Shot appartenente alla serie Eine Kugel Reicht, scritta con Tabata.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Pairing: Bushido/Bill.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Lemon, Slash.
- "Cosa. Ci. Fai. Tu. Qui."
Note: No, non siamo ubriache, stiamo solo tornando indietro nel tempo XD La tragica verità è che ci eravamo completamente dimenticate dell’esistenza di questa shot *O*/ Cioè, no, ok, la sua esistenza la ricordavamo, solo che è stata scritta un po’ così out of the blue per un po’ di fanservice gratuito (a me il Billshido rumoroso piace tanto, e poi mi diverto a torturare Tab facendole piagnucolare “sì, però sono belli T_T” a dispetto del suo orientamento di fandom. GratuitamenteCattiva!Liz XD
A parte questo, non ho molto da dire, a parte il fatto che spero vi sia piaciuta e che, continuando di questo passo, probabilmente Tom e Fler in un non lontano futuro finiranno insieme XD
Settimana prossima si torna a SE =P Non vi distraete troppo con giochini neri e arancioni dall’aspetto ingombrante.
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DEL PERCHÉ BILL SI RITROVÒ A DOVER COMPRARE UNA CASA NUOVA

Io e Tom non abbiamo ancora imparato ad andare d’accordo e, per come mi sta guardando in questo momento – come volesse prendermi a cazzotti ma non si sentisse ancora fisicamente pronto a farlo, un atteggiamento tipico dei ragazzini – penso che non impareremo mai. È una cosa di cui in un certo senso mi dispiaccio, è una cosa di cui si dispiace Bill – per il quale è fondamentale che le persone che ama vadano d’accordo – è una cosa di cui si dispiace Jost – che vorrebbe sempre pace intorno a sé, mentre io e questo scricciolo coi rasta seguitiamo a privarlo in questo senso – ed è una cosa di cui si dispiace pure la mia crew, soprattutto Chakuza e soprattutto quando lo mando a prendere Bill in momenti in cui è con Tom. Ammetto di farlo apposta, ecco. Solo che Chakuza non sono io e Tom non si permette di guardarlo con gli occhi con cui guarda me. E, in ogni caso, sa bene che a Chaky non dà fastidio prendere a tirargli uno scappellotto sulla nuca per rimetterlo a cuccia. Io, invece, Tom non posso toccarlo.
Per questo motivo – perché devo fare il bravo, insomma – adesso cerco di stare tranquillo e non farlo rotolare fino alla parete di fronte con una schicchera sul naso, e mi appoggio allo stipite della porta, reggendo il mio pacco regalo ben stretto sotto il braccio. Lui mi guarda come un leoncino incazzoso, e stringe la presa sulla porta. Sembra indeciso sulla possibilità di scostarsi o sbattermela in faccia.
- Cosa. Ci. Fai. Tu. Qui.
È incredibile come, attraverso lo schermo di un televisore o fra le pagine patinate di una rivista, possano passare messaggi così distorti. Il mondo intero è convinto che il gemello rompiballe sia Bill. Bill – e posso assicurarlo di persona, perché io sono un uomo paziente ma ho dei limiti molto rigidi – è delizioso. Una volta che chiarisci bene patti e regole, andare avanti con lui è meraviglioso, perché non sgarra di niente. Cammina sempre lungo la linea tratteggiata, non inciampa e, se deve farti il casino, te lo fa privatamente.
Tom, invece, è una piaga solenne. Dio mio, è intollerabile. Io non so come faccio a non spaccargli la faccia come meriterebbe ogni volta che posso o ogni volta che me ne dà occasione – tipo quando parla con l’aria di una checca oltraggiata, calcando le sillabe ed usando punteggiature opinabili.
- In quella domanda, se era una domanda, - preciso rimettendomi dritto, visto che gli atteggiamenti fascinosi che mandano Jost in brodo di giuggiole su Tom non hanno il minimo effetto, - tanto per cominciare ci andava un punto interrogativo sul finale. E poi ho come l’impressione che-
- Tu non dovresti essere qui! – mi fa notare, ignorando apertamente la lezione di grammatica che stavo faticosamente tirando su solo per lui, - Tu e Bill avete litigato! Gli hai tirato un pacco enorme per il compleanno!
Sospiro pesantemente e non fatico ad immaginare perché Tom abbia il dente così avvelenato sul punto. Bill, in genere, non si lagna con lui di me, visto che sa che il fatto che stiamo insieme non gli va giù. Ma suppongo che la faccenda del compleanno mancato l’abbia mandato abbastanza su di giri da impedirgli di considerare chi – della massa indistinta di spalle su cui piangere che vede quando è depresso – fosse la persona con cui stavaparlando.
- Questo è esattamente il motivo per cui sono qui, Tom. – rivelo quindi, sospirando ancora, - Mi dispiace non essere potuto venire a festeggiare con voi i diciott’anni-
- Per quello che mi riguarda, mi hai fatto un regalo bellissimo!
- …ma ho avuto da lavorare. – proseguo, cercando di trattenere le mani. – E comunque sia, sono venuto a chiedere scusa a Bill. – annuisco, indicando compiaciuto il pacco regalo. – A te non ho portato nulla, s’intende. – ghigno poi, infilando una mano nella tasca interna della giacca, - Almeno a voler considerare “nulla” il Fler 90210 Mixtape. – rivelo poi, estraendo il cd e sventolandoglielo davanti agli occhi neanche fosse una caramella.
Tom si mette a brillare. Io sorrido soddisfatto. Bill ricordava bene, questo Mixtape è stato fra le vittime innocenti del massacro della mia discografia ad opera dell’Escalade. Lo vedo che allunga le mani verso il disco neanche fosse un’apparizione divina, le labbra dischiuse e gli occhi enormi.
Sollevo il braccio.
- Sai quanto m’è costato? – lo prendo in giro, - Non tanto in termini economici, quanto in termini di orgoglio. Voglio dire, roba di Fler…!
Lui si mette a saltellare.
- Oh, dammelo! Dammelo! – borbotta, allungandosi su di me per raggiungerlo, mentre io lo sollevo sempre più in alto, ben deciso ad arrivare anche a mettermi sulle punte per impedirgli di toccarlo prima dell’esatto momento in cui vorrò io.
L’esatto momento in cui lo voglio arriva pochi secondi dopo, quando – a seguito delle manovre per cercare di impossessarsi del disco – l’occhio di Tom cade inavvertitamente sulla confezione del regalo.
- Bushido… - borbotta rimettendosi in piedi ed allontanandosi di qualche centimetro, - Ma quella carta…
Io comincio a sudare freddo. Non gli do il tempo di finire, comunque: gli faccio passare Fler sotto il naso e lui ne segue tipo l’odore, è una cosa buffissima. Certe volte penso che mi basterebbe andare dalle parti dell’Aggro Berlin, dire a Fler che magari si può tornare amici e poi tornare qui a regalarlo a Tom, e tutti i miei problemi sarebbero risolti, potrei entrare e uscire impunemente da questa casa senza causare scompensi ormonali a nessuno e il mondo vivrebbe in pace. Poi mi ricordo che certe cose non dovrei pensarle nemmeno per scherzo, e che comunque Fler non si meriterebbe di essere usato a questo modo, nonostante tutto, e lascio perdere.
Lascio Fler nelle mani del suo legittimo proprietario – che a pensarla così mi fa pure un po’ senso, nonché darmi del fastidio indistinto che comincerò immediatamente ad ignorare – e mi dirigo verso la camera di Bill mentre Tom biascica che non me la farà passare liscia e il momento in cui pagherò per tutte le mie colpe è solo rimandato. Però lo dice con un’aria talmente sognante, mentre accarezza la copertina e fluttua verso il mega-impianto stereo che è stato il primo regalo che ho fatto a Bill quando ci siamo messi insieme, che non mi preoccupo nemmeno.
Busso piano alla porta e aspetto. Il singhiozzo che mi raggiunge dall’altro lato, dato che siamo appena al due settembre, non mi stupisce.
- Non voglio guardare The Notebook un’altra volta, Tomi! – si lagna la principessa, probabilmente immersa in un caos di cuscini e lenzuola, come ogni sua degna compagna di fiabe, - Piango già abbastanza anche senza stimolo, mi pare!
Mi viene un po’ da ridere, a sentirlo così depresso. Se lo conosco bene – ed è così – saranno già ventiquattro ore almeno che pensa senza sosta che evidentemente io non lo amo abbastanza, che devo essermi completamente dimenticato di lui e del suo compleanno e che sicuramente mi starò divertendo con un branco di groupie seminude come niente fosse stato. Mi starà ricoprendo di improperi e si starà dicendo che non vuole più vedermi né sentirmi. E piange perché non è vero che non vuole più vedermi né sentirmi.
Non gli rispondo, voglio vedere la sua faccia prima che abbia il tempo di prepararsi alla mia presenza, perciò mi limito a poggiare una mano sulla maniglia e ruotarla, spingendo lievemente la porta.
- E non entrareeee! – continua a lagnarsi lui, - Sono impresentabile! – ma io entro lo stesso.
La sua espressione, quando si rende conto di chi sono, è un capolavoro. Spalanca gli occhi – liquidi e persi – e schiude le labbra – vagamente gonfie e un po’ umide – e resta lì, immobile, un ammasso di capelli scomposti sulla testa e il faccino più confuso che gli abbia mai visto addosso. È tutto raggomitolato in uno spicchio di letto, le ginocchia al petto e le braccia a stringere le gambe. Solo la testa si solleva e mi dà modo di capire che quello è ancora il mio ragazzo e non una palla di emodepressione da piagnisteo immotivato.
- Principessa… - lo saluto con un cenno del capo e un sorriso un po’ stronzo, - sono venuto a fare ammenda per i miei peccati.
- Anis… - esala lui, con lo stesso tono con cui mi è capitato di sentirgli chiamare il mio nome mentre ancora dormiva. Resta con quell’espressione deliziosa addosso ancora solo per un secondo. Poi ricorda di essere Bill Kaulitz, di aver appena compiuto diciott’anni e di avere tutti i diritti di questo mondo di farmi sentire una merda perché non c’ero. Perciò aggrotta le sopracciglia e stringe le labbra in una smorfia piccata e delusa. – Anis. – ripete, più duramente, - Hai finalmente trovato il tempo per ricordarti della mia esistenza?
Io sospiro e roteo gli occhi, entrando in camera e chiudendomi la porta alle spalle.
- Ti ho chiamato, ieri, piccolo. – gli ricordo, - Non mi sono dimenticato della tua esistenza.
- Non c’eri! – mi attacca subito lui, saltando in ginocchio con uno scatto da capriolo imbizzarrito, - Io ero lì che spegnevo le mie diciotto candeline… diciotto candeline!... e tu non c’eri!
Mi lascio andare ad un altro sospiro, mettendomi seduto ai piedi del suo letto. È meraviglioso come, quando mi ha sotto gli occhi, Bill non riesca a fare a meno di starmi vicino. Non so com’è che abbia sviluppato questo bisogno, probabilmente dipende dal fatto che io ho la necessità fisica di toccarlo di continuo. Quando siamo nella stessa stanza, è molto raro che non gli stia addosso in qualche modo. Se succede, ho qualche motivo serio per non stargli appiccicato – tipo stare lavorando o stare litigando con Saad. Ma in genere quando litigo con Saad sto anche bene attento a tenere Bill il più vicino possibile. Giusto perché il messaggio sia sempre chiaro e mai contraddittorio.
Comunque sia, appena mi appoggio sul materasso, Bill gattona verso di me, e subito dopo me lo trovo accucciato al fianco. Visto che è ancora arrabbiato, però, tutto il contatto che condividiamo è la sua mano stretta attorno al mio braccio, come volesse tenermi lì per tutto il tempo della sfuriata. E infatti, subito dopo ricomincia a parlare.
- E poi non ha nessuna importanza che tu abbia chiamato! – mi rinfaccia, le labbra strette in un broncino da baci, - Chissà cosa stavi facendo mentre eri al telefono con me! – ripesco dai file di memoria: stavo pestando Chakuza perché si ostinava a non collaborare attivamente per il duetto che devo infilare nell’album. Niente di compromettente. – E comunque avresti dovuto esserci! – conclude quindi, strattonando il braccio un po’ qui e un po’ lì, come a richiamarmi dal punto in cui mi sono perso. Bill sa sempre quando smetto di ascoltarlo.
- Ho capito, principessa, ho capito. – annuisco, - Avrei dovuto esserci. – allungo un braccio e me lo tiro contro. Bill non fa la minima resistenza, si lascia avvolgere e si schiaccia contro di me aderendo immediatamente al mio corpo, neanche fosse nato apposta. Mi stringe le braccia attorno al collo e nasconde il viso sulla mia spalla, strusciando il naso contro la maglia come a volersi scavare una via per la pelle. – Ho pensato a te di continuo. – gli sussurro fra i capelli, - E mi è dispiaciuto sentirti così arrabbiato, al telefono. Avrei preferito farti un po’ di coccole.
- Ma eri tipo lontanissimo… - mugola, risalendo il mio collo con le labbra.
- Avrei potuto coccolarti lo stesso. – rido, e lui arrossisce e mi dà un pizzicotto poco convinto sulla nuca.
- Non dire queste cose… - borbotta, strusciandosi un po’.
Io sogghigno.
- Ti ho portato un regalo. – dico poi, separandomi controvoglia dal calore del suo corpo, - Non vuoi aprirlo?
Lui mi guarda con un paio d’occhi enormi e brillanti, gli nasce il sorriso sulle labbra ed io, invece di sentirmi in colpa come sarebbe giusto, comincio a gongolare pensando alla faccia che farà quando vedrà cosa gli ho portato. Certe volte raggiungo picchi di infantilismo tali da stupirmi da solo, davvero.
- Un regalo…? – cinguetta estasiato, giungendo le mani sotto il mento nella posa tipica da ragazzino innamorato che mi somministra sempre quando vuole intenerirmi, - Cos’è? Cos’è? È per farti perdonare?
- Già. – annuisco compitamente, recuperando il pacchetto e consegnandoglielo. Bill non è come suo fratello, davvero, Bill è allo stesso tempo una delle cose più diverse ed uguali che esistano rispetto a Tom, e comunque sia gli manca la conoscenza di base di cui invece suo fratello è anche troppo pieno. Per dire, Tom l’ha capito subito che questo pacco viene da un sexy shop. Bill, invece, si ferma ad osservare la carta nera con il nome del negozio traslucido e quasi irriconoscibile se non in controluce e l’enorme fiocco rosso che chiude il tutto, e si limita a squittire di gioia perché è un pacchetto molto elegante e potrebbe contenere qualsiasi cosa, da un rolex a un bracciale di diamanti al microfono originale usato da Nena al suo primo concerto, per dire.
Lo osservo con un compiacimento probabilmente illegale e decisamente inopportuno, mentre scioglie con navigata grazia il fiocco – anni e anni di gavetta come cucciolo di casa e favorito dalle fan, suppongo – e spacchetta il tutto, ficcando le mani nella carta velina e riemergendo due secondi dopo con un’espressione adorabilmente sconvolta e un dildo nero e arancione da trenta centimetri per le mani.
Ah, che soddisfazione. Dio, potessi tirare fuori una macchina fotografica e scattargli una foto in questo preciso istante, giuro che lo farei. È strepitoso: mi guarda come non riuscisse a capacitarsi della mia esistenza in questo momento e in questo luogo, stringe le mani attorno al giocattolo ed ha le labbra dischiuse come volesse dirmi qualcosa ma non sapesse cosa.
È stupendo, giuro.
- Anis! – urla alla fine, agitandomi il coso davanti agli occhi come se da solo bastasse a farmi sentire inopportuno. Io, naturalmente, scoppio a ridere, - ‘Cazzo ridi?! – si lamenta lui, mettendosi dritto sulle ginocchia e attaccandomi con entrambi i pugni chiusi, finendo inevitabilmente per lasciarsi intrappolare i polsi fra le mie dita.
- Be’, è una cosa utile e simpatica! – mi giustifico ridendo e trattenendolo mentre lui si sforza di essere minaccioso, - E poi sono i tuoi colori preferiti!
- I miei colori preferiti! – ripete lui, incredulo, - Ma sentilo!
Io rido ancora e lo tiro giù, e quando lo bacio lui mi si scioglie sulle labbra. Mugola e si dibatte solo un secondo – mentre già la sua lingua gioca a nascondino con la mia – poi cede e mi sbuffa contro, stringendomi nuovamente al collo con le braccia. Mi tiene così stretto che il giocattolo quasi si intromette fra di noi, dato che lui si ostina a tenerlo in mano, ed io lo scosto con un gesto sbrigativo, prima di accarezzarlo morbidamente su una guancia e seguire i suoi movimenti mentre inclina il capo e mi si sistema a cavalcioni in grembo, approfondendo il bacio.
Lo attiro contro di me stringendolo con un braccio alla vita, e lui lascia andare un versetto acuto e stupito che mi fa sorridere. Sorride anche Bill, mi sorride addosso e so che abbiamo già fatto pace. È fantastico che io non abbia nemmeno dovuto chiedere scusa. Io e Bill siamo perfetti per questo, perché non possiamo stare lontani, perché non abbiamo bisogno di dire le cose, perché c’incastriamo con una facilità sconvolgente. Perché non vedo niente quando me lo trovo in giro, perché non vede niente nemmeno lui, perché quello che è stato prima e quello che sarà poi, quando stiamo così vicini, non importa nemmeno. Perché siamo liberi, quando siamo insieme. Anche se poi liberi non siamo affatto, visto che non facciamo che imprigionarci a vicenda. Ma è giusto così.
- Ho pensato che non ci saremmo più rivisti, perché ti ho chiuso il telefono in faccia a quel modo… - biascica confusamente, tirando la mia maglia verso l’alto mentre io scendo a sfiorare con le labbra la pelle tenera e calda del suo collo, - Ho pensato… Anis, la maglietta… - mi scosto con una mezza risata, così che lui possa finalmente togliermela di dosso, e poi lo lascio riprendere a parlare, perché quando la principessa ha bisogno di sfogarsi, inutile lamentarsi, la si deve lasciar fare, - Ho pensato che avresti cominciato ad odiarmi perché mi ero arrabbiato… e poi ti ho odiato anch’io perché c’erano tutte le persone alle quali voglio bene, a quella festa, e però non c’eri tu…
- Lo so, piccolo… - lo zittisco, mozzandogli il respiro con un morso lieve, - La tua testa è un disastro, sai? – lo prendo in giro, stringendogli i glutei attraverso il tessuto leggero del pigiama. Lui mugola, a metà fra l’imbarazzato e il compiaciuto.
- Non è un disastro… - borbotta, - I pantaloni…
Lo ribalto sul materasso e lo spingo un po’ indietro. Lui non ha ancora lasciato andare il giocattolo, cosa che un po’ mi fa ridere, se devo dire la verità.
- Cos’è… - lo prendo in giro mentre, guardandolo dall’alto, comincio a sfibbiare lentamente la cintura, - ti ci sei già affezionato? – chiedo, indicando il dildo con un cenno del capo, - Il prossimo passo è dargli un nome?
Lui arrossisce istantaneamente e lo lascia andare di peso sul materasso, ma non riesce a staccarmi gli occhi di dosso. Io ghigno e lascio la cintura a pendere dai fianchi, retta solo dai passanti dei jeans, afferrando Bill per la vita e sistemandolo sul materasso, introducendomi fra le sue gambe perché ogni mio movimento ed ogni suo movimento coincidano con uno sfiorarsi dei nostri bacini.
- Togli… - lo sento lamentarsi, mentre sfiora con le dita il bottone e la zip dei miei pantaloni, - Per favore…
Annuisco compiaciuto, sfibbiando il bottone ed aprendo la zip, e non potrei essere più lento di come sono. Sto impazzendo di desiderio ma adoro guardarlo quando è così perso, adoro guardarlo quando noi siamo l’unica cosa che riesce a realizzare e adoro guardarlo quando fissa il mio corpo con quest’aria innamorata e confusa, come non sapesse dove vuole mettere le mani prima e solo per questo motivo sta fermo immobile senza toccare niente.
- Anis… - mi chiama, e quando mi chiama io non resisto più. È sempre stato così, fin dalla prima volta, e se vado ancora più indietro con la memoria, alle notti in cui ancora non stavamo insieme, ad esempio, e mi chiedeva di restare, ricordo che è sempre grazie a quello che ha avuto la meglio su di me. Gli bastava chiamarmi per nome ed io ero finito, non potevo più dirgli no. È incredibile, se ci penso. Mi sento anche un po’ un cretino, volendo. Gli è bastato chiamarmi per nome, davvero, tutta la nostra storia è questo, lui mi ha chiamato per nome e mi ha sconfitto così. Penso che quando basta così poco è amore. È amore e basta.
Resto semivestito solo perché ho voglia di spogliare lui. Resto semivestito anche perché ho altri progetti per la serata, in realtà, e se mi spogliassi – se la mia pelle toccasse la sua, se non ci fosse più niente fra di noi – di sicuro perderei il controllo e finirei con il non riuscire a realizzarne neanche uno. Ed invece è giusto che la mia principessa si goda il suo regalo. Prima che, Dio, io mi goda lei, finalmente.
- Ora aspetta un secondo, principessa… - gli sussurro all’orecchio, dopo essermi liberato del suo pigiama, - ti va di giocare?
Bill mi fissa con aria supplichevole, poggiando le mani sulle mie spalle ed attirandomi a sé.
- No… - mugugna scontento, - Non mi va di giocare, mi vai tu…
Io rido, sfiorandogli lentamente il collo in una scia di baci umidi.
- Anche a me vai tu, ma prima voglio vederti giocare un po’. Avanti, non vuoi provarlo, il tuo regalo?
- Noo-oh… - mugola, spingendo in alto il bacino alla ricerca del mio, - Per favore, Anis…
- A-ha. – scuoto il capo, mettendomi dritto e poi sistemandomi seduto fra i cuscini, poggiandomi di schiena alla testiera del letto e sporgendomi verso il comodino per aprirne il cassetto e tirare fuori un preservativo e un tubetto di lubrificante semivuoto. – Tu fai contento me, io faccio contento te, principessa. Le conosci le regole.
Bill, ancora disteso sul materasso, mi guarda al contrario per qualche secondo – i capelli dispersi ovunque sulle lenzuola bianchissime – e poi sospira pesantemente e si mette seduto, andando a tentoni fra le coperte per recuperare il giocattolo e poi gattonando con aria impacciata e infantile fino a me.
- D’accordo… - pigola arreso, - però posso starti addosso? Almeno sentirti… - e struscia un po’ il viso contro il mio petto.
Annuisco sorridendo e lui lascia andare un sospirone felice che mi fa ridere, perché non c’è mai davvero stata la possibilità che potessi rifiutargli una concessione simile. Dopodiché lo aiuto a sistemarsi seduto sul mio grembo. Il che vuol dire che impazzirò per tutto il tempo in cui vorrò guardarlo.
Dannazione.
Bill si volta a lanciarmi un’occhiatina furba e io gli mordo una spalla per protesta.
- Come sei scorretto… - lo rimprovero. Lui ride, gettando indietro il capo e strusciandosi contro di me.
- Tu fai contento me, io faccio contento te, mio signore. – dice, per tutta risposta. – Le conosci le regole.
- Ti sei fatto troppo furbo, sai? – rido, baciandolo lentamente. Lui risponde mugolando, mi ruba dalle mani il tubetto di lubrificante e poi si scosta un po’, restando a cavalcioni ma puntellandosi sul materasso con le ginocchia, in modo da restare sollevato.
- E ora sta’ a guardare e pentiti. – sussurra a bassa voce, spargendo un po’ di lubrificante su due dita e scendendo ad accarezzarsi da solo fra le natiche, stuzzicandosi con lentezza assassina e godendo del mio sguardo perso che segue i suoi movimenti come mi stesse ipnotizzando. Si mordicchia distrattamente un labbro, gli occhi chiusi, i capelli cadono liberi e selvaggi sulle spalle, lungo la schiena, solleticandomi il petto, e mentre lui si muove per accogliersi più disinvoltamente io lascio scivolare una mano dentro i pantaloni e cerco di darmi un po’ di sollievo. Bill mi lancia un’occhiataccia glaciale – come mi abbia visto è un mistero – ed io smetto subito. – Tu no. – borbotta, - Tu guardi.
Tiro fuori la mano, sorridendo divertito.
- Agli ordini, principessa.
Bill lascia andare una risata leggera ed allunga una mano.
- Me lo passi…? – chiede, stendendo bene le dita per accogliere il giocattolino. Io comincio a pensare concretamente all’eventualità di mettergli in mano ben altro che il dildo, ma lascio comunque scivolare le dita fra le lenzuola e recupero l’affare dal punto in cui Bill l’ha lasciato cadere mentre mi si sistemava addosso, passandoglielo un po’ di controvoglia. – Grazie. – sorride, recuperandolo dalle mie mani. Lo stringe un po’, guardandolo da un lato e dall’altro come a volerne memorizzare per bene la struttura, per poi poterlo utilizzare al meglio – ha guardato così anche me, qualche volta, agli inizi – e mentre io sono qui che immagino le sue manine sottili ricoperte di lubrificante che accarezzano il dildo in tutte le direzioni, ecco che lui mi stupisce. Ravvia una ciocca di capelli dietro l’orecchio, di modo che possa guardarlo bene in viso, e chiude gli occhi, mentre lascia scivolare il giocattolo fra le labbra e comincia a succhiarlo come fosse un gelato molto gustoso. Facendo pure un sacco di rumorini compiaciuti, peraltro.
- Sei… - ringhio, allungando una mano ad accarezzargli possessivamente il collo e la nuca, - Sei una cosa incredibile.
Lui solleva la mano libera e la posa sulla mia, è così pallida che il contrasto con la mia pelle e coi suoi capelli la rende quasi abbagliante. Combatto contro una forza di gravità tutta particolare – quella che spinge il mio corpo verso il suo – per non cedere all’impulso di tirarmelo contro, sfilargli quella roba dalle labbra e mettere al suo posto qualcosa di decisamente più interessante, qualcosa su cui lascerebbe scorrere la lingua allo stesso modo che ora mi fa vedere con aria sfacciata, qualcosa che sparirebbe fra le sue labbra a profondità ancora maggiori, perché Bill quando mi prende non mi prende solo in bocca, mi tira giù fino in gola, si fa sentire ovunque, ed è odioso che invece a godersi questo trattamento privilegiato sia un dannato pezzo di plastica che nemmeno se ne accorge. Deficiente io, come ho potuto pensare che potesse essere un regalo appropriato?
- Bill… - lo chiamo confusamente, tirandolo un po’. Lui sbuffa una mezza risatina e scuote il capo.
- No-oh. – mi rimprovera, sfilando il dildo dalla bocca, - Volevi guardare, no? – “no”, risponde una voce dentro di me, ma va be’, - Guarda.
Mi guarda, mentre accoglie disinvoltamente il dildo dentro di sé. So che vorrebbe sorridere, lo vedo da come gli brillano gli occhi; so anche, però, che la mia principessa è tanto brava a fingersi adulta quanto poi non è capace di mantenersi tale quando ciò che si aspettava in un modo va in un altro. Ed ecco che piange se non mi presento alla sua festa di compleanno. Ed ecco che adesso, con un cazzo di gomma da trenta centimetri a farsi strada dentro il suo corpo, il bambino proprio non ce la fa a fare il furbo e sorridere come volesse sfidarmi. Resta lì, gli occhi pesanti e il respiro ridotto a singhiozzi. Mi guarda e si muove piano, lentamente, in gesti lunghi e un po’ irregolari, confusi. Sorrido, perché fa tenerezza. Ci sono dei momenti in cui ricordo d’un tratto quanto Bill sia piccolo, e finisco sempre per sentirmi in colpa.
Me lo tiro contro. La sua schiena aderisce al mio petto e lui mugola scontento quando il movimento causa un effetto troppo brusco sul modo in cui regge il dildo, che gli sfugge di mano e rotola sul materasso, lontano da noi. Si allunga a recuperarlo - le dita che scivolano fra le lenzuola alla cieca, confuse ma bene aperte - ed io lo fermo, trattenendolo per un polso e conducendolo verso di me. Mi stringe subito, la principessa, appena mi tocca. Come fossi una cosa sua e ci tenesse a ribadirlo. Sa che può farlo, perché sa che è vero.
- Non ti serve. - gli sussurro all’orecchio, baciandolo lievemente sulla linea della mascella.
- Ma me l’hai regalato tu… - borbotta, e lo fa solo per prendersi gioco di me, visto che sento nei tremiti dai quali è scosso che brucia del mio stesso desiderio.
- E adesso non ti serve. - ripeto, la voce bassa che vibra direttamente sulla sua pelle, mentre lo sollevo appena e mi faccio strada dentro di lui, seguendo la via già aperta dal dildo e sentendolo adattarsi lentamente alla mia forma con un mugolio soddisfatto.
- Anis… - mi chiama in un sospiro pesante, sollevando entrambe le braccia ad allacciarmi al collo mentre io lo stringo fermamente per la vita e, con una mano, accarezzo la sua erezione, seguendo il ritmo dei miei movimenti. I miei ansiti si perdono nei suoi, la sua voce nella mia, non so più, a un certo punto, se è lui che continua a ripetere il mio nome o sono io che continuo a ripetere il suo. Seguo la traccia fisica dei suoi suoni sul suo corpo. Il petto che si gonfia aritmicamente, le labbra umide che si arrossano sotto la scia di morsi coi quali le tortura, i muscoli del collo e delle spalle che si flettono e si tendono mentre lui si muove per assecondare i miei gesti. È la nostra musica. La sentiamo solo noi.
Getta indietro il capo quando gli mordo una spalla. Si appoggia contro di me e si muove più velocemente; quando la principessa smania è perché c’è vicina, ed io sorrido fra me e me stringendolo con maggiore decisione ed affondando dentro di lui con maggiore forza, perché odio farlo aspettare. Odio deluderlo, in realtà. Succede già abbastanza spesso fuori dalle lenzuola, perché io possa permettere di ripetere l’errore anche quando siamo a letto. Questi momenti sono perfetti. Devono esserlo. Ci sono coppie per le quali il sesso non è che l’appendice in aggiunta di tutto il resto. Io e Bill ci esprimiamo col corpo. La voce è per cantare, non per le dichiarazioni d’amore. Io e Bill ci dichiariamo facendolo.
Quando mi piego un po’ in avanti, alla ricerca delle sue labbra, noto che, per quanto tenga gli occhi chiusi e tutto il suo corpo sia rilassato contro il mio, si sta trattenendo. Perché dalla sua gola vengono fuori solo singhiozzi strozzati. Il che è uno spreco addirittura offensivo, perché la voce della mia principessa è stupenda, quando geme ed ansima. È stupenda quando chiama il mio nome. È stupenda quando urla.
- Piccolo… - gli sussurro, mordendogli il collo, - non ti stai facendo sentire…
- Anis… - borbotta lui, aggrottando appena le sopracciglia, - perché devi sempre… c’è Tomi di là…
- Non è qua. - concludo, baciandolo sotto l’orecchio, - Avanti. Fammi sentire quanto mi senti.
Lo stringo ancora e lui mi accontenta. Mi chiama a bassa voce. Mi chiama di nuovo, il tono che si alza al ritmo delle mie spinte. E quando viene, lo fa urlando. Urlando e stringendosi attorno a me in quel modo che mi fa impazzire, che mi fa sentire a posto e senza fiato. In quel modo che mi fa ringhiare direttamente sulla sua pelle, il modo che mi costringe a morderlo e leccarlo e succhiarlo fino a lasciargli i segni. Perché li veda e sappia che gli sono addosso anche quando non lo sto toccando.
Restiamo fermi il tempo necessario per riprendere fiato e tornare lucidi. È incredibile quanto sia facile spegnere il cervello quando sono in compagnia di Bill. In realtà ogni tanto penso che i momenti che passiamo insieme e nei quali non ci stiamo toccando - non necessariamente in senso sessuale: il più delle volte basta anche solo una carezza - non siano altro che diversivi in attesa del momento in cui ci toccheremo. E poi, in quel momento lì - quello in cui finalmente ci tocchiamo - è tutto perfetto. Mettiamo il punto alla frase e diamo un senso alla giornata.
Non so da quando il nostro rapporto sia diventato così di dipendenza. Probabilmente dal primo momento in cui l’ho sfiorato ed ho sentito che mi piaceva la consistenza della sua pelle sotto i polpastrelli, almeno quanto a lui piaceva la pressione delle mie mani sul suo corpo.
- Non sono più tanto arrabbiato con te… - confessa, stirandosi sonnacchioso sul materasso prima di appallottolarsi nuovamente contro il mio petto, - Ti ho perdonato. - annuisce poi, con aria seria, - Il regalo, comunque, me lo tengo.
- Assolutamente no. - borbotto io, giocando distrattamente coi suoi capelli mentre lui disegna cerchi inesistenti sul mio petto, - Lo buttiamo dalla finestra appena riprendo a muovere le gambe.
- A parte che dovrei essere io quello con difficoltà di movimento… - si lamenta, pizzicandomi appena un fianco, - Ormai mi sono affezionato! Potrei davvero dargli un nome e sarebbe un’ottima compagnia per le fredde notti in cui tu non ci sei…
Lascio scorrere la mano lungo il suo collo, fino alla spalla, e lì mi fermo, stringendo forte.
- Magari potremmo evitarle, queste fredde notti in cui non ci sono.
Lui solleva appena il viso. I suoi occhi ambrati si fanno enormi - sono ancora liquidi e un po’ annebbiati, ma brillano di una luce incredibilmente intensa, tutta sua - e lo osservo schiudere le labbra e cercare le parole per una sequela di infiniti, terribili minuti.
- Cosa-
- Non dobbiamo per forza pensarci adesso. - sorrido conciliante, - E’ solo un’idea. Almeno non dovresti dare un nome al dildo. - sdrammatizzo, baciandogli la fronte.
Bill mugola un assenso confuso, ma è imbarazzato e il rossore sulle sue guance si diffonde con tonalità così carine che mi viene voglia di prenderlo a morsi o a pizzicotti, neanche avesse due anni. Lo stringo a me, coccolandolo un po’. Non sono mai stato così tenero con nessuno, nella mia intera esistenza. Mai.
- Quando devi andare…? - mi chiede in un miagolio scontento, stringendomi le braccia attorno alla vita e strusciando il naso contro il mio petto.
- Presto, piccolo. - sospiro, - Mi aspettano agli studi. Sono scappato di nascosto da Saad.
Lui ride, cristallino e divertito, e scuote il capo.
- Ti farai buttare fuori dalla tua stessa etichetta.
- Per riuscirci dovranno farmi fuori, principessa. - gli faccio notare ridendo a mia volta, - E comunque guarda che io sono immortale.
- Sì, certo! - mi rimbrotta, omaggiandomi anche di un piccolo pugno sul petto. - Rivestiti, dai. Ti accompagno alla porta.
- Nudo?
Finisco a rivestirmi sul pavimento, dopo che mi ci ha spinto. Adoro - Dio, adoro - prenderlo in giro.
*
Appena usciamo nel corridoio, realizzo all’improvviso che la nostra musica, quella mia e di Bill, non l’abbiamo sentita solo noi. La prima cosa che vediamo è Tom. Tom, per la precisione, sta tutto raggomitolato sul divano come se per terra fosse stato pieno di scorpioni fino ad un minuto prima che noi venissimo fuori dalla stanza di Bill. Tiene stretta fra le braccia la copertina del CD che gli ho regalato e, mentre la voce di Fler si diffonde per la stanza riempiendomi di una certa nostalgia che non riesco ad ignorare come vorrei, ci fossa con gli occhioni spalancati, come avesse paura di noi. Guarda suo fratello e sembra vederlo per la prima volta. Guarda me e fa come se nemmeno mi vedesse.
Palesemente non era pronto a sentirci scopare. Posso comprenderlo, neanche la mia crew era pronta, quando è successo a loro.
Bill sospira pesantemente e mi scorta fino all’ingresso senza lasciarmi andare neanche per un secondo. Mi bacia sulla soglia e mi dice che mi chiamerà più tardi.
- Per la buonanotte? - chiedo io, con un sorrisetto stronzo.
Lui sorride nello stesso modo.
- Per la buonanotte. - annuisce compiaciuto.
Faccio per ridere e baciarlo, prima di andare via, ma mi fermo, perché Tom si mette in ginocchio sul divano e solleva un dito come a chiedere il permesso di parlare. Io e Bill ci voltiamo a guardarlo, siamo ancora così vicini che posso sentirmi il suo profumo addosso. Non è mai facile dare retta a qualcun altro che non sia lui, a queste condizioni, ma Tom è tutto sommato speciale. Quando Tom parla, lo si ascolta. Se non altro perché ascoltare Tom è una delle attività preferite di Bill, nonostante tutto.
- Io credo… - comincia il principino, un po’ incerto, - …che a te serva un appartamento nuovo, Bill. - annuisce compunto, - Un posto dove startene per i fatti tuoi, ecco. - si interrompe un secondo, ci guarda e poi annuisce ancora. - Già, già. - conferma, immergendosi nello sfoglio del libretto accluso al CD.
La risata, stavolta non la trattengo. Ride anche Bill. Nella sua risata c’è una nota incerta che non fatico a ricondurre alla mia proposta di qualche minuto fa, ma suppongo sia giusto che esiti al riguardo. È ancora piccino, in fondo. Ha appena fatto diciott‘anni.
Lo saluto con un bacio, lui mi si appende al collo come una scimmietta per qualche secondo e poi mi lascia andare con un mugolio piagnucoloso. Uscendo dall’appartamento ed entrando in ascensore, tiro le somme della giornata odierna e stabilisco che, in fin dei conti, il bilancio non è affatto negativo. Suppongo che, anche stasera, Saad sbraiterà a vuoto.
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