Genere: Commedia, Introspettivo.
Rating: PG-13
AVVISI: Girl's Love.
- Un autobus affollato, una ventenne vagamente depressa ed una quattordicenne semplicemente indecente.
Commento dell'autrice: Okay, in realtà parte di tutto questo è realmente accaduta XD Nel senso che anche io ho incontrato una ragazzina da molestia sessuale sull’autobus. Ma per il resto diciamo che, purtroppo, ho inventato anche troppo XD Ragazzina bellissima, questa storia è dedicata a te ;_; Se ti riconosci nell’innamorata descrizione, ti prego, contattami ;_; Saprei renderti felice ;_;
(…questo non dovevo dirlo, mi sa °_° Potrei effettivamente essere accusata di pedofilia, visto che sulle età, be’, non ho inventato niente “XD)
Rating: PG-13
AVVISI: Girl's Love.
- Un autobus affollato, una ventenne vagamente depressa ed una quattordicenne semplicemente indecente.
Commento dell'autrice: Okay, in realtà parte di tutto questo è realmente accaduta XD Nel senso che anche io ho incontrato una ragazzina da molestia sessuale sull’autobus. Ma per il resto diciamo che, purtroppo, ho inventato anche troppo XD Ragazzina bellissima, questa storia è dedicata a te ;_; Se ti riconosci nell’innamorata descrizione, ti prego, contattami ;_; Saprei renderti felice ;_;
(…questo non dovevo dirlo, mi sa °_° Potrei effettivamente essere accusata di pedofilia, visto che sulle età, be’, non ho inventato niente “XD)
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DISREGARD
Le ragazzine, oggigiorno, sono proprio indecenti.
Così pensava Vittoria, dolorosamente intrappolata fra un palo ed una corpulenta madre di famiglia provvista di cucciolata alle calcagna, mentre cercava di non soffocare, non perdere l’equilibrio e non tirare le cuoia sul 101 che, da casa propria, avrebbe dovuto condurla viva e vegeta in via Roma, per un po’ di sano shopping da saldo estivo che potesse risollevare le sorti di quella giornataccia tremenda da due-esami-due con bocciatura e disonore.
Una nelle sue condizioni – morta di caldo, sfinita, depressa e con il piede di una vacca da trecento chili schiacciato sopra il proprio – avrebbe dovuto, teoricamente, pensare a tutt’altro.
Ad esempio a come liberarsi della suddetta vacca. Oppure, giusto per volersi occupare di cose meno frivole, a redigere un piano di studi che le consentisse di smetterla di inanellare bocciature su bocciature e passare così al secondo anno. O, ancora, a decidere se comprare un po’ della roba in sconto sulla quale aveva preso appunti nel corso delle settimane precedenti, o se spendere l’intera paga settimanale per quell’abitino di maglia nera della nuova collezione autunno/inverno di Ferré che l’aveva fatta impazzire quella mattina sulla strada per l’Ateneo.
Ed invece no. Si ritrovava a pensare all’indecenza delle ragazzine moderne. La vacca le fracassava il collo del piede e lei pensava all’indecenza delle ragazzine moderne. Uno dei mocciosi al seguito della vacca si chinava per cercare di spiarle le mutandine sotto la gonna e lei pensava all’indecenza delle ragazzine moderne. Ester – l’amica che aveva reclutato per la missione shopping pomeridiano – lanciava sguardi d’agonia a qualche metro da lei, sprimacciata da un lato da un vecchio signore in giacca e cravatta asciuttissimo nonostante il caldo e dall’altro lato da un quarantenne unto e bisunto palesemente in vena di qualche palpatina post-pranzo, e lei pensava all’indecenza delle ragazzine moderne. Una nonnetta bianchissima alla sua sinistra continuava a lanciarle occhiate fra l’enigmatico ed il compiaciuto – senza che lei avesse la minima idea del perché lo stesse facendo! – da almeno mezz’ora e lei, invece di indagare e sincerarsi delle sue buone intenzioni, pensava all’indecenza delle ragazzine moderne.
Doveva esserci qualcosa di sbagliato nella sua testa.
In sua difesa si poteva certo dire, comunque, i suoi pensieri non fossero del tutto campati in aria. Le ragazzine, cioè – almeno, quella che aveva attirato la sua attenzione – erano davvero indecenti.
Non nel classico senso negativo dell’indecenza da disgusto che, da assidua frequentatrice d’autobus, spesso la prendeva nel posare gli occhi su una qualche adolescente sovrappeso convinta di potersi inguainare in un corpetto nero, avvolgere in una gonna di pizzo in tinta e decorare con fiocchetti viola senza risultare quantomeno ridicola.
No. Era un’indecenza di tutt’altro tipo.
Un’indecenza che a vent’anni passati dovresti avere imparato a tollerare senza cominciare a schiumare di desiderio.
Nella fattispecie – neanche a voler aggravare ulteriormente una situazione di base già abbastanza disastrosa – la ragazzina, una bella libica stretta ad un palo da un lato ed alla madre o sorella dall’altro, doveva avere non più di quattordici anni. Quindici, a voler essere generosi – o ciechi.
…ma erano palesemente quattordici. Forse qualcosa in meno, addirittura.
La libica – che poi: chi diceva dovesse essere proprio libica? Poteva venire dal Senegal, dalla Somalia, perfino dalle Barbados, per quanto ne sapeva! Non è che, siccome al telegiornale ti dicono che l’immigrazione arriva principalmente da lì, allora deve venire tutta da lì – stava schiacciata contro il palo e fissava la strada scorrere lenta oltre il finestrino con un paio di enormi occhi da cerbiatta dello stesso colore preciso e identico della buccia delle castagne. Era avvolta in un abitino cortissimo, nerissimo ed arricciatissimo sul seno ed in vita. Il tessuto – acrilico elasticizzato, opaco e morbido – si tendeva sul petto, aprendosi in un’onda delicata che giocava a nascondino nel solco fra i seni – due collinette sode e rotonde, perfettamente simmetriche, dure come marmo e immobili nonostante il rollio dell’autobus. I capelli – lunghissimi, lisci e striati di biondo come fosse preciso volere della ragazzina stessa rendere un po’ volgare l’altrimenti perfetta ed elegante uniformità di quella cascata d’ebano – sfioravano i fianchi dietro la schiena ed il ventre davanti, increspandosi ed arricciandosi giusto un po’ sulla lunghezza. Le gambe, snelle e slanciate, scomparivano in prossimità dei glutei sotto l’orlo frastagliato dell’abitino, e si concludevano in basso con un paio di caviglie sottili e dall’aspetto un po’ fragile, strette nel laccio dei sandali alla schiava che le davano un aspetto esotico terribilmente eccitante.
In sostanza, le si vedevano addosso più centimetri di pelle che di vestiti. E la ragazzina stava là, tranquillissima, languidamente appoggiata al palo, come non si accorgesse nemmeno degli sguardi affamati che le piombavano addosso da ogni lato dell’autobus.
Inizialmente, era stato perfino comico notare come, al suo ingresso nella vettura, tutti si fossero voltati a guardarla, riempiendola d’attenzione ed attenzioni – si sposti un attimo, faccia passare la ragazza; un secondo che ti tolgo i pacchi dai piedi; mettiti qui che arriva più aria. Probabilmente non le avevano offerto un posto a sedere solo perché sapevano che l’avrebbe preso la madre, o la sorella maggiore, o quel che era.
Inizialmente era stato comico, sì, ma la cosa stava cominciando a farsi fastidiosa.
Per la vacca col piede di cemento. Per il moccioso guardone. Per la vecchina inquietante.
Per la voglia.
- Vittoria, quando dobbiamo scendere?! – aveva ansimato Ester, sfuggendo agli uomini che la tenevano prigioniera per affiancarsi a lei, - Non ne posso più!
Vittoria aveva scrollato le spalle, continuando a fissare la ragazzina con aria ammaliata.
- …Vitto’. – l’aveva richiamata Ester, infastidita, - Mi ascolti o no?
- Eh? – aveva finalmente risposto lei, voltandosi a guardarla, - Scusa, non ti stavo ascoltando.
- Appunto. – era stato il commento secchissimo e un po’ adirato della ragazza che, sospirando, s’era abbattuta contro un sostegno improvvisamente libero da ingombri, colonizzandolo come casa propria. – Lascia perdere. Che stai fissando?
- Niente! – s’era premurata di negare all’istante, arrossendo come una mocciosa.
- …non dirmelo. Pure tu!
- …che?
- Dai! C’era questo tizio che mi stava palpando fino a cinque minuti fa. Poi è salita la ragazzina ed ha smesso per spostarsi verso di lei. Ammetto di essermi sentita offesa.
- …non ti seguo.
- Sì che mi segui. – Ester aveva sbuffato sonoramente, incrociando per quanto possibile – cioè molto poco – le braccia sul petto. – Avanti, avrà dodici anni!
- …dodici?!
- Ecco. – aveva annuito convintissima, - Se fai storie sull’età, ti piace proprio.
- Ester… - aveva cominciato a protestare Vittoria, mentre la vecchina bianca sghignazzava da qualche parte accanto a lei, - Potresti per favore abbassare la voce…? Ti stanno sentendo tutti…
- E allora? Tanto, fidati: non sei l’unica che sta pensando sia scopabile. Voglio dire, io non sono lesbica e nemmeno bisessuale, ma-
- Oh, Ester! – l’aveva bloccata, terrorizzata fin nel profondo, - La pianti o no?!
Ester aveva sbuffato ancora ed era tornata ad abbracciare il palo, difendendolo dagli attacchi di una vecchia signora in viola che sembrava intenzionata a conquistarlo per sé. Nel frattempo, la vacca con famiglia aveva ascoltato tutti i loro discorsi ed aveva pensato bene di spostare baracca e burattini verso lidi più sicuri – lidi che coincidevano con quelli dalle cui parti sostava la libica, peraltro. Tutto ciò con grande disappunto del moccioso guardone, che si ritrovava affiancato ad una bellezza da urlo ma un po’ troppo bassa per non obbligare a chinarsi un po’ troppo oltre il consentito per guardarle sotto la gonna.
Insomma: l’autobus intero era un concentrato di desiderio, frustrazione ed imbarazzo. Ester e la vecchia viola ringhiavano a vicenda l’una contro l’altra, neanche stessero difendendo la cena. La vecchina bianca cercava disperatamente un modo per avvicinarsi a lei – mentre lei, altrettanto disperatamente, cercava un modo per sfuggirle. Il quarantenne unto e bisunto aveva rinunciato all’opera palpatoria della ragazzina – probabilmente terrorizzato dalla vacca con figli – e stava tornando dalle parti di Ester che, però, aveva perso interesse nella cosa. Il vecchio in giacca e cravatta osservava tutto con piglio critico dalla sedia che era riuscito a guadagnarsi in seguito alla discesa di un paio di persone all’ultima fermata.
E la Venere Nera Minorenne stava lì, immobile. La curva della sua schiena faceva da autostrada per le occhiate degli astanti. L’ondeggiare dei suoi capelli ipnotizzava tutti come il movimento di un pendolo. La linea netta e un po’ spigolosa delle sue ginocchia, mentre spostava il peso da una gamba all’altra, costringeva l’intera vettura ad un sospiro unico e sofferto.
Che s’interruppe altrettanto unicamente – ed altrettanto dolorosamente – quando l’autista piantò i freni in prossimità della fermata successiva ed aprì le porte in un movimento quasi unico, che portò l’autobus a rovesciare fuori metà del proprio carico umano fra urla ed imprecazioni varie.
Ester, attaccata al palo, osservò compiaciuta la vecchia viola rotolare via con un urletto stridulo, mentre Vittoria afferrava al volo la vecchina bianca – perché va bene avere paura di un sorriso, ma desiderarne l’estinzione magari no.
La sorella o madre o quel che era della libica la richiamò alla realtà con un colpettino sulla spalla, e la ragazzina annuì, tirò fuori un foglietto di carta ed una penna dalla borsa che pendeva dal braccio della sua accompagnatrice e scarabocchiò velocemente qualcosa, prima di muoversi attentamente fra i cadaveri della frenata in lenta ripresa ed avvicinarsi alle porte scorrevoli.
Qui si fermò un secondo, voltandosi a guardare Vittoria con un sorriso sornione e porgendole il pezzo di carta.
- Così magari mi chiami anche. – commentò semplicemente, scendendo con un balzello agile ed un po’ infantile, mentre in mano a Vittoria restava solo quel numero, la vecchina ridacchiante ed una considerevole dose di stupore.
- Eh, signorina. – disse la vecchina, rimettendosi dritta sulle gambe bianchissime come tutto il resto, - Che le devo dire? Non ci sono più le ragazzine di una volta!
Vittoria indietreggiò, terrorizzata.
E neanche le vecchie nonne!