanciato una breve occhiata al viale ingombro di macchine e al Sardo che si sbraccia per dire loro di affrettarsi.
- E tu quando ti sei svegliato? – chiede Libano, inarcando un sopracciglio.
Freddo gli lancia un’occhiata penetrante e poi torna a fissare le pecore nel recinto poco distante.
- Io non vengo. – ribadisce. Libano rotea gli occhi, esce dalla macchina e lo lascia lì.
La cena non è soddisfacente, se non altro perché Cutolo e i suoi ospiti non gli dicono cose piacevoli, e Libano odia che gli vengano dette cose poco piacevoli mentre sta mangiando. Le delusioni gli rovinano l’appetito, è per questo che cerca sempre di evitare di parlare di lavoro a tavola, ma Cutolo insiste con questa stronzata dell’agnello aromatizzato che va mangiato in onore della Santa Pasqua, e allora il Libanese prende posto e cerca di non offendere nessuno, ma non tocca cibo, neanche quando il Sardo lo sgomita in mezzo alle costole e gli dice “e mangia!” con una certa insistenza.
- Che c’è, - gli chiede Cutolo, sorridendo serenamente, - non ti piace la carne?
- Non ho fame. – risponde semplicemente lui.
Il suo piatto è ancora intonso quando i pochi camerieri a servizio di Cutolo si mettono a sciamare attorno al tavolo per ripulirlo dagli avanzi e dalle stoviglie sporche. Non ha bevuto neanche un caffè, e infatti si sente assonnato e pesante. Tutta la stanchezza del viaggio gli pesa sulle ossa, e quando riesce finalmente a lasciarsi ricadere sul proprio sedile in macchina tira un enorme sospiro di sollievo.
Freddo è rimasto lì tutto il tempo. Ha una coperta, addosso, una di quelle robe vecchie che Libano tiene sempre nel bagagliaio, per ogni evenienza. A un certo punto, mentre la sera calava e si faceva ghiacciata, ricordando a tutti che la primavera è solo alle porte, perché per adesso è ancora inverno, deve essere uscito dall’automobile per recuperarne una.
- Freddo? – un po’ lo chiama e un po’ gli chiede. Freddo scrolla le spalle. È ancora chiuso in quel suo fastidioso mutismo quasi autistico, gli occhi fissi su un punto a caso del terriccio fangoso smosso fuori dal finestrino e le sopracciglia aggrottate. – Non è andata bene. – lo informa, - Sappiamo dov’è Moro, ma a loro non interessa. Lo vogliono lasciare morire, dice Cutolo. Tanta fatica e tante rotture di coglioni per niente.
Freddo si sistema la coperta sulle spalle. Potrebbe dirgli “io te l’avevo detto”, ma non lo fa. Libano ha quasi voglia di sentirselo dire, almeno dimostrerebbe che l’ha ascoltato. E invece niente, quello se ne resta lì, silenzioso, a scrutarlo con disapprovazione, e Libano comincia a rompersi seriamente le palle di questa storia.
Mette in moto, comunque, esce dal viale in retromarcia ed imbocca quello che il Sardo gli ha indicato e che, alla lunga, dovrebbe condurli verso un casolare vuoto, una delle case dei custodi, opportunamente svuotata e ripulita per ospitarli per la notte.
- Dove andiamo? – chiede Freddo, dubbioso. Libano decide di non rispondere, giusto per ripagarlo con la sua stessa moneta, ma Freddo, invece di insistere con la propria domanda, torna zitto e guarda la strada. Lo capisce da solo, dove stanno andando, quando vede il casolare cominciare ad avvicinarsi dal fondo di un vialone sterrato e pieno di buche che li costringe entrambi a sobbalzare sui loro sedili mentre Libano impreca perché la macchina ne verrà fuori rovinata.
Il casolare è piuttosto spoglio, in realtà è più un deposito che una vera e propria abitazione, ma è tenuto bene e serve al suo scopo. C’è un cucinino, qualche stoviglia, una caffettiera, un vecchio televisore e un paio di letti, in un angolo. Piccoli, quasi due lettini per mocciosi, ma se li faranno bastare. Le lenzuola sono fresche, sanno di pulito. I materassi sono morbidi. Freddo resta in piedi accanto alla porta per dei minuti interi, finché Libano non si siede sul proprio letto e sfila la giacca e, guardandolo con rabbia, gli chiede se ha intenzione di rimanere piantato lì come un palo ancora a lungo.
- Voglio tornare a Roma. – dice quindi.
- Era meglio quando restavi zitto. – commenta il Libanese, acido. – È notte, ormai. – gli fa notare, indicando il buio pesto senza neanche una stella oltre la finestra. Freddo segue il suo braccio, guarda di fuori ma poi torna a fissare lui come se quello che ha visto non l’avesse interessato per nulla.
- Se partiamo adesso, siamo a Roma per domattina. – propone. Libano aggrotta le sopracciglia e ringhia.
- Sono stanco.
- Posso guidare io.
- E invece restiamo qui. – conclude, battendo con forza il palmo della mano aperta contro il ripiano del cucinino.
Freddo aggrotta le sopracciglia, le labbra contratte in una smorfia risentita.
- Va bene. – concede, dirigendosi speditamente verso il proprio letto e gettandovisi sopra ancora avvolto nella coperta, la faccia schiacciata contro il cuscino. Dal bozzolo in cui s’è nascosto viene fuori solo la sommità della testa, i capelli ricci e crespi e niente di più. Libano gli lancia un’occhiataccia scorbutica e poi, sbuffando pesantemente, si alza dal letto ed accende la tv. Non c’è niente di interessante da guardare, comunque, e dopo qualche minuto di contemplazione la spegne, tornando a sedersi sul proprio letto. Il Freddo è così immobile da sembrare morto, e tutto il casolare è immerso nel silenzio della notte. C’è troppo freddo perfino per i grilli, da fuori non giunge alcun rumore.
- Fre’. – lo chiama. Lui non risponde. – Aò, Fre’, - insiste lui, - se volevo fare il gioco del silenzio mi portavo il Sorcio.
Freddo si affaccia da sotto la coperta, lanciandogli un’occhiata assonnata.
- Sorcio parla più di me. – gli fa notare. Libano sorride.
- Non quando si sballa. – ribatte. Freddo aggrotta le sopracciglia e torna a nascondersi come una lumaca dentro il proprio guscio. Libano sospira, esasperato. – Per quanto vuoi andare avanti? – si informa. Freddo sbuffa.
- Non mi va di parlarti. – dice con una mezza scrollata di spalle che, avvolto com’è, lo porta a scuotersi tutto.
- E questo l’ho capito pure senza il disegnino. – risponde lui, - Mo’ se magari mi fai capire pure perché…
- Non ci arrivi da solo? – sbotta Freddo, tornando ad affacciarsi e mettendosi seduto, le braccia incrociate sul petto sotto la coperta ancora tutta stretta attorno al corpo. Libano si stringe nelle spalle, scuotendo il capo, e Freddo sospira pesantemente, abbassando lo sguardo. – Non ci volevo venire qua. Non m’è mai piaciuta questa storia di Moro e tu te ne sei sempre fregato di quello che dicevo.
- Te non sei mai stato chiaro, però. – gli fa notare Libano, guardandolo attentamente.
- Sì, ma quando uno non ti dice né sì, né no, - protesta Freddo, agitandosi tutto assieme, - vuol dire che tanto sicuro non è, o no, Libano? Ma tu m’hai dovuto mettere in mezzo per forza, e mi hai dovuto portare qui per forza.
- Io ti ho chiesto un favore.
- E infatti io non potevo dire no. – conclude Freddo, perentorio. Libano lo guarda e sospira.
- Potevi, - dice, - io non t’ho mica obbligato.
- Libano, vaffanculo. – taglia corto Freddo, e poi si lascia ricadere sul letto, tirandosi la coperta fin sopra il naso e raggomitolandosi su un fianco.
Libano sospira, tirando le gambe sul letto e stendendosi comodo. Guarda il soffitto e gli viene da sorridere, anche se non ha nessun motivo per farlo. Freddo è arrabbiato, ma è una rabbia diversa da quella che gli covava in corpo prima, che era offeso sul serio perché s’era sentito mancare di rispetto. Adesso può quasi vederlo mentre si arruffa come un pulcino sotto la protezione della coperta scura tirata fin sopra la testa, e sente il suo respiro pesante e affannoso che gli suggerisce la sua ansia. Principalmente, in questo momento Freddo è imbarazzato. Per qualche motivo, Libano trova più facile gestirlo in queste situazioni – quando torna ad avere l’età che ha ed è sostanzialmente imprevedibile – rispetto a quando invece si comporta da adulto gelido e calcolatore. Quelli sono i momenti in cui sa esattamente cosa aspettarsi da lui, e sa anche che sono cose per le quali non ha mai una controffensiva pronta. Anche se conosce i modi in cui Freddo lo attacca, non riesce mai a rispondere adeguatamente, quindi di quelli ha paura, perché quelli sa già di non saperli gestire. Quando il Freddo torna ad essere semplicemente il ragazzo che dovrebbe essere se la strada non l’avesse già indurito troppo, invece ci sono più possibilità di sfangarla. È un terno al lotto, nel senso che Libano non sa come potrebbe reagire alle sue parole, ma in un certo senso non saperlo è confortante. Gli lascia qualche speranza dove invece la consapevolezza gliele toglie tutte.
- Freddo? – lo chiama a bassa voce, - Vieni qua, dai.
Freddo si affaccia da sotto la sua coperta un’altra volta.
- No. – dice perentorio, anche un po’ sconvolto.
- E daje. – ride Libano, sfilandosi il cuscino sottile e semivuoto da sotto la testa e tirandoglielo addosso.
Freddo si prende il cuscino in faccia e lo scansa con una manata, sbuffando contrariato.
- Lasciami stare. – sbotta burbero. Libano sospira.
- Almeno riportamelo. – dice. Freddo glielo tira indietro. Libano lo prende al volo e lo rispedisce al mittente, prendendolo dritto sul naso. Freddo non muove un muscolo, lascia che il cuscino gli rotoli addosso fino in grembo e poi lo guarda con aria persa, gli occhi enormi sulla faccia magra resa ancora più smunta dal filo di barba che gli annerisce le guance. – Riportamelo tu. – spiega lui, - Con le tue mani.
Freddo deglutisce e glielo tira di nuovo, ma con meno convinzione di prima, come se stesse facendo un tentativo ma sapesse già di non avere scampo. Il Libanese, infatti, ripete l’operazione, e stavolta Freddo il cuscino lo prende prima che riesca a colpirlo, perché se l’aspetta. Poi sospira stancamente, scuotendo il capo e gettando i piedi giù dal letto mentre, nello stesso movimento, si libera della coperta che ancora gli avvolge le spalle.
- Ogni tanto sei più pischello dei pischelli. – lo rimbrotta avvicinandosi al suo letto in due passi e porgendogli il cuscino.
Libano allunga una mano e lo recupera. Freddo lo squadra diffidente per qualche secondo, prima di stabilire che può voltargli le spalle e tornarsene nel proprio letto, e qui sbaglia, perché le spalle non gliele può voltare proprio per niente. Libano allunga una mano e lo afferra per un braccio, strattonandolo violentemente verso di sé. Freddo, leggero come una piuma, perde l’equilibrio e gli cade addosso, schiacciandosi completamente contro di lui ma riuscendo in qualche modo a trattenere l’urlo sorpreso che avrebbe voluto lanciare, traducendolo in un singolo gemito un po’ stupito che gli passa fra le labbra e si perde nella risata forte ma un po’ dolorante alla quale il Libanese dà voce quando si prende una gomitata nello stomaco e una ginocchiata dritta sull’interno della coscia, a due centimetri dai testicoli.
- Mollami. – intima il Freddo, dimenandosi ma non alla rinfusa, bensì seguendo un ordine logico, da lottatore. Prima le gambe, per potersi dare la spinta. Poi una mano. Poi l’altra, o almeno ci prova, ma non ci riesce, perché Libano lo legge come un libro aperto e, sorridendo paterno, torna ad intrappolarlo, serrandogli le gambe attorno al bacino e le braccia attorno al busto, trattenendogli le braccia incollate ai fianchi e lasciandolo libero di muovere solo la testa. Freddo si agita ancora un po’ e poi, stanco, lascia perdere, e si appoggia contro di lui, rilasciando il capo contro la sua spalla e guardando il soffitto. Libano fa esattamente la stessa cosa, respirandogli addosso. – E mo’? – chiede Freddo. Libano sorride ad un millimetro dalla sua guancia, e poi si sporge a lasciare un bacio lieve sulla sua pelle ruvida, scivolando lungo il profilo del suo viso fino alla linea morbida del collo. Freddo rabbrividisce e si fa tutto rigido come un pezzo di legno. – Libano… - lo chiama severo. Il Libanese scatta lateralmente, allontanandosi da lui solo per un secondo, il tempo sufficiente a farlo ricadere sul materasso per poi sovrastarlo e inchiodarlo al letto. – E smettila, che siamo in casa d’altri.
- Questa non è casa di nessuno. – sorride il Libanese.
- Come no, è casa di Cutolo. – ribatte lui. Libano gli si china addosso, lambendo la curva del suo pomo d’Adamo con la punta della propria lingua, e rabbrividendo di piacere e desiderio quando lo sente fare su e giù in un gesto veloce nel momento in cui Freddo, a corto di fiato, deglutisce.
- Qua non c’è nessuno. – lo rassicura. Freddo prova a dimenarsi ancora un po’. – E stai un po’ fermo, dai. – ride il Libanese. Freddo sbuffa, abbassa le palpebre sugli occhi e poi sospira, smettendo di muoversi e lasciando ricadere le braccia sul materasso, inerti. Tutto il corpo di piombo. Libano appoggia la fronte contro la sua spalla, sbuffando una risatina un po’ esasperata. – Non così. – gli dice, strusciando il naso contro l’incavo del suo collo quasi volesse scavare sotto l’orlo del suo maglione.
- Mi hai detto di stare fermo. – gli fa notare Freddo.
- Sì, ma intendevo di smetterla di provare a scappare. – sorride ancora lui, sollevandosi ancora e guardandolo dritto negli occhi per qualche secondo. – Mo’ ti bacio. – lo avverte, le labbra che già sfiorano le sue.
- Mo’ ci provi, semmai. – ribatte Freddo, girando il capo appena a sufficienza per obbligare le sue labbra a perdersi sull’angolo della sua bocca. – Infatti non ci sei riuscito.
Libano aggrotta le sopracciglia e fa la faccia brutta. Sta cominciando a stufarsi davvero e si chiede se Freddo ha capito quale corda stia tirando e quanto a lungo possa permettersi di strattonare prima di finire col culo per terra e farsi molto, molto male. Cerca la risposta nei suoi occhi, ma quelli, come sempre, sono imperscrutabili. Riflettono solo la sua smorfia ingrugnita, e Libano scatta ad afferrarlo per il mento, obbligandolo a piegare il capo all’indietro fino ad esporre in un sussulto il collo fragile e pallido.
- Perché fai così? – gli chiede, irritato. Freddo si libera della sua stretta scuotendo il capo in un gesto secco e deciso.
- Perché non sono la tua marionetta. – risponde. Libano inarca le sopracciglia.
- Non l’ho mai pensato. – dice.
- No? – chiede Freddo, - Allora lasciami andare.
Il Libanese stringe la presa attorno al suo corpo come una reazione condizionata alle sue parole.
- Non voglio. – borbotta cupo.
- Ma voglio io. – dice Freddo, e parla col tono di chi sta spiegando qualcosa di estremamente semplice a un bambino piccolo. È odioso che ci riesca anche senza dover spiegare niente di concreto. Battuta dopo battuta gli ha illustrato il problema senza doverglielo spiattellare in faccia. Il Libanese non saprebbe dire se questo modo di comportarsi sia molto discreto e cortese o semplicemente molto paraculo e fastidioso. – Mi lasci andare, ora? – lo richiama alla realtà Freddo. Libano sospira ma lo libera, rotolando sulla schiena e restando immobile mentre Freddo si tira a sedere senza però scendere giù dal letto, preferendo rimanere lì al suo fianco, puntellandosi al materasso con entrambe le mani e scrutandolo con aria severa. – Hai capito? – gli chiede, come se Libano avesse bisogno di ulteriori conferme alle proprie ipotesi. Sì, l’ha capita la lezioncina.
- Non ci volevi proprio venire qua, eh? – gli chiede, ricambiando la sua occhiata. Freddo scuote il capo. – Va bene. – cede lui, sospirando e chiudendo gli occhi, - È l’ultima volta. Non succederà più.
Per qualche secondo, dopo le sue parole, nella stanza non si muove una foglia. Sembra che non debba succedere niente di niente, e Libano aspetta, in silenzio e con gli occhi chiusi, che Freddo si decida a tornarsene nel proprio letto. Lo odia, in questo momento. È una fortuna che siano da soli, perché non avrebbe tollerato di essere messo così in ridicolo di fronte a nessun altro, ed è una fortuna che Freddo non sia uno dalla bocca larga, perché Dandi, a sapere una cosa del genere, lo prenderebbe per il culo a vita. Aggrotta le sopracciglia con fastidio nel sentire ancora il calore del suo corpo al proprio fianco: non è soddisfatto? Non l’ha già umiliato abbastanza?
Sta per scattare a sedere e spingerlo giù dal letto, giusto per toglierselo di torno, quando Freddo gli si china addosso, scivolando lungo il suo viso con le labbra in una serie di baci piccoli e asciutti. Libano apre gli occhi e lo guarda incerto, ma Freddo non ricambia lo sguardo, perso com’è a sistemarglisi addosso e scendere lungo il profilo del suo viso, una mano piantata contro il materasso per tenersi un po’ sollevato e non pesargli addosso – come se il suo peso potesse infastidirlo, poi – e l’altra che già corre alla fila di piccoli bottoni trasparenti che gli tengono chiusa la camicia sul petto.
- Fre’? – lo chiama. Freddo apre gli occhi e lo fissa, cominciando a sbottonargli la camicia. – E mo’? – gli chiede, - Mo’ va bene? Perché t’ho fatto contento?
Freddo sbuffa dal naso, aggrottando le sopracciglia. Gli spalanca addosso la camicia con uno strattone violento, senza preoccuparsi di quanti bottoni ancora affibbiati si strappano nel movimento, sparpagliandosi per terra e finendo nelle intercapedini fra le assi che rivestono il pavimento. Libano, sorpreso, trattiene il respiro e tira anche un po’ in dentro la pancia, come spaventato dalla possibilità che Freddo possa cominciare a prenderlo a pugni o chissà che altro.
- Sta’ zitto. – dice invece Freddo, tagliando corto e sollevandosi fino a coprire le sue labbra con le proprie.
Libano sbuffa un sospiro sorpreso fra le sue labbra, spalancandogli gli occhi addosso e rassegnandosi a chiuderli quando capisce che Freddo l’ha avuta vinta, mentre le sue labbra cominciano a muoversi sulle proprie e la sua lingua si affaccia a bussare alla chiostra serrata dei suoi denti. Libano la accoglie sulla propria in una carezza ancora un po’ risentita, lasciandogli scivolare le braccia lungo i fianchi e seguendolo nel movimento quando lui si solleva appena e lo scavalca con una gamba, sistemandoglisi in grembo.
Sente fortissimo l’impulso di ribaltarlo sul materasso e scavarsi a forza un posto fra le sue gambe, ma quando si azzarda a sollevare ed inclinare il bacino Freddo serra le cosce attorno ai suoi fianchi e lo inchioda al materasso, completando il rimprovero con un morso di quelli forti, che gli fa gonfiare subito il labbro inferiore e lo rende ipersensibile, tanto che quando poi lui si tira un po’ indietro e lo sfiora con la lingua in una carezza bagnata tutto il suo corpo si riempie di brividi incontrollabili, e Libano geme, anche se non vorrebbe.
Scivolandogli addosso, strusciandosi contro di lui, Freddo un po’ lo premia, un po’ lo sottomette e un po’ lo prende in giro. C’è un dislivello, nel modo in cui si approcciano adesso l’uno all’altro, una cosa che all’inizio non c’era e che invece adesso è evidente, in ogni momento in cui Freddo scappa e Libano non fa che rincorrerlo, Freddo si allontana e Libano cerca un modo per prenderlo al volo e riportarselo vicino, Freddo si chiude in uno dei suoi silenzi e Libano prova in tutte le maniere a scardinare le numerose porte che gli chiude in faccia.
Prima che le cose diventassero così complicate, erano molto più semplici. E sembra retorico pensarla in questi termini perché cosa non è semplice, prima di complicarsi?, ma ogni volta che Libano ci pensa, ogni volta che realizza che è capitato proprio a lui, con un ragazzetto che potrebbe venirgli fratello minore, si sente perso. L’impressione che ne ha è sempre che, senza Freddo, sarebbe molto più facile lasciarsi cadere. E dal momento che sa cosa implicherebbe una caduta da parte sua, il pensiero lo terrorizza. Lo ghiaccia, lo paralizza.
Si scioglie quando, dopo aver vagato per quelle che sembrano ore sul suo petto, le mani di Freddo si chiudono attorno alla fibbia dei suoi pantaloni. Sfilano il bottone dall’asola, tirano giù la cerniera, e Libano lo lascia fare quando Freddo, tutto da solo, si solleva e si industria per lasciargli scivolare i jeans lungo le gambe. Solleva le mani, appoggiandole ai lati del suo viso ed accarezzandogli lentamente le guance ruvide mentre lo trae a sé per un bacio meno violento dei precedenti. Schiacciato contro il suo petto, Freddo si agita come un bambino abbracciato da una zia antipatica, e Libano lo lascia subito andare, incuriosito dalla sua fretta. Non appena si libera, la prima cosa che Freddo fa è togliere la giacca e la maglietta e piegarsi nuovamente su di lui – petto contro petto, il primo contatto caldo fra i loro corpi a parte i baci, contando che le sue dita piccole e un po’ ossute, mentre lo accarezzavano dal collo al ventre, erano gelide – per potersi sfilare i pantaloni più agevolmente.
Libano trema, prova ancora a sollevare il bacino e stavolta Freddo non oppone resistenza. Meno di un secondo dopo, si ritrova sopra di lui, intento a schiacciarlo contro il materasso con tutto il peso del proprio corpo. Freddo è così incredibilmente smilzo, in confronto a lui. Da nudo somiglia molto di più a un ragazzino che a un uomo fatto. Le labbra di Libano si piegano in un sorriso vagamente intenerito, e Freddo, quando se ne accorge, si affretta a cancellarglielo dalla bocca baciandolo affamato, afferrandolo per la nuca per tirarselo contro in modo da far aderire completamente i loro corpi.
Libano risponde immediatamente al suo richiamo, insinuandosi fra le sue cosce già dischiuse e scivolando con due dita umide a prepararlo fra le natiche. Freddo getta indietro il capo, inarcando la schiena. Non sa se sia la situazione generale o l’incazzatura a renderlo così sensibile, ma ogni volta che le dita del Libanese lo sfiorano lui si sente bruciare sottopelle.
Si spinge istintivamente contro di lui quando sente la punta della sua erezione premere contro la propria apertura, e per quanto Libano faccia di tutto per tirarsi indietro, in modo da non affondare nel suo corpo in un colpo solo, è palese che anche lui non vede l’ora di sentirsi circondato dal suo calore, esattamente come Freddo non vede l’ora di sentire la forza del suo desiderio aprirsi una strada dentro il suo corpo. Quelli come questo sono i loro momenti migliori, perché il corpo del Libanese è bravo ad ascoltare il suo, molto più di quanto Libano non sia bravo ad ascoltare lui.
Gli serra le cosce attorno ai fianchi, allungando le mani fino a premerle alla base della sua schiena per spingerlo in avanti. Il Libanese non oppone resistenza, la sua voglia calda e dura affonda dentro di lui costringendolo ad un gemito che lui, con un certo pudore, nasconde contro la sua spalla.
Non dura molto perché tutti e due ci stanno girando attorno da troppo tempo, troppe strusciatine, troppe esitazioni, troppe carezze, a Libano bastano tre o quattro colpi tanto potenti da scavarsi un posto più profondo degli altri dentro di lui, per venire in un ansito strozzato, e Freddo lo segue a ruota appena lui fa tanto di chiudere quelle sue dita scure e robuste attorno alla sua erezione già così tesa da fare male. Freddo viene irrigidendosi all’improvviso e poi lasciandosi immediatamente ricadere sul materasso, molle, inerte. Libano gli si appoggia addosso, poi sembra tentato di volersi scostare, ma alla fine non va da nessuna parte, e resta lì a respirargli sul collo per almeno una decina di minuti. Al Freddo non dà fastidio, perciò non gli chiede di spostarsi. È Libano a decidere quando farlo, rotolando sulla schiena ma restando abbastanza vicino da sfiorare la sua spalla con la propria ad ogni respiro – e d’altronde allontanarsi di più sarebbe impossibile, visto quant’è piccolo il letto sul quale stanno distesi.
- Domani ci mettiamo in macchina e torniamo a Roma. – annuncia il Libanese, fissando il soffitto.
- Presto. – precisa Freddo, - Appena ci svegliamo.
Libano si volta a guardarlo, inarcando un sopracciglio.
- Ma me lo dici perché ti sta tanto sul cazzo questo posto? – chiede con un certo fastidio. Freddo scrolla le spalle.
- Non mi convince. – butta lì. Libano rotea gli occhi.
- Non ti convince mai niente, a te. – gli fa notare.
Freddo si volta appena, lanciandogli un’occhiata intimamente divertita.
- Qualcosa sì. – ribatte, concedendosi un sorriso minuscolo. Libano scoppia a ridere, scuotendo il capo. Poi lo manda a cagare e si volta su un fianco, faccia al muro, per mettersi a dormire.
Non si stupisce – né si infastidisce – quando Freddo si volta sul fianco opposto, dandogli le spalle – la curva ossuta della schiena che sfiora la sua a tratti – e mettendosi a dormire lì dov’è.
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