Genere: Commedia, Romantico, Introspettivo.
Pairing: Bill/David, Tom/David, Bill/Georg, Bill/Bushido.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Slash, Underage.
- Bill ha fatto a pugni con un paio di bulli a scuola e Tom è rimasto fuori fino a tardi con Andreas: e seguito di tutto ciò, i gemelli finiscono in punizione e si ritrovano a dover passare una notte in casa da soli quando Simone e Gordon vengono invitati a cena fuori. Quando litigano, però, tutto precipita. E precipita anche Bill: in una realtà completamente diversa dalla propria, governata da un misterioso sovrano che manipola i luoghi e i tempi e che, soprattutto, tiene prigioniero suo fratello. Riuscirà Bill a salvarlo, o rimarrà imprigionato nel labirinto senza riuscire a trovarne l'uscita prima delle tredici ore al termine delle quali Tom verrà trasformato in un goblin?
Note: Punto primo: mi scuso enormemente perché, se non avete visto Labyrinth, questa storia probabilmente vi sembrerà una menata pure noiosa con un qualche significato nascosto (c’è è_é lo giuro! è_é) ma assolutamente dimenticabilissima. Lo è *annuisce* Ma io la amo perché, se invece avete visto Labyrinth, ci troverete dentro tante di quelle citazioni che vi verrà da ridere continuamente. Questa non è veramente una fanfiction, è un ridicolo tributo! XD
Ciò detto, il Tost ed il Biorg sono molto forti in questa storia o_ò Per quanto riguarda il Tost, sapevo che ci sarei caduta. Il Biorg invece mi ha preso in contropiede ma l’ho amato parecchio o_ò Il Bu si limita ad essere ridicolo, però insomma, almeno becca i baci =P
E sì, l’omino baffuto è Eko Fresh. Sono spiacente, ma lui era perfetto, punto XD
Poi, be’, insomma, non ho molto altro da dire. Scritta per il terzo contest della Jost Fiction, alla fine avrebbe voluto essere molto più erotica però non ce l’ho fatta XD Era decisamente decisamente underage ed un po’, lo ammetto, mi fa senso, a questi livelli. Quattordici anni sono davvero troppo troppo pochini per farsi mettere le mani addosso da un re dei goblin trentenne ;_;” Chiedo perdono a Tomi che si struscia, povero cuore. Comunque la scena era puccina! XD Mi sa che sono andata un po’ fuori tema, ma Yulin e Tabata mi perdoneranno. Al limite, mi creano un premio apposta. So che lo vogliono anche loro. Questa storia è FOLLE XD
Comunque tendenzialmente sarebbe una Bost. <- wtf. *muore*
Ora basta, sono le cinque del mattino e scrivo ininterrottamente da quasi sei ore. Credo che andrò a morire nel mio letto, per ciò che resta di questa notte assurda. Grazie della lettura e spero non vi siate annoiati troppo <3
PS. Quando ho scoperto che labirinto, in tedesco, si dice allo stesso modo che in inglese, volevo morire. Perché ho già una Labyrinth, fra le mie storie.
Fortunatamente, il tedesco ha degli articoli che con gli articoli inglesi non c’entrano un beneamato. Grazie WordReference -.-“
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DAS LABYRINTH
“Will I hold you again?” (The Space Between – Dave Matthews Band)

Simone, bellissima nel proprio vestito in raso nero, aderente e lungo e liscio e splendido – e Bill avrebbe tanto voluto rubarglielo, tagliuzzarlo qua e là e farne una maglietta niente male da indossare sopra la maglia a rete – rimase ferma sulla porta un paio di minuti abbondanti, squadrando entrambi i propri figli con un cipiglio serio e severo.
- E non si esce. – precisò, - Siete in punizione.
Bill mugolò.
- È Tom che è tornato tardi ieri notte, non io… - disse affranto, arrotolandosi in un angolo del divano mentre suo fratello si inorgogliva ripensando alla precedente nottata, passata con Andreas a fingersi diciottenne per rimorchiare a Magdeburgo.
- Tu devi ancora finire di scontare la tua pena per la rissa, Bill. – gli ricordo Gordon, avvolto in un completo da sera che lo faceva sembrare solo più ridicolo del solito, e già in genere lo era parecchio.
- Ma non è stata colpa mia! – ricordò il ragazzino, agitandosi fra i cuscini, - Sono stati quegli stronzi a-
- Un’altra parola, Bill, - minacciò sua madre con un sorriso bellissimo, fiero e mortale, - e ti aggiungo un’altra settimana alla punizione. D’accordo?
Il ragazzo sbuffò ed afferrò la copertina abbandonata in mezzo al divano, avvolgendocisi stretto col preciso intento di non lasciarne neanche un centimetro al fratello.
- Fate i bravi. – commentò un’ultima volta Simone, già in procinto di uscire. – Torneremo prima di mezzanotte. – e così dicendo abbandonò la casa, seguita a ruota dal proprio compagno.
Bill lanciò un’occhiataccia a Tom, per proprio conto ancora perso nei ricordi della sera precedente e ghignante e felice come se tutto fosse perfettamente perfetto attorno a lui.
- Io ti odio. – sibilò maligno, riportando l’attenzione del fratello su di sé. Lui lo guardò stralunato, come lo stesse vedendo in quel momento per la prima volta.
- Billi…? – fece, spalancando gli occhioni castani ed allungando una mano incerta verso di lui.
- Niente Billi! – strillò il ragazzo, richiudendosi a palla nell’angolo, - È tutta colpa tua! Se ieri non avessi deciso di fare il cretino e restar fuori con quell’altro deficiente fino alle dannate tre del mattino, oggi saremmo fuori a divertirci!
- Be’, io sì. – precisò il biondo, sistemando dietro un orecchio una ciocca di quei suoi disordinati capelli dalla forma improponibile, - Tu no, Bill, perché come ti ha detto mamma prima sei ancora in punizione.
- Non capisco perché solo io sono stato messo in punizione per la rissa! – si lamentò ancora il moro, incrociando le braccia sul petto, - Sei stato coinvolto anche tu!
- Be’, sei stato tu a cominciare… - rifletté Tom, inarcando le sopracciglia, - Io sono solo venuto a ripescarti prima che ti spaccassero qualche osso. – annuì con convinzione.
- Non mi avrebbero spaccato nessun osso. – ringhiò Bill, furioso, - Li stavo riducendo tutti in poltiglia. E comunque il punto non è questo, il punto è che sei uno stronzo e ti odio!
Tom sospirò e sollevò gli occhi al soffitto, come in cerca di un qualche aiuto da parte delle divinità dei piani alti – visto che quelle dei piani bassi avevano già interferito notevolmente sulla sua vita dotandolo di un gemello cattivo.
- Bill, fai il bravo. – suggerì pazientemente, - Niente rotture di palle, ho Lancillotto in ostaggio.
Il ragazzo spalancò gli occhi, oltraggiato.
- Tu hai… - annaspò, stringendo le dita come tenaglie attorto alla coperta, - hai preso Lancillotto!!! Sei senza cuore!!! Ridammelo!!!
- È in un luogo sicuro. – lo prese in giro il biondo con un mezzo ghigno, - Ma lo riavrai solo se riuscirai a passare questa serata con me senza farmi impazzire, fratellino.
Bill mugolò scontento e si raggomitolò ancor di più nel proprio angolo, frugando fra i cuscini alla ricerca di qualcosa. Tom lo osservò incuriosito, inclinando lievemente il capo.
- Cosa stai combinando? – chiese dubbioso, sporgendosi verso di lui.
- Cerco Labyrinth. – borbottò in risposta Bill, riuscendo finalmente a mettere le manine artigliate sulla sua personalissima bibbia foderata di rosso ed aprendola ad una pagina a caso sulle ginocchia. Quale pagina fosse non era importante: aveva letto e riletto quel libro tante di quelle volte che ormai lo conosceva a memoria, perciò era perfettamente in grado di riprendere il filo del discorso qualsiasi fosse la pagina su cui posava lo sguardo.
Tom sbuffò e roteò gli occhi.
- Non potresti, per una volta nella tua vita, mettere via quel coso e stare un po’ con me, visto che ultimamente ci vediamo pochissimo? – si lamentò pigolante.
- Questo perché tu e l’altro deficiente siete sempre in giro a rimorchiare. – borbottò Bill senza staccare gli occhi dal libro.
- Be’, tu potresti venire con noi. – ritorse Tom in un borbottio irritato.
- Tomi, non ha senso dire che vorresti uscire con me per andare a rimorchiare, dato che è implicito che quando si rimorchia si sta con altri… - gli ricordò il moro soprappensiero, già perso fra le righe.
Tom ringhiò e si alzò in piedi di scatto, muovendosi con rabbia lontano dal divano.
- E va bene, fai un po’ quel cazzo che vuoi. – lo rimproverò, - Io vado di sopra a chiamare Andi, sperando che anche lui sia stato messo in punizione. – biascicò lamentoso, dirigendosi verso le scale, - E torturerò Lancillotto per ripicca, sappilo!
Bill sospirò ed annuì. Suo fratello sapeva bene che qualsiasi ferita inflitta al corpo di Lancillotto si sarebbe poi miracolosamente trasformata in una ferita molto più grave al suo, di corpo, e dal momento che Bill era ragionevolmente convinto che suo fratello non ci tenesse poi così tanto a ritrovarsi la punta di un anfibio su per il culo, era piuttosto tranquillo riguardo la sorte del suo orsacchiotto favorito.
Continuò semplicemente a leggere, avvolgendosi nella coperta e lasciandosi trascinare dalla fiaba.
Da sopra, arrivava in un’eco indistinta la voce di Tom che, furioso, strillava nella cornetta quanto fosse orribile avere un fratello gemello, quanto ancora più orribile fosse avere Bill come fratello gemello e quanto invece sarebbe stato meraviglioso che lui e Andreas fossero stati fratelli, magari non gemelli, ma comunque imparentati; sarebbero stati sicuramente molto più complici e si sarebbero divertiti molto di più e bla bla bla… Bill si chinò in avanti, recuperando una scarpa da terra e lanciandola con forza in aria, fino a colpire il basso soffitto sopra di sé, provocando un inquietante rumore contro l’intonaco.
- Vuoi stare un po’ zitto?! – borbottò offeso, - Non riesco a concentrarmi!
La risposta di suo fratello alle sue lamentele fu, ovviamente, continuare a parlare più forte.
Bill serrò la mascella e socchiuse le palpebre, scontento. Tom era arrabbiato ed a lui dava fastidio, quando lo era. Primo, perché la sua rabbia se la sentiva nello stomaco – una delle tante controindicazioni della gemellarità, supponeva. Secondo, perché Tom si arrabbiava davvero solo per cose che riguardavano lui, probabilmente perché, in un certo senso, riteneva che solo lui fosse un argomento tanto serio da meritare rabbia. In tutti gli altri ambiti della vita, Tom era sempre o quasi sempre allegro e spensierato, ma quando si parlava di Bill se la prendeva ogni volta come lo stessero ricoprendo di offese mortali.
Bill odiava essere oggetto d’odio. Perché sentiva il bisogno fisico di odiare a propria volta, quando succedeva.
E lui non voleva affatto odiare Tom.
- Re dei Goblin, Re dei Goblin… - sussurrò quasi a prendersi in giro da solo, perfino sorridendo un po’, - ovunque ti trovi adesso, porta via questo ragazzo, lontanissimo da me… -
“È insopportabile, Andi…”, sbraitò Tom dal piano di sopra, “Certe volte penso che sarebbe stato meglio se non fosse mai venuto fuori, lo stronzo”.
Bill abbassò lo sguardo, incassando la testa nelle spalle.
Quello aveva… fatto male.
- Desidero proprio che i goblin ti portino via… - esalò in un sussurro estenuato, - All’istante.
Dal piano superiore non venne più alcun suono. Non il chiacchiericcio furioso di suo fratello e nemmeno il suo muoversi circolarmente avanti e indietro per la stanza, strisciando sul pavimento con le suole di gomma delle scarpe da tennis. Immaginò dovesse aver chiuso la conversazione ed essersi messo a letto. Tom poteva restare sveglio per giorni e giorni, quando era felice, ma quando si arrabbiava o si intristiva si spossava subito ed era capace di dormire per sempre. Almeno finché non fosse sbollita la rabbia.
Bill sospirò e richiuse il libro, lasciandoselo scivolare giù lungo le gambe per poi recuperarlo e posarlo sul cuscino accanto a sé. Si avvolse meglio nella coperta – c’era un freddo incredibile, in casa, e fuori pioveva a dirotto. Sperò che sua madre e Gordon avessero portato con loro un ombrello – e cominciò a salire pigramente le scale.
- Tomi… - chiamò già a metà della rampa, - Senti, facciamo pace prima che tu ti addormenti e mi tenga il broncio fino alla fine dei secoli…?
Dalla stanza continuò a non giungere alcun suono. Anche la luce era spenta, non filtrava niente da sotto la porta.
Bill deglutì, riportando alla memoria le frasi pronunciate mentre stava ancora rannicchiato sul divano.
Non era veramente possibile che…
- Tomi… - chiamò ancora, aprendo la porta e fermandosi sulla soglia, - Tomi, stai bene…?
La stanza era vuota. Vuota, buia e silenziosa. Dal balcone aperto, il temporale invadeva la casa, bagnando il letto e i mobili e il pavimento e infrangendo col frastuono dei tuoni il silenzio irreale dell’ambiente. Bill deglutì e si strinse nella coperta, raggiungendo la finestra e richiudendola col gancio, mentre abbandonava la stanza e si muoveva lungo il corridoio, alla ricerca del fratello.
Naturalmente, Tomi non era da nessuna parte.
Il cuore stretto in una morsa e tutti i muscoli contratti, Bill tornò in camera e si guardò intorno.
- Tomi, non mi sto divertendo… - mugugnò, sperando solo che suo fratello si ricordasse di essere un epocale cretino ed avesse voglia di ricordarlo anche a lui, magari strisciando fuori dal letto con un urlo per spaventarlo. O qualcos’altro di altrettanto stupido, purché – dannazione – fosse ancora lì da qualche parte.
Una voce ridacchiò alle sue spalle, e Bill si voltò di scatto per trovarsi di fronte… niente. Il buio della stanza e nient’altro.
- C’è nessuno…? – chiese con aria incerta, avanzando verso il luogo dal quale la voce era arrivata e guardandosi intorno con aria circospetta.
Una voce diversa, più roca, ma dallo stesso timbro stridulo della prima lo raggiunse nuovamente alle spalle. Bill fece per voltarsi ma non ne ebbe il tempo: a metà della torsione si accorse di un’ombra – qualcosa di piccolo e peloso – che scompariva dietro il letto. Ed altre risate. Risatine inascoltabili, spaventose, cominciarono a fioccare da ogni angolo della camera, e mentre Bill si metteva al centro, avvolto dalla coperta come dovesse schermarlo contro i mali del mondo, qualcosa di pesante sbatté più volte contro il vetro della finestra – thud thud thud – accompagnato da un battito d’ali che gli diede i brividi e gli annodò lo stomaco. Bill girò sui tacchi e vide un’enorme civetta bianca battere con forza contro le imposte, pressando le zampe artigliate sul legno come a volerle spalancare. Una volta, due volte, tre volte, e poi la finestra cedette sotto il peso dei colpi, aprendosi. Bill si coprì istintivamente il capo, piegandosi un po’ su se stesso mentre l’enorme uccello attraversava la stanza fermandosi dal lato opposto.
Quando Bill riaprì gli occhi, qualche secondo dopo, il battito d’ali era cessato. Si voltò a guardare verso il punto nel quale avrebbe dovuto trovarsi il volatile, ma la civetta non c’era più. Al suo posto, però, c’era un uomo.
Doveva essere alto più o meno quanto lui, ma sembrava incredibilmente più… vecchio probabilmente non era la parola giusta, perché in realtà sembrava anche incredibilmente giovane. La sua era un’età indecifrabile, ma la sicurezza che si sprigionava dalla sua persona e soprattutto da quegli occhi azzurrissimi che gli teneva puntati contro – con una sfacciataggine che lo turbava – parlava di una saggezza acquisita con anni… secoli di vita.
Era una saggezza strana, comunque.
Era spaventosa. Quegli occhi erano spaventosi.
Bill si avvicinò, muovendosi quasi contro la propria volontà.
- Tu sei… il Re dei Goblin… - disse senza fiato, stringendosi la coperta attorno alle spalle.
L’uomo chinò il capo in segno d’assenso, sorridendo lievemente, quasi fosse solo divertito dalle sue esitazioni.
- M-Mio fratello… - disse Bill, deglutendo appena.
- Ciò che è detto è detto. – rispose l’uomo, rimanendo immobile contro la porta, le braccia incrociate sul petto.
È successo davvero, si disse Bill, mordendosi un labbro, per colpa mia…
- Ti prego… - annaspò, le lacrime agli occhi, - dov’è adesso?
L’uomo sollevò appena il mento squadrato, gli occhi celesti a dardeggiare su di lui ed i corti capelli castani scossi appena dal vento furioso che invadeva la stanza.
- Sai molto bene dov’è. – rivelò severo, senza muoversi di un centimetro.
- Ti scongiuro… - continuò Bill, indifeso e smarrito, - riportamelo.
L’uomo si mosse verso di lui, scuotendo lentamente il capo.
- Bill… - suggerì suadente, a bassa voce, - dimentica tuo fratello.
Il moro spalancò gli occhi.
- Non posso! – strillò, stringendo i pugni, - Non voglio! Ridammi mio fratello!
L’altro non mostrò di essere particolarmente colpito dalla sua disperazione, e si limitò a sollevare una mano.
- Io ti ho portato un regalo… - disse semplicemente, mentre una sfera di luce si concentrava sulle punte delle sue dita fino a concretizzarsi in un globo trasparente. – È un cristallo magico. – rispose con un sorriso furbo alla domanda che Bill non ebbe fiato e coraggio di porre, - Se guardi al suo interno, puoi vedere i tuoi sogni. – si avvicinò ancora, sussurrando, - Quelli più profondi, quelli che non hai nemmeno capito di stare sognando. Però – continuò, separandosi sbrigativamente da lui, - non è certo un regalo da dare ad un ragazzino che si preoccupi di cose futili come un fratello lagnoso.
Bill rimase immobile e silenzioso, in attesa del resto.
- Se lo vuoi, dimentica tuo fratello. – disse infatti l’uomo, sorridendo conciliante.
Il ragazzo si morse nuovamente un labbro, incerto.
- Non posso. – disse poi, - Ti prego, per favore, dimmi-
- Bill. – tuonò l’uomo, mentre la sfera di cristallo si trasformava in un serpente – un serpente, Dio! – fra le sue dita. – Non sfidarmi. – concluse, prima di lanciargli il serpente addosso.
Bill urlò, raggomitolandosi su se stesso mentre percepiva distintamente le spire del rettile avvolgersi attorno al suo collo, ma la sua paura si affievolì e scomparve – ed in breve ne rimase solo il battito un po’ accelerato del suo cuore – quando si accorse che il serpente s’era trasformato in uno scialle colorato ed era poi caduto a terra. Fra le risatine dei goblin alle sue spalle, per le quali neanche si voltò – aveva già capito che non ne avrebbe comunque visto nemmeno uno.
Si rimise dritto e deglutì, stringendo i pugni e cercando di farsi forza.
- Dimmi dov’è. – insistette, - Dimmi dov’è mio fratello.
L’uomo sospirò annoiato e stese un braccio verso la finestra, indicando all’esterno.
- È lì. Nel mio castello. – concesse disinteressato.
Bill seguì il dito puntato e guardò fuori. Il mondo non era più quello che ricordava. Dove avrebbero dovuto esserci la notte e un temporale e le vie scure di Loitsche c’era invece un enorme e intricatissimo labirinto di piante e mura, ed oltre un grande castello che s’intravedeva appena nell’aria rossiccia che avvolgeva tutto e che sembrava infuocata.
Bill lasciò ricadere la coperta – non c’era più nemmeno freddo – e si mosse. Quando si voltò indietro, casa sua era scomparsa. C’era solo un terreno arido e vuoto, qualche sterpaglia, e quell’uomo, che lo fissava sarcastico.
- Torna indietro, Bill. – suggerì con un sorriso strafottente, - Torna indietro finché sei in tempo.
Bill aggrottò le sopracciglia.
- No! – protestò deciso, - Non posso e non voglio, lo capisci questo?! Lui è mio fratello! – sbottò, tornando a guardare il labirinto ed il castello.
- Be’… - sussurrò l’uomo, - puoi sempre provare a riprendertelo. È un peccato – aggiunse con una risatina, - che tu abbia così poco tempo.
- …poco tempo…? – chiese Bill, confuso e teso.
L’uomo rise, gli occhi sottili e freddi, sempre disturbanti.
- Solo tredici ore. Poi, il tuo lagnoso fratello diventerà uno di noi.
- A-Aspetta… - cercò di fermarlo Bill, ma l’uomo lo zittì ancora con un risoluto cenno del capo.
- Solo tredici ore. – ripeté, - Fai del tuo meglio, Bill. – e scomparve.
*
Faceva caldo. Era incredibile pensare di avere appena lasciato l’inverno in Germania ed essersi ritrovati all’improvviso immersi in un’estate così torrida ed in un posto che non sembrava nemmeno esistere davvero.
Girando attorno all’enorme parete che sembrava circondare l’intero labirinto, Bill si chiese se sarebbe mai riuscito a tornare a casa. O a trovare davvero Tomi.
Si morse una guancia.
Il solo pensare che la sua sparizione fosse davvero una sua colpa gli stringeva il cuore così tanto da fargli male. Non voleva davvero che sparisse. Non voleva affatto che sparisse. E non riusciva a trovare la stupida entrata dello stupido dannatissimo labirinto.
Stava quasi per arricciarsi in un angolino e mettersi semplicemente a piangere – non era un piagnone, non lo era affatto, dava a tutti i bulli del filo da torcere, a scuola, ma lì era diverso, non era scuola, non c’era Tomi, era lontano da casa ed era tutta colpa sua – quando un rumore scrosciante lo colpì. Dove c’era movimento doveva per forza esserci qualcosa a produrlo.
Pregò intensamente che non fosse solo una stupida cascatella a caso e si avvicinò alla fonte del rumore.
Quando vide da cosa era provocato, fu seriamente incerto sulla possibilità di mettersi a ridere o essere felice e basta perché aveva trovato qualcuno.
Un ragazzo dai capelli lunghi fino alla base del collo, forse solo un po’ più corti di quelli di Tomi, e gonfi – doveva avere più o meno la sua età – stava fermo a gambe larghe davanti ad una piccola pozza d’acqua e, semplicemente, faceva pipì.
- Scusa… - disse Bill, titubante, cercando di trattenere le risate.
- Oh? – disse il ragazzo, voltandosi a guardarlo, - Ah, sei tu. – borbottò poi, esaurendo il proprio bisogno e richiudendo i pantaloni, prima di saltare giù dal muretto sul quale era issato e recuperare da terra una specie di diffusore a spruzzo come quelli che la mamma metteva in bagno e cambiava ogni due settimane.
Bill non si fermò a riflettere sul fatto che quell’individuo non fosse stupito di vederlo: aveva altre priorità, al momento. Quando il tizio prese a camminare, il moro si limitò ad andargli dietro.
- Io mi chiamo Bill. - disse incoraggiante.
- Sì, lo so. – rispose lui, con aria annoiata, - Io mi chiamo Georg.
Proprio in quel momento, da una fenditura nel muro venne fuori un minuscolo esserino alato, in tutto e per tutto simile ad un insetto, ma ridacchiante e dalla forma vagamente antropomorfa.
- Queste sono…
- Fate. – concluse per lui il ragazzo, - Quarantasette! – esclamò poi, spruzzando qualcosa sulla fatina ed osservandola cadere a terra, stordita.
- …me le aspettavo più carine. – commentò Bill, scrutando la creatura per terra, - Sembrano mosconi. – continuò con una smorfia.
- Che ti aspettavi? – disse il tipo, acido, - Sono solo fate.
Bill annuì vagamente e poi tornò a concentrarsi sul proprio obiettivo.
- Senti, - disse ansioso, - io devo assolutamente trovare mio fratello. Tu puoi aiutarmi?
- Forse sì, forse no… - rispose quello, sibillino. – Quarantotto! – e mandò al tappeto un’altra fatina. – Cos’è che ti serve?
- Io… - borbottò Bill, confuso, - …dov’è l’entrata?
- Ah, chissà. Sei proprio sicuro di volere andare là dentro? Quarantanove! – e giù un’altra fata.
Bill aggrottò le sopracciglia ed incrociò le braccia sul petto.
- Ma vuoi starmi a sentire?! – protestò infastidito, - Allora, puoi aiutarmi o no?!
Il ragazzo si decise finalmente a fermarsi a squadrarlo con aria disapprovante.
- Tu non mi fai le domande giuste. – rivelò seriamente, piantando le mani sui fianchi.
Bill abbassò lo sguardo e sospirò.
- …come faccio ad entrare? – chiese alla fine, già esausto, passandosi una mano sugli occhi.
Georg sorrise subito.
- Ecco, questa è un domanda a cui posso rispondere! – disse gioviale. – Puoi entrare da lì. – rivelò. E nel momento stesso in cui pronunciò quelle parole, nell’enorme muro di cinta che circondava il labirinto si aprì un pesantissimo cancello.
- …ma… - biascicò Bill, fissando il tutto con aria sconvolta, - Quando ti ho chiesto dov’era l’entrata, tu-
- Devi imparare a chiedere le cose giuste, Bill. – commentò semplicemente il ragazzo, annuendo. – Per esempio… - continuò, accompagnandolo all’interno, - adesso dove pensi di andare? A destra o a sinistra?
Bill guardò entrambe le vie, sporgendosi un po’ per cercare di scrutare il più lontano possibile. Fu inutile: le due strade erano completamente identiche.
- Una vale l’altra. – rispose con una scrollatina di spalle.
Georg inorridì, disgustato.
- È questo il problema con i tipi come te, non date il giusto valore alle cose! Ecco perché tuo fratello è prigioniero!
Bill abbassò lo sguardo, colpevole. Il ragazzo aveva perfettamente ragione.
- Sai cosa ti dico? – continuò Georg, sempre più infuriato, - Non ci riuscirai mai, ad uscire da questo labirinto. Se anche dovessi arrivare al centro, non riusciresti mai a venirne fuori!
- Be’, questo è ancora da vedere! – rispose Bill, sollevando il capo ed aggrottando le sopracciglia, offeso.
Il ragazzo scosse una mano come a scacciare le mosche, deluso.
- Datti da fare, ragazzino, o non ce la farai davvero. – borbottò, prima di lasciarlo lì e tornare a varcare il cancello, richiudendoselo alle spalle senza neanche toccarlo.
Bill sospirò e cercò di farsi forza. C’era poco da fare. A parte cominciare a camminare.
*
Tutto quello che Tom riusciva a fare era stringersi nelle spalle. Era veramente l’unico movimento gli fosse consentito, visto che la corda d’oro che lo stringeva attorno alle braccia non gli permetteva neanche di allontanarle dai fianchi.
Seduto sopra un’enorme poltrona in velluto rosso, reso muto da una fascia stretta con forza attorno alla bocca, il biondo si dibatté un po’ e poi mugolò affranto. Non c’era modo di liberarsi.
L’uomo che lo teneva prigioniero stava seduto su una poltrona del tutto identica alla sua, ma al contrario di lui aveva mani e piedi completamente liberi e, volendo, avrebbe potuto alzarsi ed andare via. Ed invece rimaneva lì immobile a guardarlo con aria furba, posandogli addosso quegli incredibili e freddissimi occhi azzurri mentre l’esercito di creaturine deformi che lo circondavano lo torturava nei modi più assurdi – dal solletico ai pizzicotti – fino a farlo impazzire.
- Hmpf- - si lamentò il ragazzo, cercando di saltare giù dalla sedia. Non gli riuscì nemmeno quello, perché la corda d’oro era assicurata allo schienale della poltrona. Si limitò perciò a lanciare occhiatacce all’uomo che stava seduto di fronte a lui, una gamba posata sul bracciolo della propria poltrona ed un piccolo frustino nero a battere contro lo stivale.
- Tu dovresti imparare il valore del silenzio, Tom. – disse appunto l’uomo, tornando a sedersi composto per guardarlo negli occhi. – È per questo che sei finito qui, no?
Tom si agitò e cominciò un lungo discorso che sarebbe suonato più o meno come un “no, io non lo so perché sono qui e non ho capito un accidenti di questa storia degli gnomi o dei folletti o di qualunque altra cavolata si tratti, è roba per quell’idiota di mio fratello e, a proposito, se vengo a scoprire che tutto questo è opera sua, giuro che lo faccio fuori con le mie stesse mani, e comunque non ho capito bene per quale oscuro motivo dovrei chiamarti Re e perché sto legato a questa stupida dannata sedia con tutte queste creaturine bitorzolute che mi fanno il solletico, voglio dire, è palesemente una violazione dei diritti umani, lo sai che mio padre fa il camionista, eh?, lo sai?, potrebbe passarti sopra col suo camion e di te non resterebbe niente, e dove cavolo è mio fratello, comunque?!”. Sarebbe suonato così, ma naturalmente non poté che suonare invece come un unico e prolungato “hmpf”, visto che la fascia attorno alla bocca teneva fermo anche il mento e gli impediva di articolare suoni comprensibili.
- Sei incredibilmente fastidioso. – commentò ancora l’uomo, inarcando le sopracciglia con supponenza, - Tuo fratello ha fatto bene a mandarti qui.
Tom spalancò gli occhi. L’uomo sorrise.
Il momento successivo vide Tom sconfiggere le leggi della fisica – per quanto si potesse parlare di leggi simili in un mondo popolato di goblin – e tirarsi in piedi. La fisica, comunque, tornò immediatamente a riprendere possesso della realtà, ed in breve Tom si ritrovò in ginocchio per terra, schiacciato dal peso della poltrona e con le braccia strette in una posizione che gli provocava un dolore allucinante alle spalle.
Gli esserini intorno a lui ridevano come stessero assistendo allo spettacolo più divertente della loro intera vita. Ed era probabilmente così.
Anche l’uomo rise – Tom sentì distintamente uno sbuffo fra il compassionevole ed il divertito liberarsi nell’aria e solleticargli fastidiosamente le orecchie – prima di avvicinarsi a lui, afferrare la sedia per lo schienale e rimetterla dritta. Con lui ancora seduto sopra.
- Se hai tutta questa voglia di muoverti, lo farai alle mie condizioni. – disse quindi, chinandosi a guardarlo dritto negli occhi e sorridendo mefistofelico.
Tom non capì esattamente come si svolsero i fatti in successione. Si rese conto solo che, a un certo punto, non aveva più mani e piedi legati. A tenerlo prigioniero era rimasta solo la fascia sulla bocca. Per qualche motivo, comunque, assolutamente contro la propria volontà, stava ballando in tondo con quell’uomo misterioso che cantava you made me believe in magic. E i goblin, intorno, ridevano.
Mentre piroettavano intorno alla stanza, l’uomo fissò gli occhi azzurrissimi in quelli ambrati e luminosi e brillanti di confusione di Tom e sorrise, stringendolo alla vita.
- Se tuo fratello non sarà qui entro nove ore e mezzo… - sussurrò direttamente al suo orecchio, chinandosi su di lui, - …tu sarai mio.
Tom pressò le mani contro il suo petto, ma non riuscì ad allontanarsi.
Deglutì.
*
Nel frattempo, metri e metri sotto il livello del suolo – se un livello del suolo c’era, in quel mondo assurdo – Bill concludeva la propria caduta a precipizio lungo un improponibile tunnel lastricato di mani parlanti.
Palesemente non sarebbe mai arrivato a trovare Tomi.
*
Appena la musica aveva smesso di venare l’aria, Tom era stato gentilmente preso per i fianchi e rimesso seduto al proprio posto – corde d’oro comprese.
Aveva provato a lamentarsi, ma tutto ciò che aveva ottenuto era stato un buffetto sulla guancia ed un canzonatorio “slap that baby” che l’aveva fatto rabbrividire fin nel profondo, mentre l’uomo – del quale ancora, per inciso, non sapeva il nome – si chinava su di lui e scrutava qualcosa all’interno di una sfera trasparente.
Spalancò gli occhi quando vide cosa in effetti l’uomo stava guardando.
- Mmnh!!! – strillò, agitandosi convulsamente mentre l’uomo lo tratteneva per le spalle.
- Sì, sì, il tuo fratellino. – sorrise l’uomo, - Che poi è il motivo per cui stai qui, Tom. – il suo sorriso si allargò mentre stringeva la presa sulle sue spalle, - Non ti voleva più ed ha chiesto ai goblin di portarti via… a questo punto, sarebbe perfino meglio se restassi con me di tua spontanea iniziativa, no? – lo prese in giro, sfiorando col naso il profilo della sua guancia, - Piuttosto che sentirti indesiderato…
Tom si irrigidì sotto le sue mani e rimase immobile a guardare l’immagine di Bill che si guardava intorno, smarrito, nel buio.
Magari era davvero Bill che l’aveva mandato in quel posto, ma adesso lo stava cercando. Voleva tornare a riprenderselo.
E quindi no, non si sentiva indesiderato. Assolutamente no.
Scosse il capo.
L’uomo ringhiò e lo lasciò andare, tornando a sedersi al proprio posto e portando la sfera con sé.
- Non sarebbe dovuto arrivare alle segrete. – commentò infastidito, accavallando le gambe. – Georg, comunque, lo riporterà indietro… ed a quel punto, vedendo di dover ricominciare tutto da capo, si arrenderà. – commentò con una mezza risatina.
*
Gli occhi di Bill non ebbero nemmeno il tempo di abituarsi al buio, che subito una candela arrivò a rischiarare l’ambiente. Si trovava in una sorta di grotta, o di qualcos’altro di molto simile. Il tetto era roccioso ed umido e c’erano delle inquietanti catene a pendere immobili verso il pavimento. Deglutì, voltando lo sguardo in giro, e quasi saltò in aria dallo spavento quando, seduto su una tavola a qualche metro da lui, trovò Georg, il ragazzo che aveva incontrato fuori dal labirinto.
- Tu! – strillò, puntandolo con un dito, - Cosa diavolo ci fai qui?!
Georg si tirò in piedi con un sorriso furbo sul volto.
- Sapevo che ti avrei ripescato qua sotto. – lo prese allegramente in giro, - Sei finito in una segreta. Il labirinto ne è pieno. – sorrise ancora, in maniera più sottile e insinuante, socchiudendo gli occhi come quelli di un gatto, - Lo sai a cosa servono le segrete, piccolo Bill?
Il ragazzo si strinse nelle spalle, infastidito e un po’ spaventato.
- …tu sì? – chiese titubante, guardandolo con diffidenza.
Georg sghignazzò.
- A chiuderci dentro le persone che si vogliono dimenticare. – rivelò il ragazzo, tirando dietro un orecchio una ciocca di capelli. – Fortunatamente, - aggiunse poi, il tono più gioviale ma sempre canzonatorio, - sono venuto a riprenderti! Guardacaso, conosco una scorciatoia per uscire dal labirinto proprio partendo da questa stanza!
- Ma io non posso fermarmi! – strillò ancora Bill, muovendo qualche passo nervoso all’interno della stanza, - Tomi mi aspetta, io lo so! È colpa mia e devo salvarlo! Non posso fermarmi proprio adesso!
- Oh, certo. – borbottò Georg, incrociando le braccia sul petto, - Scemo io a preoccuparmi ed a venire fino a qui per tirarti fuori.
Bill gli lanciò un’occhiata curiosa da sotto le lunghe ciglia scure.
- Eri preoccupato…? Per me?
Georg guardò altrove, agitando una mano.
- Un bel ragazzino come te, tutto solo in questo posto oscuro… - motivò con disinteresse, come fosse normale. – Ora, coraggio, seguimi. Ti porto fuori di qui.
- No! – insistette Bill, - Tu… non capisci. – mugolò, abbassando lo sguardo, - Lui è mio fratello, non c’è nessuno che sia tanto importante quanto lui, e… io questo mondo lo conosco, perché tutti i miei sogni vi appartengono, ma lui… - si morse un labbro, - lui non c’entra niente, non è di qui, sarà spaventato ed io… devo portarlo a casa. Davvero. Devo riportarlo con me. – sollevò nuovamente gli occhi in quelli verdissimi dell’altro ragazzo, - Non ti chiedo di portarmi fino al castello… se non vuoi, va bene, ma… portami almeno fin dove puoi! Dopo me la caverò da solo!
Georg roteò gli occhi, poco convinto.
- Peggiorerà soltanto, da ora in poi. – lo avvisò con piglio serio.
Bill scosse il capo.
- Non m’importa.
Rimasero a fissarsi a lungo, entrambi fermi sulle loro posizioni. Il primo a cedere, però, fu Georg.
- E va bene, - concesse alla fine, sbuffando sonoramente, - vieni con me.
Bill non riuscì a trattenere il gridolino di gioia che nacque spontaneo nel fondo della sua gola, e premette tanto per uscire che lui dovette lasciarglielo fare.
- Sì, ma non entusiasmarti adesso, ragazzino, - disse Georg mentre attraversavano un lungo ed oscuro corridoio, - siamo ancora… - ma si fermò all’improvviso quando in mezzo a loro rotolò una sfera di cristallo perfettamente lucida e tonda, trasparente e liscissima. - …oh.
- Cosa…? – chiese Bill, incerto, notando appena la pallina rotolante.
- Be’…? – chiese una voce gracchiante e sgradevole dal buio. Quando Bill alzò lo sguardo sulla figura, notò che la sfera si era fermata ai suoi piedi e poi aveva preso a volteggiare fino a rimbalzarle in mano. – Che cosa sta succedendo qui?
- …come? – chiese Bill per riflesso, ormai quasi abituato alle stranezze del posto.
Georg rimase immobile e silenzioso, tesissimo. E non sembrò molto stupito quando la figura ammantata si liberò della propria copertura e, da sotto il mantello, venne fuori l’uomo misterioso, lo stesso che aveva rapito suo fratello.
Bill fece istintivamente un passo indietro, prontamente imitato da Georg.
- Niente, mio signore! – si affrettò a difendersi il ragazzo, mettendo le mani avanti.
- Niente?! Niente, Georg?! – insistette l’uomo, avvicinandoglisi con fare intimidatorio, - Lo stavi aiutando!
- No, mio signore, mai! – rispose il ragazzo, - Lo stavo portando all’inizio del labirinto!
- Cosa?! – chiese Bill, oltraggiato, - Come hai potuto?!
- Stai mentendo. – disse l’uomo, piegandosi a guardare Georg negli occhi, - È tradimento questo, Georg, lo sai? Dovrei prenderti ed appenderti a testa in giù nella Gora dell’Eterno Fetore, sai?!
Georg abbassò lo sguardo, colpevole.
- Chiedo perdono, mio signore.
Lui non sembrò badare alla richiesta, tant’è che il perdono non lo concesse affatto. Si voltò però a guardare Bill, avvicinandosi a lui, stavolta, e poggiando un braccio sul muro per poi chinarsi a scrutarlo negli occhi con aria pericolosa.
- Allora, Bill… - disse malizioso, sfiorando quasi il profilo del suo viso con le labbra, - ti sta divertendo, il mio labirinto?
Bill aggrottò le sopracciglia. Quello era lo stesso atteggiamento intimidatorio che usavano con lui i bulli del Gymnasium, nella speranza di obbligarlo ad abbassare la testa. E se lui si trovava in punizione, quella sera, era proprio perché, ad atteggiamenti come quello, reagiva sempre nello stesso modo. Opponendosi.
- È un gioco da ragazzi. – disse con un sorrisetto furbo, inclinando il capo.
L’uomo rise a propria volta, estremamente divertito.
- Un gioco da ragazzi, dici. – annuì, separandosi da lui, - Bene, allora che ne dici di alzare un po’ la posta? – chiese, voltandosi all’indietro verso un enorme orologio, apparso dal nulla. Mosse le dita in un movimento circolare e le lancette, guidate dalla magia, si spostarono in avanti. Una, due, tre ore.
- Questo non è giusto! – protestò Bill, stringendo i pugni.
- Non è giusto, dici? – chiese l’uomo, continuando a ridere supponente, - Mi chiedo quale sia l’idea che hai della giustizia. – replicò, allontanandosi di qualche passo. – E visto che trovi il mio labirinto così semplice da affrontare… vediamo come te la cavi col mio piccolo amico qui dietro. – prese la sfera di cristallo che ancora teneva mollemente in mano e la scaraventò con forza nel buio del corridoio. Subito dopo, scomparve.
Georg deglutì e spalancò gli occhi.
- Oh, no… - lo sentì esalare sconsolato Bill. – No, questo no…
- Questo cosa, Georg?! – chiese Bill, impaurito, appendendosi al suo braccio.
- Non lo senti?! – disse il ragazzo, indicando nel buio, - Gli spazzini!
Bill ebbe appena il tempo di cominciare a sentire lo stridio metallico di un centinaio di lame che sfregavano l’una contro l’altra, che già Georg l’aveva afferrato per un braccio e lo tirava lungo il corridoio, verso il lato opposto, strillandogli di darsi una mossa. Bill lo seguì senza fare storie, voltandosi solo di tanto in tanto e cogliendo appena l’immagine di un gigantesco marchingegno che, velocissimo, abbatteva qualsiasi cosa trovasse sul proprio cammino fra rumori agghiaccianti.
- Merda… - commentò Georg quando arrivarono alla fine del corridoio ed andarono a schiantarsi contro un cancello inoppugnabilmente chiuso, - È la fine! Certo che… la Gora dell’Eterno Fetore prima, gli spazzini poi… ti sta trattando proprio con tutti i riguardi!
Bill ringhiò e tirò un calcio di pura frustrazione contro una parete. Il rumore delle lame era forte, ma non riuscì del tutto a coprire il thud un po’ ovattato che fece il suo piede battendo contro la roccia.
- Oltre questa parete… - disse, lasciandovi scorrere sopra una mano, - È vuoto! Georg! Aiutami a spingere!
Ed era vuoto davvero. Riuscirono a rintanarsi in una specie di antro dopo aver frantumato la friabile parete di finta roccia, giusto un attimo prima che la macchina metallica passasse alle loro spalle, abbattendo il cancello e continuando per la propria strada.
- Ma chi me l’ha fatto fare di aiutarti, ragazzino, me lo spieghi?! – borbottò Georg tirandosi in piedi dopo la rovinosa caduta cui era stato costretto per mettersi in salvo.
- Aiutarmi?! – strillò a quel punto Bill, ricordando il discorso di poco prima con l’uomo misterioso, - Ma se hai detto che mi stavi riportando all’ingresso!
- Questo è quello che ho detto a lui, per distrarlo! – motivò il ragazzo, - Vieni, questa scala dovrebbe riportarci in superficie. – aggiunse poi, indicando una scala a pioli poggiata contro il muro lì di fianco.
- Come faccio a fidarmi ancora di te? – chiese Bill, con tono lamentoso, - Se menti-
- Mettiamola così: - lo interruppe Georg, cominciando la scalata, - che alternative hai?
- …nessuna, in effetti. – ammise il moro, abbassando lo sguardo.
- Infatti. – annuì il ragazzo, già a metà scala, - Ti dai una mossa o no? – osservò Bill annuire e mettersi al suo seguito e sospirò, scuotendo il capo, - Devi capire la mia posizione, ragazzino. – cercò di giustificarsi, nemmeno lui sapeva perché, - Io non sono esattamente quello che si dice un coraggioso. E David mi fa paura.
- David… è così che si chiama.
- Già.
- E ti fa tutta questa paura?
- Lo sai perfettamente che è il Re dei Goblin. Se fossi di queste parti, spaventerebbe anche te. Oltretutto, la Gora dell’Eterno Fetore-
- Oh, che mai potrà fare?! Puzzare?!
- Be’, è dannatamente abbastanza per non essere piacevole, no? Oltretutto, come ci metti piede, sei condannato a puzzare per sempre! Non c’è sapone che tenga! Una vera maledizione. – continuò a lamentarsi fino a che non furono finalmente in superficie. Sbucarono da un vaso nel mezzo di una piazzetta dalla quale partivano molti viali delimitati da siepi altissime.
- E adesso dove andiamo…? – chiese Bill, guardandosi intorno con aria smarrita.
- Ah, no! – borbottò Georg, allontanandosi celermente da lui, - Adesso vai per la tua strada! Ho promesso di accompagnarti solo fin dove avrei potuto! Bene, qui mi fermo!
Bill inarcò le sopracciglia verso il basso, stringendosi nelle spalle.
- …pensavo… che avessi capito le mie ragioni… - commentò tristemente.
Georg sospirò, roteando gli occhi e incrociando le braccia sul petto.
- Le ho capite, le tue ragioni, è solo che-
- Pensavo fossimo diventati amici! – aggiunse Bill, gli occhi pieni di lacrime e le mani strette all’altezza del cuore.
Georg spalancò gli occhi.
- …amici? – chiese con aria stupita, - …non ho mai avuto degli amici…
Bill arrossì un po’, stringendosi nelle spalle.
- Be’, in fondo mi hai aiutato… sai, anche io, non è che abbia tutti questi amici, nel mondo da cui provengo… e tu sei stato… be’, abbastanza gentile. – sospirò, - Perciò sì, ti considero un amico.
Georg annuì lentamente e si prese qualche secondo per riflettere.
- Oh, insomma. – concesse alla fine, - D’accordo. Proviamo ad andare di là.
Bill si lasciò andare ad un urletto di gioia, ma la sua felicità durò poco. Esattamente fino al momento in cui Georg si ricordò di essere un vigliacco.
Appena girato l’angolo, i due vennero infatti investiti da un suono spaventoso – l’ululato di sofferenza di un essere probabilmente altrettanto spaventoso – e Georg ci mise un secondo a girare sui tacchi e dirigersi verso un punto a caso purché fosse il più lontano possibile da lì.
- Ma non avevi detto che eravamo amici?! – si lamentò Bill, cercando di artigliarlo prima che sparisse oltre l’angolo.
- No, ragazzino, l’hai detto tu! E comunque, io non sono amico di nessuno: sono amico solo di me stesso, come tutti.
- Ma non è giusto!
- No, non lo è.
- …ma è così.
E quello decisamente era qualcosa di nuovo imparato sulla giustizia.
*
L’essere probabilmente spaventoso che aveva ululato fino a far scappare Georg, in realtà non era affatto un essere spaventoso. Bill se ne accorse non appena raggiunse la fonte dell’urlo e la spiò da dietro una siepe: si trattava di un ragazzo, probabilmente un po’ più piccolo di lui, sicuramente molto più basso ed anche più tarchiatello. Biondo e pallido.
Ma ululava effettivamente come una bestia.
Il problema era la bestia non fosse lui, bensì le creaturine che lo circondavano: goblin, indubbiamente, ed armati – tenevano in mano lunghi bastoni che ospitavano in punta degli esseri se possibile ancora più rivoltanti dei loro proprietari, piccoli, glabri e rosa, e con enormi bocche dotate di spaventosi denti aguzzi. I goblin usavano quelle armi vive per torturare il povero ragazzo, che pendeva dal ramo di un albero a testa in giù e continuava ad urlare il proprio dolore fra un “lasciatemi andare” e l’altro.
Georg poteva essere un codardo, ma Bill decisamente della codardia era l’antitesi.
- Se solo avessi una pietra da lanciare… - si ritrovò a borbottare, mordicchiandosi un labbro e guardandosi già intorno alla ricerca di un sasso.
Quel mondo magico e spaventoso lo stupì una volta di più: i sassi cominciarono in effetti a rotolare verso i suoi piedi, neanche li avesse evocati con un rito voodoo. Sorridendo un po’, si chinò a raccoglierne uno e lo lanciò in mezzo al gruppetto di goblin, centrandone uno sull’elmo. Il caos che da ciò si generò lo divertì parecchio e si concluse, dopo una serie di impacciati movimenti degli esserini confusi e spaventati, con la fuga dei suddetti esserini impazziti. Per dove, non voleva saperlo.
Il ragazzo continuava a sbraitare.
Bill decise che fosse il momento giusto per tirarsi fuori dal proprio nascondiglio.
- Uhm… ciao. – disse salutandolo timidamente con la mano, - Io sono Bill e-
- Sei stato tu a farli scappare? – ringhiò burbero il biondino, sempre a testa in giù.
- Er… sì, ho usato dei sassi che-
- Io mi chiamo Gustav. – lo interruppe ancora il biondo, annuendo, - Ti dispiacerebbe…?
- Oh, sì! – annuì Bill, dirigendosi verso la radice dell’albero, dove aveva già avvistato il nodo che teneva tesa la corda, - Faccio subito! – annunciò impettito, sciogliendo il nodo ed osservando Gustav cadere a terra di testa il secondo successivo, producendosi in un ululato di dolore dei propri. – Oddio! Oddio, scusami! – disse preoccupato, avvicinandosi di corsa al corpo riverso in terra, - Ti sei fatto molto male?
- No, figurati… - rispose quello, ironico, - Be’, comunque sto meglio di prima. – ammise, prima di concedergli un sorriso, - Grazie.
Bill sorrise di rimando, stringendosi un po’ imbarazzato nelle spalle.
- Senti, Gustav, io dovrei arrivare al castello. Ne ho assolutamente bisogno. Non è che tu sapresti indicarmi la strada da prendere?
Gustav lo guardò per qualche secondo con aria genuinamente curiosa, prima di stringersi nelle spalle.
- Non ne ho la più pallida idea. – ammise alla fine, - Quelle, comunque, potrebbero essere un indizio. – disse, indicando con un cenno del capo due porte.
- Queste prima non c’erano… - borbottò Bill, scontento, - Qui tutto continua a cambiare senza un senso!
- Perché non è detto che ciò che vedi sia esattamente come sembra, Bill. – rispose Gustav con un sorriso sornione.
- Sì. – annuì Bill, - Sto cominciando a capirlo. Come credi si possano aprire, queste porte?
Il ragazzo si strinse nelle spalle, vagamente divertito.
- Be’, ci sono delle maniglie, in fondo. – rispose.
- …e quindi? – chiese di rimando Bill, per nulla illuminato dalla rivelazione.
Gustav sospirò e lasciò scivolare un dito lungo il cerchio metallico della porta a destra.
- Le maniglie esistono per bussare, no?
*
Tom cercò di divincolarsi, ma la presa dell’uomo non si ammorbidì neanche un po’. Oltretutto, il ragazzo sospettava che continuare ad agitarglisi in grembo in quel modo potesse non essere il modo migliore per risolvere la questione: la situazione era equivoca, il sorriso e gli occhi di quell’uomo erano equivoci e, soprattutto, ciò che sentiva premere contro il sedere, oltre la stoffa dei jeans che indossava, era talmente equivoco da rasentare addirittura l’esplicito.
L’uomo gli sorrise, gli occhi stretti come due fessure e brillanti come la luce stessa del giorno.
- Sei un ragazzino davvero vivace… - commentò, sfiorandogli distrattamente una coscia, - Forse, quando sarai mio, dovrò chiamarti David.
*
Al di là della porta c’era qualcosa che somigliava moltissimo ad un bosco ma era molto più scuro, spaventoso e misterioso di tutti i boschi che Bill avesse visto in vita propria.
Non che, in effetti, ne avesse visti tanti: odiava la natura, odiava gli insetti ed odiava tutto ciò che in generale i salutisti adoravano – compreso il frinire dei grilli e l’aria pura di montagna, anzi, il frinire dei grilli gli dava il mal di testa e l’aria pura lo costringeva a giornate intere passate a letto con la febbre a quaranta; comunque, in quella foresta non c’era proprio niente di simile ai boschi che aveva visto. Non c’era luce, non arrivava neanche un po’ di sole filtrato attraverso le foglie, e l’aria era pesante ed umida come quella di una palude.
- Non credo sia stata una buona idea entrare qua dentro… - commentò Gustav alle sue spalle.
- Non avrai mica paura? – chiese Bill, di rimando.
- Paura, io? – rise Gustav, infilando le mani nelle tasche, - Assolutamente no. È solo che-
Silenzio.
- …è solo che? – chiese Bill, continuando ad esplorare l’ambiente circostante e tentando di trattenere le copiose smorfie di disgusto che affioravano alle sue labbra ogni volta che si bagnava toccando qualcosa di umido e marcio. Dalle sue spalle non giunse alcuna risposta. Si voltò a guardare. – Gustav…? – ma dietro di lui non c’era più nessuno.
*
Su uno scenario completamente differente, Georg si stava dibattendo fra le sterpaglie e le rocce nude di un bosco morto e deserto, borbottando fra sé. Quel ragazzino impossibile che non si rassegnava mai non aveva fatto altro che metterlo nei guai in milioni di modi diversi, e quella stupida faccenda dell’amicizia continuava a tormentarlo senza lasciarlo in pace neanche un secondo.
Quando sentì distintamente la voce di Bill invocare il suo aiuto, tutto ciò che riuscì a pensare fu “Arrivo!”. E non fu neanche abbastanza intelligente da tenerselo per sé, anche se desiderò vivamente di averlo fatto quando, voltandosi per ripercorrere la strada al contrario e raggiungere il ragazzo in pericolo, vide che non c’era nessun ragazzo in pericolo, ma solo David, espressione seria e braccia incrociate sul petto, che lo scrutava con aria severa.
- Dov’è che stai andando, Georg…? – chiese l’uomo, irridente.
- …naturalmente a recuperare il ragazzo per riportarlo all’ingresso del labirinto. – mentì, mordendosi un labbro, - Come da programma.
- Ah, davvero? – chiese David, insinuante, - Perché sai, avrei detto che invece tu stessi correndo in suo soccorso.
- Io? – rise lui, cercando di darsi un tono, - Ma che idee. Dopo gli ordini che mi avete dato…
- Già. – annuì il re dei goblin, - Sarebbe veramente molto stupido, da parte tua, disobbedirmi ancora.
- …già. – concordò il ragazzo, abbassando lo sguardo.
David sorrise.
- Cosa c’è, Georg? – lo prese in giro con un sorriso cattivo, - Non mi dirai che provi qualcosa per lui? Che ti sei fatto irretire da quello stupido ragazzino?
- Assolutamente no! – protestò lui, - Io non-
- Perché – precisò l’uomo, piantandogli il frustino nel petto, - non penserai davvero che un ragazzino carino come quello potrebbe interessarsi minimamente ad un rifiuto vigliacco come te, vero?
Georg abbassò lo sguardo e voltò le spalle.
- No, mio signore. – annuì alla fine.
David sorrise ancora.
- Allora…
- Vado a riportarlo all’ingresso del labirinto. – biascicò Georg, dando all’uomo le spalle e cominciando a muoversi in direzione di Bill, - Come da programma.
David annuì. Poi lo fermò, richiamandolo.
- Aspetta. – disse, mentre una sfera di cristallo appariva fra le sue mani, - Portagli questo. – ordinò, lanciando il globo. Quando giunse nelle mani di Georg, s’era già trasformato in un frutto.
- …che cos’è, mio signore? – chiese timidamente, senza sollevare il capo.
- Un presente, naturalmente. – rispose lui, sereno.
- …voi non gli fareste del male, vero? Perché io… non credo che potrei farlo.
David ringhiò e gli si avvicinò con fare minaccioso, puntandolo nuovamente con il frustino.
- Tu gli darai quel frutto, Georg, o io ti spedisco a calci nella Gora dell’Eterno Fetore, senza pensarci su neanche un momento! – lo minacciò bruscamente, - Sono stato chiaro?
- …sì, mio signore. – annuì il ragazzo, riprendendo la strada verso il proprio obiettivo.
- E… Georg? – lo richiamò un’ultima volta David, prima di sparire, - Se mai lui dovesse baciarti… ti trasformerò in un principe.
- …davvero…? – chiese lui, incredulo.
L’uomo rise.
- Oh sì, eccome. – rispose, - Anche alla Gora dell’Eterno Fetore servirà un principe, no?
*
Bill non era mai scappato strillando, da che era venuto al mondo. Be’, forse da piccolo, di fronte a qualche orrendo insetto palesemente nato per attentare al suo sistema nervoso in primo luogo ed alla sua vita in secondo, ma da quando aveva cominciato più o meno a capire cosa significasse diventare grandi, correre dei rischi e prendersi la responsabilità delle proprie azioni, Bill non era mai scappato strillando di fronte a niente.
All’interno di quel bosco, però, aveva trovato delle creature talmente spaventose – non c’era altro modo per definire quegli enormi uccelli canterini che continuavano a staccarsi teste ed arti vari ed eventuali a vicenda con lo scopo di usare le suddette parti del corpo per i più diversi tipi di sport – che fuggire strillando era diventata l’unica alternativa possibile.
Fu così che rincontrò Georg: intrappolato contro una parete rocciosa e circondato dagli uccelli canterini – che dovevano aver preso piuttosto male il suo staccare tutte le loro teste e lanciarle lontano per guadagnare qualche secondo di vantaggio nella fuga – stava già cominciando a chiedersi quanto fosse doloroso morire per mano di uno stormo di pennuti quando una corda discesa dall’alto lo colpì sulla testa. Sollevò lo sguardo e lì c’era Georg.
- Afferrala! – disse spiccio il ragazzo, mostrandogli la corda ben assicurata contro uno sperone.
Bill non se lo fece ripetere due volte e, per quanto le sue doti fisiche fossero decisamente scarse, la paura irrazionale che provava in quel momento – paura di perdere la vita, di non ritrovare Tomi, di non riuscire a tornare a casa – ebbe un effetto più che benefico sulle sue doti di scalatore, perché meno di un minuto dopo si ritrovava in alto, lontano dai pennuti, a stringere le braccia attorno al collo di un Georg mortalmente imbarazzato.
- Sei tornato! Sei venuto ad aiutarmi! – strillò commosso, saltellando sul posto, - Sapevo che non potevi essere del tutto cattivo! – e, così dicendo, in maniera del tutto naturale e inaspettata, sporse le labbra verso la sua guancia.
- No! – cercò invano di trattenerlo Georg, - Cosa fai?! Non baciarmi! – ma fu del tutto inutile: quando le sue labbra sfiorarono la guancia liscia del giovane, sotto di loro si aprì un baratro e scivolarono per metri e metri, rotolando fra le sterpaglie, fino ad una parete rocciosa che dava su una disgustosa palude di melma.
Riuscirono a salvarsi solo perché Georg ebbe la prontezza di spirito di afferrare uno spuntone che fuoriusciva dalla parete, prima di cadere nella palude, e Bill riuscì a frenarsi un attimo prima di franargli addosso.
- …oddio… - si lamentò, cercando di non respirare quando il puzzo incredibile che si sollevava dall’acqua raggiunse le sue narici, - Ma che posto è questo?
Georg deglutì.
- La Gora dell’Eterno Fetore.
- Dio mio, è veramente disgustoso! – commentò Bill, tirando su il ragazzo finché non si fu assicurato allo stretto corridoio di pietre che costeggiava la fiancata dello strapiombo.
- Dobbiamo… uscire immediatamente da questo posto. – lo avvisò il ragazzo, cominciando a spingerlo lungo il sentiero, - Certo che, anche tu, dovevi proprio baciarmi?!
- Aaah, poche storie! – rise Bill, - Tanto lo so che sei tornato indietro per aiutarmi! E perché siamo amici!
- Nella maniera più assoluta, no! – precisò lui, adirato, - Sono tornato indietro solo per darti questa! – borbottò, ficcando una mano in tasca ed armeggiando alla ricerca di qualcosa. Sfortuna volle che il suo armeggiare, però, avesse luogo proprio mentre la pietra sulla quale si trovava si decideva a porre fine alla propria vita, sfaldandosi in mille pezzi. Nel momento in cui Bill se ne accorse ed allungò un braccio per aiutarlo, anche la sua pietra cedette, ed in breve si ritrovarono entrambi a cadere verso il basso, strizzando gli occhi per la paura di finire proprio in quell’acquitrino disgustoso dal quale proveniva l’olezzo pungente che impregnava l’aria.
- Oh… cazzo! – sbottò invece la persona sulla quale caddero.
Bill sollevò lo sguardo, cercando di riprendersi dalla caduta.
- …Gustav! – disse, saltando anche al collo di quest’ultimo ma evitando inappropriati baci, visto che quello che aveva rifilato a Georg sembrava essere il motivo della loro presenza in quel luogo osceno, - Ma allora sei ancora vivo!
- Dannazione, sì che lo sono! – biascicò il biondo mentre si tirava in piedi, - Sono caduto in una dannata trappola, in quella foresta! – poi il suo sguardo dardeggiò su Georg, che si stava a propria volta risollevando a qualche passo da lui. – E quello chi sarebbe?
- Lui è Georg, - lo presentò Bill con un sorriso, - è un amico anche lui!
- La vogliamo piantare con questa storia degli amici?! – si lamentò il ragazzo, spolverandosi i pantaloni. – Piuttosto: là c’è un ponte. – dichiarò, indicando un punto qualche metro più in là, - Probabilmente porta all’uscita.
Bill annuì ed i tre si incamminarono verso l’unica via di salvezza cui potessero pensare, ma una volta giunti di fronte al ponte, appena provarono a metter piede sull’instabile asse di legno che lo componeva, una voce tonante li fermò.
- Altolà. – disse la voce, e da dietro un albero venne fuori un uomo altissimo e dalla pelle scura, ricoperto di tatuaggi, - Non potete passare. – disse, frapponendosi fra i tre disperati e la libertà.
- Oh, balle! – ringhiò Georg, facendosi avanti e dimenticando perfino di essere un vigliacco, in virtù della puzza, - Noi dobbiamo uscire di qui! Non si respira!
- Nessuno passa di qui senza il mio permesso. – precisò l’uomo, - Il mio nome è Bushido e sono il guardiano di questo ponte. E quelli sono gli ordini.
Gustav gli si parò davanti. Doveva essere alto più o meno la metà dell’uomo, e non era largo nemmeno il doppio.
Bill li osservò prendersi a cazzotti per molti minuti. Perfino con un certo divertimento.
*
Un attimo prima di abbandonare la palude – dopo una scenetta delirante quanto deliziosa durante la quale, dopo aver stabilito di essere entrambi ugualmente bravi a fare a botte, Bushido e Gustav s’erano autoproclamati rispettosamente l’uno il fratello di sangue dell’altro – Georg aveva accarezzato l’ipotesi di prendere il frutto e buttarlo nella melma. Questo l’avrebbe probabilmente condannato a qualcosa di perfino più spiacevole della Gora, ma almeno gli avrebbe impedito di fare del male a Bill.
La voce di David, risuonando nella sua testa, gli aveva consigliato di non compiere gesti avventati, però. E così lui non ne aveva compiuti.
Dopodiché, era venuto fuori che Bushido non solo sapeva come uscire dalla Gora, ma, a quanto diceva, anche come giungere al castello. Bill non era stato per nulla in grado di trattenersi: gli era saltato al collo, l’aveva ricoperto di baci un po’ ovunque, aveva raccontato la triste storia del suo fratellino rapito ed il danno era stato fatto. Bushido promise di portarli tutti al castello entro il sorgere del sole e li obbligò ad una marcia serratissima attraverso un bosco molto più fitto ma, per fortuna, anche molto più luminoso di quello in cui Gustav era sparito ore prima.
Dalla propria stanza del trono, David osservava tutto questo continuando a stringere Tom fra le braccia, pressandoselo addosso in un’esplicita tortura.
- Guarda quanta pena si dà per te… - commentò, sfiorandogli una guancia con due dita, - per un fanciullo così piccolo come te… - aggiunse, con un sorriso pericoloso, - Ma presto tutto questo finirà. – annuì compiaciuto, - Non appena Georg gli darà il mio regalo, Bill dimenticherà tutto… anche di te.
Sotto il bavaglio, Tom avrebbe voluto mordersi un labbro; ma non ci riuscì.
*
- Sì, però io sto morendo di fame. – si premurò di far sapere al mondo Gustav mentre incedeva fiero al fianco di Bushido, che gli ricordava quanto fosse in effetti poco virile andare in giro borbottando cose simili.
- Un guerriero soffre in silenzio. – disse l’uomo, seriamente, e Bill si ritrovò a chiedersi quando fosse diventato un guerriero; se per caso le botte a scuola facessero di lui un guerriero; e soprattutto… se davvero valesse tanta pena un fratello che, chiacchierando al telefono col proprio migliore amico, parlava di quanto migliore sarebbe potuta essere la sua vita se lui non fosse esistito affatto.
Il suo stomaco brontolò proprio nel mezzo di questi allegri pensieri, e Bill rilassò le spalle, sconsolato.
- Ho fame anche io… - borbottò incerto, - Ma non possiamo fermarci.
Georg si fece avanti con un paio di colpi di tosse per schiarirsi la voce.
- Bill… io avrei… - sospirò, prima di tirar fuori dalla tasca una bellissima pesca dal profumo squisito, - questa. – sussurrò, porgendogli il frutto.
Bill spalancò gli occhi – le voci di Gustav e Bushido, ancora impegnati a discutere della mascolinità dell’appetito, erano ormai lontane.
- Georg! – disse entusiasta, - Tu sei un salvavita! – e, così dicendo, addentò la pesca.
*
E poi fu come precipitare in un sogno.
Un incredibile senso di spossatezza lo colse, e riuscì appena a cogliere l’immagine di Georg che si allontanava biascicando “cosa ho fatto…?”, prima di lasciarsi ricadere esausto contro un albero e scivolare lungo il tronco fino a terra, mentre miriadi di bolle di sapone – ognuna con dentro un sogno diverso – lo circondavano e gli annebbiavano la vista.
Nella più grande, nella più bella, nella più luminosa di tutte c’era una chiassosa festa danzante, decine e decine di invitati a ridere e divertirsi, e Bill poteva vedere anche un altro se stesso, no, non era un altro se stesso, era proprio lui, là, in mezzo a tutta quella gente, completamente vestito di bianco e luccicante come una stella, farsi strada fra le miriadi di persone mentre da un lato all’altro della stanza rimbalzava l’immagine di quell’uomo, David.
Stretto fra le sue braccia, suo fratello. Sembrava completamente incosciente: i suoi occhi – solitamente così luminosi – erano vuoti e spenti, la sua bocca piena era coperta da un bavaglio e le mani erano assicurate dietro la schiena con una corda d’oro zecchino.
David lo cullava teneramente, danzando con lui e stringendolo alla vita, pressandoselo contro, e suo fratello non reagiva; David lo sfiorava con la punta del naso e con le labbra ma non lo toccava mai sul viso, anche se tutto il resto del suo corpo era così vicino a quello di suo fratello da confonderli quasi l’uno per l’altro.
Bill annaspò: non voleva vedere Tomi in quelle condizioni, non voleva vederlo fra le mani di quell’uomo, non a causa sua, doveva salvarlo, doveva assolutamente salvarlo, e poi David scomparve e Tomi con lui, e quando Bill sentì la presenza di quegli occhi di ghiaccio contro il collo e si voltò a guardare, David era tornato ma Tomi non era con lui.
- Dov’è- - provò a chiedere, spaventato, ma l’uomo gli posò un dito sulle labbra. Non gli ordinò di stare zitto, ma fu come l’avesse fatto: il fiato volò via e ciò che rimase del suo raziocinio lo seguì quando le braccia forti di David si chiusero attorno alla sua vita e lo strinsero violentemente.
E poi fu lui a danzare.
*
Quando si risvegliò era molto confuso. Aveva una pesca marcia fra le mani – la gettò via con disgusto non appena vide venirne fuori un vermicello dall’aspetto orrendo – e si trovava in un luogo mai visto prima – una discarica colma di oggetti, cianfrusaglie di ogni tipo confuse e mescolate fra loro fino a non riuscire a distinguere cosa fosse cosa in precedenza.
- Vuoi scendere dalla mia schiena?! – disse una vocetta nasale proveniente dal mucchio di cianfrusaglie sotto di lui. Bill si lasciò scivolare a terra e, quando si voltò, si ritrovò di fronte un ometto dalla faccia vagamente allungata – gli ricordava un po’ un topolino – con dei ridicoli baffetti sotto il naso. – Be’? – disse l’ometto, - Cos’hai da fissare?
- Io… non lo so… - rispose sinceramente Bill, passandosi una mano sulla fronte, - Io credo… stavo cercando qualcosa…
- Oh, eccome se stavi cercando qualcosa! – annuì l’altro, rovistando in una borsa che portava a tracolla lungo un fianco, - Ecco quello che cercavi! – disse, tirandone fuori il suo orsetto, - È il tuo Lancillotto, giusto? – chiese con un mezzo sorriso.
Bill prese l’orsacchiotto fra le mani e sorrise a propria volta.
- Sì, è lui, è… che assurdità, avevo dimenticato di stare cercando proprio lui… - aggiunse con una risatina.
L’omino annuì.
- Dunque, già che ci sei… - suggerì, scortandolo verso una tenda, - perché non dai un’occhiata qua dentro e vedi se per caso c’è qualcos’altro che ti interessa?
Bill lo seguì e, quando oltrepassò la soglia dell’ambiente, vide finalmente la prima cosa familiare su cui posasse gli occhi da ore: la propria camera. Perfettamente identica a come l’aveva lasciata: i letti, il disegno di Topolino sulla parete, e tutti i giocattoli della sua infanzia al loro posto. Stringendo al petto Lancillotto, in un impeto di commozione, si gettò sul letto e chiuse gli occhi. Poi si rigirò sul materasso e, quando fu di nuovo supino, tornò a guardare il soffitto.
- È stato solo un sogno… - si disse, rimettendosi seduto fra le lenzuola, - Lancillotto, puoi crederci…? È stato tutto solo un sogno… - scese con un saltello giù dal letto e si diresse verso la porta, per controllare se sua madre e Gordon fossero tornati.
Ma quando mise la mano sulla maniglia, non ebbe neanche il tempo di girarla che la porta si spalancò sullo stesso omino baffuto di prima.
- Resta qua dentro, ragazzino, non c’è proprio niente per te, là fuori. – disse l’omino annuendo e chiudendosi la porta alle spalle, - Tutto ciò che ti serve è qua dentro. – continuò, scortandolo verso la sedia di fronte alla scrivania ed aiutandolo a sedersi, - Vedi? Tutti i tuoi giocattoli, tutto ciò che per te abbia avuto un valore, è qui dentro. C’è anche la Barbie Sirena che hai perso, la ricordi? Ecco qui. – aggiunse, consegnandogli la bambola fra le mani, mentre lui squadrava il tutto con aria assente. C’era qualcosa che gli sfuggiva, qualcosa che non riusciva a capire, che non riusciva a ricordare, eppure sembrava importante, perché era come gli mancasse un pezzo di cuore.
Lasciò scorrere lo sguardo sulla scrivania e gli occhi si posarono su un libro dalla copertina morbida e rossa. Labyrinth. Lo conosceva, era il suo libro preferito, lo sapeva praticamente tutto a memoria. Lo aprì ad una pagina a caso e cominciò a leggere automaticamente, ad alta voce.
- Con rischi indicibili… - disse in un sussurro, - e traversie innumerevoli, io ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin, per riprendere… - s’interruppe e spalancò gli occhi, - …per riprendere il ragazzo che tu hai rapito! Tomi! – saltò in piedi, ricordando, - Mio fratello! Io devo salvare mio fratello!
- Bill! – strillarono due voci conosciute, ed il ragazzo sollevò gli occhi proprio mentre, tutto intorno a lui, le pareti di quella stanza finta cedevano mattone dopo mattone, rivelandosi inconsistenti come farina, sfaldandosi senza nemmeno un tocco.
Bushido e Gustav si affacciarono fra le macerie, tendendogli ognuno una mano.
- Ci chiedevamo dove fossi finito! – disse il biondo, mentre l’uomo più alto lo aiutava a riaffiorare in superficie, - Siamo quasi arrivati al castello!
- Davvero?! – s’illuminò Bill, speranzoso.
Bushido sorrise trionfante.
- Ebbene sì! – disse orgoglioso, indicando poco distante, - Siamo alle porte della città di Goblin.
*
Non fu difficile entrare all’interno della città – la guardia non guardava proprio un bel niente, anzi, dormiva in piedi, e per scostare le porte bastava spingerle; più difficile fu farlo in silenzio, dal momento che, appena giunti di fronte al cancello, Bushido aveva cominciato a strillare oltraggiato chiedendosi dove fosse finita la cavalleria se, dopo aver bussato più e più volte, nessuno veniva ad aprire e bisognava, in sostanza, fare tutto da soli. Ci volle una grande inventiva – e che Bill prendesse una mira un po’ particolare per i propri baci – per riuscire a far tacere il valoroso guerriero abbastanza a lungo da introdursi all’interno della cittadina.
Fu qui che vennero improvvisamente attaccati da un enorme robot gigante, dall’aria antica ma piuttosto funzionale. Sembrava più che altro un’armatura indossata da un essere veramente gigantesco, ma il punto non era tanto cosa fosse quanto più il fatto che possedesse un’ascia e, in quanto possessore di tale arma, andasse temuto.
Bushido gli diede della caffettiera e lo sfidò a duello. Questo lo irritò molto.
Sarebbero probabilmente finiti tutti molto ma molto male, se in quel momento, dalle mura superiori, non fosse arrivato Georg, correndo come un pazzo e gettandosi addosso al robot per poi afferrarne la testa metallica fra le mani e scardinarla con la forza di un vichingo, gettandola a terra.
A manovrare il bestione era in realtà una bestiolina: un goblin dall’aspetto piuttosto ridicolo. Georg prese fra le mani e scardinò con la forza di un vichingo anche lui.
- Ed ora tocca a me! – disse il ragazzo, prendendo possesso dei comandi del robot, - Vediamo come si guida quest’affare.
A guidarlo non riuscì affatto; in compenso, fu tanto bravo da incastrare l’ascia fra due pietre sopra le testa del robot, e continuò a maneggiare convulsamente tutti i pulsanti, le manopole ed i timoni che gli capitarono sottomano, finché l’enorme armatura non si accasciò priva di vita su se stessa, vittima di un banalissimo quanto ridicolo corto circuito.
Georg venne fuori stremato dalle lamiere, e la prima cosa che fece fu lasciarsi cadere a terra.
La seconda, cercare gli occhi di Bill, che si inginocchiò immediatamente al suo fianco.
- Non chiedo il tuo perdono. – disse il ragazzo, abbassando lo sguardo, - Non mi vergogno di averti dato quella pesca. Erano gli ordini di David, ed io ti avevo avvertito di essere un codardo. Oltretutto, non ho nessun interesse nelle amicizie, e-
- Ma io ti perdono. – disse Bill con un sorriso.
Georg tornò a guardarlo, gli occhi liquidi e persi.
- …davvero?
Bill annuì.
- Certe volte, le cose giuste sono giuste davvero.
*
All’interno del palazzo regnava il silenzio più totale. Di David – e di Tom, naturalmente – non c’era nessuna traccia. Entrare era stato perfino troppo facile, un po’ come se David si aspettasse davvero il suo arrivo ed un po’ anche come se avesse la certezza che comunque non sarebbe mai riuscito a trovarlo.
Mancavano ormai pochi minuti allo scoccare della tredicesima ora. L’unica via da seguire era una scala che partiva dalla sala del trono – immersa nel caos come fosse stata abbandonata in fretta e furia – e si perdeva in alto, chissà dove.
Bill si morse un labbro.
- Non possono che essere andati di là. – rifletté ad alta voce.
- Bene, allora. – disse Bushido, già sul piede di guerra, - Che stiamo aspettando?
Bill si voltò a guardare quegli strani compagni di viaggio che, nel bene e nel male, fra bassi ed alti di vario genere, gli erano stati accanto, e sorrise.
- Mi avete permesso di arrivare fino a qui, e per questo vi sarò sempre riconoscente… - disse sereno, - Ma questa è una cosa che devo fare da solo.
Georg si irrigidì.
- Ma… - provò a protestare, ma Bushido lo fermò posandogli una mano sulla spalla.
- Se è così che devi farlo, - disse serio, annuendo nei confronti di Bill, - allora è giusto che tu lo faccia così. Sei un valoroso. E te la caverai egregiamente.
Bill sorrise ancora.
- …per qualsiasi cosa dovesse servirti… - disse Georg, abbassando timidamente lo sguardo.
Bill annuì.
- Conterò sempre su di voi.
*
La scala si perdeva nel nulla. In una distesa di macerie scomposte che un po’ facevano da pavimento ed un po’ volteggiavano minacciose nell’aria, quasi volessero caderti sulla testa da un momento all’altro.
Quasi proprio volessero ricordarti quello che la vita in fondo è sempre: un pericolo costante, quello di venire schiacciati da qualcosa di troppo grosso rispetto al peso che si può reggere.
Suo fratello, imbavagliato e privo di conoscenza, volteggiava proprio assieme ad una di quelle macerie, a qualche metro da lui. Fra Bill e il suo obiettivo, però, c’era ancora David.
L’uomo lo fissava incattivito, gli occhi sottili come quelli di un gatto e le braccia rigide lungo i fianchi.
- Ridammi mio fratello. – disse fermamente Bill, senza perdersi d’animo.
David ringhiò, facendoglisi più vicino.
- Non sfidarmi, Bill. – sibilò ad un centimetro dal suo volto, - Sono stato molto generoso, fino ad adesso, ma posso essere anche altrettanto crudele, quando voglio.
- Generoso, tu…? – ritorse Bill con un sorriso stremato, - E quand’è che lo saresti stato?
- Sempre! – replicò David girandogli intorno come un predatore, adirato, - Hai voluto che rapissi tuo fratello, l’ho rapito! Mi sono fatto sempre più terrificante vedendo quanto ti facevi piccolo e spaventato ogni volta che mi vedevi, ed ho sovvertito l’ordine del tempo, di un intero mondo!, solo per seguire esattamente i tuoi desideri, Bill. – si fermò di fronte a lui, sollevando una mano e sfiorandogli teneramente una guancia. – Non lo vedi…? Sono sfiancato dal mostrarmi sempre proprio come tu mi desideri, Bill.
Rosso d’imbarazzo, messo a disagio da un tocco che non avrebbe mai immaginato così caldo, Bill deglutì. Quell’uomo gli offriva un sogno, non aveva fatto altro che offrirgli il suo sogno perfetto da quando aveva messo piede nel suo mondo…
…ma suo fratello era lì a causa sua. E Tomi era troppo importante – troppo più importante del resto – per dimenticarlo. O per preferirgli uno stupido sogno. I sogni potevano tenergli compagnia durante la notte, ma per tutto il resto della sua vita sapeva che, se avesse dovuto scegliere qualcuno cui affidarsi completamente, quel qualcuno non sarebbe stato il re dei goblin, ma il proprio fratello.
Socchiuse gli occhi e poi li riaprì con decisione, cercando di ignorare le sensazioni che la mano di quell’uomo provocava in lui scorrendogli lungo la pelle del collo.
- Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, - cominciò a recitare, - io ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin. – deglutì, - Per riprendere il ragazzo che tu hai rapito. La mia volontà è forte come la tua, ed il mio regno altrettanto…
- Bill, non farlo. – lo interruppe l’uomo, stringendo la presa della mano attorno alla sua spalla, - Lascia solo che io ti domini, e potrai avere tutto quello che desideri. Io ti darò tutto quello che desideri.
Bill chiuse gli occhi ed andò avanti.
- …il mio regno è altrettanto grande.
- Non hai che da temermi! – ringhiò David, stringendo fino a fargli male, - Temermi, amarmi e fare tutto ciò che ti dirò. Ed io diventerò il tuo schiavo.
Bill si concesse un mezzo sorriso, prima di riaprire gli occhi. Ed andare ancora avanti.
- Il mio regno è altrettanto grande. – ripeté. – Tu… - sospirò, - tu non hai nessun potere, su di me.
E poi fu di nuovo come precipitare in un sogno. Però al contrario.
*
Spalancò gli occhi sul buio del proprio salotto, ansimando forte. C’era qualcosa che decisamente non andava nei suoi pantaloni ed era del tutto assurdo sentirsi così eccitati dopo un sogno simile, ma aveva poco da fare se non prenderne atto e rendersi conto di non essersi mai mosso da quel divano. Probabilmente neppure per provare a fare la pace con Tomi, come dimostrava il libro di Labyrinth ancora aperto a metà sulle sue ginocchia.
Posò il libretto sul cuscino accanto a sé, stiracchiando le gambe e soffrendo con le sue povere giunture che, piegate per tutto quel tempo, sembravano essersi completamente raggrinzite, e sembravano anche bene intenzionate a non sgranchirsi in tempi brevi.
Zoppicando un po’, si avvolse meglio nella coperta e si diresse verso le scale, chiamando suo fratello.
Si incontrarono sul pianerottolo, e si guardarono a lungo. Ad entrambi, però, basto un solo secondo per capire che era successo di nuovo.
- Bill, ma che razza di sogno hai fatto…? – commentò suo fratello con un mezzo sorriso incredulo, - A parte il fatto che c’era gente assurda, permettimi di protestare: mi hai fatto rapire dal re dei goblin! – rise, - Peraltro… un pervertito mica da poco.
Risero insieme per molti minuti, seduti sulle scale. Lì, ancora intenti a commentare i dettagli del sogno, li ritrovarono Simone e Gordon quando tornarono, a mezzanotte precisa. In perfetto orario.
*
Quando, in rapida successione, i gemelli conobbero Georg e Gustav, Simone disse che sembrava quasi che il Destino si stesse preparando a fare qualcosa di veramente grande per loro.
Nessuno si stupì quando David Jost, inviato dalla Universal, propose ai ragazzi un contratto per il loro primo disco. Nessuno si stupì perché era davvero un sacco di tempo che quella Simone diceva che i suoi figli erano davvero destinati a qualcosa di enorme.
Era giusto non stupirsi. Ma quello era il motivo sbagliato.
Bill continuava a dire di averlo visto in sogno, tutto quello.
E Tom gli dava man forte dicendo che l’aveva visto anche lui.
Quando, un giorno, dal nulla, Bill sorrise furbo al proprio benefattore e gli disse “tu… non hai nessun potere, su di me”, David Jost non capì. Si offese pure, in realtà. Non che chiedesse di avere chissà che potere sui loro corpi e sulle loro anime, ma non era mica tanto gentile quel frugoletto coi capelli neri come petrolio e sparati in aria come schegge di vetro, che si presentava così dal nulla a dirgli “tu non sei nessuno”.
David non capì e si offese.
Geog e Gustav non capirono e si chiesero se per caso Bill non avesse intenzione di sabotare la band prima ancora che riuscissero a produrre il disco.
Tom, però, scosse rassegnato il capo e gli sorrise, complice. Questo, per Bill, era più che sufficiente.
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