Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Davide/Mario, José/Zlatan (accennato).
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash, Lime.
- Il campionato in tasca e Davide spalmato addosso. Praticamente una serata perfetta.
Note: L’ispirazione per scrivere questa fic è arrivata quando ho visto le foto dei festeggiamenti dei ragazzi subito dopo la conclusione del posticipo della *mumble* terzultima? giornata di campionato. Quando il Milan *ghigno* ci ha consegnato l’allegro scudetto nelle mani, i ragazzi sono letteralmente impazziti, sono montati sul bus e sono corsi in Piazza Duomo a festeggiare la vittoria coi loro tifosi, dandosi alla pazza gioia fino alle quattro del mattino e trascinandosi dietro pure un inizialmente riluttante Mourinho (che il giorno dopo è risorto dalle proprie lenzuola verso le undici e mezzo del mattino, tipo XD). Per cui è tutto tendenzialmente canonico, compreso il Jobra, l’OT3 (Matrix/Deki/Chivu, sono sempre insieme quei tre loschi figuri XD) e – soprattutto – il Santonelli. Bimbi miei, vi adoro <3
Dedicata alla Mela, perché è meravigliosa. *sbaciucchia*
PS. Il titolo è un verso della canzone We Break The Dawn di Michelle Williams. Biasimate Def per questo. Ma fatelo, eh. Io di mio non ci riesco più XD
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Holding Time In Our Own Hands


Scoccano le quattro del mattino e la testa di Davide ciondola in avanti e poi di lato, una, due, tre volte. La frangetta sbilenca gli casca sul naso e lo pizzica, lui prova a scostarla con un movimento infastidito e, ovviamente, non ci riesce, tanto che Mario, seduto lì accanto, ride e si china su di lui, risolvendo il problema al suo posto. La testa di Davide, per tutta risposta, ciondola un po’ indietro e poi dall’altro lato, andandosi a schiantare senza delicatezza contro la spalla di Mario, che sposta il braccio e lo piega attorno alle spalle del difensore, per trarlo a sé con  più decisione e rendere la posizione meno scomoda e precaria per entrambi.
Nessuno si accorge di loro – ed è anche giusto così: sono tutti impegnati a sventolare bandiere e fomentare l’entusiasmo della folla che circonda il bus. Perfino chi inizialmente sembrava più restio ad uscire per festeggiare – perfino il Mister, che minimo avrà urlato sulle loro teste per mezz’ora prima di rassegnarsi ed uscire con loro, e solo perché il presidente gli aveva alla fine tirato una pacca sulla spalle e, sorridendo, gli aveva suggerito di lasciarsi un po’ andare, “che le fa bene, José, ha un così bel sorriso, me lo faccia vedere!” – insomma, tutti quanti sono così presi dall’euforia per la conquista dello scudetto che nessuno, proprio nessuno, pensa a loro due, seduti sui sedili in quell’angolo sul fondo del bus, perciò Mario non si fa problemi a stringere Davide più fermamente, scivolando con la schiena contro il sedile e sistemandoselo sul petto, mentre lui mugugna solo un po’, chiedendo a sua madre di lasciarlo in pace, che tanto è ancora presto per alzarsi, e poi comunque oggi non ci deve andare a scuola, che hanno vinto il campionato.
Mario ride a bassa voce, scuotendo il capo, ed alla sua risata si sovrappone lo sbuffare tipico delle smorfie del Mister, motivo per il quale l’attaccante alza lo sguardo e lo pianta sulla figura dell’allenatore, che scruta sia lui che Davide disteso su di lui con un’espressione indecifrabile.
- I bambini – afferma quindi il portoghese, senza che Mario abbia bisogno di chiedergli niente, - a quest’ora dovrebbero già dormire.
- Quali bambini? – ride Zlatan, apparendo alle spalle dell’allenatore e sfiorandogli i fianchi in un movimento distratto che ormai in squadra hanno imparato tutti ad ignorare. La prima volta li hanno guardati con sincero sgomento, la seconda con curiosa sorpresa, la terza con malcelato divertimento e poi semplicemente quegli sguardi si sono sfumati nella normalità e nell’abitudine. Mario, quel gesto, lo nota appena. La testa di Davide si muove di poco sul suo petto e lui spera solo che il suo cuore non batta tanto forte da svegliarlo.
- Questi due. – risponde José, indicandoli, - Come vedi, il piccolo dorme.
Zlatan ride ancora. È un po’ ubriaco ed i suoi lineamenti – in genere volgari e sgraziati – grazie a quel sorriso perenne acquistano una simpatia ed una piacevolezza tutte particolari. Mario ricambia la risata e stringe ancora Davide.
- Il grande però è ancora in piedi. – contesta lo svedese. José sbuffa e torna verso il bordo del bus, borbottando un “come preferisci” al quale Zlatan non ha voglia di rispondere, preferendo piuttosto restare fermo a guardare lui e Davide, ancora stretti in quel ridicolo abbraccio. – Odio ammetterlo, - sbuffa poi, - ma ha ragione. Davide stava già crollando di sonno prima che tu arrivassi. È che è-
- Un cretino ed è voluto uscire lo stesso. – completa per lui Mario, guardando distrattamente il capo di Davide muoversi appena al ritmo dei suoi respiri. – Forse sarebbe il caso di metterlo a letto. Domani non riusciremo mai a svegliarci in tempo.
Zlatan ghigna e lancia attorno a sé uno sguardo divertito, adocchiando José che gesticola animatamente mentre discute con Beppe. L’altro uomo ride e gli posa entrambe le mani sulle spalle, cercando di placarlo. “Sì, sì,” lo si sente dire in un sussurro sotto le urla dei tifosi e dei giocatori, “ora te li riportiamo a casa i cuccioli, José”. Zlatan e Mario lo osservano allontanarsi stizzito, e se lo conoscono abbastanza bene – e sì, è così – il borbottio costante che gli scuote le labbra suona più o meno come un infastidito “qui nessuno mi prende abbastanza sul serio”. Zlatan scuote il capo e si allontana verso di lui, senza nemmeno salutare. Mario non se la prende, al momento è felice, Davide gli pesa addosso in maniera deliziosa e lui non può davvero lamentarsi di nulla. Non ha nemmeno sonno.
Davide mugugna da qualche parte sul suo petto.
- Odori di champagne. – mugola fra le labbra.
Mario ride. È vero, gli hanno fatto praticamente la doccia, quando è arrivato alla Pinetina – dopo la fine della partita, sempre, perché lui porta sfiga, quando vuole che una squadra perda quella vince sempre, perciò nemmeno c’ha pensato a guardarla, la dannata partita del Milan, ha mangiato a casa, con suo padre, sua madre e i suoi fratelli, e del campionato se n’è strafregato. Almeno finché non ha scoperto di averlo vinto.
- Sei sveglio? – chiede a mezza voce.
Davide mugola ancora.
- No. – risponde sospirando, - Dove siamo?
Mario ride.
- Se aprissi gli occhi lo vedresti.
- Non sono sicuro di volerlo fare… - ammette Davide in un brontolio infantile, - Sto bene così.
Mario lascia scivolare una carezza distratta fra i suoi capelli, stringendoselo contro.
- Dovremo tornare in Pinetina, comunque. Prima o poi.
Davide mugola scontento e il “prima o poi” diventa “adesso” quando il bus comincia ad allontanarsi dai residui di folla festanti in Piazza Duomo. I giocatori si calmano quasi tutti, Deki sta ronfando saporitamente svaccato sulle gambe di Marco, il quale a propria volta si è spalmato addosso a Chivu, che gli accarezza la parrucca riccia nerazzurra con una certa devozione, ma ha gli occhi che riflettono un imminente coma alcolico. Perciò Mario non se ne interessa troppo, lascia solo scivolare appena lo sguardo sul Mister che trascina Zlatan in un mezzo bacio tenero, e poi torna a guardare Davide, ancora steso su di lui, che sorride sereno – gli occhi chiusi e i lineamenti di stesi – mentre il venticello fresco della prima mattina milanese gli scompiglia i capelli.
Quando l’autobus si ferma di fronte all’ingresso della Pinetina, molti dei supposti uomini maturi che si sono sfondati d’alcool fino a quell’orario indecente hanno bisogno di più mani per riuscire a scendere dalla vettura, risalire le scale ed infilarsi a letto. Davide no, Davide ha bisogno solo di Mario. L’attaccante si lascia passare un braccio del compagno sopra le spalle e lo sostiene stringendolo alla vita, mentre Davide gli si spalma addosso, strofinando il naso contro il suo collo.
- Non farti la doccia. – chiede il più piccolo, leccando dalla sua pelle ciò che resta dello champagne che gli hanno versato addosso a inizio serata, - Sai di vittoria.
- Sei ubriaco. – ride Mario, spalancando con un calcio la porta della camera che dividono, e trascinando Davide all’interno.
- Solo un po’. – risponde il ragazzo, lasciandosi stendere sul letto senza protestare. – Tu per niente? – chiede poi, in un mezzo mugolio confuso.
- Lo reggo bene. – si limita a scrollare le spalle Mario, rimboccandogli le coperte, - Adesso dormi. Domani abbiamo partita e-
- Mario. – lo chiama piano Davide, tirando fuori un braccio magro da sotto le coperte ed allacciandolo al collo, - Non ho sonno per niente, sai?
- Ma se mi dormivi addosso fino a poco fa… - ride il ragazzo, lasciando scorrere una mano lungo quel braccio e fino alla spalla, accarezzandolo piano.
- Appunto. – Davide lo afferra per il colletto della maglia, tirandolo sul materasso con tanta forza che Mario non riesce ad impedirglielo, e pensa distrattamente che probabilmente è vero, Davide non dormiva affatto ed è solo vagamente ubriaco, altrimenti quella forza non si spiega, non si spiega quell’urgenza neanche a tratti mitigata dal sonno o dal torpore e non si spiega la lucidissima fame con la quale il ragazzo gli morde le labbra, spalancando le gambe perché lui possa finirci in mezzo e cominciando a strusciarsi lento contro la sua erezione evidente anche attraverso il tessuto spesso e ruvido dei jeans.
- Non riusciremo mai a svegliarci in tempo… - ironizza Mario, liberando se stesso e Davide dall’impaccio dei vestiti inutili, per scivolare meglio contro di lui, pelle su pelle, - Il Mister ci aizzerà contro Zlatan.
- Mmhn… - borbotta Davide, schiacciandosi repentinamente contro di lui, - Potremmo parlarne in un momento in cui… in cui… - gli morde il mento, affamato, - In cui non stia impazzendo per sentirti dentro?
E la risposta è sì, naturalmente. La risposta è sì, possiamo parlarne quando vuoi, Davide, possiamo anche non parlarne mai, cosa vuoi che me ne freghi se ti stringi contro di me in quel modo, se mi baci ovunque in quel modo, se cerchi le mie labbra in quel modo, se tutto ciò che voglio è sentirti mentre ti chiudi attorno a me con quella forza, con quell’impeto, con quel desiderio, e chi se ne frega del Mister, chi se ne frega di Zlatan, chi se ne frega perfino del campionato, che tanto lo scudetto è nostro, piccolo, ci credi?, l’abbiamo vinto noi, cazzo, e tu sei bellissimo, sei bello come mai prima, perché ti muovi così e mi prendi così e ti giri così e mi baci così ed a me, quando lo fai, non frega più un cazzo di niente, Davide, davvero, che potrebbe crollarmi il tetto sulla testa e continuerei a scoparti comunque, perché tu sei troppo, perché tu sei tutto, e vaffanculo, quanto divento melenso quando ti tocco, mh, piccolo?, e senti come mugoli, senti come mi vieni incontro, senti come gemi e come ti agiti e senti come tremi mentre mi vieni fra le mani chiamandomi per  nome, e non lo sai nemmeno quanto sei bello, Davide, non lo sai quanto siamo belli, non ne hai idea, cazzo, non vedo l’ora di andare in nazionale – perché ci prendono insieme, mh, piccolo?, sì che ci prendono insieme – così saremo noi due, solo noi due, niente rotture di palle, nessuno con la chiave della stanza, nessuno che voglia uscire con noi alla sera, niente di niente, solo io e tu, Davide, e sarà fantastico, cazzo, sarà fantastico.
Uscire da lui è un po’ come riprendere conoscenza dopo un periodo indefinito – e indefinitamente piacevole – di totale annullamento di se stesso. Un po’ come quando gioca alla Playstation – per quanto, cazzo, Davide sia almeno uno o due milioni di volte meglio della Playstation – e lo fa con tanta concentrazione che, quando riesce finalmente a distrarsi – solitamente perché vince – si accorge che sono passate le ore, da quando s’è seduto. E con Davide è uguale, ma è anche diverso, perché con Davide il tempo non passa davvero. Quando scopano può passare quanto, mezz’ora? Ma quando Mario riprende conoscenza è sempre come ne fossero passate cinque, dieci, centomila. Davide prende il tempo e lo spazio, li comprime e glieli sbatte addosso, per lui scopare con Davide è come drogarsi della vita stessa. Anzi, è vita stessa.
Chiude gli occhi, poggiando la fronte contro la sua e respirando piano dalle sue stesse labbra, che lo sfiorano appena, giocando più che baciandolo davvero, conciliandogli il sonno. Sa che questo è il momento in cui dovrebbe dirgli che forse è meglio se va a dormire nel suo letto, perché – a differenza di quanto potranno dire quando e se saranno in nazionale insieme – adesso le chiavi di camera loro ce le ha almeno un’altra persona, e Mario non è neanche sicuro di aver chiuso la serratura, e in realtà non ricorda nemmeno se ha proprio chiuso la porta o meno, ma non può dirlo adesso. Perché Davide già dorme, stretto a lui, le gambe intrecciate con le sue, e se anche andare a dormire nel proprio letto fosse una possibilità lui non potrebbe rinunciare a questo calore per niente al mondo. Perciò se ne frega di ciò che sarebbe giusto ed anche di ciò che sarebbe conveniente e, a dirla tutta, se ne frega anche dei rimproveri che sicuramente gli pioveranno in testa domani mattina. È okay. Non potrebbe essere, davvero, più felice di così.
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