Fandom: Originali
Genere: Introspettivo, Romantico, Fantasy, Drammatico.
Rating: R
AVVISI: Angst, Slash.
- Ruben è un angelo custode. Il bambino che custodisce, Leonard, è anche il motivo per il quale ha conosciuto il suo attuale ragazzo, il vampiro Mathias. Leonard, però, sta per essergli tolto, in quanto troppo grande per avere ancora un angelo custode. Ruben non la prende bene.
Note: L'ho fatto di nuovo. *piange* Sì, questa cosa degli angeli e dei vampiri non mi lascia in pace, se non altro perché io e la Tab su Skype continuiamo a inventarci storie a caso a riguardo e ciò mi porta a plottare miriadi di storie che palesemente non scriverò mai. *piange* Eqquindi, sì, un'altra storia angelico-vampirica, che per inciso con la precedente c'entra cazzi. Ma proprio per niente.
E niente, in realtà le voglio un sacco bene, motivo per cui mi dispiace di non essere riuscita a svilupparla come volevo. Ci sarebbero ancora un sacco di cose da dire su questi due, ma suppongo che potrò dirle in un eventuale seguito, nel caso XD Anche per non spostarmi troppo dal prompt Perdono attorno al quale la fic dovrebbe girare, per partecipare alla seconda missione della seconda settimana del COW-T, per la mia adorata squadra angelica che ne abbisognava parecchio.
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FOREVER STOPPED TODAY

La prima cosa che pensò nell’accorgersene solo in quel momento, dopo chissà quante settimane, fu che questa dovesse essere una conseguenza naturale della vita spaccata in due che conducevano, per quanto di vita si potesse parlare per un vampiro e un angelo, cioè per uno che era morto settant’anni prima e un altro che invece non sarebbe morto mai in quanto eterno.
Insomma, era inevitabile, non vedendosi praticamente mai se non per qualche ora ogni notte, che ci fossero un sacco di cose, di Ruben, che gli sfuggivano, o che lui non notava. Ruben, per dire, era un angelo custode. Proprio negli ultimi giorni, il bambino che gli era stato affidato alla nascita quindici anni prima aveva raggiunto l’età per cui un angelo custode non era più necessario, ed a Ruben ne era stato affidato un altro. Mathias non se n’era accorto fino a quando non era stato Ruben stesso a dirglielo, dopo due settimane di occhiate tristi e musi lunghi senza che gli riuscisse di cavargli una qualsiasi informazione dalla bocca.
Semplicemente, appartenevano a due mondi diversi. Ruben, di notte, il più delle volte dormiva invisibile appoggiato al letto del bambino che era incaricato di proteggere, e d’altronde di notte anche Mathias era impegnato, generalmente a cacciare, da solo o in compagnia, e comunque a mantenere viva e attiva la sua rete di amicizie. La vita del vampiro era già abbastanza crepuscolare senza doverci aggiungere anche la solitudine. Per lui che era morto a quindici anni la sola idea di restare solo era insopportabile, e così, fra un’esigenza e l’altra, lui e Ruben riuscivano a vedersi solo per un paio d’ore prima dell’alba, quando Ruben riusciva a svegliarsi molto presto e lui a rincasare molto tardi. Con così poco tempo per stare insieme, alle volte non riusciva quasi nemmeno a trovarne abbastanza per baciarlo. Perciò era del tutto normale non essere riuscito ad accorgersi in tempo di quello che gli stava accadendo.
Questa consapevolezza, purtroppo, non riusciva a rendere il tutto meno doloroso.
*
Era cominciato tutto qualche giorno dopo che Ruben era riuscito a confessargli quanto fosse rattristato all’idea di dover abbandonare Leonard, il bambino che stava seguendo all’epoca. Gli era stato dato un mese di preavviso, al termine del quale il legame spirituale fra lui e il bambino sarebbe stato formalmente reciso, e poco importava che a livello affettivo il sentimento fosse duro a morire – d’altronde, come avrebbe potuto essere diversamente? L’aveva visto nascere, l’aveva osservato crescere per quindici lunghi anni, come si poteva pretendere da lui che si comportasse come se di quel ragazzino non gli interessasse più niente?
Dopo averlo ascoltato sfogarsi per la quindicesima volta negli ultimi tre giorni su quanto Leonard fosse dolce e quanto si stesse facendo grande e bello e forte, Mathias aveva stretto Ruben a sé, accarezzandogli i lunghi capelli ricci, e l’angelo si era abbandonato sul suo petto, ripiegando le piccole e candide ali dietro la schiena.
- Dovresti esserci abituato, ormai. – gli aveva detto piano. Loro due si conoscevano solo da un paio d’anni, ma Ruben, nato con Dio e col mondo, per quanto il più delle volte si comportasse né più né meno come uno dei bambini su cui si supponeva dovesse vegliare, era decisamente più vecchio di lui. Di bambini doveva averne già persi a centinaia, se non migliaia.
- Nessun angelo custode si abitua mai al senso di perdita che il doversi separare da un bambino gli provoca. – aveva singhiozzato Ruben, strusciando il viso contro la sua maglietta, - Siamo angeli custodi proprio perché tutti gli affetti che proviamo sono assoluti, enormi ed eterni. Non c’è niente di più incrollabile dell’amore di un angelo custode.
- Questa è la parte bella. – aveva ridacchiato lui, cercando di sdrammatizzare. Ruben gli aveva pizzicato un fianco, offeso.
- Quello che intendo dire è che non mi basta sapere di non doverlo più proteggere, per smettere anche di amarlo. – si era spiegato, - È una cosa molto più profonda di così. Un tempo era molto più facile, un bambino ti veniva assegnato alla nascita e tu lo seguivi per tutta la sua vita fino alla morte, ed allora era più semplice lasciarlo andare. Ma così, sapendo che è ancora vivo e vaga per il mondo da solo… - la sua voce si era spezzata in un singhiozzo sofferente e lui aveva ripreso a piangere. Mathias aveva sollevato gli occhi al cielo, stringendoselo contro e cullandolo un po’.
- Ruben, andiamo… - aveva sospirato, accarezzandogli una spalla, - Da quant’è che Leonard ha smesso di invocarti nelle sue preghiere? O di pregare del tutto.
Per tutta risposta, Ruben aveva preso a piangere ancora più forte. Era quello il motivo principale per cui ormai gli angeli custodi venivano sollevati dai loro incarichi con l’arrivo dei quindici anni dei loro protetti: per quell’età, la maggior parte di loro aveva già smesso di pregare, e quelli che ancora lo facevano si dirigevano direttamente al creatore, senza passare per l’intermediario che li aveva custoditi fedelmente fino a quel momento. Aveva ragione Ruben a dire che un tempo era più facile, ma era pur vero che un tempo la gente era molto più stupida. Adesso era parecchio più difficile lasciar credere ai ragazzi che esistesse una creatura ultraterrena che vegliava su di loro. Da qui tutte le difficoltà che conseguivano per gli angeli custodi, da qui anche la sofferenza di Ruben. Mathias aveva sospirato ancora, stringendoselo contro e cullandolo dolcemente finché il sonno non si era fatto troppo pesante. Non c’era molto altro che potesse fare per lui oltre ad abbracciarlo. Il bambino gli sarebbe stato tolto comunque.
- È meglio se vado… - aveva singhiozzato Ruben, tirando su col naso, quando aveva visto gli occhi di Mathias cominciare a chiudersi per la stanchezza, - Fra poco Leonard si sveglierà e oggi lui e i suoi compagnetti di classe avevano un’importante presentazione durante l’ora di storia e… - era scoppiato a piangere ancora, incapace di controllarsi. Mathias si era allungato a baciarlo in punta di labbra.
- Cerca di non scioglierti in lacrime prima del tramonto. – gli aveva consigliato con un sorriso. Ruben aveva provato a sorridere a propria volta, producendosi in una smorfietta lacrimosa indiscutibilmente tenera della quale Mathias aveva riso dolcemente, prima di addormentarsi. L’ultima cosa che aveva sentito era stato il frullare delle sue ali mentre se le sgranchiva prima di prendere il volo, una volta uscito dalla camera dai vetri oscurati nella quale Mathias viveva.
*
Le cose erano peggiorate, ma non abbastanza velocemente da permettere a Mathias di accorgersene. Una sera, Ruben si era presentato sulla soglia del suo appartamento con gli occhi già pieni di lacrime, ma lui sul momento non era stato in grado di collegare quel giorno al giorno in cui lui gli aveva detto che Leonard gli sarebbe stato tolto. Non mangiava da almeno tre giorni, lui e il suo gruppo di amici avevano deciso di restarsene rintanati nelle loro abitazioni per un po’ in seguito al ritrovamento di una fossa comune abbandonata da tempo all’interno della quale erano stati gettati a marcire numerosi cadaveri tutti dissanguati; non era stata opera loro, né di nessun altro che conoscessero, ma avevano ritenuto più opportuno togliersi di mezzo per qualche giorno: conoscevano tutti abbastanza bene gli esseri umani da sapere che il sacro fuoco del giustizialismo e della guerra alle forze del male si sarebbe estinto in uno sbuffo di fumo in poco tempo, e l’importante era non rischiare di essere beccati nel bel mezzo della cena proprio mentre questo sacro fuoco ancora ardeva con violenza.
Ruben era arrivato e Mathias nemmeno ricordava che quello fosse il giorno. Era così affamato che al solo ritrovarselo davanti gli si era infiammato lo stomaco. Il suo profumo era così dolce, la curva del suo collo così invitante… ma aveva giurato che mai avrebbe bevuto da lui solo per nutrirsi.
- Ruben, sono di fretta, - gli aveva detto, - ho una fame che non ci vedo. Aspettami qui, non ci metterò molto a tornare. Fra un paio d’ore al massimo sarai di nuovo accanto al lettino di Leonard. – aveva concluso, prendendo la porta. Ruben l’aveva osservato allontanarsi e poi era entrato in casa, restando con le mani in mano per un paio di minuti prima di rassegnarsi a prendere una penna ed un foglio di carta e scrivergli di non preoccuparsi, che era un po’ stanco e sarebbe andato subito a dormire, si sarebbero rivisti l’indomani.
Era volato via senza aspettare neanche che lui rincasasse.
Quando s’era trovato quel biglietto fra le mani, sazio e decisamente più presente a se stesso di quanto non fosse quando era uscito, Mathias aveva lanciato un grido di pura frustrazione nel rendersi conto di quello che aveva combinato. Probabilmente, se avesse immaginato che quel momento di innocente disattenzione avrebbe posto le basi per quello che sarebbe successo dopo, avrebbe fatto di tutto per rimediare all’istante. Si sarebbe lanciato per strada ed avrebbe cercato Ruben in ogni angolo della città, per chiedergli scusa e soprattutto obbligarlo a sfogarsi un altro po’. Era vero che non faceva altro ormai da settimane, ma Mathias aveva una chiara idea di quanto profondo potesse essere l’oceano di amore che un angelo custode poteva riversare su una persona cara, e sapeva che tutte le lacrime che Ruben aveva pianto nei giorni precedenti non erano che una pallida ombra di tutte quelle che avrebbe potuto e voluto piangere.
Ma sul momento gli era sembrato di non rischiare poi molto ad aspettare il giorno dopo. Mentre cercava una vittima per strada, aveva visto ancora un paio di gruppi di vigilantes intenti a setacciare la zona attorno al cimitero, motivo per il quale si era rassegnato a consumare un pasto frugale prima di tornare di corsa a casa, e non ci teneva proprio a rimettersi per strada immediatamente, senza peraltro sapere dove andare o anche solo da dove partire per cercare Ruben. Si era detto che non ci sarebbe stato niente di male ad aspettare che fosse Ruben stesso a tornare, l’indomani, visto che comunque aveva scritto che l’avrebbe fatto, e perciò aveva ingannato un po’ il tempo navigando su internet per qualche ora, prima che l’approssimarsi dell’alba gli rendesse pesanti gli occhi, costringendolo ad andare a dormire.
Il giorno dopo, nonostante avesse ancora fame, non era uscito. Aveva atteso l’arrivo di Ruben e quando lui, stravolto, si era finalmente fatto vivo, l’aveva trascinato a letto e stretto fra le braccia a lungo. Ruben aveva pianto per delle ore, lamentandosi come se sentisse dolore proprio a livello fisico, e Mathias non avrebbe potuto escludere a priori che fosse davvero così. Non aveva idea di come funzionasse l’organismo di un angelo, il loro corpo era un mistero perché nessun angelo era mai morto e per questo motivo nessuno aveva mai avuto modo di studiarne uno. Come una creatura eterna potesse essere allo stesso tempo anche così fuggevole, quasi evanescente, Mathias non l’aveva mai capito. Era uno di quei numerosi misteri, uno di quegli splendidi tocchi della triste bellezza del creato, che nel tempo l’avevano convinto a guardare a Dio e alle gerarchie celesti con un certo rispetto, laddove gli altri suoi compagni, quando non odiavano l’intera categoria, se ne tenevano comunque sospettosamente alla larga per evitare eccessivi coinvolgimenti. Lui non aveva idea di come fosse possibile non essere affascinati da tutto quello che succedeva oltre la volta azzurra del cielo. Se era vero che i vampiri si elevavano ben al di sopra degli esseri umani quanto a forza, furbizia e intelletto, era anche vero che perfino il più sciocco degli angeli era una creatura infinitamente più perfetta di quanto un vampiro avrebbe mai potuto sognare di essere. Il solo poterne toccare uno lo rendeva un privilegiato, e ricordava ancora con una precisione imbarazzante quanto sconvolgente fosse stato posare gli occhi su di lui la prima volta che l’aveva visto, quella tarda sera estiva di due anni prima, quando in preda alla fame aveva cercato di assalire Leonard e Ruben era apparso, fiammeggiante di rabbia, a frapporsi fra loro due. Mentre il ragazzino, ignaro di tutto, si avviava placidamente verso casa, Mathias era rimasto per minuti interi in contemplazione di Ruben, come paralizzato, e gli era riuscito di riprendere possesso del proprio corpo solo quando Ruben aveva distolto gli occhi brillanti dal suo viso, voltandosi per seguire Leonard in casa.
A ben pensarci, che Ruben dovesse abbandonare Leonard era una cosa che rendeva triste anche lui. Col ragazzino non aveva avuto mai alcun rapporto, e qualsiasi possibilità di nutrirsi di lui era ovviamente sfumata appena aveva posato gli occhi su Ruben, ma in un certo qual modo era merito suo se lui e Ruben s’erano conosciuti. Era triste che la parte della vita di Ruben che aveva unito lui e Mathias, anche solo per un solo attimo, dovesse sparire così all’improvviso per un’imposizione dall’alto.
- Sembri molto stanco. – gli aveva detto, ricavandosi a fatica uno spazio fra un ansito e un gemito di dolore quando Ruben aveva smesso di piangere.
- Lo sono. – aveva risposto lui, rannicchiato contro il suo petto, - Ho vagato per la città tutta la notte. È stato tremendo. Non mi hanno ancora assegnato un bambino nuovo e l’idea di non poter tornare da Leonard era… - si era interrotto, trattenendo l’ennesimo singhiozzo spezzato, - Non riuscivo nemmeno a pensarci. Non avevo nessun posto dove andare.
- Avresti potuto tornare qua. – gli aveva detto lui, stringendolo forte, - Non ti avrei certo buttato fuori.
Ruben aveva sorriso sulla sua pelle, e il suo sorriso gli era parso in qualche modo tirato, quasi fasullo. Se non avesse saputo che fingere un sorriso era una di quelle cose che Ruben non avrebbe mai potuto fare, assieme a mentire e fare del male a qualcuno, si sarebbe preoccupato. Ma d’altronde, probabilmente avrebbe fatto meglio a preoccuparsi comunque, visto che nel giro di un paio di mesi avrebbe scoperto che molte delle cose che, associate a Ruben, credeva inconcepibili, erano invece concepibilissime.
- Mathias, a te non fa paura l’eternità? – gli aveva chiesto sottovoce qualche istante dopo, abbracciandolo con forza alla vita e nascondendo il viso contro il suo petto.
- Be’, tecnicamente io non sono eterno. – lo aveva corretto lui con una mezza smorfia, - Tu sei eterno. Ci sei sempre stato e sempre ci sarai. Io invece potrò anche esserci per sempre, se tutto mi va bene, ma di certo non ci sono sempre stato. Rispetto ad altre creature, io sono incredibilmente giovane. Non sono neanche lontanamente eterno.
Ruben s’era concesso uno sbuffo vagamente infastidito, così caldo sulla sua pelle da costringerlo a sorridere.
- Allora non ti fa paura lo scorrere del tempo? – aveva riformulato. Mathias ci aveva riflettuto un po’.
- No, in realtà. – aveva risposto, scrollando le spalle. – Mi piace veder cambiare le cose.
Ruben aveva stretto la presa attorno alla sua vita in uno scatto repentino e doloroso, quasi uno spasmo.
- Io lo odio, invece. – aveva mormorato, - Ho visto cambiare il mondo così tanto, in migliaia di anni. Abbastanza da capire che non esistono cambiamenti in positivo. Ma nemmeno in negativo, in realtà. – aveva riflettuto, - È tutto… tutto finge di essere diverso, ma in realtà è sempre uguale a se stesso. Cambiano solo le facce che vedi.
Mathias aveva inarcato un sopracciglio, scettico.
- È un modo un po’ piatto di vedere la realtà, non ti pare? – aveva buttato lì, - Ogni cosa è cambiamento. Anche il fatto che fino a due anni fa noi due non ci conoscevamo e invece adesso stiamo insieme. È stato un cambiamento di una certa entità, non credi anche tu? E non è stato positivo?
Ruben si era morso un labbro, aggrottando le sopracciglia, e Mathias aveva avuto il sentore di aver sbagliato a portare l’argomento sulla loro relazione. Aveva proprio avuto l’impressione di aver mancato il punto di Ruben di almeno un paio di chilometri, ma pochi istanti dopo l’espressione corrucciata dell’angelo si era spianata e poi sciolta in un sorriso mesto, e Mathias aveva pensato che allora quel senso di inadeguatezza e di errore profondo probabilmente era stato solo un’impressione, e si era dato pace.
- La tua sembra una filosofia interessante. – gli aveva sussurrato, - Voi vampiri la pensate tutti così?
Mathias aveva scrollato le spalle.
- Non ti so dire, sai com’è, non tutti nel mondo vivono trincerati nel pensiero uniforme come voi angeli. – l’aveva preso in giro, guadagnandosi un pugnetto contro la spalla al quale aveva risposto con una mezza risata. – Comunque tendenzialmente i vampiri hanno un’alta considerazione del tempo che passa. Sanno goderselo, come dire, riescono ancora a trovare qualcosa che riesca a stuzzicare la loro curiosità.
Ruben aveva sbuffato in mezzo sorriso, stringendosi nuovamente a lui.
- Mi piacerebbe poterlo fare. – aveva detto, - Mi piacerebbe poter essere un vampiro. – e poi si era interrotto per qualche secondi, prima di sollevarsi facendo forza sulle braccia e cercare i suoi occhi. – Tu mi trasformeresti in un vampiro, se te lo chiedessi? – aveva domandato con un filo di voce, e Mathias aveva aggrottato le sopracciglia, turbato.
- Sei perfetto già così. – gli aveva detto, e credendoci per davvero.
- Pensavo che a voi vampiri gli angeli non piacessero. – aveva buttato lì Ruben, con un sorrisetto un po’ storto. Era la prima volta che gli vedeva sul viso un’espressione così tirata e fasulla. Stravolgeva i suoi lineamenti dolci con una brutalità tale da costringerlo quasi a distogliere lo sguardo.
- Per molti di noi in effetti siete abbastanza intollerabili, - aveva risposto Mathias, cercando di mantenere una certa neutralità nel tono della voce, anche se si sentiva profondamente inquieto. Ruben non gli aveva mai chiesto una cosa simile. Non avevano mai neanche discusso della possibilità. – ma mi sembrava implicito che per me invece non fosse così, visto che stiamo insieme.
Ruben aveva sorriso più dolcemente, allungando una mano verso il suo viso in una carezza distratta.
- Infatti so che tu mi ami. – aveva detto, e per un secondo lo spirito di Mathias s’era fatto più leggero. Non era durata a lungo, però. – Quindi te lo chiedo. Per favore, fa’ di me un vampiro.
S’era tirato su di scatto, indietreggiando fino alla testiera del letto e fermandosi solo dopo averla raggiunta con le spalle, e solo perché oltre quella, evidentemente, non poteva andare.
- No. – aveva risposto, secco e deciso, - Perché?
Ruben aveva abbassato lo sguardo, incapace di continuare a guardarlo negli occhi.
- Perché odio questa vita. – aveva risposto in un gemito gonfio di dolore, - Mi manca Leonard.
- È solo una questione di tempo, prima che ti assegnino un altro bambino! – aveva ribattuto lui, e Ruben l’aveva guardato con occhi talmente carichi di orrore, sgomento e paura da costringerlo ad arretrare ancora, sconcertato.
- Tu non capisci, tu non hai idea! – aveva quasi strillato, - Mi manca Leonard, e mi manca Timothy prima di lui, e Catherine ancora prima, e Linda, e Gustav, e Charlene, e Cristina, e Demetrios, e potrei risalire nel tempo di bambino in bambino fino a pronunciare nomi in lingue così antiche che il tuo cervello non riuscirebbe nemmeno a concepirli, e tu mi dici che è solo una questione di tempo?! Che presto me ne assegneranno un altro?! È esattamente quello che non voglio!
- Ruben— calmati! – aveva cercato di placarlo lui, stringendolo per le spalle come a volerlo tener fermo. Ruben l’aveva fissato con occhi pieni d’angoscia, mentre ansimava pesantemente, provando a riprendere fiato. – Potresti… non so, farti assegnare qualche altri incarico. Smettere di essere un angelo custode e fare qualcos’altro.
- Fare… qualcos’altro? – aveva sillabato Ruben, e lentamente le sue labbra si erano aperte in un sorriso vagamente isterico, - Ma cosa credi che sia il Paradiso, un’azienda? Un— non lo so, un posto in cui se il tuo lavoro non ti piace puoi chiedere al principale di spostarti ad un settore che ti piaccia di più?! Noi non diventiamo angeli custodi, noi nasciamo angeli custodi, e non abbiamo nemmeno la consolazione della morte o della pensione, perché noi non moriamo e non invecchiamo, noi custodiamo e basta! – si era interrotto per qualche secondo, riprendendo nuovamente fiato e continuando a fissarlo mentre Mathias lo fissava a propria volta, spaventato dalla sua furia. Poi, i lineamenti del suo volto, contratti dallo sforzo, si erano finalmente sciolti un po’, restituendogli quell’aria eternamente infantile che Mathias trovava così irrimediabilmente tenera e così amata, in quanto lo rendeva simile a lui, fermato per sempre all’alba dei suoi quindici anni. – Fa niente, - aveva detto, con una vocina ridotta a un sussurro che gli aveva preso a calci lo stomaco, - lascia stare. Immagino che tu non voglia—
- Io non voglio e non posso, Ruben. – aveva esalato lui, provando ad avvicinarglisi, - Voi angeli non potete diventare vampiri, perché non potete morire. Io non posso— non ti dissanguerei mai, ma se anche volessi farlo, non potrei. Semplicemente non è possibile.
Ruben si era lasciato andare ad un sorriso mesto, sottraendosi alla sua vicinanza per scivolare con grazia giù dal letto.
- Suppongo di non poterci fare niente. – aveva sussurrato, la voce rotta da un accenno di pianto, - Sono in gabbia.
- Ruben… - aveva provato a chiamarlo lui, ma l’angelo si era riscosso, scuotendo il capo come per scacciare via i pensieri molesti e rivolgendogli un sorriso più ampio, anche se annacquato dalle lacrime che gli rotolavano brillando come gemme lungo le guance.
- È quasi l’alba. – gli aveva detto, - Mettiti a dormire. Ci vedremo presto.
Mathias aveva provato a protestare, ma gli occhi già pesanti di sonno avevano vinto le sue resistenze, e le mani dolci e calde di Ruben che lo spingevano a mettersi giù e poi gli rimboccavano le coperte sotto il mento avevano fatto il resto.
Non l’aveva più visto, da allora. Per due settimane intere.
*
Non era uscito quasi per niente, in quei giorni. Ruben aveva detto che sarebbe tornato, e il pensiero di mancare dall’appartamento per più di un paio d’ore lo angosciava, come fosse sicuro che Ruben sarebbe tornato da lui proprio il giorno in cui lui avesse deciso di fermarsi fuori fino all’alba. Aveva anche provato a restare sveglio oltre l’orario, un giorno, una cosa che non aveva mai sentito il bisogno di fare in vita propria, per assicurarsi che Ruben non venisse a trovarlo solo quando sapeva che sarebbe stato addormentato, ma aveva scoperto che il motivo per cui nessun vampiro riusciva a vegliare oltre l’alba non era da ricercarsi nel sole, ma nella semplice impossibilità di farlo. Dopo mezz’ora aveva cominciato a tremare, sentire improvvise vampate di calore subito seguite da profondissimi brividi di gelo, ed infine a perdere sangue dal naso e dalle orecchie. Era crollato addormentato pochi minuti dopo, esausto. Non ci aveva più riprovato.
Vivian era arrivata due o tre sere dopo, tutta agitata e stretta nel suo completino beige e marrone, uno dei suoi migliori. Indossava un cappello e dei guanti coordinati, ed un paio di decolleté dal tacco vertiginoso. Ai lati del suo viso ovale e pallido scivolavano le ciocche scurissime del suo caschetto sempre fresco di taglio, e le sue labbra dipinte di rosso erano piegate in una smorfia estremamente disapprovante.
- Mathias, tesoro, - lo salutò entrando in casa e chiudendosi repentinamente la porta alle spalle con un calcetto mentre contemporaneamente sfilava i guanti un dito alla volta, - che scempio! – annunciò tragicamente, - E per una volta non sto parlando dei tuoi capelli. – precisò, - Sebbene anche loro siano abbastanza un disastro, povero caro.
Vivian non era cambiata di una virgola da quando era stata creata negli anni Venti, anche se nessuno avrebbe saputo indicare precisamente quando. Lei non amava parlarne, ogni volta che si provava a tirare in mezzo l’argomento ribatteva sempre che non era educato chiedere l’età ad una signora. Fortunatamente, non dava mai molte occasioni di porle simili e sconvenienti domande. Era una solitaria, e lui stesso non l’avrebbe mai conosciuta se non fosse stata principalmente lei ad occuparsi della divisione degli appartamenti in quella zona della città. Si diceva che fosse fidanzata con un essere umano impiegato in un’agenzia immobiliare che si occupava di scovare per lei tutti gli appartamenti sfitti o dei quali i padroni volevano liberarsi, per poi sfilare le schede dagli archivi dell’agenzia e passarle a lei, che ne disponeva come più le aggradava, preparandole ad accogliere i vampiri e distribuendole gratuitamente ai nuovi arrivati. Nessuno sapeva se la storia del fidanzato fosse vera, Vivian rispondeva sempre con un enigmatico sorriso a coloro i quali si azzardavano a domandarle se stesse con qualcuno, ed in genere, quando qualcuno arrivava a farle questa domanda, era l’ultima che riusciva a porle prima che lei tagliasse con loro ogni contatto.
Mathias le stava simpatico perché non le aveva mai chiesto niente.
- Viv…? – aveva boccheggiato lui, più in forma di quanto non fosse qualche sera prima ma ancora piuttosto debole.
- Ragazzo mio, sei uno straccio. – aveva considerato lei, giungendo le mani davanti alle labbra arricciate in un’espressione preoccupata tesa a formare un piccolo cuore, - Da quanto non mangi come si deve? Non che la cosa mi stupisca, voi giovani siete così scapestrati. Guarda come sei conciato, poi, ma ci esci con questi pantaloni? Oh, santo cielo, i jeans. Non credo esista niente nel mondo di più disgustoso, a parte le lumache. – aveva sospirato, volgendo gli occhi al soffitto con insofferenza evidente. – Ma non sono qui per parlare di cucina francese, tesoro. – aveva detto poi, - Questa, purtroppo, non è una visita di cortesia.
Mathias aveva inarcato un sopracciglio, incerto.
- È successo qualcosa? – aveva chiesto. Vivian aveva annuito con una certa serietà, prendendo posto su una seggiola ed accavallando le lunghe gambe con grazia.
- Tesoro, come ben sai io rappresento questa comunità, o almeno, la parte di questa comunità che ha ancora una certa decenza. – aveva cominciato, e Mathias aveva immediatamente messo su la propria migliore maschera dubbiosa: Vivian non rappresentava proprio un bel niente, ma amava crederlo, e dal momento che una parte della comunità che tenesse alle apparenze quanto gli esseri umani effettivamente c’era, era a lei che venivano demandate visite come quelle, visite in cui sostanzialmente venivi redarguito per il tuo comportamento frivolo e poco elegante, la cui conseguenza era stata mettere in una luce negativa tutto il resto dei bravi vampiri che bla bla bla. In genere, visite simili erano necessarie solo in seguito a situazioni veramente gravi, ma era pur vero che quasi nessuno dei vampiri con cui Vivian aveva dei contatti si era mai macchiato di azioni oggettivamente incomprensibili come il danno delle fosse comuni che aveva obbligato tutti a restare tappati in casa per settimane, ed in ogni caso Mathias, non essendo quasi mai uscito negli ultimi giorni, era ragionevolmente certo di non meritare alcuna ramanzina. Eppure eccola lì, Vivian, seria e sul piede di guerra, pronta a parlare.
- Sì, Viv. – l’aveva invitata a proseguire, - Lo so.
- Ebbene, - aveva detto lei, sistemandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio, - Quella tua storia con quell’angelo custode, ecco, tutti noi l’abbiamo accettata perché sei un ragazzo, sei ancora così giovane!, e poi per quale motivo non avremmo dovuto, d’altronde, Ruben sembrava a posto, ma tu capisci che siamo arrivati ad un punto in cui sia tu che il tuo ragazzo state abusando della nostra fiducia, e specificatamente della mia casa, in questo preciso istante!, perciò non credo di essere disposta a tollerare oltre.
- …cosa… - aveva cominciato lui, gli occhi spalancati, - Aspetta, Vivian, hai visto Ruben? – aveva domandato, boccheggiando affannosamente.
- Se l’ho visto? – aveva ribattuto lei, stringendosi altezzosamente nelle spalle, - Se l’ho visto?! Chiediti chi non l’abbia visto, piuttosto!
- Perché non l’hai portato qui?! – aveva ringhiato lui, balzando verso il letto per recuperare la giacca abbandonata ai piedi del materasso e poi tornando verso di lei ad ampie falcate.
- Perché, mio caro, - aveva risposto Vivian, aggrottando le sopracciglia ed alzandosi in piedi, - era talmente sforacchiato e senza forze da non riuscire neanche a reggersi in piedi. – Mathias si era fermato all’improvviso, sconvolto. Ruben. Ricoperto di morsi. Dissanguato. – Non so cosa gli sia capitato, - aveva ripreso la vampira poco dopo, indossando il cappotto e sistemandosi il cappellino sulla testa prima di recuperare i guanti, - ma di sicuro è stato morso parecchie volte, e per molti giorni consecutivamente. C’erano tante di quelle cicatrici… ed era così debole che molte ferite non era neanche riuscito a rimarginarle. È a casa mia, dovrebbe stare meglio, adesso. Sono venuta a dirti che puoi venire a riprendertelo, ed anche che ti ho fatto un favore ma vorrei evitare che una situazione simile si ripetesse.
- …grazie. – aveva biascicato lui, seguendola nella notte all’esterno dell’appartamento, - Non era mai successo niente del genere, Ruben sta… sta vivendo un periodo un po’ particolare. Me ne occuperò io.
- Non vedo chi altri dovrebbe farlo, - aveva sbuffato Vivian, precedendolo verso la sua automobile sportiva, - io no di certo.
- Scusami, Viv. – aveva detto lui, sguardo basso, prendendo posto sul lato del passeggero accanto a lei. Vivian non aveva risposto, ma poco dopo, giunti al suo appartamento – di gran lunga più bello e spazioso di qualsiasi appartamento rifilasse ai nuovi arrivati in città facendolo magari anche passare come un dono di un certo valore – gli aveva ribadito la necessità di rimettere la situazione a posto quanto prima, e si era raccomandata di non impressionarsi troppo alla vista di tutte le ferite che Ruben aveva addosso.
- E soprattutto non dire ad anima viva quello che vedrai qua dentro. – aveva detto aprendo la porta ed invitandolo ad entrare in una camera per gli ospiti, - La mia vita privata è la mia vita privata, e non voglio che se ne sappia niente in giro.
Ruben era a letto, pallido come la luna e ricoperto di morsi. Alcuni erano suoi, poteva riconoscerli con chiarezza. Infiniti altri, invece, no. China su di lui, una ragazza dalla pelle scura e dai corti capelli ricci e crespi si occupava delle ferite più fresche, tamponandole con delle pezze umide. Doveva essere la ragazza di Vivian, a giudicare dalla confidenza con cui la vampira si era avvicinata a lei, chinandosi a cercare le sue labbra in un bacio lieve e dolce. Non lo stupiva che Vivian non volesse che si sapesse della sua esistenza in giro. Sarebbe stata una preda ambita per chiunque.
Posato sul comodino accanto al letto giaceva un piattino con qualche spicchio d’arancia. Erano pochi, perciò Mathias aveva supposto che Ruben ne avesse già mangiato un po’. Gli sembrava così strano, Ruben non aveva mai mangiato niente in sua presenza.
- Devi mangiare ancora un po’, Ruben, - diceva la ragazza, - o non ti rimetterai mai.
Ruben non aveva risposto a lei, e nemmeno a lui, quando si era fatto avanti.
- Ruben. – l’aveva chiamato, allungando una mano verso il suo viso ora così pallido e scavato. Ricordava la bellezza dei suoi tratti, lo splendore delle sue guance piene e rotonde, lo splendido colore dorato della sua pelle. Adorava che Ruben sembrasse sempre di ritorno da un bagno di sole. Adesso era così pallido, così emaciato. – Ruben, che cosa ti è successo? Qualcuno ti ha attaccato?
Ruben aveva distolto lo sguardo, fissando la parete contro la quale il letto poggiava. Aveva immediatamente preso a piangere.
- Sta bene, ha recuperato in fretta. – gli aveva sorriso la ragazza, stretta al fianco di Vivian che la traeva possessivamente a sé, guardandolo minacciosa nonostante sapesse che da lui non aveva niente da temere, - Dovresti portarlo a casa, adesso, e prenderti cura di lui.
Mathias aveva annuito e ringraziato. Ruben non aveva fatto storie: si era lasciato sollevare, rivestire ed accompagnare nuovamente in strada. Era rimasto calmo e buono mentre prendevano un taxi, di modo che Mathias non dovesse rimproverarlo. Sarebbe stato ben strano per il tassista sentirlo parlare, dal momento che nessun occhio umano poteva percepire la materia di cui gli angeli erano fatti, se non era l’angelo stesso a volerlo.
Ruben aveva continuato a tacere anche dopo, però. Quando erano arrivati a casa, quando lui gli aveva fatto posto sul letto dopo aver cambiato le lenzuola ancora sporche dello stesso sangue che aveva versato quando aveva provato ad aspettarlo sveglio, perfino quando s’era steso accanto a lui, stando bene attento a ripiegargli sulla schiena le piccole ali ancora candide anche se un po’ rovinate, Ruben era rimasto in silenzio. E non l’aveva mai guardato negli occhi.
Avevano dormito l’uno accanto all’altro per tutto il giorno. Quando, alla sera, si erano svegliati, Ruben s’era alzato in piedi e, come se nemmeno lo vedesse, era uscito. Mathias aveva trattenuto a stento le lacrime, ferito dal suo comportamento, ma quando l’aveva visto sparire oltre la porta s’era fatto forza, e l’aveva seguito.
*
Lo capì solo in quel momento, vedendolo entrare in quel locale. Si stupì di quanto potesse essere stato cieco, era veramente incredibile che non ci fosse arrivato da solo. Non averlo più visto dopo quel discorso sul diventare vampiro avrebbe dovuto essere sufficiente per fargli capire dove Ruben fosse sparito.
Nascosto nell’ombra, osservò Ruben restare immobile al centro della pista da ballo di quella sporca discoteca per vampiri. Uno di quei posti che Vivian e tutti gli altri vampiri della comunità non avrebbero mai frequentato, neanche se obbligati. Inorridì quando le prime fauci affondarono nel suo collo pallido. Altre subito le seguirono. Sempre sul collo, dall’altro lato. Nella carne tenera poco prima della spalla. Nei suoi polsi così sottili. Fra le sue cosce morbide. Sul suo fianco dalla linea vagamente curva, dopo avergli tolto di dosso la tunica ed averla lasciata scivolare a terra. L’avambraccio, il polpaccio, il petto, il ventre. Ben presto, Ruben fu appena visibile, un vago spruzzo bianco in mezzo allo sciame di vampiri che ne succhiava il sangue circondandolo da ogni parte. Era come osservare la luna fare capolino, bianchissima, in mezzo ai nuvoloni carichi di temporale, nel bel mezzo della notte.
La maggior parte dei vampiri si separò da lui dopo pochi minuti. Il sangue di Ruben scorreva velocissimo, aveva un sapore forte e non si esauriva mai. Era dura berne tanto anche per Mathias stesso, che ormai vi aveva fatto l’abitudine. Per alcuni di quei vampiri doveva essere qualcosa di completamente nuovo. Vide alcuni di loro – probabilmente coloro che lo provavano per la prima volta – accasciarsi a terra e fissare il soffitto con sorrisi vuoti aperti sulle labbra. Altri ridevano, seduti sul pavimento. Una femmina si sfiorava fra le gambe, gemendo incontrollabilmente.
Tre o quattro vampiri rimasero in piedi. Sorridevano soddisfatti, dai loro occhi era palese che non ne avevano ancora avuto abbastanza. Presero Ruben per mano, trascinandolo fuori dal locale e stordendolo con paroline dolci che lui non sembrava neanche sentire. Ruben si nascose, e dal suo angolo oscuro lo osservò piangere in silenzio mentre i tre lo conducevano nelle profondità del vicolo dietro il locale e riprendevano a pasteggiare col suo sangue.
Gli occhi di Ruben erano talmente vuoti da riflettere i loro volti deformati dal desiderio, le zanne snudate, le labbra grondanti d sangue.
Mathias aspettò in silenzio che si saziassero fino a non potersi più muovere. Li osservò appoggiarsi alla parete, stanchi e incerti sulle gambe. La voce di uno dei tre cominciò a levarsi più forte nel silenzio del vicolo. Gemeva in preda all’orgasmo, inarcandosi nel vuoto mentre gli altri due lo guardavano, ridevano e si masturbavano inconsciamente da sopra i pantaloni.
Spezzò il collo a tutti e tre, staccando di netto le teste dai corpi. I cadaveri si polverizzarono all’istante, le ceneri si dispersero senza un suono fra i ciottoli che rivestivano il pavimento del vicolo. Le teste strappate rimasero integre, le espressioni deformate dal dolore e dalla sorpresa, le fauci ancora grondanti di sangue. Mathias le prese a calci perché rotolassero in un punto meno esposto del vicolo, in mezzo ai cassonetti dell’immondizia. Con un po’ di fortuna, nessuno avrebbe mai saputo che era stato lui ad ucciderli. Vivian non sarebbe stata di mano leggera con la punizione, se fosse venuta a conoscenza del fatto. Uccidere altri vampiri, facessero essi parte della comunità o fossero cani sciolti come quelli di cui si era appena occupato, era severamente proibito. La fratellanza del sangue lo impediva, più della legge.
Per Mathias, mantenere rapporti rilassati col resto della comunità era sempre stata la cosa più importante. Evidentemente, ora non lo era più.
Si chinò accanto al corpo di Ruben. Sembrava che i suoi occhi fossero tornati a vedere. Piangeva ancora, piegato su se stesso, i lunghi capelli ricci a nascondere il viso. Scosso dai singhiozzi, non riusciva a trattenere i gemiti e i lamenti. Perdeva sangue da tutte le ferite, e per quanto in altre situazioni gli fosse bastato molto meno per perdere la testa ed azzannare, in quel frangente Mathias mantenne la calma.
Allungò le braccia verso di lui e lo strinse a sé, affondando il naso fra i suoi capelli, inspirando il suo profumo sempre buono nonostante tutto, e godendo del suo calore sempre forte.
- Hai bisogno di aiuto. – gli sussurrò addosso, cullandolo come immaginava molto spesso avesse fatto lui, di notte, coi bimbi che custodiva, - Lascia che ti aiuti.
Ruben scoppiò a piangere con violenza maggiore, aggrappandosi a lui e nascondendo il viso contro il suo petto.
- Scusami. – mormorò fra un singhiozzo e l’altro, allacciandolo al collo e stringendosi a lui tanto da dare l’impressione di volersi scavare una nicchia dentro il suo cuore, sorpassando la pelle, la carne e i muscoli per arrivare a nascondersi in un posto nel quale non avrebbero più potuto trovarlo. – Perdonami, Mathias. Perdonami.
Mathias chiuse gli occhi, girandogli le braccia attorno alla vita ed aiutandolo a mettersi in piedi.
- No, Ruben. – mormorò, baciandolo gentilmente su una tempia mentre lo accompagnava verso casa, - Perdonami tu.
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