Genere: Introspettivo.
Pairing: Zlatan/José.
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash.
- Mano fratturata e bisogno di parlare.
Note: Zlatan è un idiota e il colpo alla mano se l’è preso davvero. Non so se sperare che se la sia fratturata o no u.u *è un’innamorata crudele* Comunque delle donne non avevamo ancora parlato, mi è sembrato giusto porre rimedio XD
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I Can't Even Convince Myself


Zlatan guarda la propria stessa mano come fosse una specie di corpo estraneo, un impianto alieno attaccato al polso di cui non sa bene cosa farsi. La fasciatura che la tiene stretta è così enorme da essere grande quasi quanto la sua testa. Gli dà i brividi, non ha idea di come possa essere successo – una botta, okay, ma quante ne ha prese, e anche di peggiori? – e non sa come giustificherà il tutto a Guardiola, quando lo conoscerà. Sarà costretto a giocare con quella roba addosso per chissà quanto tempo e non sarà nel pieno delle sue condizioni – perché fa male, perché lo ingombra, perché quando gioca lui il suo corpo lo usa tutto, non solo le gambe e i piedi, e quindi una mano in queste condizioni può essere un impaccio anche se non deve usarla per toccare la palla.
José entra in camera sua. Ed è un momento molto più assurdo di quanto entrambi non potessero pensare.
Allo stato attuale dei fatti, non parlano da una settimana. Che non vuol dire “non abbiamo discusso di niente, ma ovviamente ci siamo salutati e scambiati qualche frase di circostanza”, no. Vuol dire che nessuna parola uscita dalle labbra di Zlatan negli ultimi sette giorni è stata rivolta direttamente a José, così come nessuna parola uscita dalle labbra di José nello stesso periodo di tempo è stata rivolta direttamente a Zlatan.
Il cambiamento è stato repentino e innaturale, e d’altronde non poteva essere diversamente per due come loro, abituati a parlare così tanto e così spesso, anche se mai delle cose veramente importanti. José lo fissa con aria allucinata, lo guarda in viso, poi guarda la fasciatura, infine torna a cercare i suoi occhi e schiude le labbra, incerto.
Come spieghi una cosa simile? – sbotta, indicandolo tutto con un ampio cenno del braccio. Sembra quasi che voglia chiedergli di spiegare se stesso, e Zlatan non è sicuro che ci riuscirebbe davvero. La frattura, per quanto assurda, è concettualmente più semplice, perciò è su quella che si concentra.
- Ho preso un colpo. – scolla, sul volto la stessa espressione sconcertata di José, ed è davvero ridicolo che si stiano guardando in questo modo, adesso, come non si aspettassero più di vedersi e quello fosse stato un incontro del tutto fortuito.
- Ti pare il momento di fratturarti una mano, Zlatan? – chiede ancora il mister, restando lì sulla soglia, una mano sulla porta e l’altra sullo stipite, - No, dico, ti pare proprio il caso? In questo momento?
Zlatan sospira. José, quand’è sconvolto, si lancia in recriminazioni che hanno dell’allucinante.
- Non è che l’abbia chiesto, sai. – borbotta infastidito. José entra in camera e si chiude la porta alle spalle, restando comunque a distanza, come avesse paura di avvicinarsi.
- Potevi stare più attento! – insiste, - Ora io che me ne faccio di te? Non puoi allenarti, non so che cosa stai ancora a fare qui e non ho idea di cosa farti fare mentre aspetti la benedizione divina per schiodare il culo! Bella storia, davvero.
Zlatan, offeso, distoglie lo sguardo, aggrottando le sopracciglia.
- Non vedi l’ora. – constata tagliente, a bassa voce, e José incrocia le braccia sul petto.
- Esatto, Zlatan, non vedo l’ora. – conferma in un ringhio, - Non ne posso più di questa situazione ridicola. Nessuno ne può più, di questa situazione ridicola, ma io in particolare.
Zlatan non torna a guardarlo, perché ha la certezza che non riuscirebbe a reggere l’intensità dei suoi occhi.
- Non posso farci niente. – sibila frustrato, - Helena è stata chiara.
- Helena dovevi lasciarla.
- Come tu dovevi lasciare Matilde.
José sobbalza, colto in fallo.
- Ci ho provato. – grugnisce, - Lo sai. Ma c’è stato troppo casino, ho dovuto smentire. Ti avevo anche detto-
- Che ci avresti riprovato presto. – completa per lui Zlatan, tornando finalmente a guardarlo, - Ma siamo già a luglio, José, e se devo andarmene devo farlo adesso. Non potrò più, quando sarà cominciato il campionato, almeno non fino all’inverno, ed Helena non è disposta ad aspettare. E coi bambini di mezzo-
- Anche io ho dei figli.
- Sono grandi. – contesta lui, - Non è la stessa cosa.
José ghigna deluso, muovendo qualche passo all’interno della stanza e passandosi una mano fra i capelli.
- Povero Zlatan. – commenta sarcastico, - Tutte le sfortune.
- E tu sei stata la peggiore. – annuisce lo svedese, tirandosi in piedi e sospirando profondamente, appendendo la mano sana ad un fianco magro e appuntito. Poi sorride appena, sollevando solo un angolo della bocca, - Mi era mancato litigare.
- Ci credo. – scrolla le spalle José, apparentemente disinteressato, - Non facevamo altro.
- Non è esatto. – corregge Zlatan, il sorriso che si allarga appena, - Il resto mi manca di più.
- Il resto non possiamo averlo. – lo ferma José, tornando a guardarlo e facendolo con un’intensità tutta speciale, come a dirgli che però è vero, manca anche a lui. – Quindi meglio non pensarci, ti pare?
Zlatan ci riflette su davvero, per qualche secondo.
- No, non mi pare. Credo che continuerò a pensarci, è più forte di me.
José sorride e scuote il capo in un sospiro stanco.
- È più forte di te. – ripete divertito, - E tu lo sei di me. Pensarci non mi aiuterebbe.
Zlatan annuisce, un po’ deluso.
- Quindi cosa? – chiede, - Mi butti fuori dal ritiro? Mi rimandi in Europa a calci?
- Questo non posso farlo. – sospira ancora José, - E non voglio nemmeno. Il primo aereo che prenderai, lo prenderai da qui, e sarà quello che ti porterà a Barcellona. – il suo sguardo si perde sui disegni della carta da parati che ricopre le pareti, mentre continua a parlare, - Sarà l’unica cosa alla quale ti consegnerò. – aggiunge, apparentemente sovrappensiero, - Non Helena, Barcellona.
- Helena sarà lì. – gli fa notare Zlatan, senza il minimo tatto, - Come Matilde sarà a Milano quando ci tornerai tu.
José solleva lo sguardo e gli sorride, annuendo lentamente.
- E saremo tutti ai nostri posti.
Zlatan si morde un labbro perché è quasi certo del contrario. È quasi certo che, quando lui sarà a Barcellona e José sarà a Milano, si sentiranno proprio nei posti più sbagliati in assoluto, come mai prima di quel momento. Ma questo non può dirglielo, e se José ha ragione – se davvero Zlatan è più forte di lui – allora è suo dovere esserlo abbastanza per entrambi. Perché è il suo numero dieci, perché è la sua punta di diamante, perché è il suo amore, perché è il suo amante, perché lui e José, e questo è sufficiente.
Annuisce, tirando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Lo osserva andare via salutandolo con un cenno del capo. Di tutto ciò che è per lui, quando José va via, resta solo un ex-giocatore. Ed è stato abbastanza forte da accettarlo senza cominciare a odiarsi. È una grande vittoria, può andarne quasi orgoglioso. Ed è certo che almeno José lo sia.
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