Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Davide/Mario, Zlatan/José.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Flashfic, Slash.
- Davide e Mario osservano Zlatan e José interagire durante gli allenamenti ad Harvard.
Note: Vaccatina abbastanza inutile scritta solo ed esclusivamente per la settima Minidisfida di Criticoni, cui partecipo fuori concorso just for the hell of it, e perché sono cocciuta e permalosa, anche. Al di là della Minidisfida, ho scritto questa storia perché sono una persona che si rotola molto nel suo cordoglio, prima di superare il momento e tornare al proprio own bzns, perciò questa cosa dovrò vederla da almeno altri millemila punti di vista (uno dei quali è già in scrittura, peraltro), e solo dopo potrò essere felice. Aaah. *sospira*
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Gentle Breeze


C’è un venticello leggero e piacevole che soffia dalle loro spalle, in direzione della scena speculare alla loro che si sta svolgendo dall’altro lato del campo. Il mister e Zlatan sono immobili, l’uno accanto all’altro. Hanno entrambi le mani sui fianchi – i propri, non quelli dell’altro; che può sembrare una specificazione inutile ma non lo è, viste le scene cui la squadra s’era abituata nel corso degli ultimi mesi dello scorso campionato, robe che avrebbero fatto arrossire il più accanito dei maniaci sessuali, o almeno così pensa Davide, tenerezze un po’ imbarazzanti ma niente di più secondo Mario, invece – e non si muovono se non per dei momenti brevissimi. Il mister si guarda intorno, Zlatan abbassa lo sguardo. Il mister parla, dice qualcosa che si perde nel soffio del vento, e Zlatan annuisce. Dice qualcosa anche lui, e il mister sorride a metà fra tristezza e nostalgia.
- Dici che se ne va? – chiede Davide in un sussurro che non riesce a sovrastare il rumore del vento.  Mario, comunque, in qualche modo lo sente. Ma Mario lo sente sempre, anche quando lui non parla, perciò non se ne stupisce.
- Non saprei. – risponde con una scrollatina di spalle, - Tu cosa ne pensi?
Davide risponderebbe volentieri che se gliel’ha chiesto è proprio perché non lo sa. Sarebbe una bugia, d’accordo, ma Mario sa che tutto ciò che vuole sentirsi dire è un rassicurante “ma no, dai, vedrai che resta”. Anche se è assurdo, perché ormai lo sanno tutti che Ibra non vuole più restare, lo sanno anche i muri dell’UCLA, che hanno abbandonato da qualche ora, lo sanno anche i muri di Harvard, pure se sono arrivati a Boston da pochissimo, lo sanno tutti, le pareti le foglie l’erba il cielo, pure il vento, sembra che lo stia sussurrando anche mentre li accarezza così, un po’ rude e un po’ dolce, e porta il buon profumo della mensa, che è quasi ora di pranzo.
- Io penso… - comincia Davide, e si morde il labbro inferiore, - …penso che ho paura di sì. Nel senso… - cerca di spiegarsi, ravviandosi la frangetta sulla fronte, - nel senso che ho paura che quando lui sarà andato via noi non sapremo più come giocare e perderemo tutto. E non sarà colpa sua, capisci, sarà colpa nostra, e io di questa cosa ho paura. Di quello che potrebbero dire, di quello che potrebbe succedere, a noi, al mister, e ho paura per il presidente che ce la sta mettendo tutta, e-
- Io penso – lo interrompe Mario, senza nemmeno guardarlo, - che tu abbia cominciato a pensare un po’ troppo.
Davide trattiene un respiro e poi lo lascia andare tutto insieme nel momento in cui Zlatan si allontana dal mister, con una risatina. Il mister lo segue subito, e poi le loro strade si biforcano, Zlatan comincia ad allenarsi – come fosse tutto normale e giusto così – e il mister si piazza a centrocampo ad urlare ordini a chiunque – ancora una volta, come fosse tutto normale e giusto così.
- Ci prendiamo una pausa? – gli chiede Mario, accarezzandogli il dorso della mano con due dita falsamente distratte. – Le vuoi un po’ di coccole? Ti compro il succo alla ciliegia. Però prima ti cambi. – aggiunge con una mezza risata.
Davide risponde con una mezza spallata.
- Non mi sporco sempre. – gli fa notare, offeso. E due secondi dopo è già lì che chiede al mister se possono allontanarsi per dieci minuti, e il mister è lì che sospira e si lamenta di non avere la minima autorità su di loro, “ma appena rimettiamo piede in Italia si cambia sinfonia, ragazzini, meglio che lo sappiate”, e poi niente, sono già al bar a prendere il succo e di corsa in camera a giocare alla playstation fra un bacio e l’altro.
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