Genere: Comico.
Pairing: Bill/Bushido, David/Tom.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Crack, Slash.
- Bill ha avuto un'idea geniale: una collaborazione Bushido/Tokio Hotel che possa soddisfare le fangirl molto più di quanto non facciano i flirt pubblici. Il problema è che questa stessa idea finisce per rivoltarsi non solo contro chi l'ha avuta, ma pure contro tutti gli altri. Buongusto delle fangirl lettrici a casa compreso ._."
Note: Questa storia nasce in un modo molto perverso – come perfettamente intuibile dalla tematica, immagino. Nasce, precisamente, con me che, in crisi d’astinenza da Billshido, mi piego a leggere una Billshido/Torg AU decisamente opinabile che non vi linko perché ci sono cose che vanno tenute nascoste alle masse no matter what. Nella storia in questione, Bill era un gioioso allievo un po’ ribelle che finiva in punizione, sorvegliato dal prof di storia – vi lascio indovinare chi fosse. Tom e Georg erano due giocatori di football e l’unica loro utilità era rotolarsi fra i documenti del povero prof di storia di cui sopra – povero non perché fosse in sé sfigato, ma perché non puoi mettere Bushido a fare il prof e non aspettarti che io ci rida su. E anche parecchio.
Comunque. Niente, m’è venuta voglia di infilare Bill in una divisa da scolaretta XD La colpa è del crossdressing. Perciò di Sar@. La colpa del crossdressing è sempre sua. La colpa del Tost – e quindi del conseguente inserimento di Tom che ha dato da solo un perché alla fic – invece, è di Yul, che si lamentava (come al solito) che nessuno le scrive mai fic sulla coppia che piace a lei. Toh XD
Insomma, come vedete io sono completamente innocente °_° La colpa è tutta di altri XD Ma spero comunque che queste cinque paginette di follia vi siano state gradite <3
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FOREPLAY

Tom lo stava guardando come fosse pazzo già da una decina di minuti abbondanti e, sinceramente, la cosa cominciava a farsi un puntino irritante. Bill incrociò le braccia sul petto e sporse un broncio molto offeso, aggrottando le sopracciglia e dardeggiandolo con un’occhiata risentita.
- Be’? – borbottò, - Che hai da fissarmi così?
Tom deglutì e si sistemò meglio sul divano.
- …non avrei affatto dovuto dirtelo. – concluse annuendo lentamente per darsi ragione da solo, - Avrei dovuto continuare a lasciarti nella tua ignoranza, perso nel tuo idillio amoroso col tuo rapper dal cuore di panna, così non avresti mai saputo che…
- …che tu te la fai col mio manager.
- Che è anche il mio manager. – precisò piccato. – Sì, comunque. Non l’avresti mai saputo e non saremmo mai arrivati a questo punto.
Bill batté un piedino a terra e si espresse nel migliore dei suoi bronci da diva insoddisfatta.
- Non mi pare di averti mai dato fastidio, fino ad ora! Ed è un mese che lo so! – si premurò di fargli sapere, fissandolo astioso.
- Ed infatti m’era sembrata troppa grazia! – strillò Tom, scattando in piedi e prendendo a muoversi ossessivamente intorno al divano, - Non lo farò, Bill.
Bill si tirò indietro, i tratti del viso che denunciavano un profondo sgomento – la bocca spalancata, il cipiglio oltraggiato, gli occhi liquidi e brillanti – e lo puntò col dito.
- Come puoi…!
- Non lo farò! – ripeté più duramente Tom, - Ma poi, che utilità potresti ricavarne?!
- Be’, almeno non sarei solo!
- Ma che vuol dire, io non sarei mica lì con te!
- Non fisicamente, ma spiritualmente sì!
- Ma è follia!!! E poi perché, se tu vai a sputtanarti col tuo uomo, devo farlo anche io col mio?!
- Per gemellarità! Che gemello di merda sei?!
- Un gemello che ci tiene alla propria dignità!
- Ti fai David, che dignità può esserti rimasta da difendere ancora?!
Tom ringhiò e concentrò sulla punta della lingua tutto l’astio ed il fastidio di cui si riteneva capace.
- La dignità di uno che per scopare non ha bisogno di infilarsi in un costume e fingere di essere una cosa che non è!
Bill serrò le labbra, risentito.
- Non è un costume! – precisò poi, indicando l’enorme sacchetto di plastica trasparente che giaceva immobile ai suoi piedi, - È una divisa. E quale migliore occasione di utilizzarla, se non questa? È l’unico momento in cui possiamo rischiare di beccarli insieme!
- Io non scoperò con David nella stessa stanza in cui tu stai scopando con Bushido, Bill!
- Ma chi te l’ha chiesto?! – continuò ad urlare lui, sempre più sconvolto, - Dobbiamo solo andarci insieme, poi prenderemo ognuno una stanza!
Tom roteò gli occhi.
- Lo sapevo io. – mormorò con la furia depressa di un uomo sull’orlo di una crisi di nervi, - L’avevo detto a David. Ai Tokio Hotel non serve una collaborazione con Bushido. È pericoloso dare a quei due l’opportunità di stare insieme anche per lavoro. Sarà un dramma.
Bill trasalì.
- Vuoi dire che hai provato a sabotare il mio magnifico piano fin dall’inizio, Tomi?!
Suo fratello lo guardò e non ebbe neanche la forza di deprimersi oltre.
- Sapevo che doveva essere una tua macchinazione malvagia. – disse invece, tornando a lasciarsi andare sul divano. – Bill, non puoi essere serio. Quei due stanno lavorando, e sono peraltro gli unici lo stiano facendo. Se andiamo a romper loro i coglioni, il nuovo album dei Tokio Hotel non vedrà la luce né oggi né domani né mai. E tu non vuoi che questo accada, vero?
- Ovvio che non voglio! – protestò Bill, disgustato da tanta sfacciataggine, - Che domande. Però per un giorno non andrà mica tutto a puttane!
- Ma perché, Dio mio, perché non puoi aspettare che finiscano di registrare?! Già Bushido è una frana, in sala di registrazione, David sarà isterico, ci presentiamo noi conciati… così! – sbraitò, indicando a propria volta il sacchetto di plastica con un dito, - Sarà la fine!
Bill roteò gli occhi e si preparò ad usare il proprio asso nella manica.
- Tom. Seriamente. Da quando hanno cominciato a lavorare, tu hai più scopato? – Tom fece per aprire la bocca ma Bill lo fermò puntandogli un ditino perfettamente smaltato sulle labbra. – A-ha! – lo rimproverò bonario, - Sii sincero.
E Tom deglutì. Deglutì perché sapeva perfettamente che, quando Bill ti chiedeva di essere sincero, era perché conosceva già la verità. Perciò l’avrebbe saputo all’istante, in caso di menzogna. E le rappresaglie sarebbero state multiformi e spaventose e più variegate di una coppa di gelato fruttato in cinque o sei gusti diversi.
- …no. – si decise a rispondere mestamente alla fine.
- E non ti manca? – chiese Bill, avvolgendolo in un abbraccio improvvisamente comprensivo e simpatetico.
- …sì. – singhiozzò Tom, che già vedeva profilarsi l’Apocalisse all’orizzonte.
- E non vuoi ricominciare a farlo?
- …mh. – annuì, lasciandosi andare contro la sua spalla e chiudendo gli occhi nella speranza di riaprirli poi ed accorgersi di essersi appena svegliato da un orrendo incubo.
Naturalmente non accadde.
- E allora indossa la tua divisa, Tomi… - ghignò Bill, separandosi da lui, - Prima che ti rifili la mia.
Tom guardò in basso al sacchetto e vide le gioiose piegoline di una gonnella alla marinaretta sbucare fuori dalla chiusura in alto. Deglutì ancora e si chinò a raccogliere i pantaloni.
*
David Jost ed Anis Mohamed Youssef Ferchichi erano due uomini molto simili, in svariati ambiti della loro esistenza. Non avere avuto un padre per la maggior parte della loro vita li aveva resi abili a sbrogliare le situazioni complicate per fatti propri, senza creare problemi e capendo sempre in anticipo quale fosse la strada più giusta da intraprendere.
Per tale motivo, era bastato loro guardarsi negli occhi due-minuti-due per capire che, dalla strampalata eppure convincente idea di Bill – io ed Anis siamo sempre in giro a flirtare! Diamo soddisfazione seria alle fangirl! Baciamoci! O forse è meglio incidere un brano insieme?, e naturalmente la scelta era caduta sulla seconda ipotesi – si sarebbe potuto cavare fuori qualcosa di sensato solo a patto di sedersi amabilmente al tavolino e scrivere.
“Scrivere” significava semplicemente che Anis avrebbe dovuto sedersi al suddetto tavolino e buttare giù la solita fiumana di parole non necessariamente dotate di senso ma possibilmente non troppo orrende da sentire una dietro l’altra. Per quanto riguardava David, invece, dal momento che era palese che Bill non si sarebbe mai e poi mai davvero deciso a dare un perché alle idee sparse che spiaccicava un po’ ovunque su qualsiasi superficie disponibile, gli sarebbe toccato sedersi a propria volta e cercare di buttar giù qualcosa di abbastanza poppeggiante da non preoccupare nessuno ma non abbastanza smorto da uccidere di noia i loro fan.
Fu in questa situazione – chinati entrambi su un foglio di carta a scrivere alacremente come ai tempi della scuola – che li colse un lieve ticchettio alla porta dell’ufficio nel quale si erano rintanati per scrivere – o per pomiciare indisturbati, come aveva insinuato Natalie facendo sfoggio di incredibile quanto fuori luogo ironia.
David sollevò gli occhi per posarli su un paio completamente diversi dai suoi – più scuri e più grandi e con delle ciglia da Maybelline che, dannazione, ma si truccava? – ma macchiati della stessa incredula curiosità.
Bushido si premurò di dare voce ai pensieri di entrambi alzandosi in piedi e battendo un pugno contro il tavolo.
- Ma chi cazzo rompe i coglioni?! – disse l’uomo dirigendosi a passi veloci verso la porta, mentre David gettava uno sguardo al foglio e motivava quell’astio con le lunghe ed arzigogolate linee d’inchiostro che il rapper aveva tracciato sul quadernetto, per poi cancellarle invariabilmente e pure con una certa furia.
David osservò l’uomo pararsi di fronte alla porta e spalancarla con tanto impeto da potere arrivare a scardinarla senza problemi.
- Non è il momento di- - iniziò, ma le parole gli morirono in gola quando, di fronte ai suoi occhi, si parò esattamente l’ultimo spettacolo che potesse aspettarsi di vedere in una situazione come quella. Forse in un sogno, forse ad Halloween, forse in un universo alternativo avrebbe potuto accettare come normalità vedere Bill vestito come una scolaretta, ma non – assolutamente non – quando stava cercando di scrivere una canzone. Per lui, peraltro.
- Buonasera, signor Ferchichi… - cominciò Bill, stringendosi pudicamente nelle spalle e piegando un po’ le gambine per guardarlo dal basso come una lolitina un po’ scema, - io e Tomi siamo qui per le ripetizioni… se anche il signor Jost è in casa.
Nella mente di Bushido si formarono tutta una serie di giustificatissime domande. Signor Ferchichi?, tanto per cominciare. E poi, a seguire, ripetizioni? In casa? Signor Jost?
- Che succede? – riecheggiò alle sue spalle la voce del manager, e l’uomo, non riuscendo a trovare parole adeguate per spiegare cosa stesse guardando, si limitò a farsi da parte e lasciare che Bill e Tom si stagliassero contro la soglia della porta in tutto il loro – presunto – splendore.
Se già Bill poteva definirsi uno spettacolo inquietante – in molti sensi, peraltro – con quell’indecente gonnellina blu a piegoline che non riusciva a coprire neanche tutti i boxer e la maglia leggera che si fermava ondeggiando proprio sull’orlo del tatuaggio sull’inguine, Tom era addirittura straniante: s’era infilato dentro una divisa da damerino svogliato – camicia semiaperta, cravattino allentato, mani mollemente abbandonate nelle tasche dei pantaloni chiari – che lo rendeva… perfino conturbante. Più di quanto già non fosse di solito, almeno.
- …oh. – fu il commento del manager.
Bushido lo guardò.
- Oh? – chiese, inarcando un sopracciglio e puntando i gemelli con un dito, - Questa ti sembra una cosa da “oh”? Non da “Cristo santo” o da “siete indecenti” o chessò io?
David deglutì e si ritrovò costretto ad abbassare lo sguardo, mentre Bill ghignava in maniera così cattiva da fare paura.
- Sì, be’, sapevo… - deglutì, - …sapevo delle divise, ecco.
Bushido lo guardò. Bill rideva. Tom fissava il proprio gemello ed il proprio manager con una curiosità venata appena dall’ebetismo tipico di chi non sta capendo un accidenti di ciò che si sta verificando di fronte ai propri occhi.
- Sarebbe a dire? – chiese il rapper, impaziente, senza riuscire a tornare a guardare Bill, che nel mentre aveva incrociato le braccina dietro la schiena e stava ondeggiando felice da un piede all’altro, facendo frusciare la gonna.
- Sarebbe a dire, - cinguettò appunto il moro, palesemente divertito, - che erano nel suo armadio. Gliele ho rubate.
L’invocazione di Tom – un “David…?” che probabilmente sentì solo Bushido, tanto era basso e tremolante – era quanto di più vicino al lamento disperato di un condannato a morte che l’uomo avesse mai sentito.
- Stavo… - motivò il manager, furiosamente imbarazzato, - …aspettando il momento giusto per tirarle fuori… - sollevò gli occhi sul proprio ragazzo, - Ma non erano per te e per Bill, erano per… te e me…
Bill continuò a sorridere trionfante come avesse capito tutto perfettamente fin dall’inizio e anzi fosse stato lui a manovrare i desideri del manager apposta per obbligarlo a comprare due divise da scolaretti di modo che poi lui potesse sgattaiolare felicemente in camera sua e rubargliele.
Bushido si chiese ragionevolmente come avesse potuto passare tanto tempo con quell’uomo senza capire le oscenità che gli vagavano per la testa.
Tom, semplicemente, scattò in avanti con un ringhio furioso e strillò un “Ma io ti ammazzo! Tu volevi infilarmi in una gonna!” che sarebbe stato sicuramente il preludio di una morte certa – visto che Jost stava a capo chino e non sembrava intenzionato a difendersi – se Bushido non avesse allungato una mano e fermato il Kaulitz assassino arpionandolo per la collottola e riportandolo letteralmente coi piedi per terra, borbottando con una certa competenza “Adesso ci calmiamo e facciamo le persone serie, ok?”.
Tom continuò a ringhiare oltraggiato fra le sue mani, mentre Bill, naturalmente, ignorava il suo invito a calmarsi tutti e, soprattutto, tornare tutti sani maschi etero – cosa che non sarebbe guastata, visto come si finiva a trentasei anni, scivolando su quella china – preferendo saltellare felice per la stanza fra incredibili sollevamenti di gonna e planare disinvoltamente sul tavolo, accavallando le gambe e rovesciando uno zainetto pieno di libri sulla superficie che, fino a pochi secondi prima, ospitava il lavoro di tutta una settimana, ora inesorabilmente disperso sul pavimento.
Jost rimase immobile seduto al proprio posto con gli occhi bassi, cosa di cui Bushido gli fu anche in parte grato, visto che, da quell’angolazione lì, si doveva avere una panoramica di un certo sederino davvero niente male. E il sederino era suo, ringhiò interiormente Bushido.
No, tornare sani maschi etero sarebbe stato parecchio difficile.
- Io e Tomi abbiamo problemi con certe equazioni… - disse Bill, angelico, aprendo un libro d’inglese a caso e puntando il dito su qualcosa che doveva probabilmente essere una qualche coniugazione di un qualche verbo che, di numeri, non ne vedeva implicati neanche per sbaglio.
- Bill, potresti almeno essere meno palese. – commentò Bushido, mentre Tom si liberava dalla sua stretta ed andava a schiantarsi contro un divano, lanciando alternativamente occhiate d’odio a Jost, al fratello e perfino a lui che, in tutto quel disastro, era l’unica persona veramente incolpevole.
Il moro aggrottò le sopracciglia, offeso, ed accavallò le gambe in un’imitazione di Basic Instinct così perfetta – mutande a parte – che avrebbe potuto valergli l’Oscar.
- Domani c’è un compito in classe… - raccontò ritrovando immediatamente il proprio entusiasmo e ignorando per contro la sua protesta, - Vero, Tomi?
“Tomi” grugnì.
- Tomi?
- Sì, sì. – confermò il rasta con un vago gesto della mano, tornando a fissare il proprio manager con aria omicida.
Bushido roteò gli occhi e poi si volse implorante verso David, alla ricerca di un po’ d’aiuto e, chissà, di una camicia di forza. Magari nell’armadio aveva anche quella. Si ritrovò di fronte uno spettacolo ancora più agghiacciante dell’imitazione di Sharon Stone: David Jost stava raggomitolato sulla propria sedia, con la testa fra le mani, e mugolava indistintamente “è la fine, è la mia fine” ondeggiando pure un po’.
- Signore dammi la forza. – sospirò il rapper esasperato, per quanto si rendesse perfettamente conto dell’inutilità di stare lì ad invocare l’inesistente rompicoglioni che, apparentemente, si divertiva a rendere le loro vite un inferno in terra. – Bill, hai veramente bisogno d’aiuto per studiare o vuoi solo rompere i coglioni e sabotare la tua band?
Bill s’infuriò e gli sollevò il libro a un palmo dal naso.
- La matematica! – borbottò offeso.
- Questo – puntò il dito Bushido, scostandosi il libro di dosso, - è inglese.
Bill tirò il manuale a sé e lo guardò con un certo interesse. Poi scrollò le spalle e tornò a spiaccicarglielo in faccia.
- Potrebbe spiegarmi l’esercizio numero ventuno, signor Ferchichi?
Dal momento che Bill non sembrava disposto a ragionare in tempi utili – posto lo fosse mai stato, naturalmente – Bushido sospirò e si voltò verso Tom, che quantomeno sembrava ancora in sé. O meglio: era fuori di è, ma aveva ragione ad esserlo. In tutta onestà non avrebbe saputo immaginare in che modo Tom potesse aiutarlo a sistemare la situazione, ma era un tentativo da fare comunque.
- Tom, - disse conciliante, - so che sei arrabbiato-
- Io non sono arrabbiato. – ringhiò il biondo, assottigliando gli occhi come quelli di un gatto, - Io sono perfettamente lucido. Io lo ucciderò. Lo legherò al letto, lo avvelenerò e così morirà fra atroci dolori mentre io incido sulla sua pelle le fottute piegoline della fottuta gonna che voleva farmi indossare.
Al sentire quelle parole, il mugolio indistinto di David si fece più forte. Bushido cominciò a temere seriamente per la vita di tutti in quell’angusto studiolo. Principalmente per la propria, oltretutto. Ne sarebbe uscito vivo solo Bill, come la sottospecie di angelo della morte che in effetti era.
Sospirò.
- Tesoro. – chiese poi al proprio ragazzo, fissandolo intensamente, - Ti senti mica trascurato, ultimamente?
Bill lo fissò con sincera incredulità.
- Sì. – rispose quindi, annuendo compunto.
Tom ringhiò e David sollevò il capino – gli occhi veramente colmi di lacrime. Bushido si chiese se fosse possibile consolare con un abbraccio un uomo di quell’età, ma poi decise che non sarebbe stato il caso di abbracciare qualcuno di fronte a Bill neanche se quel qualcuno avesse avuto dodici o tredici anni. Anzi, forse sarebbe stato peggio.
Indicò con un vago gesto della mano il bizzarro abbigliamento del suo ragazzo.
- Questi… - disse, abbracciando con lo sguardo camicetta e gonnellina, - sono un sintomo del tuo disagio?
Bill continuò a fissarlo con incredulità.
- Sì. – rispose ancora, sempre annuendo compunto.
Bushido incrociò le braccia sul petto e meditò.
- Vuoi mica scopare? – chiese infine, come illuminandosi d’immenso.
Bill sollevò la gonnellina dall’orlo ed inarcò un sopracciglio come se la risposta fosse implicita in quel movimento.
Bushido annuì e poi sorrise, scuotendo il capo, divertito. Si chinò verso di lui, stringendolo alla vita con un braccio fino a trascinarlo in piedi e schiacciarselo contro, fissandolo negli occhi ad un centimetro dal suo viso.
- E non bastava chiedere…? – gli soffiò addosso, osservando compiaciuto gli effetti del proprio respiro sul suo corpo – il rossore delle guance, gli occhi improvvisamente luminosi, la lingua a saettare fra le labbra per inumidirle nella speranza di ricevere un bacio.
Bill sollevò una gamba e la insinuò fra le sue.
- Allora forse è meglio se mi porta di là, signor Ferchichi… e studiamo anatomia.
Bushido rise.
- Questa era orribile, Bill.
- Sì, è vero. – rise anche il ragazzo, stringendosi nelle spalle, - Comunque io volevo anche aiutare loro due, eh. – borbottò accennando col capo sia a Tom sempre seduto sul divano a ringhiare che a David sempre seduto sulla sedia a piangere, - Non siamo mica gli unici che hanno smesso di scopare causa lavoro.
Bushido scosse il capo.
- Hai fatto più danno che altro, mi sa. – commentò come se gli altri due non fossero presenti e non potessero sentire. La reazione di Tom fu incassare ancora di più la testa fra le spalle ed intensificare la quantità d’odio fuoriuscente dagli occhi.
David guardò Bushido con aria persa.
- Non vorrete veramente andarvene… - piagnucolò indecentemente, deglutendo terrorizzato.
Bushido scrollò le spalle.
- Sei un uomo piacevole, Jost, ma, che dire?, Bill ha decisamente bisogno di una mano.
- O anche due. – rincarò il moro, annuendo freneticamente in un frusciare di capelli che Bushido si ritrovò controvoglia ad immaginare stretti in due graziosi codini legati ai lati della testa.
Mentre trascinava il ragazzo in una stanza adiacente, pensò d’altronde che magari, prima di farlo, il tempo per un po’ di foreplay si sarebbe pure trovato.
Né Bill né Bushido avvertirono le urla provenire dall’altra stanza, quando Tom portò a termine la propria vendetta. Non sembravano, in ogni caso, segnali della morte di nessuno.
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