Fandom: RP: Musica
Personaggi: ,
Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: PG
AVVISI: Gen, AU, Flashfic.
- "'E tu come ci sei arrivato là sopra?' 'Mi sono arrampicato.'"
Note: Un'AU che è anche una flashfic. *piange amore* Non so se riuscite a cogliere la vaga meraviglia di fare una cosa simile. Poi vabbe', è una storia scritta un po' a cazzo di cane, questo sicuramente, però comunque scrivere un'AU in così poche parole è un'impresa, questo me lo concederete XD E se non me lo concedete, chissene e_e *si prende onorificenze da sé*
A parte questo, l'idea di scriverla è nata questo pomeriggio posando gli occhi sul nuovo avatar di Fler su Twitter, che come vedete è la copertina del nuovo Air Max Musik, e lo ritrae con un paio d'ali nere di plastica stropicciata spiegate dietro la schiena. *piange splendore* A lui il premio di cosa più bella vista oggi assieme a The Fighter.
Scritta per il prompt Attesa @ terza settimana del COW-T. E con questo mi ritiro. *va in pensione*
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DESPERATE ANGEL
got no wings to fly

Non sa più neanche da quanto tempo stia aspettando. Le ali cominciano a pesare, ormai. È ridicolo, perché le ali in sé sono terribilmente leggere, ma è la loro presenza che ormai si sta facendo insopportabile. Il modo in cui tirano sulle scapole, desiderose di spalancarsi. Il modo in cui fremono ogni volta che lui apre e chiude le mani. È doloroso averle e non poter volare. Poterle aprire solo per impedire che si atrofizzino. Stare, come adesso, seduto sulla sommità di questo muro così alto, ed esserci arrivato scalandolo, come un comune mortale. Non poterne scendere lanciandosi nel vuoto in picchiata, planando a pochi centimetri dall’asfalto per poi riprendere quota e tornare su, su, dribblando i palazzi e tuffandosi in mezzo alle nuvole, provando a raggiungere il cielo per grattarne la scorza azzurra e bussare alla porta di casa.
Ma Dio è stato chiaro, quando l’ha mandato sulla terra. Quando gli ha tolto le sue belle ali candide e morbide, sostituendole con quelle nere e stropicciate che ancora porta appese alla schiena, Dio gli ha detto di non provare nemmeno a fare ritorno in Paradiso finché non fosse stato il momento giusto. Non ha specificato di che momento stesse parlando, ma Fler è abbastanza sicuro che questo momento non sia ancora giunto, perché l’avrebbe sentito. E perché le sue ali sono ancora nere e incapaci di volare, naturalmente.
- E tu come ci sei arrivato, là sopra? – chiede una voce vagamente lamentosa, parecchi metri sotto di lui. Semisdraiato per terra, appoggiato di spalle al muro sul quale lui stesso è seduto, c’è un ragazzo. Sembra più grande di lui. È pieno di lividi, porta un braccio stretto al petto come se la sola idea di muoverlo gli causasse un tormento insostenibile e la sua voce è una sinfonia di gemiti e lamenti di dolore, ma sorride, e sembra perfettamente a suo agio pur nelle condizioni in cui è, come se fossero quelle in cui usualmente è abituato a sopravvivere.
- Mi sono arrampicato. – risponde lui, saltando giù e piombando dritto in piedi a pochi centimetri da lui. Si piega sulle gambe per cercare di attutire il colpo e già che c’è resta piegato, si accuccia sulle ginocchia e gli si avvicina, scrutandolo con interesse. – Che ti è successo?
- Una sciocchezza. – dice il ragazzo, agitando la mano sana davanti al viso, - Un incidente sul lavoro.
- Che tipo di lavoro causa incidenti del genere? – domanda Fler, inarcando un sopracciglio.
Il ragazzo ride, e la sua risata si perde quasi subito in un colpo di tosse che si trasforma a sua volta in un altro gemito carico di dolore, mentre cambia posizione per cercare di non pesare troppo sulla spalla malconcia.
- Il tipo di lavoro dal quale un ragazzino con una faccia e un paio d’occhi come i tuoi dovrebbe stare sempre lontano. – dice, recuperando la calma ed anche quel tono strafottente che già da un paio di minuti sembra voler invitare Fler a prenderlo a calci nelle costole.
- Fai sempre così? – gli chiede con evidente fastidio, rimettendosi dritto e spolverandosi i jeans all’altezza delle ginocchia.
- Così come? – chiede il ragazzo, seguendolo con gli occhi ed inarcando un sopracciglio con aria divertita.
- Così. – risponde Fler, indicandolo con un cenno del capo.
- Così tipo “finire sdraiato in un angolo di strada senza riuscire quasi nemmeno a respirare per il dolore”?
- No. Così tipo da far pensare a chi ti ascolta che chiunque ti abbia ridotto in queste condizioni deve avere avuto i suoi buoni motivi per farlo.
Il tipo sbuffa una mezza risata incredula, mettendosi a sedere più compostamente mentre comincia a riprendersi.
- Ma quanti anni hai? – gli chiede curiosamente. Fler appende le mani ai fianchi magri da ragazzino.
- Tu quanti me ne dai? – domanda spavaldo. Il tipo ride, e stavolta riesce perfino a rantolare di meno.
- Quattordici. – risponde. Fler guarda altrove.
- In un certo senso, ne ho quattordici davvero. – annuisce. Il tipo inarca un sopracciglio.
- In un certo senso…? – ripete divertito, e poi scuote il capo, tendendogli una mano. – Aiutami a mettermi in piedi. – dice. Fler guarda quella mano e le dita incrostate di sangue per qualche secondo, prima di afferrarla per tirarlo in piedi. – Anis. – si presenta il ragazzo, stringendogli la mano con decisione invece di lasciarla andare, mentre fa qualche tentativo di restare in piedi senza dovere per forza appoggiarsi al muro dietro di sé. – Tu?
Fler fa per schiudere le labbra e rispondere col proprio nome, ma esita. Aspetta un paio di secondi. Poi se ne inventa uno nuovo.
- Patrick. – risponde. Anis annuisce, lasciandogli finalmente andare la mano solo per appoggiarsi a lui.
- Bene, Patrick. Ti andrebbe di accompagnarmi in ospedale?
Fler lo guarda con sospetto. Il corpo del ragazzo è caldo e ogni tanto si scuote ancora in brividi scomposti quando viene attraversato da scariche di dolore più forti delle altre.
Lancia un’occhiata alla volta celeste, scura e puntellata di stelle. Non è sicuro che il Paradiso possa attendere ancora molto tempo, ma questi venti minuti per accompagnare Anis al pronto soccorso può anche prenderseli.
- D’accordo. – annuisce, incamminandosi verso l’ospedale e trascinandoselo dietro.
Non viste, le sue ali cominciano a farsi più morbide, e il nero che le avvolge si stempera in una sfumatura più tenue che continua a schiarirsi passo dopo passo.
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