Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: José/Inter/Zlatan (+ tutte le combinazioni possibili: José/Inter, José/Zlatan, Inter/Zlatan). No, non vi sto prendendo per il culo.
Rating: PG
AVVERTIMENTI: Slash, Threesome, Angst (tutti accennati).
- "Come tutti gli amori della sua vita, José l’Inter non l’aveva scelta: lei era esplosa."
Note: Ciò che dovete sapere, dovreste averlo anche intuito dai pairing/personaggi espressi là sopra. Io, più di quello, non so che dirvi XD
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I Belong To You (Mon Cœur S'Ouvre À Ta Voix)


Come tutti gli amori della sua vita, José l’Inter non l’aveva scelta: lei era esplosa. Si erano conosciuti per lavoro, naturalmente. La loro collaborazione era cominciata quasi per caso. Lei aveva appena mollato, lui era appena stato mollato. Non che entrambi fossero così clamorosamente a pezzi, ma fra il non essere morto e l’essere vivo passa una differenza molto meno sottile di quanto non si possa pensare, e José non si sentiva vivo da tanto di quel tempo che aveva perfino l’impressione di essersi dimenticato come fare a respirare. L’Inter, poi, era se possibile in una condizione psicologica ancora peggiore: vincente in tutto meno che negli affetti, giocava le partite della sua vita in balia dei capricci e dei mal di pancia dell’uomo al quale doveva tutto, e che proprio per questo minacciava di essere anche l’unica cosa che avrebbe potuto lanciarla in un vortice di disperazione, lasciandola sola da un giorno all’altro.
José e l’Inter avevano cominciato a conoscersi quando lei era ancora così presa da Zlatan da non riuscire quasi a pensare a nient’altro. “Non mi piace come ti muovi,” le aveva detto José in uno dei loro primi e incerti momenti d’intimità, accarezzandole teneramente il viso, come volesse prendere le misure dei suoi lineamenti.
“Lo so,” aveva risposto lei con un sorriso stanco, “ma non riesco a lasciarlo andare.”
“Non te lo sto chiedendo,” l’aveva rassicurata immediatamente lui, sorridendo appena, “Vedrai che riusciremo a farla funzionare anche così.”
Farla funzionare era stata dura, ma soddisfacente. Mentre l’Inter osservava, vagamente in imbarazzo, un po’ a disagio nel sentirsi contesa fra due personalità tanto forti, José era andato da Zlatan e l’aveva guardato severamente, saldo sulle gambe, senza arretrare di un millimetro.
“Non manderai tutto a puttane,” gli aveva detto, scrutandolo quasi con odio, “Farai ciò che io ti dirò di fare. Niente di più, niente di meno.”
“Non puoi domarmi, portoghese,” aveva riso Zlatan, sfacciato, “Non sono quel tipo di persona.”
“Non mi interessa che tipo di persona tu sia,” aveva risposto José, imitando il suo sorriso sicuro, “Farai ciò che io ti dirò di fare,” aveva ripetuto, “Niente di più, niente di meno.”
Anche Zlatan, come l’Inter, non l’aveva scelto lui. Ed anche Zlatan, come l’Inter, era esploso. Lavorare fianco a fianco con lui, mentre l’Inter si arrabattava faticando fra una prova di forza e l’altra, gli aveva dato modo di osservare tutto, della sua persona. La sua forza, il suo orgoglio, la sua indomabile sicurezza. Zlatan e l’Inter erano simili, molto, troppo. L’unica cosa che li differenziava era il tipo di sorriso col quale accoglievano le avversità: Zlatan sorrideva cattivo, preparandosi ad affrontare qualunque cosa; l’Inter sorrideva placida, certa di potercela fare, abbandonandosi sensuale fra le braccia di entrambi, pronta a farsi sostenere.
Le loro quattro braccia bastavano, a sostenerla. Ma solo fino ad un certo punto.
“Non posso avere tutto, finché resto con voi,” gli aveva detto Zlatan durante un pigro pomeriggio estivo, appoggiandosi quasi stancamente contro di lui in uno sfoggio di intimità che non si era mai manifestato fuori dalle lenzuola che condividevano con l’Inter, “Io voglio tutto, Zay. E qui non posso prendermelo.”
“Non lo farai,” aveva cercato di fermarlo lui, senza guardarlo, troppo teso perfino per muoversi. “Non manderai tutto a puttane. Tu resterai.”
Zlatan aveva sorriso, allungandosi a baciarlo lievemente su una guancia.
“Non l’hai ancora capito, portoghese?” l’aveva preso in giro, ridendo appena, “Non puoi domarmi. Non sono quel tipo di persona.”
Era partito pochi mesi dopo. La Spagna, diceva, quello era il posto. Barcellona. Lì avrebbe potuto avere tutto. Quando l’aveva detto all’Inter, lei aveva sorriso tranquilla, come sempre. L’aveva rassicurato stringendogli una mano e poi s’era allungata a sfiorare la fronte di Zlatan con le labbra morbide e dolci, sciogliendo la tensione che aveva accumulato fino a quel momento in attesa della sua risposta.
“Ti auguro di essere felice,” gli aveva detto. Non aveva mai pianto. Neanche osservandolo salire sull’aereo.
Dopo Zlatan, non era arrivato nessun altro a frapporsi fra José e l’Inter. Ed era stato allora che lei era esplosa ancora, devastandogli il cervello. L’aveva osservata sorridere con rinnovata decisione, ricomporsi dal nulla, reinventarsi da zero, e tirare su le maniche fino al gomito. L’aveva vista correre a perdifiato da un lato all’altro del campo, colpita una, due, tre volte, ferita quasi fino a non potercela più fare. E rialzarsi sempre, ogni volta con lo stesso identico sorriso sul volto. Il sorriso di chi ha smesso di credere di potercela fare, il sorriso di chi sa che ce la farà.
L’aveva baciata in un freddo primo pomeriggio di fine febbraio, di fronte a un sacco di gente.
“Voglio che lo sappiano,” le aveva detto, nascondendo l’imbarazzo e stringendola con forza fra le braccia, “Voglio che lo sappiano tutti.” Lei aveva sorriso, un po’ incerta, ed aveva sollevato le braccia per allacciarlo al collo, lasciandosi cullare. “Non l’avevo mai fatto, prima d’ora,” aveva aggiunto lui, la voce vagamente tremula e lo sguardo fisso sul suo collo bianco e un po’ arrossato d’imbarazzo. “Non ti lascerò mai.”
“Non dirlo,” aveva risposto lei, allontanandosi appena per poterlo guardare negli occhi. Sorridevano le sue labbra, sorridevano gli occhi azzurri sotto le ciglia nere, curve e lunghe, insidiose come trappole, da perdercisi dentro. “Non voglio promesse. Le tue labbra mi bastano.”
José gliele aveva date ancora, stringendola con forza alla vita.
L’aveva vista crollare a terra sconfitta non più di qualche settimana dopo, sola in mezzo al campo. Le si era avvicinato con circospezione, quasi avesse paura di disturbare il suo cordoglio facendo troppo rumore. Si era accucciato al suo fianco, lei era rimasta per terra, fradicia di pioggia e sudore, ansante, distrutta, delusa. Non sorrideva più.
“Non posso farcela,” l’aveva sentita bisbigliare, la voce rotta. Le lacrime, sulle guance bagnate di pioggia, erano invisibili, ma ugualmente dolorose. “Non ce la posso fare, Zay. Non sono forte abbastanza. Non come credevi. È finita.”
José aveva lasciato scivolare la propria mano sulla sua, intrecciando le loro dita.
“Sarò forte anche per te,” le aveva risposto sicuro, “Ce la faremo insieme.” Lei aveva sollevato lo sguardo e l’aveva scrutato a lungo, senza cambiare espressione. Poi, la sua tristezza s’era sciolta in un sorriso più calmo. “Ti fidi?” le aveva chiesto lui, stringendo la presa sulle sue dita.
“Mi fido,” aveva risposto lei, annuendo decisa. S’era rialzata senza aiuto pochi secondi dopo. Senza neanche parlare, stava già cercando serenamente il biglietto per Londra.
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