Genere: Romantico
Rating: PG13
- La semplice storia di una ragazza che cresce.
AVVISI: Het, Lemon, Underage.
Commento dell'autrice: Una storia che ho apprezzato moltissimo ed alla quale mi sento molto legata. Una di quelle storie che fa proprio piacere scrivere.
Rating: PG13
- La semplice storia di una ragazza che cresce.
AVVISI: Het, Lemon, Underage.
Commento dell'autrice: Una storia che ho apprezzato moltissimo ed alla quale mi sento molto legata. Una di quelle storie che fa proprio piacere scrivere.
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E se ti chiedessi un bacio?
Quando andavo al liceo mi presi una cotta pazzesca per uno dei miei professori. Avevo diciassette anni, e lui quarantacinque, e questo non gli impediva di essere davvero bellissimo. E non dimostrava neanche meno anni di quanti in realtà non ne avesse, tutti i suoi quarantacinque lo rendevano proprio bello. Era il responsabile del laboratorio di chimica, ci andavamo regolarmente ogni due settimane. Era talmente bello da far girare la testa a tutte le ragazzine della scuola, compresa qualche professoressa, ed io non facevo eccezione, mi accodavo al numero di spasimanti; il mio sentimento, però, differiva da quello comune. Era l’ultimo strascico delle cotte adolescenziali che ti portano ad innamorarti di assoluti miti irraggiungibili, ma c’era qualcosa in più, una determinazione del tutto adulta, tipica di quelli che, avrei scoperto in futuro, sono gli amori voluti per forza. Ovviamente, allora non potevo immaginarlo, e mi limitavo a pensare di essere semplicemente innamorata pazza di quell’uomo. Quando ne parlavo con le mie amiche di allora, dicevo frasi del tipo “Vedrete, diventerò la sua donna!”, ed a ripensarci adesso mi imbarazzo molto. Loro facevano di tutto per non ridermi dietro, sopportavano i miei deliri.
Quello che non avrei mai immaginato era che presto i miei desideri si sarebbero avverati.
Un giorno lo incontrai, assolutamente per caso, nel supermercato poco distante da quella che era casa mia. Abitavo da sola, ed anche in quella città non c’era un solo mio familiare. I miei genitori mi caricavano sul conto in banca una cifra ogni mese, ma venivano a trovarmi raramente.
Comunque, lo incontrai ed aveva tra le braccia varie confezioni di carne ed un pacco di uova. Gli sorrisi, salutandolo con un cenno del capo e raggiungendolo col mio vasetto di salsa in una mano ed il mio pacco di spaghetti nell’altra.
- Buonasera, professore!
Lui mi riconobbe subito.
- Tu sei Petruzzi, vero? Rita!
Il semplice fatto che mi avesse chiamata per nome mi fece rabbrividire.
- Si, sono io. Cosa compra?
- Il necessario per la cena di stasera, come te!
- Ma lei mangia tutta questa carne?
- Eh, ma non vivo mica da solo!
Veloce, il mio sguardo corse all’anulare sinistro, e trovandolo occupato mi si strinse il cuore dalla delusione. Lui rise forte.
- Su, non è necessario essere così triste!
Io però mi sentivo orribilmente. Mi era stata tolta l’ultima cotta adolescenziale. Chissà perché ero sicura che non ne avrei mai più avute.
- Devi comprare ancora molte cose?
Mi chiese. Io annuii.
- Ok. Ti faccio compagnia.
Mi accompagnò per tutto il negozio, e facemmo la spesa chiacchierando del più e del meno. Io feci di tutto per prolungare quel momento fino a quando fosse stato possibile, ed anche oltre. Vedevo il momento in cui saremmo usciti dal supermercato come quello che avrebbe sancito, a tutti gli effetti, la fine del mio innamoramento. Mi dovetti fermare quando il mio cervello mi fece notare che avevo speso tutti i soldi che avevo nel portafogli. Avevo comprato tanta di quella roba che entrò a malapena in cinque sacchi. Non avevo idea di come avrei fatto a tornare a casa.
- Posso accompagnarti io, se vuoi.
Mi disse lui sorridendo imbarazzato. Io gioii di quell’opportunità in più per avere altro tempo per stare con lui. Seduta su quel sedile comodo, immersa nel profumo della macchina che riconobbi come il suo, presi la mia decisione.
- E’ quel palazzetto basso, l’ultimo.
Glielo indicai sporgendomi in avanti e facendo in modo che guardasse la scollatura della mia maglietta.
- Ok… sei arrivata…
Lo disse in maniera davvero poco convinta.
Io scesi dalla macchina.
- Professore… mi accompagna su fino al mio appartamento? Non credo di riuscire a portare tutto da sola…
Lui deglutì. E poi annuì.
E quella sera, come stabilito, gli regalai la mia innocenza.
E così diventammo amanti. Era tutto così eccitante…
Ci vedevamo di nascosto nel bagno dei disabili durante la ricreazione – unico momento in cui quel bagno risultava utile, vista la totale assenza di portatori di handicap nell’istituto – e la passavamo tutta l’uno fra le braccia dell’altra. Tre sere a settimana veniva a trovarmi a casa.
Il fatto di scoprirlo già sposato aveva distrutto la mia ultima cotta, ma l’essere diventata la sua amante mi aveva dato il biglietto d’ingresso per il mondo degli adulti. E questo mi mandava al settimo cielo.
Ma, in fondo, ero ancora una ragazzina, con la curiosità e la spregiudicatezza incosciente delle ragazzine della mia età, e così, ben presto, cominciò ad infiltrarsi nella mia mente il chiodo fisso di conoscere la sua famiglia. Era un misto di invidia e ammirazione. Penso che sia normale, nei rapporti tra ragazze così giovani ed uomini di così tanto più grandi, tra l’altro già occupati con una propria famiglia, che la ragazza provi un sentimento del genere. Perché era come se fossi sua figlia, per tutto il tempo, tranne la notte quando diventavo sua moglie.
Lo dissi anche a lui, una sera, emergendo tra la lenzuola.
- Voglio conoscere la tua famiglia!
- Mh? E come mai?
- Sono curiosa!
Lui ci rifletté un po’.
- Bè… per me va bene. Voglio fidarmi di te sul fatto che non mi combinerai disastri…
Gli sorrisi.
- Tranquillo!
L’occasione venne poco dopo, lui era relatore ad un’importante conferenza di biochimica, perché malgrado lavorasse solo in un liceo quell’uomo era praticamente un genio, una delle cose che di lui mi aveva attratto. Conferenza alla quale sarebbe seguita una cena. Misi il mio vestito più elegante, mettendomi in ghingheri come se fossi la sua promessa sposa e stessi andando ad incontrare i suoi genitori. Dopo la conferenza, mi poggiò una mano sulla spalla e mi presentò.
- Luisa, Giovanni, questa è una mia brillante alunna, Rita.
- Buonasera.
Dissi sorridendo.
Sua moglie non aveva un bel fisico, ma aveva un viso molto affascinante, e lunghi capelli castani un po’ mossi. Il figlio, invece, era un personaggio completamente anonimo. Del padre aveva soltanto il colore dei capelli, scurissimi. Non un traccia di bellezza. Non era brutto, ma il fatto che non fosse bello quanto suo padre lo faceva notare di più. Aveva la mia stessa età e sembrava completamente fuori posto in quello smoking nero. Inoltre, sembrava terribilmente annoiato. Non approvai quell’atteggiamento, perché di contro io ero incredibilmente emozionata.
Tutto sommato, fu un incontro abbastanza deludente, compresa la conferenza, che mi interessava come guardare le gocce di pioggia che scivolano sul finestrino della macchina.
La mattina dopo, il mio amante partì con la moglie per andare a regolare certe pratiche col notaio della propria zia, morta di recente, ed io ebbi modo di passare il mio primo periodo lungo senza di lui, da quando era iniziato il nostro rapporto. Cominciai ad uscire con le mie amiche più spesso possibile, a casa mi annoiavo troppo, ed a frequentare i locali.
E fu in uno di quelli che lo vidi, una sera. Completamente diverso da come l’avevo visto la prima volta, con i jeans e la maglietta larghi e quello strano cappello calato sugli occhi, si faceva notare molto di più che non in giacca e cravatta. Anche l’atteggiamento era diverso, stava abbandonato su un muro con il gomito appoggiato sulla spalliera di una sedia, una mano in tasca mentre con l’altra reggeva una birra. E non esagero quando dico che era circondato da donne. Di tutti i tipi. Ragazze della mia stessa età, ma anche più piccola, e non poche universitarie.
Quella figura, circondata da interesse ma disinteressata a tutto, incuteva un tale rispetto che non osai nemmeno essere la prima ad avvicinarmi. Il che, però, servì a poco, in quanto una mezz’oretta dopo fu lui a raggiungermi, versando nel bicchiere di fronte a me un po’ della birra dalla sua bottiglia.
- Sete?
Mi chiese agitandomi poi il bicchiere davanti al viso.
- Si, grazie.
Risposi accettando e sorseggiando la bevanda leggermente tiepida.
Dopo qualche secondo di silenzio, mi fece la fatidica domanda.
- Tu sei quella ragazza, vero? Quella che era con mio padre…
Sorrisi imbarazzata.
- Non è che ero con lui…
Lui mi sorrise di rimando, ma in modo diverso, scettico.
- Ah, già, dimenticavo…
Disse ridacchiando.
- “La brillante alunna”…
- Mi prendi in giro?
Ero già un po’ brilla, ed il mio tono di voce non riuscì ad essere infastidito quanto avrei voluto.
- No, dai, non te la prendere… sai che ero curioso di rivederti?
- Ah, si? Perché?
- Perché quando ti ho vista la prima volta, tutta elegante, ho pensato “ma guarda questa, chissà come sta vestita da persona normale”!
E scoppiò a ridere.
- Guarda che anche tu sembravi un perfetto idiota!
Risi anch’io e facemmo coro. Al bicchiere successivo eravamo già completamente ubriachi.
La sua era una presenza strana. Dava l’idea di riuscire ad osservare tutto in qualunque momento, da qualunque posizione. Gli occhi, un po’ lucidi per via dell’alcool, correvano veloci da me alla pista da ballo, e sembravano ugualmente interessati ad entrambe le cose.
- Ehi, balliamo?
Mi chiese infine. In sottofondo c’era una canzone dal ritmo scatenato. C’era caldo, ed eravamo leggermente sudati. Tutto sembrava essere avvolto da una luce soffusa complice, perché eravamo entrambi ubriachi. Il suo sorriso era sicuro ed incoraggiante. Nell’indicarmi il centro della scena mi prese dolcemente per una mano, intrecciando le sue dita con le mie.
Fu quella la prima volta che pensai che avrei voluto fare l’amore con lui.
- Si capisce proprio, che sei una studentessa…
Si abbandonò sospirando sul divano del mio salotto.
- Perché?
- Mh… non so… questa sembra la casa di una studentessa…
- Bah, sarai uno studente anche tu!
- Si, ma vado all’artistico, non si nota tanto che studio… sembra più la stanza di un pittore…
- Mh, sono curiosa…
Lui sorrise.
- Non ne dubito.
Accorgendomi del suo sguardo, mi sembrò di aver detto qualcosa di troppo.
- Senti, hai birra?
Mi chiese.
- Ne vuoi ancora?
- Si. Ce n’è?
Sospirai.
- Arriva… ma sei già abbastanza ubriaco, come pensi di tornare a casa?
- Ah, tanto sono a piedi comunque…
- Si, ma se poi crolli addormentato per strada?
- Bè, mi puoi sempre ospitare tu, no?
Io sparii in cucina per non sentirmi più quello sguardo addosso, e tornai poco dopo con la birra fredda. Bevendola, gli scoprii sul viso un sorriso di pura soddisfazione che mi divertì molto. La cosa che più mi sconvolse fu che già in quel momento sapevo come sarebbe finita la serata. Anzi, mi sembrava di aver agito per tutto il tempo con l’unico scopo di concludere in quel determinato modo. Ed ovviamente, mi sembrava che anche per lui fosse lo stesso.
In ogni caso già pochi minuti dopo, completamente dimentichi delle birre sul tavolo, ci stavamo baciando con foga sul divano. Ricordo che mentre mi spogliava gli chiesi come mai avesse tutto questo desiderio di venire a letto con me. E lui, con tutta naturalezza, mi risposa “Perché sei l’amante di mio padre, no?”. A volerci trovare un nesso logico adesso, non ci riuscirei. Ma quella sera ero eccitata ed ubriaca, e potei anche un po’ capirlo, perché il motivo principale che mi spingeva a fare l’amore con lui era la parentela stretta col mio amante.
Fu completamente diverso dal farlo con suo padre. Credo dipendesse anche dalla diversa età. Giovanni era molto più forte, veloce e rude. E mi guardava attentamente. Questo mi sconvolse. Suo padre tendeva a nascondere il viso tra la mia spalla ed il mio collo, mentre lui si teneva dritto sui gomiti e guardava il mio viso. Quando anche io li aprii, sentendomi osservata, i nostri occhi si incrociarono e si incollarono. Ci fissammo per tutto il resto del tempo, continuando ad agitarci l’uno sull’altra.
Quella notte mi svegliai sentendolo piangere. Mi stupii non poco. Era completamente nudo e stava tutto accucciato sulla poltroncina della mia camera da letto, la testa fra le mani, i singhiozzi che lo scuotevano tutto. Mi avvicinai, avvolgendomi nella vestaglia.
- Ehi, Giovanni! Ma che hai?
Lui ebbe un sussulto e soffocò l’ultimo singhiozzo.
- Ah, scusami… sono un idiota, ti ho svegliata…
- No, tranquillo tanto non ho molto sonno… cosa ti è successo?
- Non badarci, sono completamente ubriaco…
Sorrisi.
- Bè, anch’io! Allora, mi vuoi dire?
Si voltò a guardarmi. Aveva gli occhi rossi, ed erano l’ultima traccia delle lacrime che aveva versato, ormai completamente scomparse dal suo viso.
- Non lo dirai a papà, vero?
Mi sembrò la richiesta accorata di un bambino che ha mangiato tutti i biscotti, o che ha rotto un vaso di valore. Pensai che non era importante, che io e suo padre non eravamo sposati, e che quindi non avevo vincoli di fedeltà nei suoi confronti, e nemmeno mi sentivo in dovere di averli, e che quindi era tutto a posto. Ma, di fronte a quell’espressione, non mi sembrò opportuno fare un discorso simile.
- Certo che no, sta tranquillo…
Se ne andò in piena notte senza neanche salutare. Ed ovviamente io non riuscii a darmi pace. Mi ritornavano in mente le sue parole, il suo volto, i suoi occhi che mi fissavano, rossi ed un po’ umidi… non so se allora fossi innamorata, ma senza dubbio quel ragazzo mi era entrato in testa.
Poi il mio amante ritornò a casa e la mia mente fu di nuovo interamente occupata da lui.
È buffo come, adesso, di quell’uomo adesso non ricordi neppure il nome.
Nel frattempo la scuola viveva un periodo di particolare fermento, la rivolta studentesca si preparava ad esplodere. Così anche il nostro liceo finì con l’essere occupato. Io assistetti senza particolare trasporto né interesse, non mi ero mai curata della politi. Il professore era costantemente occupato da consigli di classe e riunioni di sindacato; anche gli insegnanti sembravano pronti a schierarsi al fianco dei ribelli contro il governo.
In una mattinata noiosa, passeggiavo per strada a braccetto con Paola, la mia migliore amica, l’unica che sapesse che stavo col professore e che ero stata anche con Giovanni, anche se non sapeva che lui fosse il figlio del mio amante. Passeggiavo con lei quando lui mi tornò in mente, e con lui la mia voglia di rivederlo.
- Senti Pa… a licei artistici come siamo messi, qua attorno?
- Incredibile!
Disse lei facendo mente locale.
- Ci pensi ancora?
Io non risposi, mentre lei mi fissava stupita.
- Comunque si, ce n’è uno continuando per questa direzione, verso la fine della strada… ma con tutti gli artistici che ci sono in questa città cosa ti fa pensare che vada proprio a quello?
Era logico che ci andasse, perché abitava lì vicino, ma nella foga dei miei diciassette anni non pensai a questo, no, me lo sentivo dentro; ero sicura che andasse là.
- Mah, non lo so, voglio controllare…
- Ehi, ma tu lo sai che è in occupazione anche quello, vero?
- Mi sembra normale…
- Mh, allora… sta attenta, i ragazzi senza freni sono pericolosi. Io torno a scuola e ti aspetto là, ok? Non voglio fare il palo, nel caso tu riesca davvero a trovare la tuo nuova fiamma.
Evitai di ribattere con la tipica esclamazione “Lui non è la mia nuova fiamma!”, e la salutai. Siccome ero certa di trovarlo, ero altrettanto certo che non sarei tornata a scuola.
Non pensai a nulla mentre mi dirigevo verso l’edificio color mattone alla fine della strada.
Per un bel po’ lo cercai con gli occhi, fra gli studenti riuniti in piccoli gruppi seduti sulle scale all’entrata. Dopo una decina di minuti pensai di rinunciare. Insomma, non era per nulla detto che frequentasse lì, in fondo. Ed anche se fosse stato, per quale motivo avrebbe dovuto sicuramente trovarsi a scuola, soprattutto in un momento agitato come quello? Per cui, feci per girarmi.
- Non ci posso credere!
Me lo ritrovai di fronte, e la sorpresa fu tale che feci un passo indietro.
- Che ci fai qui?
Sfoggiai il meno imbarazzato dei miei sorrisi.
- Passavo per caso, la mia scuola è proprio lì in fondo…
- Mh… capisco… senti, aspetta un secondo, distribuisco queste e ti faccio compagnia!
Disse sollevando all’altezza del gomito un gigantesco sacchetto pieno di lattine di bevande. Io non spiccicai una parola, attendendo pazientemente.
Quando mi raggiunse, con un sorriso smagliante mi porse il braccio e cominciammo a passeggiare. Era incredibile come non provasse alcun imbarazzo per quello che era successo fra noi poco più di una settimana prima.
Presto arrivammo in un parchetto, e ci sedemmo su una panchina verde in ferro.
- Allora, come ti va la vita?
Mi chiese appoggiando entrambe le braccia alla spalliera.
- Ah, tutto a posto.
- E con mio padre?
Inutile dire che quasi mi affogai con la mia stessa saliva, dalla sorpresa.
- Ehm…
- Scusa, probabilmente queste domande ti imbarazzano…
- Ehm… non è tanto questo… è che mi sembra strano parlarne con te che sei suo figlio…
- Ma non devi preoccuparti di questo, sai? Insomma, la mia ammirazione per mio padre non è tale da potermi sentire orgoglioso di essere suo figlio…
Lo guardai, curiosa.
- Vedi… non sei certo la prima delle amanti di mio padre, e di certo non sarai nemmeno l’ultima…
Si sistemò un ciocca di capelli che gli era finita davanti agli occhi chinandosi in avanti per appoggiarsi con i gomiti sulle ginocchia, e mi fissò.
- Ma la cosa più brutta è che probabilmente al momento non sei nemmeno l’unica.
Non posso descrivere a parole quanto mi fece male. Ciò che disse, ed anche il suo sguardo rassegnato. Tanto da non avere alcun dubbio sull’assoluta verità di ciò che stava dicendo.
- Ma tu… perché mi dici questo? Mi odi?
Sembrò sinceramente stupito.
- Odiarti? E perché? In fondo, la tua unica colpa è stata innamorarti. Le donne finiscono sempre per innamorarsi di individui così, che lo sappiano o no. Avrebbe dovuto essere lui che, avendo già una famiglia, avrebbe dovuto evitarti. Ma, te lo ripeto, non mi stupisco più… non sei la prima delle sue amanti che conosco… l’ho capito subito, chi eri in realtà, quando ci ha presentati…
Io strinsi i pugni, guardando per terra.
- Tu… quella sera mi hai detto una cosa… ed io non ne capisco il senso… hai detto che volevi venire a letto con me perché…
Mi zittì con un sorriso imbarazzato.
- Ah, non pensare più a quello che è successo l’altra sera… mi dispiace moltissimo, sono stato un idiota…
Ci separammo, ed io avevo una tale rabbia in corpo che se avessi avuto suo padre di fronte l’avrei ucciso.
In seguito, io ed il mio amante passammo un periodo molto burrascoso di continui litigi e diffidenze, ci vedevamo sempre di meno. Al termine di quel periodo, ci lasciammo, senza particolari rancori. Ma non mi riusciva di staccarmi dal suo universo, perché non smettevo un secondo di pensare a Giovanni, ed al modo in cui ci eravamo salutati l’ultima volta. Mi sembrava di vivere una situazione incompleta. Immaginavo il rancore che doveva provare per suo padre, ma volevo fosse lui a parlarmene. In sostanza, volevo rivederlo ma non avevo il coraggio di cercarlo perché non avevo nessunissima voglia di rivedere suo padre.
Ma, per la terza volta, fu lui stesso a presentarmisi davanti. Stavo a casa mia, rilassandomi davanti alla televisione, quando squillò il campanello. Riconoscendolo dallo spioncino della porta, mi saltò in cuore in gola. Aprii.
- Giovanni!
- Ciao…
Era visibilmente ubriaco.
- Scusa, è tardi… probabilmente sono inopportuno…
Disse osservando il mio abbigliamento poco ortodosso. Io arrossii.
- Ma no, anzi, scusami tu perché mi sono fatta trovare così! Entra, su…
Si scusò di nuovo.
- Non avevo altro posto dove andare…
Disse grattandosi la nuca.
- Sei rimasto chiuso fuori di casa?
- Non esattamente… ho litigato con mio padre…
Io annuii.
- Capisco. Quindi ti serve un posto dove stare, in pratica…
- Ti sarei davvero molto grato…
- Va bene, va bene…
Conclusi agitando una mano.
Gli preparai il letto sul divano.
- Dovrebbe essere comodo…
Ma sapevo che non ci avrebbe dormito.
Quel ragazzo mi piaceva. Moltissimo. E credo che anch’io gli piacessi molto.
- Se ti chiedessi una birra?
- Non ne ho, mi dispiace… e comunque sei già abbastanza ubriaco!
- Ah, che ti devo dire? Quando uno è triste le soluzioni sono due: la prima è l’alcool…
- E la seconda?
Mi fissò, dando il via ai brividi di eccitazione che cominciarono a correre per tutta la schiena.
- …
- …
- Se ti chiedessi un bacio?
Dopo aver fatto l’amore, prima di addormentarsi come un bambino, mi disse che lui e suo padre avevano litigato per me. Ebbi appena il tempo di stupirmi che anch’io sprofondai del sonno.
La mattina dopo lo osservai dormire a lungo, col volto rilassato e circondato dalle coperte, e realizzai quanto grande fosse la differenza rispetto a quando, invece, teneva gli occhi aperti. La luce che si rifletteva nella sue pupille, quella scintilla che a volte riusciva a farlo sembrare pericoloso, adesso mancava. E lui era un innocuo ragazzino addormentato.
Si svegliò di scatto, puntandomi gli occhi addosso.
- Mi stavi guardando?
Io arrossii, agitandomi.
- Ma… ma no! Mi sono appena svegliata!
Lui sorrise malizioso.
- Non è che devi vergognarti, se pensi che io sia bello da guardare…
- Ma và! Non ho mai pensato una cosa del genere!
Effettivamente no, non mi ero mai soffermata a riflettere su quanto mi piacesse fisicamente. Forse perché ero stata rapita da lui così in fretta che non ne avevo avuto il tempo…
- Però adesso lo stai pensando!
- Cosa?
- Che sono bello!
Scoppiò a ridere mettendosi seduto e portando le mani al ventre.
Io feci scorrere lo sguardo. Ed in tutta onestà di piacque molto.
- Ma smettila di prendermi in giro! E poi così sembri un megalomane!
Ancora, lui rise.
- Mh… oggi è domenica?
- Già…
- Potremmo passeggiare mano nella mano nel parco come due fidanzatini, no?
- Come sei poco serio…
- E’ vero. Senti, dobbiamo parlare. Davvero non hai birra in casa?
- Ma come fai a volere birra di mattina?!
- No, non per adesso! Poi! Su, alziamoci.
Mi portò a fare un pic-nic alle falde del monte che sorgeva in mezzo al bosco alla periferia della città. La giornata era soleggiata e calda. Avevamo un tappeto di paille a scacchi rossi. I panini erano nella sacca. La birra nella borsa frigo.
- Allora… questo te lo volevo dire ieri sera, per la verità, ma poi mi sono addormentato di botto…
Ridacchiammo un po’.
- Comunque qualcosa te l’ho accennato: io e mio padre abbiamo litigato.
- Questo era chiaro.
- Per te.
- Questo è già meno chiaro…
- Si, si, aspetta… dunque, come te lo spiego...? Allora, la prima volta che… no, aspetta… ehm…
- Tu detesti tuo padre, vero?
Lui mi fissò, smettendo di cercare le parole.
- Esatto.
- Quando sei venuto a letto con me l’hai fatto per dispetto a lui…
- Mh-hm.
- Di notte ti è mancato il coraggio, e per questo mi hai chiesto di non dirgli nulla…
Evitai di accennare al suo pianto.
- Detesto ammetterlo, ed a ripensare alla brutta figura che ho fatto mi vengono i brividi… ma è così.
- Poi però l’indomani ti sei ripreso ed hai fatto quello che avevi intenzione di fare fin dall’inizio, gli hai detto tutto. Da lì sono iniziati i problemi con lui, sia per me che per te.
- Wow… perfetta analisi della situazione. È proprio come immaginavo… avevi capito tutto…
- Che credevi? Sono intelligente, io!
- Mh, però ti sei fatta usare così da me…
- Ma no, l’ho fatto perché in fondo mi piacevi…
- Su questo non avevo dubbi!
- Non ricomincerai?!
- No, no, tranquilla…
- Però mi sfugge qualcosa…
- Cosa?
Mi appoggiai sulle mani, dietro la schiena.
- Perché sei tornato da me? Ottenuto il tuo “scopo” avresti potuto evitare di presentarti a casa mia, ieri…
- E’ vero, sono stato uno sciocco… ma in fondo mi piaci anche tu…
- Ah-ha, lo so…
- Ma guarda! Impari in fretta!
Ridemmo un po’, bevendo la birra prima che si riscaldasse troppo.
Dopo aver mangiato, nel pomeriggio, mentre sonnecchiavamo sulla coperta, lui riprese a parlare.
- Adesso probabilmente dovremmo separarci e fare finta di non esserci mai conosciuti…
Eravamo entrambi distesi, l’uno di fianco all’altra. I nostri gomiti di sfioravano ad ogni respiro.
- Oppure potremmo finire questo pic-nic, ritirarci a casa ed andare a letto… ed a domani penseremo domani…
Lui mi guardò stupito. Poi chiuse gli occhi e rise piano, avvicinandosi un po’ di più.
- Si, mi piace…