Genere: Introspettivo, Drammatico.
Pairing: Bill/Bushido.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Angst, Rape, Slash.
- "Mamma… posso dirtelo che sono felice? Secondo te è abbastanza per dire di stare bene?"
Note: Storia ispirata ad una splendida poesia di Emily Dickinson, che ho letto perché partecipante a questo concorso indetto da Harriet sul suo LJ. Non avrei mai letto la poesia, non fosse stato per il contest, quindi sono contenta di averlo letto XD E andate a leggerla anche voi, pure se non è che vi serva per la comprensione della storia in sé. È la storia in sé che, temo, non è granché comprensibile XD Spero lo sia e spero faccia male a voi leggerla quanto male ha fatto a me scriverla ;_; Billi ;_;
Devo dire che in genere io le storie così non le apprezzo per niente. La maggior parte della gente che ne scrive, non sa come farlo e si esibisce spesso in clamorosi buchi nell’acqua. Spero non lo sia anche questa, ma non vi assicuro niente, dal momento che non ho mai scritto niente di simile XD
Ultime due precisazioni. Primo: scrivere questa shot mi ha fatto venire voglia di scrivere una long di cui questo sia praticamente il prequel. Quindi è anche probabile che prima o poi la vediate su questi schermi XD Secondo: il titolo della storia è rubato all’omonima – e bellissima – canzone degli Strokes.
Grazie per aver letto e arrivederci :)
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HEART IN A CAGE

Specchio entra sempre per primo, perché visto che mi somiglia tanto gli altri magari credono che poi loro mi faranno meno paura, quando entreranno. Ma io non ho paura per niente, sai mamma?, io non ho paura per niente perché ormai sono un sacco abituato a loro che vanno e vengono dalla stanza, e sorrido a tutti, anche perché sono sempre gentili con me – ma sempre sempre – e poi non mi hanno mai fatto niente di male, lo sai?, quindi non ho per niente paura. Però loro sono convinti che io abbia paura, infatti sono sempre un sacco timorosi, sai che mi toccano a stento, mamma?, non lo so mica perché, io sono un sacco forte, non mi servono queste delicatezze, però a loro non posso dirlo, poverini, fanno tanta strada per venire dal loro mondo fino nel mio, solo per vedermi, quindi non li posso rimproverare, lo capisci, mamma?, non posso proprio.
Che poi secondo me Specchio me l’hanno pure costruito in laboratorio, sai mamma?, apposta per me. Perché mi assomiglia veramente tantissimo, tipo che è uguale, tipo che se ricalco i suoi lineamenti coi miei siamo la stessa persona, tipo che abbiamo lo stesso odore, la stessa forma, tipo che se lo tocco su un braccio lui ha il mio stesso calore – ma proprio uguale, mamma, è una cosa stranissima! – tipo che se lo guardo negli occhi non c’è solo il mio stesso colore, ci sono proprio io. Tipo che lo sento – mi crepita sulla pelle come una scintilla – lo sento che siamo proprio identici. A volte guardo Specchio e mi chiedo – ma non è che mi hanno rubato qualcosa una notte che dormivo e l’hanno plasmato proprio da un pezzo di me? Perché quando Specchio va via, sai mamma, mi sembra un po’ che stia andando via con lui una parte del mio corpo. E fa un po’ male. E poi torna tutto a posto quando Specchio ritorna. Per questo dico che forse l’hanno creato in laboratorio apposta. Ma è una cosa stupida, vero?, vero mamma?, i fantasmi non si fanno in laboratorio, i fantasmi sono fantasmi e basta. Magari Specchio è il mio fantasma, magari io sono morto. Magari sono io il suo fantasma, visto che Specchio è un sacco luminoso e io invece sono un sacco spento.
Papà, quando viene a trovarmi, mi dice sempre che Specchio ha pianto un po’. Lo chiama con un nome che non conosco, non lo chiama Specchio, ma d’altronde anche quando io lo chiamo papà lui scuote il capo e mi risponde che no, non si chiama papà, non è papà, non è papà, Bill, papà è a casa, è venuto a trovarti la settimana scorsa, lo ricordi, Bill?, non lo ricordo no, sei tu papà, perché non ti fai chiamare papà?, io non mi chiamo Bill, io non ce l’ho un nome. Papà non mi vuole bene, non si lascia chiamare papà e non mi ha nemmeno battezzato. Non è giusto chiamarmi in quel modo, quello non è il mio nome. Mamma, neanche tu dovresti chiamarmi Bill. Nessuno dovrebbe chiamarmi Bill. Bill non esiste.
Comunque, anche quando papà mi dice che Specchio ha pianto, mi dice sempre anche che non devo sentirmi in colpa, non è colpa mia se Specchio piange. Specchio non dovrebbe mai piangere, comunque, è troppo bello per piangere. Io preferirei che non piangesse. Però non posso farci niente. Anche se papà mi dice che il modo per farlo smettere di piangere è stare meglio. Ma io sto bene, mamma, diglielo anche tu, com’è che non lo vedete? Sono perfettamente guarito, non ho più male da nessuna parte, non c’è più sangue, sono di nuovo pulito. Però non posso uscire, è l’unico problema, non posso uscire perché non riesco a camminare. Quando ci riuscirò uscirò, papà e mamma, è una promessa, quindi dite a Specchio che la smetta di piangere, per favore, tutto a suo tempo, mi rimetterò in piedi, piano piano. Piano piano, però. Piano piano.
E poi c’è Amore. Quando Amore entra nella stanza io sorrido senza sforzarmi. Amore sono quasi certo che non si chiami proprio Amore, ma io non riesco a ricordare il suo nome, ed è l’unica cosa che mi fa male. Sono sicuro che lui c’era da prima, non viene a trovarmi da adesso, lui c’era da prima che entrassi qua dentro. E non riesco a ricordare come si chiama. E lui ogni tanto me lo chiede, mi chiede se lo so come si chiama, lo sai come mi chiamo, Amore?, e io non me lo ricordo e scuoto il capo, ma lo chiamo Amore perché lui chiama Amore me, ed è così che voglio chiamarlo, anche se il suo sorriso, quando lo chiamo così, è un sacco triste.
Amore ha dei colori bellissimi. È colorato come il caramello, anche se non ha lo stesso sapore. E ha gli occhi come il cioccolato e i capelli come l’ebano, e le mani grandi, le mani grandi e forti, ed è l’unico che mi tocca tantissimo, mi tocca fino a darmi fastidio, però è un fastidio a cui non riesco a rinunciare, sai mamma? Lo so, mamma, lo so che queste cose non si fanno, lo so che sono cose sporche, lo so che non dovrei lasciarmi baciare da lui, lo so che non dovrebbe toccarmi. Lo sa anche lui, mamma, te lo giuro, si ferma sempre prima di andare troppo oltre, è buono, le sa queste cose, non mi farebbe mai del male. Te lo giuro, mamma, mi bacia e mi accarezza soltanto. Lo so che secondo te è sbagliato, ma ti prego, non dirgli più di smetterla, io ne ho bisogno, mi piace tantissimo.
Amore poi porta sempre un sacco di gente strana, mi viene tanto da ridere quando arrivano. È che sono tanti tantissimi, non è che ho un nome per tutti, però le loro facce, quelle sì, quelle le conservo tutte, sono tutti divertenti. Lui sembra un re, quando viene con quelle persone, perché loro sembrano la sua corte. È così bello il mio Amore quando me li presenta, te li ricordi loro? Questo è… questo è… non mi ricordo i nomi, mi dispiace, mi dispiace signore tondo con gli occhi verdi, mi dispiace signore strambo coi baffetti, mi dispiace ragazzo abbronzato che assomiglia a un porcellino, io vi voglio un sacco bene, lo so, lo sento, però non mi riesce di ricordare come vi chiamate, perdonatemi.
E poi arriva il momento che Amore dice ai ragazzi che è ora di andare, ed io comincio a rabbrividire e non sto più nella pelle, perché quando i ragazzi vanno Amore si avvicina. E mi sfiora le spalle, con le sue mani grandi, ed io piego il capo e lui mi bacia sul collo e poi si siede al mio fianco. E io gli scivolo addosso e mi strofino contro il suo corpo, che è caldo e forte, e sento che mi manca anche se non ricordo di essere mai stato con lui – Amore, mi perdoni se non me lo ricordo? Perché devo ricordarmi solo cose tristissime quando penso a cose come questa? Perché non ricordo le tue mani, perché ricordo solo quelle di un’altra persona? Non voglio ricordare, Amore, chiudimi gli occhi, tappami le orecchie, serrami le labbra, e Amore lo fa, Amore è bravissimo, Amore mi stringe, ti amo, Amore, e lui mi dice di non dirlo. Non dirlo, Amore, me lo dirai quando starai meglio. Amore, sto bene. Posso dirtelo. Amore, ti amo, ti amo tantissimo.
Poi Amore va via ed arrivi tu, mamma. Mamma… posso dirtelo che sono felice? Secondo te è abbastanza per dire di stare bene? Sento la testa tanto leggera. Posso andare a casa con Amore? Magari Specchio smetterebbe di piangere. Pensi che papà sarebbe d’accordo? Perché tu non lo sei, mamma? Io sono felice. Non lo vedi che sono felice? Sto piangendo di gioia. Sto piangendo di gioia, non lo vedi? È gioia, vero? Ho la testa vuota e il cuore pienissimo, mamma. È gioia, vero? È gioia?
Non dirmi che non lo sai, mamma. A me sembra gioia. Io voglio credere che lo sia, ti dispiace?
Comunque d’accordo. È okay. Sto bene, comunque. Le caramelle?


*

- Non abbiamo rilevato dei miglioramenti veri e propri, nell’ultimo mese di terapia. Ma siamo sicuri che sia solo una questione di tempo. Ai farmaci reagisce bene, l’umore è ottimo, non presenta più cambiamenti eccessivamente repentini. Suppongo che-
- Dovrei poterlo portare a casa.
- …no, signor Ferchichi. È ancora presto.
- È un fottuto anno che-
- Anis, per favore.
- No, Tom, Anis il cazzo, è-
- Signor Ferchichi, devo ricordarle che siamo in un ospedale?
- …
- Quando pensa che potremmo portarlo via, dottoressa?
- Non saprei dirle, signor Jost. Come cercavo di dire prima, suppongo che dovremo semplicemente avere pazienza.
- Io non ne ho.
- Anis.
- Io non ne ho. Lo porterò fuori di qui, dottoressa. Ragazzi, andiamo.

*

Amore va via, dietro di lui ci sono i ragazzi, c’è papà, c’è anche Specchio. Li saluto dalla finestra muovendo la mano, e loro mi sorridono tutti. Che belli che sono. Tornate domani? A domani. Buonanotte.
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