Shot appartenente alla serie Schmetterlingseffekt, scritta con Tabata.
Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Bill/Chakuza, Fler/Chakuza.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Angst, Lime, Slash.
- "Alla fine della giornata, qualsiasi sia la cazzo di macchina coinvolta, qualsiasi cosa sia successa durante il giorno, se è stata una giornata di merda c’è sempre Fler al mio fianco sul sedile."
Note: Provo dell’amore profondo, per questa shot *-* Per due motivi molto semplici. Primo fra tutti, il fatto che io voglio molto bene a Chakuza in questo periodo di questa serie. È un uomo che s’è comportato bene, s’è comportato alla perfezione per tutti gli ultimi nove mesi della sua esistenza. E conoscendolo, sapendo che Chakuza in sé è un uomo portato a fare danni, so che deve essergli costato tantissimo stare tranquillo e non combinare casini per non fare soffrire Bill. E invece niente, torna Bushido – che è una cosa sulla quale Chakuza non ha il minimo controllo e per la quale non ha la minima colpa – e Bill gli si getta fra le braccia. E per quanto io possa adorare il legame assurdo e inesplicabile che c’è fra Bill e Bushido, e per quanto comprenda che è quel legame a motivare (non giustificare: ciò che fa Bill in Crash Into Me non è assolutamente giustificabile) ciò che succede in quella shot, mi dispiace un casino per il Chaku che s’è visto crollare il mondo addosso senza poter fare niente per cercare di fermare la frana. È una cosa tremenda ._. Poi, ok, mi si potrebbe obiettare “eh, sì, ma intanto da un paio di settimane il Chaku stava facendo allegramente il cretino con Fler”. E io potrei dire “sì, vero”. Ma poi dovrei anche partire con uno sproloquio immenso su ciò che penso del Flerkuza, e non ne usciremmo prima di una quantità esagerata di pagine XD Perciò ve lo risparmio. E dico solamente che sì, Chakuza probabilmente ha delle colpe non irrilevanti, ripensando alle ultime settimane della sua vita. Ma di Bill è innamorato davvero, e ciò che Bill gli combina il Chaku non lo merita per niente. Poi, insomma, libere di pensare come volete XD Così la penso io.
Il secondo motivo per cui amo questa shot è che il bimbo è bellissimo <3<3<3 L’amore folle che nutro per Fler è ormai cosa nota, e sebbene io lo trovi delizioso ed adorabile soprattutto quando si arrende al Chaku, devo dire che ho provato dell’orgoglio per lui mentre lo osservavo dirgli no e costringerlo con le buone a mettere da parte i cattivi propositi. Forza bimbo, siamo tutti dalla tua parte, sappiamo che puoi farcela a staccarti dal nano malefico e riprendere la tua esistenza ç_ç! XD
Spero abbiate gradito anche voi <3 A lunedì col prossimo aggiornamento *_*v
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HASS

La prima cosa che ha fatto Fler quando Jost ci ha detto che forse era meglio lasciare Bill e Bushido da soli per un po’, è stata poggiarmi una mano sulla spalla. Il primo pensiero che è saltato fuori dalla nebbia confusa che avevo al posto del cervello in quel momento, è stato “fottiti, non mi serve la tua cazzo di mano sulla spalla, il mio ragazzo sta baciando il suo ex qui di fronte a me, come se io neanche esistessi più. Cazzo vuoi che mi serva la tua mano?”.
Ho capito poi che, in quel momento, lui la mano lì sopra l’ha messa non per consolarmi, ma per trattenermi. Questo perché Fler lo conosce bene, il mio corpo. Lo legge alla perfezione, ed anche in un tempo brevissimo. Perciò si è accorto della tensione nei miei muscoli e dello scatto in avanti che ho fatto, e l’ha fermato prima ancora che potessi realizzare coscientemente di aver desiderato quel movimento. In sostanza, non mi sono mosso di un millimetro. Ho realizzato che avrei voluto farlo solo dopo. E adesso ho in corpo una furia repressa che non riesco ad incanalare in nessun modo.
La mano di Fler, comunque, è ancora lì.
Mi volto appena e c’è Jost ancora nei paraggi della porta che s’è chiuso alle spalle. Sembra incerto fra la possibilità di andarsene e quella di restare.
- Quindi tu lo sapevi. – sibilo guardandolo, gli occhi ridotti a due fessure, - Ci hai presi tutti per il culo. Per tutto questo tempo.
I suoi occhi sfidano i miei. Sono azzurri ma non tanto azzurri. Fler mi ha abituato a sguardi ben più pesanti. Jost non ha possibilità di competere, perciò reggo tranquillamente la tensione dello scontro. La mano è lì e non si sposta.
- Ho fatto il mio lavoro.
- Il tuo lavoro – urlo, stringendo i pugni, - dovrebbe essere prenderti cura di Bill!
- Il mio lavoro – risponde lui, gelido, - è stato prendermi cura della situazione perché non degenerasse.
Ghigno ironico.
- Bel lavoro hai fatto. Questa ti sembra una situazione non degenerata?!
Esita per un attimo, probabilmente perché lo sa, cazzo, se ne rende conto che è vero, ho ragione io, questa situazione è degenerata sì. Eccome se è degenerata. Siamo in un fottuto casino. E se Bill ha spento il cervello e magari al momento non l’ha ancora realizzato, la stessa cosa non si può dire di noi tre. Che stiamo qui a dare aria alla bocca – David davanti alla porta, neanche stesse facendo la guardia, io immediatamente di fronte a lui e Fler poco dietro di me, la mano sempre lì – e siamo in assoluto le persone che l’entità di questo casino indescrivibile la capiscono meglio.
- Non sono affari tuoi. – risponde infine, rilassando disinvoltamente le spalle. – Io non rispondo a te.
- Risponderai a Bill. – gli faccio notare, ringhiando sottovoce. Lui annuisce.
- Sì. Appena porrà le domande, risponderò a lui. Fino ad allora, io rispondo solo a Bushido.
E io, cazzo, li odio. Odio lui, odio Bushido, odio Bill ed odio anche la fottuta mano di Fler. Odio chiunque non si senta come mi sento io in questo momento. Ed odio anche quelli che ci si sentono. Perché la rabbia mi sta divorando e mi sembra di essere l’unico che abbia il diritto di perdercisi.
Grugnisco frustrato, voltandomi di scatto. La mano di Fler e la mia spalla perdono contatto per un secondo netto. Il tempo di girarmi. Poi è di nuovo lì.
- E mollami, Cristo. – chiedo burbero, lanciandogli un’occhiataccia irritata.
Lui scuote il capo.
- Ti dà fastidio? – chiede, indicando la mano con un cenno del capo.
Io sbuffo.
- Non particolarmente.
- E allora resta lì dov’è. – conclude serio, - Almeno finché non la pianti di voler sfondare la porta a calci.
- Non voglio niente del genere. – nego, distogliendo lo sguardo.
Fler sorride. Non lo vedo ma lo sento nell’aria.
- Come preferisci. – risponde. E la mano non si sposta.
Resta lì mentre mi chiede se voglio andarmene. La risposta è “no”, ma annuisco. Perché è meglio che Fler mi porti via. Resta lì anche mentre scendiamo le scale verso il piano di sotto, oltrepassiamo la porta, il vialetto e il cancello, e ci infiliamo in macchina. Eravamo in tre, in questa macchina, quando siamo arrivati. Tutto mi aspettavo meno di trovarci Fler, qui da Bushido. O meglio, un po’ me l’aspettavo, ma evitavo di pensarci. Comunque era qui. In macchina c’eravamo io, Bill e Jost. Adesso ci siamo io e Fler. Alla fine della giornata, qualsiasi sia la cazzo di macchina coinvolta, qualsiasi cosa sia successa durante il giorno, se è stata una giornata di merda c’è sempre Fler al mio fianco sul sedile. Sempre lui. E la mano non si sposta. È scomparsa solo mentre ci mettevamo seduti. È di nuovo lì, adesso.
Rilasso la schiena contro il sedile e sospiro profondamente, gettando indietro il capo e chiudendo gli occhi. Sono furioso. Non serve a niente che faccia la sceneggiata dell’uomo triste ma tranquillo, Fler me lo sente addosso che non sono niente del genere. Non sono triste, sono furioso. Per niente tranquillo. Potessi, prenderei a mazzate un muro. Per il solo piacere di sentirmi dire “guarda che non puoi abbatterlo” ed abbatterlo comunque, fottuto mattone dopo fottuto mattone.
Un po’ mi dispiace che ci sia Fler in giro mentre sto così. Fler non ha molta fortuna. Almeno non con me. Finisce sempre che mi gira intorno quando ho voglia di devastare qualcosa. Non voglio finire di nuovo a devastare lui.
La mano di Patrick si stringe attorno alla mia spalla, massaggia un po’ i muscoli contratti – le dita bene aperte, il palmo aderente al tessuto della mia maglietta – e poi si ferma.
- Chaku, andiamo un po’ a casa tua, ti va? – e lo dice con un tono dolce che gli ho già sentito usare, qualche volta. Quelle volte in cui io e lui continuavamo a stare bene l’uno con l’altro anche quando non stavamo scopando, per esempio. Fler non ha una voce cattiva, ha una voce che può diventare tremenda se è gelida e furente, ma a livello base, quando è di buon umore, quando la ammorbidisce coi toni dolci, quando sorride, non è cattiva affatto. È piacevole.
Lo guardo, gli occhi socchiusi, e lui per qualche motivo arrossisce.
- Vuoi venire da me? – glielo chiedo non perché sono uno stronzo, ma perché voglio essere sicuro di aver capito bene. “Venire da me” non è mai stato privo di conseguenze, fra me e Fler. Ha sempre significato una cosa ben precisa. Stranamente, non mi sento in colpa nei confronti di Bill, a pensarlo adesso. Sarà perché so perfettamente cosa sta succedendo dietro la porta cui Jost sta facendo la guardia.
Fler spalanca gli occhi e, invece di ritrarsi come sarebbe ovvio, buono e giusto, stringe di più la presa.
- Peter… - mi dà i brividi che mi chiami per nome. Ultimamente, questo nome l’ha usato quasi solo Bill. Mi piace sentirlo su labbra non sue, da una voce non sua. Per una volta, cazzo, voglio che le prossime ore siano differenti dagli ultimi mesi della mia vita. C’è stato solo Bill nella mia vita, per nove fottuti mesi. Ciò che ho in cambio adesso è la sua bocca su quella di Bushido, le sue braccia attorno al suo collo e lui stretto al suo corpo come nel mondo intero non esistesse nient’altro. E allora no. Allora no, vaffanculo. Fa male. Non ci sto.
- Patrick. – lo chiamo a mia volta. Non distolgo lo sguardo e non mi muovo. La sua mano è ancora lì. Mi piace che sia ancora lì. Sono contento di non averlo scacciato.
È ridicolo, ci siamo appena chiamati per nome senza un perché.
- Forse è meglio se andiamo da qualche altra parte, invece di andare a casa tua.
- Forse è meglio se la smettiamo di nasconderci dietro un dito.
Fler arretra un po’. Solo qualche centimetro, poi si rende conto che è comunque seduto in macchina e non può certo attraversare lo sportello come fosse un fantasma. Si rende conto che per allontanarsi ancora dovrebbe per forza lasciarmi andare, voltarsi, tirare la maniglia, spingere ed uscire. Per qualche motivo che non comprendo – come al solito: non l’ho mai capito, io, perché Fler si ostinasse a restare – non si muove oltre. Resta lì. La mano trema appena, incerta.
- Peter, - continua a chiamarmi per nome, - io non ti sto mentendo. Mi manchi. Mi andrebbe. Ma non possiamo.
Mi muovo, accendendo la macchina ed ingranando la marcia, dirigendomi verso casa.
- Loro stanno potendo. Eccome. – ringhio, aggrottando le sopracciglia.
- Non sai se sta succedendo davvero. – dice lui, lasciando scivolare la mano lungo il mio fianco. Non può più tenerla lì dov’era ma non vuole interrompere il contatto. Comunque questo discorso potrebbe anche concludersi qui, perché io non gli ho neanche detto cosa penso e lui l’ha già capito. L’ha già capito perché anche lui l’ha pensato. E se lui l’ha pensato – e lui lo conosce bene, Bushido. E conosce bene anche Bill – allora sta succedendo. Cristo, io me lo sento nelle ossa, che sta succedendo. È una cosa così evidente e palese che mi sembra perfino ridicolo starne a discutere. – Non ti fidi?
- No. – sbotto senza neanche pensarci, - Non c’è scritto da nessuna parte che amare qualcuno significhi fidarsi di lui. Oltretutto, non mi pare che Bill mi abbia dato modo di fidarmi, negli ultimi dieci minuti. – mi fermo al semaforo, schiacciando la frizione con furia. – Magari, ok, glielo concedo, magari non scoperanno. Mi viene da ridere a pensarci, perché è una cosa ridicola, tu lo sai ed io lo so che scoperanno, ma ammettiamo per un istante che non lo facciano. In ogni caso, appena l’ha visto gli è saltato fra le braccia. Classica scena epica, ci aveva abituati tutti così, giusto?, Bushido gli si è inginocchiato di fronte, gli ha fatto il baciamano, “ciao, principessa”, e il secondo dopo eccolo che gli si scioglie addosso. A questo punto, scusa la franchezza, me ne sbatto il cazzo se scoperanno o meno. Mi sembra di avere già motivi a sufficienza per essere incazzato.
Non ribatte – ovviamente non ne ha il coraggio: ‘cazzo puoi ribattere se uno ha ragione? – perciò è così che restiamo – in silenzio, io mani sul volante, lui mano sul mio fianco – finché non arriviamo a casa mia. Non gli chiedo se vuole salire, a questo punto o sale con le sue gambe o lo trascino su io per il cappuccio della felpa.
Fortunatamente sceglie le proprie gambe. Io non so dove trovo la forza, la decenza e la presenza di spirito per non saltargli addosso appena ci chiudiamo la porta alle spalle. Fatto sta che, malgrado io non mi senta né forte né armato di decenza né tantomeno presente – allo spirito, a me stesso o a chicchessia – decido di prendermela comoda. Fler è qui, non penso intenda scappare ed al momento, se gli metto le mani addosso, mi sfogo. Non voglio sfogarmi. Non mi piace sfogarmi su di lui. Se dev’esserci qualcosa, oggi, non sarò io che gli faccio male. Non è questo che voglio. Lui è gentile a restare. Non se lo merita.
Comunque è nervoso. Lo vedo dal modo in cui cammina e si muove per l’appartamento, tirando su da terra le cose che incontra al proprio passaggio e continuando a lanciare occhiate incerte al frigorifero.
- Magari ci prendiamo qualcosa da bere? – biascica, indicandolo da qualche metro di distanza.
Scrollo le spalle.
- Non funziona. Non aprirlo. Ne viene fuori un odore nauseante. Non ti ci avvicinare nemmeno, fidati, è meglio. – e così dicendo, visto che non ho niente di meglio da fare, sfilo il cappellino e la felpa, restando in maglietta e pantaloni. Fler deglutisce.
- Potremmo provare ad aggiustarlo. – suggerisce a bassa voce, distogliendo lo sguardo.
Tolgo anche la maglia. Non intendo dirglielo ad alta voce. Non intendo dire ad alta voce che scoperò con qualcun altro che non sia Bill. Però voglio farlo. Voglio farlo ma non voglio dirlo, perché me ne vergogno. Mi torna in mente Fler che mi dice “mai vergognarsi delle proprie azioni, è da sfigati e noi non lo siamo”. Mi sa che sbagliavi, Pat. Sbagliavi alla grande.
- Sei un elettricista, per caso?
- No, ma so-
- Non mi interessa. – sfibbio il primo bottone dei jeans, - Non ti ho chiesto aiuto per sistemare il fottuto frigo.
Fler si inumidisce le labbra e resta in silenzio per qualche secondo. E poi indietreggia. Cristo, mi viene quasi da ridere. Indietreggia! Neanche lo stessi minacciando di pestarlo o chissà che. Cazzo. Si tratta di una scopata, cazzo. Ne abbiamo a decine in memoria, è una cosa quasi logica. A toccarsi solo un po’, andiamo avanti senza nemmeno rendercene conto. Lo so. Lo so che sarebbe così. Dovrebbe solo lasciarsi toccare, Cristo santo, e dopo sarebbe tutto normalissimo e naturalissimo. Dovrebbe concedermi solo questo.
- Patrick. – lo chiamo. Non so perché mi ostino ad usare il suo nome di battesimo. Sarà che oggi è strano. Se uso un nome che non uso spesso, posso fingere che non sia lui, posso fingere di non stare distruggendo qualcosa di bello che c’è nella mia vita per la frustrazione di una sera.
Fler mi ha detto no più volte di quante io riesca a contare. Mi ha detto una quantità sconcertante di no prima che mi mettessi con Bill ed ha ripreso a dirmi no quando io ho ripreso a mettergli le mani addosso. Posso tranquillamente dire che, da quando è morto Saad, le mie uniche costanti immancabili sono state Fler e i suoi no. Adesso, solo perché sono incazzato con Bill, le sto calpestando entrambe. E non mi va di farlo a Fler, perciò lo faccio a Patrick.
Lui mi guarda. È fantastico che non riesca a staccarmi gli occhi di dosso. Non posso dire che avessi dimenticato che era questo, l’effetto che facevo a Fler, perché in realtà non ho mai smesso di leggergliela negli occhi, la voglia. Così come lui non ha dimenticato come si fa a leggerla nei miei, suppongo. Ecco perché se n’è uscito con la questione dell’andare via. Perché ha visto la voglia tornare ed ha avuto paura di combinare qualche danno.
A me, in questo preciso momento, non frega più un cazzo. A non combinare danni per nove mesi, non ho guadagnato niente. La principessa mi perdonerà se, per qualche ora, la mando a fanculo, visto che lei lo sta facendo in favore di un re che dovrebbe – cazzo – essere morto.
Perciò niente, mi avvicino ancora e sfibbio un altro bottone. Fler indietreggia di un altro passo e trova il muro. Mi fissa con sgomento, quando solleva gli occhi su di me e mi trova a ghignare.
- Sei un tantino arrivato alla parete. – gli faccio notare con un mezzo sorriso.
Lui stringe le labbra, prima di parlare.
- Mi dai i brividi. – dice. E lo so. Do i brividi anche a me stesso. – Non voglio, Chaku.
- Peter.
- Chaku.
Scrollo le spalle e sfibbio l’ultimo bottone.
- Come vuoi. – faccio un altro passo verso di lui e siamo distanti appena un paio di centimetri. Sta schiacciato contro il muro, tanto è il bisogno che ha di non toccarmi. – Fler. Visto che ci tieni.
- Per favore. – chiede, ed a me viene ancora voglia di ridere. Potrebbe stendermi a cazzotti, se solo volesse. Potrebbe mandarmi a sbattere contro la parete opposta con uno spintone. Potrebbe rimettermi a posto in due minuti, non gli costerebbe nemmeno della vera fatica. Ma non lo fa. È debole, contro di me, ha una soglia di resa bassissima. Non so se questa consapevolezza, in questo momento, mi esalta o mi diverte di più. – Smettila.
- No. – dico seccamente, - Mi sono rotto i coglioni di smetterla. – lo afferro per i fianchi, tirandomelo contro. Impatto, scariche elettriche. Come sempre. Questo non cambia mai, Fler, come fai a non sentirlo?
- Chakuza! – mi chiama, più deciso, e fa il grave, gravissimo errore di posarmi le mani sul petto per cercare di spingermi via. Lo fa con una convinzione tutta particolare. Quella che sembra vera solo a guardarla dall’esterno. Perché io che mi sento le sue mani addosso non l’avverto per niente. E mentre mi tocca se ne accorge anche lui, che non mi sta allontanando davvero. Glielo leggo negli occhi, che lo capisce. E che si chiede che cazzo stia succedendo. Che cazzo stia facendo io e che cazzo stia permettendomi di fare lui.
- Andiamo, Fler. – lo schiaccio contro il muro, le mani sotto la maglietta a divorare centimetri di pelle, - Non mi prendere in giro.
- Non voglio. – dice a fatica. La sua voce mi vibra sulle labbra mentre gli mordo il collo.
- Vuoi. – lo correggo, sporgendomi un po’ verso la sua bocca, - Non mentire.
- Tu sei uno stronzo. – ansima mentre armeggio con la cintura dei suoi pantaloni, - Sei uno stronzo e sei un bugiardo. Non dire a me di non mentire.
- In questo momento, non ti sto mentendo. – ringhio, infilando una mano oltre l’orlo dei jeans ed accarezzandolo lentamente attraverso il tessuto sottile dei boxer, - Quello che voglio lo sai. Manca solo che te lo chieda ad alta voce. Devo farlo?
- No! – ringhia, piegando un po’ il capo e socchiudendo gli occhi, lasciandomi scivolare le mani dal petto fino alle spalle e stringendo forte, - Cristo, no. Smettila. Non voglio.
E non l’ho ancora baciato. Non riesce nemmeno a lasciarmi andare. Non ho ancora neanche fatto finta di baciarlo.
Lo faccio, perché a Fler piace baciare. Ci si perde. Mi spingo in avanti e gli catturo le labbra con le mie. Le sto forzando con la lingua il secondo successivo, anche se forzare non è il termine più adatto, perché le trovo già schiuse in attesa di me appena le sfioro. Come dicevo, a Fler piace baciare, oh sì, gli piace un monte. Ci si perde del tutto e non capisce più niente. È l’effetto che su di me ha il sesso. A lui bastano i baci. Ciò dimostra che è un ragazzino, lo è sempre rimasto malgrado tutto ed io sono davvero lo stronzo che dice lui. Molto semplice. Non ho voglia di sentirmi in colpa anche per questo, al momento. Basta già il pensiero di star tradendo Bill. Che, cazzo, se lo merita. Ma mi fa sentire in colpa lo stesso.
- Chaku… - ansima esausto quando mi allontano da lui e faccio per tirargli via la maglietta di dosso, - Cristo, sei una merda. Smettila, per favore.
- Stai piagnucolando come un ragazzino. – gli faccio notare, mordendogli una spalla da sopra il tessuto, - Se mi vuoi fuori dai coglioni, prendimi a calci. Altrimenti lasciami fare senza lamentarti.
- …sto cercando… - deglutisce, piegando il capo mentre risalgo con le labbra la linea del suo collo, - …di non farti del male. Stai già male.
- Sto alla grande. – ritorco, spogliandolo di prepotenza, - Mai stato meglio.
Lui non mi guarda. Quando non mi guarda è perché sa che mi basterebbe guardarlo negli occhi per leggerci dentro che pensa io abbia torto. Non vuole darmi torto. Cristo. Perché dev’essere così? Sarebbe molto più facile – sarebbe molto, molto più facile – se fra me e Fler non ci fosse niente. Almeno non lo conoscerei così a memoria. E non potrei elencare così alla perfezione tutte le centinaia di modi in cui gli sto facendo del male adesso.
Lo so, Fler. Lo so che ti sto passando addosso come un fottuto carro armato. Lo so che ci stai di merda. Lo so. So anche perché non riesci a dirmi no, cazzo, da qualche parte dentro di me l’ho sempre saputo. Ma non ce la faccio a fermarmi. Non voglio. Non riesco a trovare un motivo per farlo, non ci riesco neanche provandoci. Bill non è un motivo, in questo momento. E Bill è stato un motivo per quasi tutto l’ultimo anno della mia esistenza. Perciò mi fa male che non lo sia più. E non ce la faccio a fermarmi, a queste condizioni. Non ce la faccio e basta.
- Spegnimi il cervello. – glielo soffio addosso come un’implorazione. Suona affranto e sconfortato allo stesso modo, almeno alle mie orecchie. Gli sfioro una guancia con le labbra, non è un vero bacio, è solo uno sfregamento, però è una cosa intensa. Lui si irrigidisce e si tende tutto sotto le mie mani. Lo guardo negli occhi, prima di continuare. – Spegnimi il cervello. – ripeto, - Sei sempre stato bravo a farlo. Non dirmi di no. Per favore.
E lui in effetti non me lo dice. Le sue mani – che sono ancora sulle mie spalle. Lo sono come lo erano quando siamo usciti da quella dannata stanza. Il modo in cui Fler mi tocca non è mai davvero cambiato – scivolano verso l’alto, lungo il mio collo. Mi aggancia alla nuca e mi accarezza con una tenerezza che con il sesso non c’entra niente.
Ecco, questo mi calma.
…questo mi calma.
La sua fronte sfiora la mia e restiamo a guardarci negli occhi da una distanza minuscola.
- Devo farlo. – mi sussurra sulle labbra, con un mezzo sorriso, - Bill non resterà per sempre chiuso in quella stanza, Peter. Quando ne uscirà, dovrete parlare. Ed allora desidererai di non aver scopato con me. – si prende una pausa, continua ad accarezzarmi la nuca ed io mi sento esplodere il cuore. – Non voglio essere un rimpianto. Tu me lo devi, questo. Non puoi fare di me un rimpianto.
Saranno le carezze, non lo so. Sarà la sua voce, che è di nuovo dolcissima.
Sarà che ha ragione. Non posso. Nemmeno voglio. Fare questo, che sia a Fler o che sia a Patrick… no, non voglio.
Comunque mi allontano. Lo faccio senza piacere, perché staccarmi da lui è difficile. Dio, lo è sempre stato, anche quando passavamo il tempo a cazzeggiare, figurarsi se non lo è adesso che è tutto diverso, tutto complicato e tutto doloroso.
Mi allontano e gli lascio spazio. Lui mi ringrazia con un sorriso e si china a recuperare la maglietta. La indossa, riabbottona i jeans e si dà una sistemata generale senza guardarmi. Io non gli stacco gli occhi di dosso. Non sono pentito di aver lasciato perdere. Mi manca il suo calore, la forma del suo corpo e il suo odore, sì, ma in un certo senso mi mancano sempre. Quando non c’è Bill, quando sto facendo qualcosa di insopportabilmente noioso, quando guardo una cosa a caso che mi ricorda lui, queste cose mi mancano sempre. Quindi non c’è niente di diverso. Sono calmo. È riuscito a calmarmi e vorrei poterlo odiare per questo, ma non ci riesco.
- Mi dispiace. – ammetto a mezza voce mentre lui recupera la giacca e si muove verso la porta.
Lo sento ridacchiare piano.
- Lo so. – annuisce indossandola, - Tu sei un disastro. Ormai ci ho fatto il callo.
- …mi dispiace anche per questo. – sospiro. Lui annuisce ancora e mi saluta. È già sparito, chiudendosi la porta alle spalle, prima ancora che possa realizzare che lo sta facendo.
A questo punto mi guardo intorno. I soprammobili sono a posto. Non c’è quasi niente per terra. È tutto molto ordinato.
Conto le opzioni che ho per passare il resto della nottata. Non sono molte, penso, mentre afferro soprammobili a caso e comincio sistematicamente a lanciarli in giro per la stanza.
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