Genere: Erotico, Commedia.
Pairing: Marco Travaglio/Peter Gomez.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Language, Bashing su entrambe le tifoserie (no, davvero), Semi Dub-Con.
- Peter Gomez è interista. Marco Travaglio è juventino. Il loro salotto, invece, è solo un campo di battaglia.
Note: Non l'avrei mai scritta se non fosse stato per il compleanno di Sara. Oltretutto, gliel'avevo promessa quel milione di secoli fa... XD Te l'avevo detto che sarebbe arrivata prima di quando immaginavi! Hah! Però, visto che sono una counter!whore, partecipa anche alla Porn!Week di fiumidiparole con prompt RPF, Marco Travaglio/Peter Gomez, "Sei davvero cocciuto". Lucchettata su DLQ perché, pur non essendo particolarmente spinta, è una delle cose più concettualmente volgari io abbia mai scritto, e me ne vergogno come una ladra. Gh. Un giorno smetterò di sentirmi così, ma quel giorno non è oggi.
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Derby D'Italia
RPF, Marco Travaglio/Peter Gomez, "Sei davvero cocciuto"


Soddisfatto come poche altre volte s’era sentito in vita sua, Peter si permise – per la prima volta da che la serata era cominciata – di accomodarsi più tranquillamente contro lo schienale del divano e sorridere.
- Visto? – disse tronfio, indicando lo schermo del televisore sul quale scorrevano distrattamente le immagini degli highlight post-partita, - Te l’avevo detto io che vi avremmo asfaltati.
- Asfaltati! – scattò subito Marco, saltando in piedi come attraversato da continue scosse elettriche e circumnavigando il divano in una passeggiata nervosa da folletto isterico, - Non avete mica vinto dieci a zero, santo Dio! Un due a zero per te è “asfaltare gli avversari”?
- Sì – sorrise Peter, - quando si domina l’avversario in ogni parte del campo, per tutti e novanta i minuti della partita.
- Stai dicendo delle inesattezze imperdonabili. – sbuffò Marco, poggiando le mani sullo schienale del divano, palesemente per tenerle impegnate mentre cercava di non saltare addosso a Peter per strangolarlo e porre fine a quella serata di merda, - Noi abbiamo—
- Ah, già, dimenticavo i primi dieci minuti in cui avete tirato in porta tre volte, sì. – agitò una mano Peter, sollevandosi in piedi per affrontarlo da una posizione meno svantaggiosa, come d’altronde si addiceva ad un tifoso della squadra campione d’Italia negli ultimi tre-barra-quattro anni a voler contare l’anno in corso o anche l’anno precedente allo scandalo che si era giustamente concluso con la sacrosanta assegnazione dello Scudo a chi lo possedeva di diritto, un diritto che nessun furto organizzato e nessuna cupola pseudo-mafiosa potevano strappare via dalle mani dei tifosi onesti.
- Veramente quelle non sono state le uniche occasioni da gol. – quasi ringhia Marco, fissandolo astioso, - Abbiamo tirato in porta altre due volte, e se solo—
- Oh, andiamo. – lo interrompe, spintonandolo malamente, - Non ti voglio sentir recriminare su nemmeno mezzo episodio. Come potessi accettare recriminazioni da un ladro, poi.
- Come ti permetti?! – strillò ancora Marco, restituendogli la spinta e fissandolo oltraggiato, - Ladro io! Sarete onesti voi e i vostri scudetti di cartone!
- Ossantoddio… - mugolò Peter, roteando gli occhi, - Sei davvero cocciuto. Lo sapevo che sarebbe finita così. Te l’avevo detto io, guardiamola ognuno per i fattacci nostri e poi in caso ci si vede dopo, ma tu no! tu dovevi per forza guardarla con me!
- Be’, ma qual è il problema? – ghignò Marco, incrociando le braccia sul petto e lanciandogli un’occhiata furba, - Forse che non ti senti in grado di sostenere una conversazione paritaria con me sul punto? Perché in fondo sai che non avete davvero dominato e se avete vinto è stato solo per situazioni fortuite che vi hanno premiato come avrebbero potuto non farlo?
Peter lo fissò sgomento, le labbra lievemente dischiuse e gli occhi spalancati, i lineamenti tanto immobili da non tradire neanche un fremito delle ciglia.
- Non c’è che dire. – concluse quindi, - Per qualche tempo mi sono illuso che potessi essere un tifoso juventino onesto. Avevo i miei dubbi che una razza simile potesse davvero esistere, ma non so, tu mi davi buone vibrazioni. E invece sei proprio un gobbo di merda!
Il pugno destro di Marco si mosse in fretta, ma non abbastanza perché a Peter potesse sfuggire quel movimento. La frazione di secondo che gli servì per notarlo fu sufficiente anche a scansarsi abbastanza perché il colpo potesse andare a vuoto, e l’uomo ascoltò con soddisfazione Marco ringhiare come un animale furioso quando si rese conto di averlo appena lisciato.
- Sii uomo e prenditi il legittimo pugno che ti meriti! – borbottò gesticolando, mentre Peter rideva con estrema soddisfazione.
- Ribadisco: sei proprio un gobbo di merda, e picchiatore anche! – commentò divertito. Marco ringhiò ancora, provò nuovamente a colpirlo, ma si ritrovò l’attimo dopo rovesciato contro lo schienale del divano, quasi prono e col pugno rigirato dietro la schiena, il braccio piegato e la spalla tesa e dolorante, - E pirla, pure. – concluse ridendo e schiacciandosi sul suo corpo.
- Brutto stronzo arrogante… - cercò di divincolarsi Marco, - Lasciami andare! Sei senza palle, vigliacco e stordito come la tua squadra di merda!
- La stessa squadra di merda che ha appena rifilato due pippe alla tua, intendi? – rise ancora Peter, strusciandosi contro di lui, - Mmmh, che sensazione inebriante. La mia squadra oggi ha inculato la tua ed ora io…
- Non. Provare. Nemmeno. A dirlo. – lo minacciò Marco, ringhiando ancora. Peter sorrise per l’ennesima volta.
- No, non ne ho bisogno. – concluse, strattonandogli la camicia di dosso e scendendo labbra e denti lungo il pendio dolce disegnato dal suo collo e dalla sua spalla.
- Lasciami andare. – ordinò Marco, scuotendo il braccio nel tentativo di liberarlo ma ottenendo in cambio solo che Peter stringesse maggiormente la presa attorno al suo polso. La sua mano, ancora chiusa a pugno, era talmente stretta che il bianco delle nocche risaltava perfino contro quello della camicia ormai scomposta sulla sua schiena e mezza sfilata dai pantaloni.
Peter neanche si degnò di rispondere, preferendo concentrarsi sul suo corpo tremante di rabbia sotto il proprio. Seguì con le labbra la linea della sua nuca, sentendolo rabbrividire ad ogni minimo contatto, e poi lo schiacciò di prepotenza contro lo schienale del divano, costringendolo a spingere il bacino contro lo schienale stesso e stordendolo abbastanza da potersi permettere di maneggiarlo quasi fosse un oggetto, scansandolo i pochi centimetri necessari a sfibbiare la cinta e sbottonare i pantaloni, lasciandoli liberi di scivolare lungo le sue gambe fino a terra.
- Peter! – lo chiamò Marco, ma era difficile, a quel punto, cercare di dividere l’ansia dall’offesa dalla voglia, nella sua voce. Peter aveva spesso immaginato momenti come questo, poterlo prendere quasi contro la sua volontà, forzandolo ad accoglierlo dentro di sé senza che lui volesse davvero. Era imbarazzante da pensare, ma mentire a se stesso sarebbe stato ridicolo, perciò si passò la lingua sulle labbra, tremando d’impazienza, senza neanche provare a fingersi titubante quando, dopo averlo preparato – apposta – quasi sbrigativamente, lo penetrò in un colpo. Era bello sentirlo sciogliersi e inarcarsi sotto le sue mani e i suoi baci, era bello sentire i suoi gemiti confondersi coi lamenti e con le proteste, fino a non poter più distinguere una cosa dall’altra. Era bello provare a indovinare il limite fra la sua frustrazione e la sua eccitazione, provare a capire fino a che punto i movimenti del suo bacino potessero considerarsi svogliati e involontari, e quando invece diventavano un modo per stargli dietro, accoglierlo meglio dentro il proprio corpo, inglobarlo tutto fino a farlo sentire senza fiato, mozzandogli il respiro o imprigionandoglielo nel petto.
Marco smise di protestare quando la sua mano si chiuse con forza attorno alla sua erezione, accarezzandola velocemente avanti e indietro al ritmo delle proprie spinte. Sarebbe stato fantastico costringerlo a venire prima di lui, sconfiggerlo su tutta la linea, portarlo finalmente, per una volta soltanto, a dover chinare il capo, abbattuto. Marco non gli diede questa soddisfazione, e Peter non poté fare a meno di sorridere, mentre l’orgasmo lo scuoteva, pensando che era proprio una cosa da lui.
Si prese il suo tempo per portare anche lui al limite, accarezzandolo dapprima più lentamente, poi sempre più velocemente, finché lo sentì tendersi e lasciarsi andare ad un singhiozzo liberatorio, venendo fra le sue dita ed accasciandosi esausto subito dopo contro lo schienale del divano.
- …adesso lasciami andare. – mormorò Marco, respirando affannosamente, - Sul serio, mi fa male il braccio.
Peter rise un’ultima volta, ubbidendo e fermandosi poi a riposare appoggiato sulla sua schiena, il respiro che, inconsciamente, andava ad assestarsi sul ritmo imposto dai saliscendi del petto di Marco.
- Ehi. – gli disse poco dopo, ancora senza fiato, baciandolo lentamente lungo la spina dorsale, - Guardiamo insieme anche la prossima?
Marco si voltò indietro e gli lanciò un’occhiataccia furiosa, ma era troppo stanco perfino per mandarlo a fanculo, perciò se lo risparmiò.
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