Genere: Commedia.
Pairing: Nessuno (ma se proprio vi intestardite, i soliti XD).
Rating: G
AVVERTIMENTI: Nessuno.
- Con Mario bloccato in Pinetina dalla febbre e Davide bloccato al suo fianco in preda alla sindrome della crocerossina, a José tocca prendersi cura per una sera del cagnetto dei ragazzi, Lucky. Sarà tutto molto meno semplice di quanto il portoghese non immagini.
Note: Mi pare che l’idea di questa fic fosse del mio adorabile quasi-marito Def, in contemporanea con Busted XD Si dava per scontato che, durante la drammatica notte di febbre di Mario, trascorsa ad Appiano, Davide fosse rimasto diligentemente al suo fianco da brava fidanzata. La domanda ovvia di Busted, a quel punto, fu “E chi ha portato a spasso il cane (di Mario), allora?”. E Def, subito, “José!” XD Motivo per cui io mi sono innamorata di tutto ciò e ho deciso che prima o poi ci avrei scritto sopra XD
Il NEU[t]ROFest mi ha dato l’occasione adatta, anche se ammetto di aver fatto una fatica boia a non infilare slash ovunque XD Ma sono tutto sommato soddisfatta del risultato, soprattutto perché è idiota, e io sono sempre felice di scrivere vaccate :D
Pairing: Nessuno (ma se proprio vi intestardite, i soliti XD).
Rating: G
AVVERTIMENTI: Nessuno.
- Con Mario bloccato in Pinetina dalla febbre e Davide bloccato al suo fianco in preda alla sindrome della crocerossina, a José tocca prendersi cura per una sera del cagnetto dei ragazzi, Lucky. Sarà tutto molto meno semplice di quanto il portoghese non immagini.
Note: Mi pare che l’idea di questa fic fosse del mio adorabile quasi-marito Def, in contemporanea con Busted XD Si dava per scontato che, durante la drammatica notte di febbre di Mario, trascorsa ad Appiano, Davide fosse rimasto diligentemente al suo fianco da brava fidanzata. La domanda ovvia di Busted, a quel punto, fu “E chi ha portato a spasso il cane (di Mario), allora?”. E Def, subito, “José!” XD Motivo per cui io mi sono innamorata di tutto ciò e ho deciso che prima o poi ci avrei scritto sopra XD
Il NEU[t]ROFest mi ha dato l’occasione adatta, anche se ammetto di aver fatto una fatica boia a non infilare slash ovunque XD Ma sono tutto sommato soddisfatta del risultato, soprattutto perché è idiota, e io sono sempre felice di scrivere vaccate :D
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DOGSITTER
- Ecco, queste sono le chiavi del portone di sotto. – elencò preciso Davide, mostrandogli un mazzo colmo di chiavi fino a pesare più di quanto non pesasse lui stesso, - Queste sono quelle del garage, e la metta dentro la macchina, mister, che altrimenti sono guai, mi raccomando. Queste, invece, sono le chiavi dell’appartamento, e-
- Dade… - si lagnò Mario dalla stanza, tirando rumorosamente su col naso, - Dade, sto morendo.
- Arrivo! – rispose Davide, quasi saltellando sul posto per l’impazienza e la fretta, ma senza rassegnarsi a lasciare andare liberamente il proprio interlocutore. – Mi ascolti bene, mister, è importante. – disse serio, e José annuì, cercando di sbirciare all’interno della camera che dal corridoio, oltre la porta socchiusa, s’intravedeva appena, per sincerarsi delle effettive condizioni di Mario. – E non si distragga! – lo riprese Davide, costringendolo a riportare tutta la sua attenzione su di sé. – Questo è l’elenco delle cose da fare. – lo informò, tirando fuori dalla tasca posteriore dei jeans un fogliettino di carta perfettamente ripiegato in quattro, - Prima di ogni cosa, deve portare Lucky a passeggio. – scandì compitamente, - Poi, quando lo riporta su, gli fa il bagnetto. E no, non mi guardi così, non può aspettare. Se avesse potuto aspettare, non le avrei chiesto niente del genere, le pare? Oh. Poi stende un asciugamano davanti alla sua cuccetta, e lui passerà un paio d’ore ad asciugarsi alla bell’e meglio. Nel mentre, lei gli prepara la cena-- è tutto scritto qui. – annuì convinto, mostrandogli il foglio e puntando il dito contro ogni voce dell’elenco, per ripassare simbolicamente ogni cosa. – È tutto chiaro?
José, per la verità vagamente offeso, inarcò un sopracciglio.
- Dade… - chiamò ancora Mario, la voce sempre più flebile e piagnucolosa, - Vieni qui, voglio dirti addio. E lasciarti tutte le mie cose. Tranne le chiavi della macchina, quelle le ho promesse a Marko- e comunque tu guidi malissimo. – borbottò, prima di perdersi in un gorgoglio confuso di piagnucolii e colpi di tosse.
- Arrivo, Mario, arrivo! – lo rassicurò il più giovane, torcendosi le dita. – Allora, mister, è tutto chiaro? – insistette preoccupato. José lo sferzò con una delle sue migliori occhiatacce disapprovanti.
- Davide. – disse, a corto di pazienza, - Ho vinto una Champions League con una squadra che l’ultima coppa di quel tipo l’aveva vista quando quel trofeo si chiamava ancora Coppa dei Campioni. Sono stato eletto due volte allenatore dell’anno dall’IFFHS. Ho due lauree. Ho cresciuto due figli. E ultimo ma non ultimo sono riuscito ad inculcare un po’ di buonsenso nel tuo amichetto morente di là.
- Dade… - pigolò ancora Mario, come sentendosi chiamato in causa, - Dade, addio, ti ho voluto molto bene.
José roteò gli occhi, ignorandolo.
- Ti pare – concluse quindi, - che possa avere una qualche difficoltà di un qualsiasi tipo a dover badare ad un cane per una notte?
Un po’ in imbarazzo, Davide abbassò lo sguardo, dondolandosi sui talloni e sulle punte dei piedi.
- Be’, era solo per assicurarmi che fosse tutto chiaro. – biascicò, - Mario tiene molto a Lucky, e non vorrei che ci fossero problemi. Oltretutto, non è un cane molto facile, da gestire, ed è ancora piccolo, per cui-
- È un cane! – precisò ulteriormente José, allargando le braccia ai lati del corpo, - Ora, per carità, - sospirò teatralmente, - fa’ il bravo, torna di là da Mario che ha indubbiamente molto più bisogno del tuo aiuto di quanto ne abbia bisogno io, e fate in modo di non farmi pentire di avervi lasciato qui insieme. – conclude, gesticolando ampiamente come a voler abbracciare l’intero centro sportivo, - Il dottor Combi sarà nella stanza accanto, per ogni evenienza, ma voi cercate di non far preoccupare né lui né me. D’accordo?
Davide sbuffò, sollevando il mento, offeso.
- Ho vinto uno scudetto con l’Inter nell’anno del mio debutto in prima squadra, - elencò fiero, - ho marcato il Pallone d’Oro Cristiano Ronaldo e lui mi ha fatto i complimenti, sono sopravvissuto ad un fratello minore e, ultimo ma non ultimo, sono stato il migliore amico di Mario per gli ultimi tre anni della nostra esistenza. Le pare – sorrise furbo, - che possa avere una qualche difficoltà di un qualsiasi tipo a dover badare a lui per una notte?
- Ha, ha, ha, molto divertente. – commentò José, battendo sarcastico le mani, - Questa te l’ha insegnata lo zingaro, di sicuro. È il classico tipo di persona che non va via fino a quando non ha infestato il luogo in cui abitava in ogni modo possibile. – Davide ridacchiò compiaciuto, mentre José agitava una mano come a scacciar via l’ilarità e, da sotto le coltri che lo coprivano, Mario riprendeva ad invocare per un po’ di supporto morale nell’ora della sua dipartita. – Coraggio, corri dal tuo Mario. – sospirò José, - Non vorrai davvero che muoia tutto da solo. – concluse con un sorriso, e Davide, sorridendo a propria volta più sinceramente, scosse il capo, rifugiandosi in camera e chiudendosi la porta alle spalle. José rimase solo nel mezzo di quel corridoio – il mazzo di chiavi in una mano e il foglietto spiegazzato nell’altra – solo per una manciata di secondi, prima di decidersi ad imboccare finalmente la via dell’uscita, per raggiungere l’appartamento dei ragazzi.
*
La prima cosa che lo colpì – invero piuttosto violentemente, come una specie di impalpabile ceffone o qualcosa di simile – fu la puzza. Tragica, insopportabile, devastante puzza proveniente da più o meno ovunque.
- Dio-mio! – esclamò entrando in casa e richiudendosi immediatamente la porta alle spalle, sinceramente spaventato dalla possibilità che quel terribile olezzo potesse uscire e spandersi per tutto lo stabile, - Ma che diavolo è successo qui?! – chiese al vuoto, accendendo tutte le luci al proprio passaggio, - Ossignore, se il cane è morto all’improvviso, poi chi le sente le lagne. – si lamentò, passandosi una mano sulla fronte e approfittandone per massaggiarsi le palpebre stanche. Nel momento meno opportuno di tutti.
- Che-- Che cazzo! – sbraitò, sollevando il piede e saltellando sull’altro, cercando di non sporcare ovunque dopo aver pestato quella che, per quantità, doveva essere il risultato della permanenza in quell’appartamento di un puledro, altro che di un cucciolo di labrador.
Il suddetto cucciolo di labrador, per inciso, in quel momento si trovava a qualche metro da lui, accucciato sulla soglia del corridoio, e lo scrutava con aria curiosa, il capino lievemente inclinato di lato e le lunghe orecchie nere a penzolare nel vuoto, la coda immobile stesa sul pavimento.
- Lucky? – lo chiamò José, - Ma sì, certo che sei Lucky. – si rispose da solo, sospirando e appoggiandosi al muro, tirando fuori un fazzolettino di carta dalla tasca per pulire il disastro sotto la scarpa, tenendo sempre un occhio al cane in attenta osservazione della sua persona, - Be’, vedo che qui hai già risolto ogni problema di natura fisica che potesse presentartisi. – sbuffò, - Non ci sarà bisogno di uscire a fare alcuna passeggiata. – considerò saggiamente.
Il labrador, per tutta risposta, si sollevò sulle quattro zampe e, guardandolo con un’aria che, non fosse stata del tutto ebete, sarebbe sembrata di sfida, sollevò una zampa e si preparò a fare pipì contro lo stipite della porta.
- No! – strillò José, terrorizzato, mettendo le mani avanti e obbligando fisicamente Lucky ad abbassare la zampa, - No! Scherzavo! Usciamo, promesso!
Il cane abbaiò soddisfatto, sparendo in corridoio per un attimo e tornando col guinzaglio fra i denti, la coda che sventolava allegramente dietro di sé dando ad ogni suo movimento una certa oscillazione del tutto ridicola.
- Tu sei troppo furbo, per i miei gusti. – borbottò, preparandolo per la passeggiata, - Lo zingaro deve avere insegnato qualcosa di poco onesto anche a te.
Lucky inclinò ancora il capo, dando chiaro segno di non aver capito un accidente di quanto José aveva appena affermato.
- Ah, lascia perdere. – sbottò l’uomo, rimettendosi dritto. Appena in piedi per venire trascinato fuori dall’appartamento e lungo le scale, fino all’esterno del palazzo, naturalmente.
*
- Io non ti porterò più da nessuna parte! – sbraitò José mentre, tirando giù una serie di santi fra cristiani e pagani, cercava di liberarsi dal guinzaglio attorcigliato intorno alle gambe, - Sei un demonio, ecco cosa sei! E questa casa è un porcile! – concluse, sbattendo la porta e guardandosi intorno con aria persa. – Santa pazienza. – mugolò disperatamente, infilando una mano in tasca a recuperare il cellulare che squillava già da una quindicina di minuti buoni escluse le pause fra un tentativo e l’altro, ed al quale Lucky gli aveva fisicamente impedito di rispondere tentando di gambizzarlo girandogli intorno come una trottola alla ricerca della traccia olfattiva degli escrementi di un qualche altro pony sotto sembianze di cane a lui simile. – Pronto? – sospirò esausto, appoggiandosi contro una parete e lì restando mentre Lucky tornava ad odorare le prove del proprio stesso crimine all’ingresso e decideva di irrorarle con un’altra buona dose di pipì, giusto perché si mantenessero fresche. – Chi è che tiene occupato il mio cellulare impedendomi di chiamare la nettezza urbana per avvertirli che c’è una discarica ambulante che abita in questo appartamento?
- …ok. – rispose tranquillamente la voce di Zlatan, dall’altro capo della cornetta, - Chiamo subito Davide e gli dico che non sei in grado, così manda un dogsitter e tu puoi tornartene a casa. Ciao! – concluse con voce squillante, mentre José prendeva a gridacchiare una serie di concitatissimi “aspetta” per impedirgli di interrompere la conversazione.
- Me la sto cavando benissimo! – protestò con uno sbuffo offeso, - Non hai nessuno da avvertire e a me e Lucky non serve nessun dogsitter.
- Sbaglio, o poco fa stavi pensando di mollarlo alla nettezza urbana? – gli fece presente Zlatan, apparentemente parecchio divertito dal tutto, almeno a giudicare dal suo tono allegro e gioviale.
- Facevo ironia! – rispose José, gesticolando animatamente mentre Lucky spingeva la ciotola col muso sul pavimento, facendo lo slalom fra le schifezze che lo imbrattavano, per chiedergli un po’ di cibo, - E tu non hai niente di meglio da fare che non spendere i milioni in chiamate internazionali coi miei giocatori, oltre che con me?!
- Per la verità no, mi annoiavo. – rispose Zlatan con estrema naturalezza, - E poi ero un po’ in pensiero per te, a dirla tutta. Ci ho passato un po’ di tempo, con quel cane, quando era piccolo così, e so cosa significa averlo intorno.
- Ah be’, questo spiega tutto! – si lamentò José, esasperato, recuperando disinfettante e rotolone dalla cucina per pulire il pavimento dell’ingresso, docilmente seguito da Lucky ancora in attesa del suo giusto pasto serale, - In particolare spiega perché questa bestia sia l’incarnazione stessa di Satana! La malvagità non poteva che provenire dalla sua fonte primigenia in terra, ovverosia te!
- Ora calmati! – rise di gusto Zlatan, - Prometto che non avvertirò Davide del tuo tracollo emotivo, così almeno non perdi la faccia. Comunque, se vuoi un consiglio: - e non diede tempo a José di rifilargli il no che per svariati motivi avrebbe meritato, - grattini dietro le orecchie e tante tante lusinghe, e conquisterai il suo cuore.
José non ebbe nemmeno il tempo di dirgli che gli assomigliava anche in questo, prima che Zlatan si decidesse ad interrompere la chiamata, lasciandolo solo a pulire per terra.
*
- Capiamoci, cane. – disse con un certo disgusto, le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti e le mani saldamente piantate sui fianchi in una posa che, immaginava, Zlatan non avrebbe esitato a definire “da diva”, se non fosse stato a mille chilometri di distanza a sorbire un succo di frutta alla papaya o chissà che altro ridendo delle sue sventure. – Tu devi pulirti. Devi pulirti perché i tuoi padroni mi hanno detto che devi, e devi pulirti perché sei oggettivamente una fogna e puzzi più di un maiale immerso in una pozza di fango.
Lucky lo guardò, dando segno di non stare comprendendo quanto fosse serio, ma quando José gli si avvicinò, cercando di bloccarlo per ficcarlo di forza all’interno della vasca, dimostrò di essere bravo a mentire quanto il suo illustre insegnante svedese o pseudotale, dato che spiccò un salto all’indietro, vanificando tutti i suoi sforzi e costringendolo a finire ginocchioni per terra, umiliato e dolorante.
- Io sono troppo vecchio per queste cose. – si lagnò, mettendosi seduto sul pavimento e sospirando profondamente, - Lucky, sii buono. Vieni qui, dai. – biascicò, battendo la mano sul pavimento di fronte a sé, fra le gambe dischiuse, - Non ti faccio niente, coraggio. – cercò di rassicurarlo con un sorriso mite.
Lucky lo fissò per qualche secondo, platealmente dubbioso, e poi si avvicinò piano, un minuscolo passetto dopo l’altro, con circospezione, fino a sistemarsi fra le sue gambe e lì restare, incerto.
- Bravo cucciolo. – sorrise candidamente José, accarezzandogli dolcemente il capo, - Vedi che sai come comportarti anche tu? Bravo, bravo. – continuò ad accarezzarlo, grattandogli le orecchie, il collo e il dorso. – Bravissimo. – concluse. Dopodiché si chiuse attorno a lui come una tenaglia, e non lo lasciò più andare fino a quando, fra guaiti e uggiolii vari, non fu al sicuro immerso per metà nell’acqua che riempiva la vasca, impossibilitato ad uscire e finendo per immergersi ogni due secondi a causa del fondo scivoloso sotto le zampe sottili. – Bravissimo davvero! – ripeté con estrema soddisfazione, - E scemo, anche. Esattamente come il tuo maestro!
*
- Oh, andiamo, non guardarmi così. – borbottò, sentendosi anche vagamente in colpa, mentre sistemava l’asciugamano per terra in salotto, di fronte al televisore, e vi depositava delicatamente sopra Lucky, avvolto in un accappatoio trovato in un cassetto e che non era sicuro di potere usare, ma d’altronde se Davide e Mario si aspettavano che lui si colasse tutto portando il cane dal bagno al salotto a mani nude, erano così fuori strada da realizzare un perfetto testacoda e rimettersi tranquillamente in carreggiata. – Coraggio, dovevi pur lavarti! Eri un insulto all’igiene pubblica!
Il cane grugnì un guaito incomprensibile, liberandosi dall’accappatoio e prendendo a strusciarsi contro ogni superficie asciutta, morbida e assorbente che riuscisse a incontrare sul proprio cammino, nel tentativo di asciugarsi.
- No! – rispose José, puntando il dito contro l’asciugamano, - Devi stare lì! – soggiunse severo, - O non ti faccio mangiare.
Lucky lo guardò a lungo, e José ebbe l’impressione che, se avesse potuto, gli avrebbe riso in faccia. Dopodiché sollevò nuovamente la maledetta zampa, e solo la tempestività di José e le sue rassicurazioni sulla cena in arrivo poterono salvare il tappeto persiano dei bambini di casa da un bagnetto improvvisato fuori stagione.
Il cellulare squillò nuovamente, e José rifletté a lungo sulla possibilità di lasciarlo squillare in eterno, prima di rassegnarsi a rispondere e mettere il riso soffiato del cane a cuocere in un pentolino.
- A coronamento della serata, la buonanotte dello zingaro spagnolo. – commentò acido, mentre Zlatan rideva dall’altro capo del telefono.
- Volevo solo sapere come te la stavi cavando. – ribatté l’altro, - Se eri ancora vivo, se potevo chiamare la polizia. O il dogsitter.
- Lucky sta benissimo, e anch’io! – protestò José, - Sono perfettamente in grado di gestire altri esseri viventi oltre a me stesso e non mi serve l’aiuto di nessuno, grazie mille.
- E neanche un po’ di compagnia? – insistette Zlatan, il tono vagamente nostalgico, - Quel cane non è che sia di grande stimolo, in quel senso.
José si voltò a guardarlo – Lucky rincorreva la propria stessa coda trottolando per il salotto come una scheggia impazzita. Sospirò.
- Grazie per aver chiamato. – sorrise sinceramente, - Com’è il tempo lì?
*
- Sei un disastro, io sopravvivo a malapena all’influenza del secolo e tu rischi di mandare a puttane la mia brillante carriera nonché la mia preziosa vita andando quasi a schiantarti contro un albero a ottanta all’ora?! – si lagnò Mario, la voce terribilmente nasale, rientrando in casa l’indomani mattina.
- Non ho preso l’albero! – ritorse Davide, offeso, gettando di malagrazia le chiavi sulla consolle all’ingresso e sbattendosi la porta alle spalle, - Sei tu che sei agitato come un vecchio nonno isterico! Avevi la febbre, sai, mica la tubercolosi!
- Come ti permetti tu, moccioso! – ringhiò Mario, saltandogli addosso alle spalle e strofinando le nocche della mano chiusa a pugno contro la sua testa, - Porta rispetto per i più anziani!
- Ma quali anziani! – strillò Davide, liberandosi di lui con una poderosa scrollata di spalle, - Piuttosto, trova Lucky! Il mister di sicuro dopo avergli dato da mangiare se ne sarà tornato a casa sua, il cane dovrà ancora uscire! Anzi, mi meraviglio che non ci sia tutto l’appartamento seminato a cacche in attesa della bella stagione.
- Dade? – lo chiamò Mario, dopo essersi affacciato in salotto, - Il mister non è tornato a casa sua, stanotte. – constatò, indicando José sdraiato sul divano con Lucky steso addosso in un modo che non avrebbe trovato gradevole, nel momento in cui si fosse svegliato.
- Oh, mio Dio. – biascicò il più giovane, recuperando il cane e tenendolo stretto in braccio mentre cercava di svegliare il mister con piccoli calcetti sugli stinchi, - Mister! – lo chiamò, - Guardi che è tardissimo, fra mezz’ora c’è la conferenza stampa e poi deve partire per Livorno! Si tiri su, andiamo!
- No… - mormorò trasognato lui, rigirandosi a pancia sotto ed abbracciando un cuscino, - Tami, è presto, fammi dormire ancora…
- Ma che Tami e Tami! – strillò Davide, ottenendo in risposta solo una risatina di Mario, un guaito di Lucky e il ronfare ancora più profondo del proprio allenatore. – Senti, pensaci tu. – borbottò, mollando il cane sul pavimento e dirigendosi speditamente verso la propria camera, - Io oggi sono in vacanza e intendo disinteressarmi di qualsiasi cosa, per cui, visto che stanotte mi hai anche vomitato addosso, mister “che mi frega se stai al mio capezzale e ti fai frantumare le palle dalle mie lamentele per ore e ore, tanto io la riconoscenza non so nemmeno sotto che lettera cercarla sul vocabolario”, sbrigatela da solo. Arrivederci!
Mario incassò la testa fra le spalle, cercando a stento di trattenere l’ennesima risata mentre Davide si barricava in camera sua, e poi si voltò a guardare Lucky.
- E adesso che si fa, bello? – chiese, sedendosi in bilico sullo schienale del divano, - Ci mettiamo a ululare? Chiamiamo lo zingaro?
Lucky abbaiò con competenza, si arrampicò sul divano e si sistemò ordinatamente all’altezza del viso rilassato di José. E poi sollevò la zampa.