Genere: Introspettivo, Drammatico.
Pairing: José/Zlatan, accenni miiiiinimi di Davide/Mario, se proprio li si vuole vedere.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Angst, Flashfic, Slash.
- Nella peggiore delle situazioni possibili. Just in case.
Note: È palese che io non sopravvivrò alla giornata di oggi. Grazie a tutti coloro che mi stanno faticosamente sopportando/intrattenendo/distraendo/lasciando sfogare/whatever, siete meravigliosi e non vi merito neanche per sbaglio.
Comunque sia: al momento in cui scrivo, Mino Raiola, procuratore di Ibra, ha posto un freno alle parole di Suarez, consigliere tecnico dell’Inter. Se il secondo verso le cinque dava per certo il trasferimento di Ibra, il primo ha recentemente risposto con un’aria pallata che tanto gli si addice che lui non si sta affatto occupando del caso, e lo saprà bene, lui, dove vanno gli omini che tiene sotto scacco.
Io, personalmente, per la prima e unica volta nella mia intera esistenza, voglio fidarmi di quell’uomo viscido che cura i contratti di Ibra XD Sono con Raiola. E fine, per ora.
Ps. Titolo rubato a un verso di Best Of You dei Foo Fighters.
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Getting Tired Of Starting Again Somewhere New


Nelle numerose volte in cui ha pensato in passato ad un’eventualità del genere – e sì, ovvio che ci ha pensato, sarebbe stato da idioti non prepararsi almeno un minimo a questa situazione, visto quanto è stata probabile, fra alti e bassi, nel corso degli ultimi mesi – José Mourinho aveva sempre pensato che la sua prima reazione sarebbe stata di rabbia. Per svariati motivi, poi: prima di tutto perché odia perdere le scommesse, e Zlatan era probabilmente la più importante della sua carriera; perché odia dover cambiare i propri piani, anche, e Zlatan era una parte rilevante di tutti quelli che aveva tracciato per l’anno in corso; e per gelosia, ovviamente, perché non vuole osservarlo andare via, non vuole restare senza di lui, detto schiettamente, non vuole farsi lasciare. Chi vorrebbe, d’altronde?
Comunque mai, assolutamente mai, avrebbe potuto pensare che il suo sentimento sarebbe stato un tale miscuglio di tristezza e nostalgia. Sono cose che non dovresti provare per una persona che va via consapevolmente, sono cose che dovresti provare per, boh, le partenze improvvise e indesiderate, quelle rese necessarie da questioni che trascendono il controllo delle parti in causa. Tipo “mia nonna è morta e ha sempre voluto vedermi giocare al Barça, quindi è così che intendo onorare la sua scomparsa”, o altre vaccate simili. Non dovresti sentirti così per una persona che, semplicemente, se ne va perché vuole di più e tu non sei più abbastanza.
Zlatan non va via per i soldi, questo José lo sa. Zlatan va via perché si sente costretto, frustrato e poco stimolato, non perché non si senta trattato bene e neanche perché si senta poco amato. E d’altronde non c’è modo in cui potrebbe sentirsi poco amato. Non con Milano ai suoi piedi, non con i tifosi ai suoi piedi, non con José ai suoi piedi.
Non è una questione d’affetto e non è una questione di denaro, è una questione di prospettive. Purtroppo, José lo sa, e forse è per questo che non riesce ad odiarlo davvero. Anche se dovrebbe e potrebbe e ne avrebbe tutte le scuse, con Mario che ancora piange come un bambino di là – non c’è qualcuno in quella squadra che soffrirà più di lui, per questa partenza, perché non è facile trovare un punto di riferimento che è anche un obiettivo e vederteli sparire entrambi da sotto il naso con la velocità di una folata di vento – e Davide che cerca nel fondo del petto una forza che non dovrebbe ancora appartenergli – una forza da adulto, e lui è solo un ragazzino – per cercare di stargli vicino e consolarlo e fargli capire che può ancora andare avanti, può trovare altri obiettivi, può farcela da solo. Potrebbe odiarlo e sarebbe facile farlo, con tutta la squadra di là che si sente persa, e a ragione, con i tifosi annichiliti davanti agli schermi dei computer e dei televisori dai quali hanno appena appreso la notizia, con tutto il mondo intero che si ribalta perché fino a ieri Zlatan Ibrahimović indossava la maglia numero dieci e adesso – il numero dieci più veloce della storia del mondo – la sta gettando via per andare a trovare chissà cosa a Barcellona.
Potrebbe odiarlo, sarebbe facile, sarebbe giusto.
Ma lo guarda lì, gli occhi bassi e le mani strette attorno alle maniglie della valigia con tanta forza da imbiancargli le nocche, e non gli riesce.
Sospira pesantemente, voltandogli le spalle ed avanzando lento verso la porta.
- Chiama quando arrivi. – scolla a fatica, prima di lasciare la stanza.
Lo stomaco di Zlatan si attorciglia con una violenza terribilmente dolorosa, e la valigia all’improvviso è così pesante che la lascia cadere a terra. Il silenzio accoglie il thud ovattato dell’urto, e poi la porta si chiude.
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