Fandom: Originali
Genere: Drammatico
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Violence.
- Roberto è felice con Sandro, gli sembra di non poter desiderare niente di meglio. Poi però incontra Federico, che gli mostra uno spiraglio di vita "migliore"...
Commento dell'autrice: Bè, a suo modo, è una songfic O_O Anche se, ammetto, pensarla come tale è piuttosto strano, perché la storia non rispecchia la canzone e non è che un racconto ispirato ad una metafora del testo che magari non c’entra niente ma è quello che ci vedo io XD Ovvero ci sono questi due tizi che stanno per i fatti loro. Poi uno dei due vede questo grandioso fuoco, e vorrebbe andargli incontro, ma l’altro lo avverte, “guarda che è una cosa come tutte le altre”. Che poi è quello che è Federico. Una delle mie pre-reader, la Juccha, mi ha detto che è molto facile detestare sia Federico che Roberto; facile almeno quanto prendere a cuore Sandro. Ma ehy, Sandro è uno stronzo, spero si capisca XD Federico è un ragazzo normale, e Roberto… Roberto è puff, è una banderuola inqualificabile XD Personalmente mi sta sul cazzo è_é Assai è_é Ma comunque. Prima di cominciare a scrivere questa roba avevo una pressione indicibile addosso. Quando esposi loro il progetto, sia la mia ex-moglie (XD) che la Caska mi dissero che magari avrei fatto meglio a non utilizzare solo uomini, e cercare invece di mettere soggetti con i quali mi trovassi più a mio agio. Questo fondamentalmente perché tutti i maschi delle mie precedenti storie sono mammolette insignificanti e disgustose (XDDDD*) e invece per tirare avanti una storia come questa ci vogliono tre caratteri forti. Insomma, tre ommmmmmini veri. Madonna, scrivendo cose simili mi sale di nuovo l’ansia. Facciamo così, giudicate voi XD Ultima cosa: grazie mille alla Caska per il beta-reading preciiiiiiso e furioso, se la storia è accettabile è anche merito suo :*
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Fuoco Sulla Collina


Ieri ho sognato un giardino
Nel sogno con me c’era un uomo
Lui mi girava le spalle
Solo perché non vedessi il suo viso


Gli si accovacciò fra le braccia, e lui lo strinse forte, protettivo, avvolgente, premuroso. Quei momenti di calda e tenera intimità, fra loro, erano talmente belli che lui ogni tanto credeva che non vi avrebbe mai potuto rinunciare, che sarebbe certamente morto se gli fossero stati tolti. Fortunatamente, Sandro non glieli toglieva mai.
- Che hai? Vuoi coccole? – gli chiese lui a voce bassa.
Roberto sorrise divertito. Sentirgli usare la parola “coccole” lo faceva sempre ridacchiare sotto i baffi. Anche perché lui parlava con un vocione profondo e roco veramente cavernoso, quindi l’effetto nel complesso era ancora più divertente.
- Sì… - rispose malizioso, strusciandosi contro di lui.
- Non ti è bastato, ancora? – chiese l’altro ridendo, mentre allungava una mano verso il comodino per prendere il pacchetto di Marlboro e accendersene una.
- Mi fai fare un tiro…?
Sandro gli passò la sigaretta, e lui aspirò.
- Basta. – sentenziò poi tirandogliela via dalle labbra, - Non ti puoi rovinare a quest’età.
- Oh! Ma che discorsi mi fai? – si lamentò lui stizzito, - Tu puoi fumare e io no?!
- Io non ho vent’anni.
- Ventitré, per inciso, e allora? Tanto lo sai che fumo comunque, quindi non capisco…
- Ma sta’ zitto… - concluse, chiudendo gli occhi e appoggiandosi alla spalliera del letto, continuando a fumare.
Roberto mise il broncio, separandosi da lui. Sandro era protettivo, sì, e gentile. Però era davvero, davvero troppo rude. Non gli consigliava mai niente, quando gli diceva qualcosa era un ordine. Che lui poteva eseguire o non eseguire, ma a suo rischio e pericolo.
Sbuffò. Lui lo ignorò. E allora scese dal letto, si rivestì e uscì.

***


Sinceramente, si stupiva di quanto tutti e due fossero lunatici. E per lui era ancora un mistero come due così potessero stare insieme, nonostante tutte le difficoltà, da ben tre anni. Non tre anni di zucchero, chiaro, avevano avuto i loro diverbi. Più che altro litigavano quando Sandro gli consigliava di fare qualcosa di molto sensato – perché Sandro per prima cosa pensava sempre al suo bene, e in maniera assolutamente sincera e disinteressata – e lui, per pura ripicca e per pura ostinazione, si rifiutava di seguire il consiglio, finendo nei guai.
È che Sandro tendeva ad essere davvero asfissiante e assoluto. Solo una volta s’era deciso a portarlo fuori con i suoi amici. Aveva preteso che gli stesse accanto tutto il tempo e che non ballasse, perché lui non ballava.
- Non sarebbe carino che tu mi lasciassi qui da solo dopo avermi invitato. Quando usciamo insieme io non ti lascio mai da solo.
- Ma io e te usciamo sempre in due, mai in gruppo.
- Ma tu sei il mio ragazzo, quindi devi restare con me.
Lo diceva con una naturalezza disarmante, come fosse ovvio. Era odioso, davvero. Lui aveva ordinato una vodka, e Sandro l’aveva squadrato come fosse un criminale.
- Che hai adesso? – gli aveva chiesto lui sbuffando.
- Non dovresti bere. Devi guidare, al ritorno.
- E allora? Mica mi sto ubriacando.
- I guidatori non dovrebbero bere.
Lui non lo sopportava, quando faceva così. Quando si metteva a fare il paparino, l’educatore, il saggio e integerrimo consigliere. Sapeva che lo faceva in buona fede, ma che palle.
Aveva bevuto, quella sera, e l’aveva lasciato seduto su un divano mentre stava in pista a ballare. Fosse da solo o in compagnia non importava, l’importante era dargli la prova che non poteva dargli ordini, che non avrebbe mai ceduto, e che qualsiasi cosa lui gli avesse detto avrebbe ottenuto in risposta una negazione e una ripicca sempre più grande, sempre più grave, finché non si fosse stancato di provare a domarlo.
Verso l’una era tornato al posto dove l’aveva lasciato. Aveva scaricato la tensione, ed era pronto alla riconciliazione. Lui non era lì dove si sarebbe aspettato di trovarlo. Non era neanche da nessun’altra parte.
Aveva pensato che l’avesse piantato in asso e, irritato, aveva salutato gli amici e s’era diretto verso la sua macchina, desideroso soltanto di andare a letto e dormire fino all’indomani mattina all’ora di pranzo almeno. Giunto davanti all’auto aveva rovistato in tasca. Le chiavi erano sparite.
Allora l’aveva chiamato.
- Ma dove cazzo sei?!
- Sono appena arrivato a casa, stavo entrando in bagno.
- Col cazzo, torna qui!
- No.
- Minchia, Sandro, vaffanculo, eh?! Dove cazzo sono le mie chiavi?
- Le ho portate via io. Non puoi guidare, hai bevuto.
- Ho bevuto una cazzo di vodka di merda, torna qui e dammi le mie chiavi.
- Fatti dare un passaggio a casa, non puoi guidare in queste condizioni.
- QUALI condizioni?! Sandro, mi fai incazzare da morire quando fai così! Dammi le chiavi!
- Fatti accompagnare, ho detto.
- Non posso farmi accompagnare, gli altri vogliono restare qui!
- Resta con loro.
“Col cazzo che maschera questa stronzata come protezione”, aveva pensato lui, “sennò non mi lascerebbe solo con tizi che conosce appena. È tutta vendetta”.
- Voglio tornare A CASA MIA, puttana eva! Sei uno stronzo!
- Non ti ho mai sentito dire tante parolacce tutte insieme.
- Ma cristo…
- Ci sentiamo domani, quando ti sei calmato.
Non gli aveva parlato per due giorni. Per due interi giorni non l’aveva visto, non l’aveva chiamato, e non aveva risposto alle sue telefonate. Poteva essere così esagerato, così assurdo, a volte.
Però era il suo uomo. Ne era innamorato. Cazzo, ne era innamorato da anni, ne era innamorato da quando l’aveva conosciuto, ne era innamorato perfino quando ci litigava, ne era innamorato anche quando pensava di non esserlo. Senza contare il fatto che era un rompipalle, sì, ma un rompipalle gentile. Un rompipalle che lo abbracciava, che gli cucinava la cena, che quando lui non faceva niente di stupido lo accompagnava a casa, lo aiutava nei momenti di bisogno, gli prestava dei soldi quando era necessario, un rompipalle che gli diceva continuamente “ti amo”, che era una cosa che a lui piaceva veramente da morire. E poi era un rompipalle che se lo scopava alla grande praticamente ogni volta che ne aveva voglia.
Perciò, alla fine, era tornato da lui. E s’era perfino scusato, oh, sì. Avrebbe preferito strapparsi la lingua a morsi e usarla per pulire i cessi al locale, ma si era scusato, e con che sincerità! Con che sottomissione! Con che slancio! E lui, magnanimo, l’aveva riaccolto fra le sue braccia, fingendo che lui non avesse mai fatto niente di male.
Era una capacità che invidiava da morire, in Sandro. Dimenticava tutto, passava avanti con una facilità sconcertante. Lui legava al dito ogni litigio e ogni screzio, avrebbe potuto elencarli tutti dal primo all’ultimo, avrebbe potuto fare una lista infinita di ogni rimprovero, di ogni battuta pesante, di ogni gesto distaccato e di ogni atteggiamento sufficiente. E Sandro, invece…
Una volta gli aveva chiesto scusa per averlo trattato male. Nel senso che Sandro gli aveva fatto una delle sue solite ramanzine perché s’era acceso una sigaretta rubandola dal suo pacchetto, e lui gli aveva risposto, irritato, che se aveva tanta voglia di fare il padre poteva fare un figlio con qualcuna e smettere di rompere i coglioni a lui. Sandro gli aveva tirato un orecchio. Proprio così. E quando lui, scioccato, gli aveva intimato di non osare rifarlo mai più, gli aveva detto “Portami più rispetto”. Punto.
Non ne avevano più parlato, e lui era rimasto a rimuginare per una settimana intera. Lo infastidiva essere trattato da bambino… il rimprovero, la tirata l’orecchio, ma che cazzo… però era consapevole di aver risposto fin troppo male. In fondo, e dai, lo sapeva che aveva buone intenzioni. Perciò si era scusato con umiltà. Però Sandro già non ricordava più niente, e lo guardava con occhi pieni di stupore e curiosità, e lui s’era sentito un po’ come se fosse pazzo, come se avesse immaginato di aver risposto male quando in realtà non era successo assolutamente niente. Invece era solo che lui non ricordava più, perché dimenticava le cose poco importanti come quelle.
Certe volte pensava che fosse perché in realtà non gli interessava niente di lui e del loro rapporto. Ma non era così, Sandro lo amava, e lui lo sapeva per certo, come sai per certo che tutto ciò che è solido può essere stretto tra le mani e l’aria, invece, scivola via.

***


Lavorare al bar gli faceva schifo e l’avrebbe volentieri barattato con qualsiasi altro tipo di lavoro; il netturbino, l’operaio nei cantieri stradali, qualunque cosa sarebbe stato meglio che star lì a pulire il bancone, servire l’aperitivo ai vecchietti alle sette di sera e vendere biglietti dell’autobus alle stupide ragazzine del liceo. Lo odiava, e odiava il fatto che ci fosse sempre qualcuno fra i piedi e che non potesse neanche stare seduto da qualche parte per una mezz’oretta. Non sopportava di dover stare in piedi dalle sette del mattino alle sette del pomeriggio. Era sempre di cattivo umore quando usciva dal bar. Cioè vale a dire che era sempre di cattivo umore, e basta.
- Un pacchetto di Marlboro 100’s.
Erano le stesse che fumava Sandro. In qualsiasi altro momento, uno sconosciuto che entrava nel locale chiedendo le stesse sigarette del suo uomo l’avrebbe intenerito, ma quella notte col suo uomo ci aveva litigato, e quindi ricordarsi della sua esistenza lo irritò.
Sollevò lo sguardo e fissò il cliente, cominciando ad analizzarlo in funzione di Sandro. Lo faceva sempre, quando era arrabbiato con lui; prendeva una qualsiasi persona, un qualsiasi oggetto, e li paragonava. Gli era capitato di pensare cose fin troppo idiote, a volte; tipo, guardando una ciambella si era detto “bè, questo è molto più dolce di lui”, e poi avrebbe voluto darsi schiaffi da solo.
Lo sconosciuto era bello e sorrideva spavaldo. Sandro non era un tipo che si sarebbe definito “bello”, ad un primo sguardo. Bè, neanche ad un secondo. Non era altissimo, ed era decisamente robusto. Aveva la pelle scura e gli occhi di un anonimo castano chiaro, portava sempre la barba come se non la facesse da tre giorni e aveva l’attaccatura dei capelli molto alta.
Il ragazzo aveva all’incirca vent’anni, aveva dei bei capelli castani morbidi e lisci e la pelle chiara, per quanto non nivea. Aveva un aspetto molto virile. Anche lui portava la barba. Gli dava uno strano aspetto da “bello e dannato”. Vestiva alla moda, giacca sulla maglietta e jeans scoloriti ad hoc, né larghi né stretti. Aveva gli occhi verdi. Ma un verde proprio chiaro.
Gli diede le sigarette, pensando che era sicuramente più bello di Sandro, e anche che una bottarella se la sarebbe fatta dare più che volentieri. Poi, però, si sentì in colpa e nascose il pensiero in fondo al suo cervello.
Il ragazzo guardò l’orologio e poi gli disse che voleva anche un caffè. Glielo fece. Mentre lo sorseggiava, lui gli chiese se sapesse dove poteva trovare un ferramenta.
- …sinceramente non ne ho idea, mi dispiace… - si scusò lui, - Non sono della zona. Vengo qui solo per lavorare. Se vuoi chiedo al proprietario, lui è di qui…
Il ragazzo scrollò le spalle.
- Fa niente, era solo per attaccare bottone.
Lui non rispose, pensando “cazzo, ha capito che lo trovo bello”, e poi realizzando, “oh, è gay anche lui”.
- Non sono inopportuno, vero?
Bè, in realtà lo sarebbe anche stato, dal momento che il suo uomo, per quanto ci avesse litigato, era ancora ben presente sia nella sua mente che nella realtà, ma sul momento non ci fece caso, e si limitò a sorridere condiscendente.
- Senti, devo andare adesso. - disse lui finendo il caffè e riponendo la tazzina sul piattino, - Devo assolutamente trovare un ferramenta, o sono nei guai. Mi dai il tuo numero…? Magari usciamo, qualche volta…
- Il mio numero? – rise Roberto, - Chi ti pare che sia, io?
- Troppo presto? Mh, hai ragione. Facciamo che domani torno a prendere il caffè. A che ora chiudete, qui?
- Sette e mezzo.
- Perfetto.
- Però rimango qui a pulire fino alle otto, otto e un quarto.
- E sia, aspetterò un po’. Poi andiamo a bere qualcosa da qualche parte, così, da buoni amici.
“Buoni amici?”, pensò ridacchiando.
- Comunque, piacere, Federico.
- Roberto. – disse stringendogli la mano.
Si sentiva eccitato. Sandro era stato il suo primo e unico uomo, e non gli era mai capitato di essere abbordato così, praticamente per strada, da uno sconosciuto. Era… sì, era entusiasta.

***


Quando staccò dal lavoro passò a trovare Sandro, era davvero allegro, e quindi ben disposto.
Fecero l’amore con una spensieratezza incredibile, per ben due volte – strano, perché di solito una volta era già più che sufficiente per entrambi. Quasi si cullò nel pensiero che la sua relazione con lo sconosciuto potesse portare nuova linfa vitale a quella con Sandro, e ne fu felice, perché erano entrambe cose cui gli sarebbe dispiaciuto rinunciare, però in fondo lo sapeva che non si trattava di alcuna linfa ed era soltanto mera allegria per l’abbordaggio in sé.
- Domani non ci possiamo vedere, quindi magari se vuoi resto qui stanotte… - gli disse mentre cenavano. Sandro lo guardò, sospettoso.
- Come mai domani non ci possiamo vedere?
- Sono a cena da mia madre. – disse sbuffando, - Per il check-up mensile.
Sandro rise cupo, mostrandosi, a modo suo, divertito dalla cosa.
- Non dovresti sbuffare. Avere una madre cui interessa ancora sapere se sei vivo o morto è una fortuna.
- E tu invece non dovresti continuare a dirmi sempre cosa non dovrei fare… cazzo, sei impossibile.
Lui rise ancora, si alzò dalla sedia e si avvicinò a lui, cingendogli le spalle e baciandogli il collo.
- Ti dico cosa dovresti fare ora?
Roberto sorrise malizioso, inclinando il capo per lasciare più spazio alle sue labbra.
- Sentiamo…
- Dovresti alzarti e venire di là.
Finse di essere infastidito.
- Ma stasera non riesci proprio a pensare ad altro…?
- Significa che non ti alzi?
- Esatto. – disse lui lentamente, facendo lo scostante.
Sandro lo afferrò per la vita, lo sollevò e lo portò in camera da letto come fosse stato un bambino di dodici anni.

***


Si presentò puntuale, esattamente all’orario che aveva detto. Prese il caffè e lo fissò a lungo. Lui s’imbarazzò.
- Ho qualcosa sul naso? – gli chiese, sarcastico, cercando di rilassarsi.
- No. È che sei carino.
- Sì, lo so già questo… - rise, - Dovrai dirmi qualcosa di più se vuoi conquistarmi.
- Scherzi? Ti ho già conquistato…
- Sei molto sicuro di te, o sbaglio…?
- Dai… - gli disse lui sporgendosi al di là del bancone, a due centimetri dal suo viso, - Dimmi che non è vero.
- Roberto, - li interruppe il padrone del locale, dalla cassa, - se non hai voglia di essere licenziato, datti una regolata.
- Oh, guardi che potrei citarla in giudizio per discriminazione sessuale…!
- Sì, e io per atti osceni in luogo pubblico!
Scoppiarono a ridere.
Chiusero il locale, e lui fece le pulizie con una velocità che non s’era mai vista.
- Allora, dove andiamo? – chiese al ragazzo, indossando il giubbotto.
- Fosse per me, - disse quello, - ti porterei a casa mia…
- Sì, secondo te sono una puttana? Che cavolo di intenzioni hai…? – rispose lui ironico, esageratamente entusiasta.
Il ragazzo rise, infilando le mani in tasca.
- Quando qualcuno mi piace come mi piaci tu ho difficoltà a tenere a bada i miei istinti…
- Vuol dire che scateno il tuo lato più pericoloso…?
Quasi non poteva crederci, stava vergognosamente flirtando con qualcuno che non era Sandro, così, in mezzo alla strada, in mezzo a tutti.
- In un certo senso, sì. Comunque magari andiamo alla Champagnerie… prendiamo qualcosa da bere, così…
- …e poi scoprirò che ci abiti proprio sopra…
- No, ma che dici? Abito sul marciapiede opposto…
Rise.
- Cazzo, dev’essere una tortura…
- Stasera, più che altro, mi sa che è una fortuna…
- Ma la vuoi finire?! E poi guarda che sono fidanzato.
Federico scrollò le spalle.
- Fa nulla. Tanto, se sei uscito con me vuol dire che ti interesso a dispetto del tuo uomo, no?
Quella frase lo infastidì un po’, ma non gli impedì di ammettere che aveva ragione.
Forse la situazione si sarebbe fatta un tantino più complicata di quanto non avrebbe potuto pensare. Però lui gli piaceva, voleva correre il rischio.

***


Aveva un appartamento molto piccolo, e non era neanche uno splendore. Tutto il contrario della bella casa su due piani di Sandro. Effettivamente, Sandro e Federico erano così dissimili che si domandava come fosse possibile che gli piacessero tutti e due contemporaneamente. Era come se non avesse più un gusto definito. Federico, biondo e gracile, era molto più simile a lui che a Sandro, eppure gli piaceva un casino, lo trovava sexy da morire e lo desiderava tanto, ma proprio tanto.
Mentre scopavano, pensò solo a quanto fosse bello e quanto volesse rimanere lì per tutta la notte. Quando smisero, pensò subito a Sandro, a casa, che lo credeva da sua madre; si sentì in colpa e pensò a come farsi perdonare senza che lui si accorgesse di quali fossero le sue intenzioni, senza che sospettasse nulla, riflettendo su come nascondergli quel tradimento per sempre; ma durò solo una decina di minuti, il tempo che Federico riuscisse a riprendere fiato e ricominciasse a baciarlo.

***


Il giorno dopo, appena uscito da lavoro, andò da Sandro.
- Com’è andata la cena?
Scrollò le spalle.
- Noiosa, come al solito.
- Ah, mi dispiace… - gli disse lui contro una guancia, abbracciandolo stretto.
- Fa niente, ci sono abituato. Che facciamo stasera?
- La cena è quasi pronta… poi magari guardiamo un po’ di tv…
- Non potremmo uscire, una volta tanto?
- No. Sono stanco, io lavoro.
- Sei una rottura di palle, ecco cosa sei. Con te sempre le stesse cose. E poi che significa “io lavoro”? Anche io lavoro! Che palle.
- Non dovresti dirmi cose simili. Non è giusto.
- E allora è giusto che io rimanga confinato con te in casa, solo perché tu sei stanco?
Si separò da lui, con uno scatto violento. Sandro si stupì, ma riacquistò subito il controllo di sé.
- Sì che è giusto, perché sei il mio ragazzo. Se mi ami, devi restare con me.
- Sei uno stronzo. Che cos’è questo, un ricatto morale?
- No, è solo quello che io credo giusto.
- Magari io non la penso come te!
Sandro non rispose altro, dirigendosi in cucina per controllare la carne che era rimasta sul fuoco.
Roberto realizzò in quel momento di odiare quell’assurda routine. Ed era strano accorgersene solo allora, perché prima di conoscere Federico il peso di quel ripetere ogni giorno le stesse cose neanche lo sentiva. Anzi, forse non c’era affatto. Ma Federico gli aveva aperto qualcosa di nuovo davanti agli occhi, qualcosa che non si sarebbe sentito di chiamare mondo, e neanche porta, diciamo una prospettiva un po’ diversa, un nuovo angolo di osservazione della sua vita. Gli aveva mostrato un’esistenza in cui poteva essere abbordato sul lavoro, poteva uscire col primo venuto sapendone appena il nome e poteva finire a fare sesso nel suo appartamento senza domandare nient’altro. Era un’esistenza divertente, in cui ogni frase era accompagnata da un doppio senso e una risata, e in cui poteva bere birra senza rotture di coglioni e tornare a casa in macchina alle sei e mezzo del mattino, se voleva. Era una possibilità che non aveva mai contemplato, nei tre anni in cui era stato con Sandro.
Lo guardò armeggiare con la graticola, con un po’ di malinconia negli occhi.
Non era cambiato, Sandro, era sempre stato così. Uscire di sera era una rarità, e quando succedeva non era mai piacevole e spensierato, c’era sempre la seccatura di dover tornare a casa per mezzanotte al massimo, perché lui non era più un ragazzino, e non riusciva ad andare a letto alle quattro per svegliarsi poi tre ore dopo e andare a lavorare.
Sentiva ancora di amarlo, dopotutto. Però non era più tanto sicuro che non sarebbe riuscito ad amare nessun altro allo stesso modo.

***


- Ehi. Volevo portarti dei fiori, ma forse sarebbe stato eccessivo…
Roberto rise notando Federico pararglisi di fronte, il pomeriggio seguente.
- Non mi aspettavo di rivederti… - in realtà ci sperava e basta.
- Mi dai un pacchetto di Marlboro 100’s? – gli chiese senza ulteriori commenti. Lui gli porse le sigarette e poi lo guardò sorridendo.
- Che c’è? – gli chiese Federico ridendo a sua volta.
- Boh. Ho voglia di uscire… spe’ che chiedo al capo…
- Ma smettila, non ti farà uscire mai…
Senza ascoltarlo, si diresse veloce dal signor Franco.
- Non se ne parla neanche. – sentenziò quello senza nemmeno lasciarlo parlare.
- Avanti! Recupero domenica! Faccio il pomeriggio!
- E secondo te io lascerei il bar nelle tue mani per l’intero pomeriggio? Scordatelo e torna a lavorare.
- Lavoro qui da più di un anno! Si fidi! E poi non ho mica detto che non torno più… mi allontano per un’oretta sola, ok?
- No, ho detto!
- Mi detragga i soldi dallo stipendio!
Ma era impazzito?
Federico rideva dall’altro lato del locale.
- Senti, se fra un’ora non sei qui ti licenzio. Mai sentita una cosa del genere…
Entusiasta, si lasciò sfuggire un gridolino, e poi corse via, afferrando l’altro ragazzo per mano e correndo fuori dal bar.
- Ti sei messo nei guai! – commentò Federico dandogli una spintarella sulla spalla mentre passeggiavano.
- No, non è pericoloso come sembra… e poi basta essere puntuali.
- Sarà… ma è un peccato, perché avevo in mente di trattenerti molto più a lungo…
- Ti dovrai accontentare… - ridacchiò.
- Sì, sarà dura.
- Senti… stasera usciamo? Dai.
- Ma non avevi detto di essere fidanzato…? Che, hai lasciato il tuo uomo?
La frase lo colpì. Più di quanto non avrebbe dovuto.
- Ci sto pensando, in realtà. – disse mentre realizzava che era vero, e ci stava proprio pensando.
- Non ti conviene… quando trovi uno che ti ama non puoi mica lasciartelo scappare.
- Sì, lo so. Però forse anche io ho trovato il mio, finalmente…
- Ah, sì? – rise, - E chi sarebbe?
- Non lo conosci! – rispose anche lui ridendo.
- Comunque se vuoi usciamo, io non ho problemi. Basta che poi non te la prendi con me se litighi con quell’altro!
- Questo è impossibile, fidati.
***

Si preparò con cura, e prima di uscire spense il cellulare. Avrebbe inventato successivamente una scusa da propinare a Sandro. Almeno, finché non prendeva una decisione riguardo lui e il loro rapporto. Per il momento era troppo felice per pensarci seriamente.
Federico passò a prenderlo da casa. Mai, neanche una volta, Sandro era andato a prenderlo a casa sua, con la sua macchina. Qualsiasi cosa potesse succedere, riteneva fosse più saggio essere l’uno indipendente dall’altro, per quanto riguardava i mezzi di locomozione. Ogni tanto aveva la sensazione che se lui e Sandro avessero abitato insieme, l’avrebbe comunque costretto a muoversi con due macchine diverse, non si può mai sapere cosa potrebbe accadere appena girato l’angolo.
Andarono un po’ in giro in centro, presero qualche birra, poi entrarono in un locale serio e lui prese una vodka. Federico non prese nient’altro, disse che preferiva rimanere lucido per la notte. Roberto ci rise su; era divertente, e poi anche lui pregustava il momento in cui sarebbero finiti a letto.
Quella volta, l’immagine di Sandro non si fece viva né sotto forma di senso di colpa né sotto forma di preoccupazione. Si abbandonò fra le braccia di Federico, e lui era l’unica cosa che gli interessava vedere, sentire e toccare. Nient’altro.
Se amasse già Federico o meno era ancora un mistero; chiaro che scopandoselo sentiva di sì, però non è saggio decidere di amare le persone in momenti simili.
Se ci pensava, aveva deciso di amare Sandro proprio quando l’avevano fatto per la prima volta. Lui era stato fantastico e gentile, gli aveva fatto un male cane ma aveva passato tutto il tempo ad accarezzarlo e a rassicurarlo – il dolore poi passa, va bene anche quello, per quei pochi secondi… - ed era stato proprio in quel momento che lui si era detto “questo è un uomo che voglio amare. Sì, lo amo”, e da quel giorno non aveva più smesso. Fino ad allora, ovvio.

***


Ti prego lasciami andare
Ti prego, chiunque tu sia
Com’è che sei così cieco?
Non vedi, c’è il fuoco sulla collina.


Quando, il giorno dopo, uscì dal lavoro, decise di andare da Sandro. Ormai aveva capito di non amarlo più, non avrebbe avuto senso continuare quella relazione. E poi, voleva concentrarsi esclusivamente su Federico, voleva diventare il suo ragazzo.
Lui lo aspettava seduto sul divano, fumando una sigaretta, lo sguardo cupo e assente. Quando Roberto entrò in casa e posò le chiavi sulla consolle dell’ingresso, spense la sigaretta, si alzò in piedi e gli andò incontro, fermandosi a pochi centimetri da lui e scrutandolo a lungo, come volesse intuire cosa fosse successo senza neanche doverglielo chiedere.
- Non sei venuto, ieri. – constatò infine, infilandosi le mani in tasca.
Roberto non disse niente.
- Ti aspettavo. Credevo che avremmo passato insieme la serata.
- Come al solito, vero? – disse con un sorriso amaro e irritato.
- Sì. Perché non sei venuto?
Di nuovo, tacque.
- Eri con qualcun altro, vero?
Lo guardò negli occhi.
- Sì. – disse in un fiato, reggendo il peso della sua disapprovazione.
- Chi è?
- Non lo conosci.
- Da quanto tempo lo frequenti?
- Non intendo rispondere ad un interrogatorio.
Sandro fece uno scatto in avanti con una mano, ma la fermò a metà strada. Comunque, il movimento fu abbastanza improvviso e inusuale da spaventarlo e costringerlo ad indietreggiare di un passetto. Lo guardò, impaurito.
- Che volevi fare…? – gli chiese. Lui non rispose.
- Non devi farlo mai più. Non tradirmi più. – gli disse dopo aver inspirato ed espirato un paio di volte.
- Mi dispiace. - ribatté Roberto a bassa voce.
Non sapeva bene come avrebbe dovuto dire una cosa del genere, perciò si affidò all’ispirazione del momento, e fu diretto.
- Fra noi è finita.
Sandro trasalì. Non l’aveva mai visto così agitato e nervoso, sembrava diverso. L’atmosfera era tesa, e a lui venne la nausea. Non vedeva l’ora di uscire da quell’appartamento.
- Non dire scemenze. – quasi tuonò l’uomo, afferrandolo per una spalla.
- Lasciami andare. Ho conosciuto un altro e sono innamorato di lui, non puoi fermarmi.
- Sono stronzate. Stiamo insieme da tre anni.
- E da oggi in poi non ci staremo più. Amo un altro. Ho smesso di amarti, Sandro.
Per un po’, lui non disse niente. Lo lasciò andare, fece un passo indietro e guardò per terra, confuso.
- Perché? – gli chiese infine.
- Perché cosa?
- Perché ti sei innamorato di lui?
Sospirò.
- Credo che sia quello giusto per me.
Sandro sollevò repentinamente lo sguardo, fissandolo negli occhi.
- Non troverai nessun altro che sia perfetto per te, oltre a me. Soffrirai, e tornerai indietro.
La sua decisione lo intimorì e lo irritò. Lasciò le chiavi dove le aveva posate e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

***


Farò la strada del fiume
In un’ora sarò giù al passo
Gli altri hanno già raggiunto la cima
Vedremo il fuoco sulla collina


- Togliti quel sorriso cretino dalla faccia, non ti lascerò servire i clienti come se fossi sotto l’effetto di qualche fungo allucinogeno del cazzo!
Il senso di oppressione e di noia che lo perseguitava da giorni? Scomparso. L’angoscia, la paura, il senso di colpa? Volatilizzati. L’insoddisfazione pesante e perenne? Svanita. Si sentiva rinato, ed era tutto merito di Federico. Non vedeva l’ora di rivederlo per raccontargli tutto e decidere insieme cosa fare. Già pianificava; non subito, ma fra qualche settimana avrebbe cominciato a frequentare più spesso casa sua. Avrebbero cenato insieme, e sarebbero usciti ogni sera. Poi, dopo uno o due mesi, gli avrebbe chiesto di convivere, così avrebbe lasciato quello squallido appartamentino sulla Champagnerie e sarebbe andato a vivere con lui. Finalmente avrebbe convissuto. Aveva sempre odiato vivere da solo, ma a Sandro non aveva mai proposto di trasferirsi con lui, perché aveva il presentimento che se gli avesse dato anche quei pochi momenti in cui poteva stare da solo lui si sarebbe preso tutto, l’avrebbe invaso e non gli avrebbe dato più un attimo di tregua. Perché Sandro era pesante. E lo diventava sempre un po’ di più, ogni volta che lo ricordava come una cosa passata.
- Mi dai un pacchetto di Marlboro 100’s?
Sorrise, felice, riconoscendolo prima ancora di vederlo.
- Ti devo parlare! – gli disse con entusiasmo dopo avergli dato ciò che chiedeva.
Lui lo guardò, curioso, con un mezzo sorriso.
- Smettetela di fare cortile! – urlò il signor Franco dalla cassa, - O finirà che licenzierò te e metterò fuori dalla porta un bel cartello con su scritto “vietato l’accesso” per te!
Roberto roteò gli occhi, sbuffando.
- Signor Franco, mi farebbe il piacere…
- Neanche se mi paghi. Lavora. Incontrerai il tuo amante dopo!
Si guardarono, si sorrisero e si diedero appuntamento per le sette.
***

- L’ho lasciato!
Lo sguardo stupito e contrariato che ricevette in cambio di quella preziosa novità non fu esattamente quello che si aspettava di ricevere. Si aspettava un sorriso dolce, una carezza, magari, e un bacio.
- Perché?
- …perché… non lo amavo più. Tu mi hai fatto capire che non lo amavo…
- Ti ho detto ieri di non prendertela con me per queste cose.
- Non me la sto prendendo con te! Ti sto ringraziando!
- Non si ringraziano le persone dando loro la responsabilità delle nostre azioni.
- Ma che stai dicendo…? Dai… non ti fa piacere che adesso io stia solo con te?
Gli occhi di Federico furono attraversati da un lampo, come stesse comprendendo, finalmente, dove lui volesse andare a parare con quel discorso. Nervosamente, si accese una sigaretta e non rispose.
***

Federico cominciò ad essere freddo nei suoi confronti. Strano, perché fino a pochi giorni prima non gli sembrava affatto il tipo capace di cambiare atteggiamento senza alcun motivo apparente. Sinceramente, non lo credeva neanche il tipo capace di essere freddo con lui.
Quando lo chiamava, era nervoso. Quando si vedevano, era nervoso. Se lo scopava senza particolari riguardi. Beh, questo lo faceva anche prima, ma adesso la cosa ai suoi occhi aveva perso quel fascino “diverso” che tanto l’aveva attratto – Sandro era sempre dolcissimo, a letto… - ed era diventata pesante, perché Federico aveva smesso di trattarlo con calore anche per tutto il resto della giornata.
I primi tempi, continuarono ad uscire ogni sera, a ridere l’uno delle battute dell’altro e a fare sesso ogni notte. A suo modo, quel rapporto era un idillio amoroso. Poco romantico, forse, ma piacevole. Chi ha bisogno del romanticismo quando ha Federico, che ti ha abbordato in pieno giorno e non ti ha più lasciato andare? Anche se forse a non lasciarlo più andare sei stato tu…

***


“Illuso, romantico e fesso”,
lui gli rispose,
“i fuochi di cui stai parlando
sono i fari puntati sul campo
dei trattori che stanno trebbiando”


Degenerò una sera, senza un perché. Non c’era nulla di diverso dalle altre sere che avevano passato insieme, anzi, Federico sembrava perfino allegro, e molto più spontaneo e vitale di quanto non fosse stato nelle ultime due settimane, e di conseguenza, anche Roberto si sentiva molto su di morale. Andarono al Cerchio. La musica era assordante, e le luci ad intermittenza permettevano appena di guardarsi di sfuggita tra una birra e l’altra.
Poi, d’improvviso, semplicemente si voltò per guardarlo e lui non c’era. Confuso e disorientato, fece vagare gli occhi intorno a sé, e poi sulla pista da ballo. Gli sembrò di scorgerlo uscire dal locale, ma non era lui. Quando riportò gli occhi sulla pista, lo individuò subito. Ballava con un altro, un tizio completamente sconosciuto, un ragazzo alto dall’aspetto indefinibile; proprio non riusciva a vederlo per bene, quelle dannate luci non facevano altro che confondergli gli occhi.
Non sapeva cosa fare, perciò rimase fermo a fissarli. Sentiva una gran voglia di scoppiare a piangere e di avventarsi su di loro per separarli, ma entrambe le cose gli sembrarono tanto stupide che le cancellò subito dalla mente e semplicemente rimase lì, immobile, stringendo la bottiglia ancora ghiacciata fra le mani chiedendosi cosa di preciso avesse fatto di male per meritare una cosa del genere. Federico l’aveva già tradito, senza neanche scopare, solo ballando, e sotto i suoi occhi.
Quando tornò al suo fianco, quasi neanche lo guardò. Prese in mano la sua birra e ricominciò a bere come niente fosse successo, mentre Roberto lo fissava, esterrefatto, in attesa di un segno, una parola, qualsiasi cosa. Quando se ne accorse, scrollò le spalle con noncuranza, tornando a guardare la pista.
- Chi era? – si decise a chiedere infine; la voce gli tremava, ma cercò di nasconderglielo.
- Perché ti interessa?
- …ci hai ballato insieme, sembravate… intimi…
- Sì, beh, lo siamo. Almeno, lo siamo stati. Siamo stati insieme.
- Ah… e adesso… non vi vedete più?
Lo guardò, stupito.
- In che senso? Capita che ci si veda, di tanto in tanto.
- Sì, ma dico… e che cazzo, pure tu, capiscimi!
Federico sbuffò irritato e sbatté con forza la birra sul bancone.
- Avanti, dimmi chiaramente che mi stai chiedendo se per caso non ci vado ancora a letto, di tanto in tanto. Su, non ho tempo da perdere. – disse, scorbutico e seccato.
Lui ne fu intimorito. Poi un impetuoso moto d’orgoglio e di stizza s’impadronì di lui.
- Sì, te lo voglio chiedere. Rispondimi.
- Sì, ci vado a letto. E continuerò a farlo.
- …ma che minchia vuol dire, Federico?!
- Vuol dire che non potevi farti un’idea più sbagliata di quella che ti sei fatto.
- Spiegati, puttana miseria, prima che ti ammazzi.
Federico gli diede uno strattone, piuttosto potente, facendogli male ad una spalla.
- Intanto datti una calmata. Secondo poi, non rompere i coglioni. Te l’avevo detto di non fare cazzate, hai voluto lasciare il tuo uomo perché volevi stare con me, ma io non voglio stare proprio con nessuno, hai capito?
Sconvolto, lo fissò a lungo, senza riuscire a capacitarsi.
- Ma che cazzo…? Perché non mi hai fermato, allora?
- Ma perché che cazzo vuoi che me ne fotta, scusa?! Te l’ho pure detto, non lasciarlo, non fare mosse avventate, ma vaffanculo, che responsabilità vuoi darmi adesso?!
Lo guardò con disgusto, scuotendo il capo. Si voltò verso l’uscita del locale, poi sembrò pentirsene e tornò a guardarlo, dandogli un pugno sul viso e mandandolo a sbattere contro il bancone.
- Sei una merda! Vaffanculo, mi fai schifo!
Federico, per qualche secondo, rimase tra lo stupito e l’interdetto, mentre tutto attorno gli altri ragazzi al locale cominciavano a mormorare e a spostarsi per evitare di restare coinvolti. Si risollevò in piedi, massaggiandosi il fianco che aveva sbattuto nell’urto e asciugandosi la bocca, e poi gli si avventò contro, sferrandogli un cazzotto sul ventre, e stordendolo al punto da farlo accasciare sulle ginocchia.
- Minchia, sei patetico. Fanculo tu, coglione di un frocio. – disse mollandogli un calcio sulla schiena mentre ancora lui stava inginocchiato per terra, e poi uscendo dal locale.
Furente e dolorante, lui rimase accovacciato per terra per qualche secondo, prima di riscuotersi. Sferrò un calcio violentissimo ad un ragazzo che si era avvicinato solo per aiutarlo, ricevendo giustamente in cambio un insulto pesantissimo e la disapprovazione malcelata del resto dei presenti.
Quando riuscì ad alzarsi senza che si vedesse che aveva pianto, andò via anche lui.
***

Era arrivato alla conclusione che doveva tornare da Sandro dopo una lunga e attenta riflessione iniziata, portata avanti e conclusa sul divano nel salotto del suo appartamento, mentre cercava di trovare una posizione comoda che gli permettesse di non soffrire le pene dell’inferno per ogni movimento che coinvolgesse il ventre e la schiena.
Alla fine, s’era convinto perché… beh, Sandro aveva avuto ragione su tutto.. Eccolo lì, aveva sofferto e stava tornando da lui. E sicuramente Federico si era dimostrato tutt’altro che perfetto, per lui.
Forse Sandro aveva ragione anche su questo. Forse loro due erano perfetti solo insieme, e basta.
Prese la macchina e arrivò di corsa sotto casa sua, e quando fu arrivato si fiondò fuori dall’auto e si gettò sul citofono tanto repentinamente che rischiò di cadere per terra come un idiota. Suonò un paio di volte, ma sembrava non esserci nessuno. Allora sollevò lo sguardo e lo vide, affacciato al balcone del primo piano, che lo guardava con un sorriso sarcastico ad increspare le labbra sottili.
- Sandro! – lo chiamò ansimando, - Mi apri?
Per qualche secondo, lui rimase a guardarlo, sempre con quello strano sorriso sul volto, e Roberto, non sapendo precisamente cosa fare, lo chiamò ancora una volta ad alta voce. Solo allora Sandro si riscosse e andò ad aprire il portone.
Salì le scale tutte d’un fiato. Sandro lo aspettava sulla porta. Quando lo vide, si scostò per farlo passare, e quando fu entrato si richiuse lentamente la porta alle spalle, rimanendo poi fermo a guardarlo.
- Ehi… come va? – disse Roberto impacciato, contorcendo nervosamente le dita.
Sandro sorrise e scrollò le spalle, scostandosi dalla porta per andargli incontro.
- Sono stato peggio, ma anche meglio.
- Mh…
- E tu?
Lo guardò, ad un passo dalle lacrime.
- Male…
Sandro scoppiò a ridere. La sua risata lo spaventò; gli sembrò più cupa del solito.
- Non va bene con l’altro?
- Non va affatto… avevi ragione tu. Su tutto. Scusami.
- Sei scusato.
Sollevò lo sguardo, scioccato. Sì, aveva immaginato a lungo quel momento, ed era quasi certo che lui l’avrebbe perdonato, ma… così in fretta? Era sconvolgente. Possibile che fosse davvero così tranquillo, così sicuro di sé, così innamorato, da perdonargli anche una cosa simile senza essere, neanche per un istante, scosso dal pensiero che avrebbe potuto rifarlo?
- Davvero? – chiese titubante, avvicinandoglisi di un passo.
Sandro annuì, spalancando le braccia. Lui vi si gettò in mezzo, lasciandosi stringere e abbandonandosi senza alcun pensiero alle sue carezze lungo il collo e la spina dorsale.
E poi d’improvviso una mano di Sandro indugiò sotto il suo mento, lo afferrò per la gola e lo sbatté al muro, poco distante, facendogli battere la testa.
Sconvolto e intontito, strabuzzò gli occhi e sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di riacquistare coscienza di sé mentre non riusciva a capire neanche cosa esattamente fosse successo. Sentiva solo una pressione terribile lì, sul pomo d’adamo, e si sentiva soffocare.
- Ah… Sa… - mormorò col respiro rotto, - La…
Sandro allentò lievemente la presa, afferrandolo per un polso e costringendolo al muro con tutto il suo corpo.
- Mi hai fatto incazzare da morire. – gli bisbigliò in un orecchio, - Io sono stato sempre gentile e premuroso con te. Non ti ho mai fatto male. E tu mi hai ripagato lasciandomi. Questo non è giusto, non avresti mai dovuto farlo.
- Scu-scusami… non… non volevo farti tanto male…
Sandro grugnì e rafforzò nuovamente la presa sul collo.
- Non dire stronzate. Cosa ti aspettavi, che sarei stato felice, se mi avessi lasciato? Stai zitto, è meglio.
Roberto serrò le labbra, terrorizzato, mentre Sandro gli liberava finalmente il collo e utilizzava la mano per afferrarlo per una spalla e strattonarlo.
- Che vuoi fare…? – chiese sottovoce, senza osare opporsi a quella furia allucinante.
Sandro rimase qualche attimo ad osservarlo, senza muoversi. E poi gli sferrò un cazzotto in piena guancia, mandandolo di nuovo a sbattere contro il muro.
- Ci hai scopato? – chiese burbero afferrandolo per i capelli e tirandoglieli, facendogli reclinare il capo all’indietro.
- Sandro…
- Rispondi. Ci hai scopato?
- Sì…
- Quante volte?
- Che ne so… non le ho contate…
- Quante volte?! – gridò tirando i capelli più forte.
- Ahi… cazzo… dieci… quindici…
- Bugiardo. Stronzo bugiardo. Almeno cinquanta volte.
- Non… non lo so, Sandro…
- Sei uno stronzo. Non posso neanche pensarci, voi due sul letto a scopare, mi viene voglia di ammazzarti, stronzo.
- Cazzo… Sandro, scusa… calmati, cazzo, Sandro!
- Stai zitto!
Lo afferrò saldamente per le spalle e lo costrinse a stare immobile mentre gli tirava uno schiaffo.
- Sandro…
- Sei un bastardo. Non ti meriti niente.
Altro schiaffo.
- Cazzo, Sandro…
Ricominciò a tirargli i capelli, tanto forte che gli sembrò gli si dovesse strappare via la testa dal collo. Lui cercò di divincolarsi.
- E’ meglio che stai fermo, bastardo!
Obbedì, scoppiando a piangere senza ritegno.
Lo spinse lontano, dandogli un altro pugno, stavolta sul petto, e togliendogli il fiato.
- Piano! Ti prego! – disse cercando di recuperare l’equilibrio e respirare.
- Ti ho detto zitto. Così è peggio.
Gli si avvicinò e di nuovo lo prese per i capelli. Gli diede un altro pugno, sul naso. Ormai era ridotto una maschera di sangue.
Lo lasciò andare, e per non cadere, con le ultime forze che gli erano rimaste, Roberto dovette aggrapparsi al muro. Sandro si chinò su di lui, e bisbigliò “Questo è per insegnarti. Sarò buono come prima, da oggi in poi, ma adesso sai cosa posso farti”.
Un insegnamento? Ma che insegnamento. L’aveva picchiato e basta. Ecco tutto.
Privo di sostegno, una volta rimasto solo Roberto si accasciò per terra. Ancora rintronato, osservò Sandro sparire verso la sua stanza.
Lentamente, si risollevò in piedi, si ripulì alla meglio e lo seguì, andandosi ad accucciare al suo fianco sul letto e lasciandosi accarezzare i capelli fino ad addormentarsi.

E forse allora canteremo…
A squarciagola canteremo...
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