Genere: Comico.
Pairing: Nessuno.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Crack.
- Com'è la convivenza coi gemelli? E, soprattutto, come si fa a sopportare la cleptomania modaiola incipiente di Bill? Ce lo spiega David Jost, un manager che ormai è diventato una vecchia nonna. O forse no?
Note: Questa è la seconda Jostfic che scrivo da quando ho cominciato a fangirlare sui Tokio Hotel XD Nel senso che è proprio la seconda storia che narro in POV di quel pover’uomo bistrattato che è Herr Jost. La prima non potete ancora vederla perché partecipa ad un concorso (strano, da parte mia, eh? XD), ma presto avrete anche lei! Nel mentre, spero vi siate godute questo gioco al massacro che non ha risparmiato proprio nessuno XD e che, sinceramente, io ho adorato scrivere – istigata da Tab e Yul, che sono due fonti di ispirazione come poche al mondo, devo dirlo XD Tutto ciò è infatti nato per colpa di Yul che, un giorno – tipo, l’altroieri – su MSN mi ha mandato queste foto in cui è comprovato che Bill e David o comprano i polsini insieme o se li prestano a vicenda XD Da qui è nato tutto ciò. Non so ancora come sia successo, in realtà, visto che l’avrò scritta in tipo tre ore in tutto XD
Comunque spero abbiate gradito <3
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CLOTHES

È successo la prima volta circa tre anni fa. Sì, doveva essere appena finito il 2005, o comunque appena iniziato il 2006. Ecco, ecco. Era proprio agli sgoccioli dell’estate del 2005, lo ricordo bene perché Bill era ancora un porcospino ambulante. Un porcospino nella sua versione maschile, intendo. Poi lasciò crescere i capelli e cominciò a trasformarsi in un porcospino versione femminile, ma questo avvenne solo molto tempo dopo.
Comunque ricordo tutto precisamente. Era un agosto piuttosto caldo, e Bill aveva già preso a lamentarsi da un paio di giorni. Dal momento esatto, direi, in cui gli avevo mostrato le bozze per il PS e gli avevo spiegato che, oltre a tenere in mano una bicicletta – “perché, David? Io cado, sulla bici” – avrebbe pure dovuto tenere addosso una giacca a maniche lunghe.
“Perché?!” strillò infuriato in quell’occasione, “Questo fotografo è deficiente! Non voglio averci nulla a che fare! Mi scioglierò in una pozza di sudore, di me non resterà niente, non potrai neanche riprodurmi con la clonazione ed i Tokio Hotel saranno costretti a sciogliersi e tu finirai su una strada!”, profetizzò col tono tragico di una provetta Callas in aria di Medea. Si interruppe solo per riprendere fiato. Poi si voltò verso il fratello, tristemente seduto accanto a lui sul divano con i bozzetti fra le mani, e lo apostrofò duramente: “Vero, Tomi? Diglielo anche tu che ho ragione!”.
Tom sollevò lo sguardo e mi implorò di salvarlo. Io però rimasi in silenzio, sperando in una sua improvvisa prova di coraggio da esibire nel negare a suo fratello la ragione che comunque non aveva.
Ovviamente, le mie speranze si persero in un niente quando Tom sospirò e borbottò “Certo”.
Patetici mocciosi, pensai – piuttosto alterato, devo ammetterlo, perché il caldo stava mangiando vivo pure me e rimanere confinato ad Amburgo con la tabella di marcia più fitta che ricordassi da tempi estremamente lunghi non era certo in cima alla mia lista di modi preferiti per passare l’estate, eppure ero lì a fare il mio lavoro e non mi stavo lamentando. Mi sarei aspettato i gemelli – almeno loro! – fossero disposti a sacrifici di questo tipo, ed invece mi ritrovavo costretto ad ammettere Georg e Gustav fossero molto più razionali e maturi, in quel senso.
Erano i prodromi del disastro, avrei dovuto capirlo che non erano i Kaulitz, quelli ai quali avrei dovuto affidare la band. Purtroppo erano troppo carini – ed anche troppo poco dotati – per stare nelle retrovie a suonare davvero, perciò dovevo arrendermi al mio triste destino e basta.
Comunque sia, li rimproverai entrambi aspramente – mentre Tom mugolava che lui non c’entrava niente e voleva andare in piscina. Così, senza un perché. Non avevo mai ventilato l’ipotesi di portarli tutti in piscina, chissà da dove diavolo doveva aver pescato quell’idea bislacca.
Bill la prese piuttosto male, nel senso che non mi parlò per tre o quattro ore – e sì, è il massimo che Bill riesca a sopportare prima di esplodere – dopodiché si presentò in camera mia col visetto lungo e gli occhi artificiosamente lucidi, mi chiese scusa e, mugugnando come un moccioso di cinque anni, mi disse che per lui andava bene indossare una giacca a maniche lunghe, ma doveva essere una delle mie.
Lo guardai con l’aria di un merluzzo surgelato – anche se, purtroppo, non consolato dalla stessa temperatura corporea.
“Perché?”, chiesi incerto. Mi sembrava un quesito sensato e razionale, ma Bill non fu dello stesso avviso. Nel senso che spalancò gli occhi disgustato e mi strillò addosso che se io potevo permettermi di obbligarlo a morire di caldo dentro una giacchetta senza un perché, allora non dovevo azzardarmi a chiedere il motivo per il quale lui desiderava che la giacchetta succitata fosse una delle mie.
Sinceramente, mi sembrò che non facesse una grinza, come ragionamento; perciò, già stanco ed a corto di pazienza, scrollai le spalle e gli indicai l’armadio. Lui procedette di conseguenza.
Il giorno dopo, alle sette del mattino, nel luogo deputato agli scatti del PS, Georg sbadigliava come un leone marino molto annoiato, Gustav saltellava sul posto per tenersi sveglio, Tom in delirio onirico continuava a chiedermi senza motivo quando saremmo andati in piscina e Bill, serafico, sorrideva coccoloso al fotografo, le braccina innocentemente incrociate dietro la schiena ed il mio meraviglioso giubbotto in pelle nera e bianca e coprire le sue spalle minute da scheletrino in crescita.
Da quel giorno, Bill non ha più smesso di chiedermi vestiti “in prestito”. Le virgolette sono d’obbligo, perché Bill è il tipo di persona che, quando mette le mani su qualcosa, lo fa proprio in tutti i sensi. Qualsiasi cosa gli sia data è persa, poco da fare. Ne vediamo esempi ogni giorno. Non so più quante piastre Georg abbia dovuto ricomprare per sopperire alle indecenti ruberie di Bill. Stessa cosa dicasi per le macchine fotografiche di Gustav: Bill non fotografa quasi mai niente e nessuno, ma ha una passione per gli aggeggi sottili. E Gustav usa praticamente solo accessori elettronici extrasottili. È un miracolo che non gli abbia rubato il cellulare o l’IPod.
Il povero Tom, comunque, è quello che soffre più di tutti. Se è scemo, io non biasimo, perché mi rendo conto che Bill avrebbe tirato scemo pure Einstein, e non mi stupisce, perciò, che ci sia riuscito con Tom che, quanto a materia grigia di partenza, era anche meno dotato. Tom, purtroppo, sì è concesso al fratello – in senso platonico, siamo chiari! – appena nato. Bill non l’ha più restituito a se stesso. È una tragica verità alla quale si deve sottostare.
Chiaramente, in condizioni normali non sarei affatto propenso ad aprire le porte del mio preziosissimo armadio ad una piattola di tali dimensioni, ma Bill non è maturato, è solo cresciuto in altezza: per il resto, il volume delle sue pretese si è espanso proporzionalmente a quello della sua capigliatura, e così ha fatto anche la pesantezza dei suoi capricci. Perciò, dal momento che la sua natura parassitaria ha sopraffatto quel po’ di umano che gli restava in corpo, io non posso fare altro che chinare la testa e concedere.
Ho smesso molto tempo fa di essere un manager. Ormai, sono una vecchia nonna. Perché lo vizio esattamente come fossi una vecchia nonna. Abbastanza disgustoso, sì, ma si cerca di sopravvivere. Pensate a tutti quei poveri maschi di varie razze animali – fuchi, formiche, tarme ed insettame vario – costretti a vivere solo in funzione della regina. Ecco, qui è uguale. Preciso e identico. Solo che la nostra regina ha i capricci di una femmina ed il gancio – nonché il calcio rotante – di un maschio. Perciò si china il capo, ecco. Che altro si potrebbe fare?
Insomma, Bill mi ha rubato tanta di quella roba, da quando lo conosco, che ormai sono rassegnato. Però ci sono momenti in cui un uomo non può arrendersi. Non può chinare il capo. Deve ribellarsi.
Questo è uno di quei momenti.
Sapete, essere un manager di successo ed essere allo stesso tempo omosessuale, nel mio mondo, non è affatto facile. Puoi essere omosessuale ed essere anche solo per questo adorato se sei un attore, se sei un cantante, se sei un modello, perfino se sei un pinco pallino a caso e decidi di spiaccicarti in faccia un metro e mezzo di eyeliner ed un quintale di lucidalabbra per poi andare in giro come una zoccola a farti fotografare solo perché sei carino.
Se sei un manager, però, no. Neanche se il tuo passato – Dio, io ero in una boyband!!! – ti autorizza grandemente in tal senso. Se sei un manager devi essere affidabile, gentile, pratico ed assolutamente etero. Soprattutto se hai a che fare con dei tredicenni. Voglio dire: quale madre – perfino fra le più mentalmente aperte – accetterebbe di mandare i propri pargoli nella grande città spaventosa con un trentenne fighetto e pure omosessuale?
Ma nessuna, è ovvio.
Questa amara riflessione ha un effetto nel reale che ti obbliga semplicemente a prendere le tue precauzioni, se non vuoi finire nel disastro. Nel caso di specie, mi tocca chiedere a Nova un po’ di apparizioni di coppia in pubblico. O qui non basterà la smentita pubblica cui ho costretto la piattola, per zittire le voci di corridoio. Per non parlare di ciò che dicono nelle community.
Insomma, mi tocca uscire, vagabondare un po’ in giro e sembrare per giunta decorosamente figo nel mentre, altrimenti si comincia a dire che stai diventando vecchio eccetera eccetera. Nessuno dovrebbe voler fare il mio mestiere, davvero.
E così si torna ad oggi.
- Bill, ridammi la giacca.
Capisco di avere sbagliato momento nell’istante esatto in cui metto piede in soggiorno. Bill bivacca sul divano come una vecchia matrona romana sul proprio triclinio e, i gomiti accuratamente poggiati sul bracciolo, sistema la french con brevi quanto precisi colpi di batuffolo di cotone imbevuto di acetone.
Il momento è pessimo non perché sia un male che Bill si curi in genere. Solo che, quando gli dai un pretesto per infischiarsene di te, ecco, lui lo fa.
- Bill?
La piattola solleva appena lo sguardo sulla mia persona – affannata, già sudaticcia ed in mostruoso ritardo – ed inarca un sopracciglio sdegnoso.
- Sì? – risponde col freddo distacco di una principessa offesa ma troppo beneducata per risponderti a suon di ceffoni.
- Rivoglio la mia giacca. Quella bianca. Mi serve.
Bill arriccia le labbra in una smorfia pensosa. Lo fa quando vuole darmi ad intendere stia riflettendo. In realtà io so che lui non riflette mai. Al limite, macchina piani malefici.
- Non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando. – scolla infine con estrema naturalezza, poggiando lo smalto sul tavolino e rigirandosi sul divano alla ricerca del telecomando.
- Oh, sì che sai di cosa sto parlando. – borbotto io, avvicinandomi minaccioso, - Sto parlando della mia giacca, Bill. Quella che hai rubato un mese fa, sfoggiato ad una quantità indecente di premiazioni, messo in mostra su Youtube il mese scorso e che ora mi serve per uscire.
- Hai tante altre giacche… - commenta annoiato trovando il telecomando, distendendosi pigramente fra i cuscini ed accendendo la TV.
- Ma voglio quella! – strillo io a quel punto, - È mia, la rivoglio, sta bene con questi pantaloni! – affermo con convinzione, indicando i miei meravigliosi jeans Armani neri come la notte.
Lui mi squadra dubbioso per qualche secondo.
- Anche la giacca di pelle nera sta bene su questi pantaloni. – sentenzia infine, convintissimo.
- A parte il fatto che ti sei fregato anche quella, - puntualizzo seccato, - e che mi piacerebbe rivederla fra le mie cose al massimo domattina, ti informo che non sto andando ad un funerale ma ad un appuntamento! Sarebbe carino mettere la giacca bianca!
- Tu non hai una giacca bianca. – corregge lui.
- Sì che ce l’ho! O almeno, ce l’avevo prima che tu me la rubassi!
- Quella giacca non è bianca, è una giacca color perla.
- Bill non ho tempo per questi giochetti da checca alla moda!!! – lo rimbrotto esasperato, - Avanti, dammi la mia giacca!
- A proposito di checche alla moda… - sibila lui, sorridendo falso e viscido come un serpente, - Chi è il fortunato con cui hai un appuntamento?
- Non è un fortunato, è una fortunata, e se non mi ridai la mia giacca immediatamente non ci sarà alcun fortunato perché io sarò costretto a rimanere a casa! Allora?
- …non posso crederci… - sbotta lui, ignorandomi completamente, - Fai ancora la commedia? Quando farai coming out?
- Quando il mio coming out non mi costringerà a rinunciare a ciò che mi permette di essere un omosessuale felice, ovvero belle macchine, bei vestiti e bei locali da frequentare!
- E il sesso?
- Che c’entra il sesso?! E piantala di cambiare discorso, Bill, ridammi la mia giacca!
Lui inarca le sopracciglia e borbotta qualcosa di incomprensibile, accucciandosi con aria da vittima indifesa fra i cuscini a forma di cuore che ha preteso suo fratello gli regalasse come augurio di pronta guarigione subito dopo l’operazione.
- Ma per forza quella color perla…? – biascica lacrimevole.
Io sospiro e roteo gli occhi.
- Una qualsiasi, Bill, ormai non ho più la forza di protestare sulle tonalità. Anche quella nera va bene, dai.
Lui solleva uno sguardo oltraggiato e mi fissa maligno.
- Ma pensavo di usarla per uscire stasera!
- E invece userai- aspetta. Uscire? Stasera? Con chi?
- Con Tomi!
- Non se ne parla!
- Non puoi impedirmelo!
- Posso eccome! E ti dirò di più: lo sto proprio facendo!
- Sono maggiorenne!
- Sei un colossale deficiente! Dov’è che vorresti andare?!
- In giro!
- A cercare un fotografo qualsiasi che sia pronto ad immortalare te o quell’altro cretino del tuo povero fratello in qualche posa compromettente con qualche groupie di poche pretese?! Giammai!
- Ma non volevi la tua giacca? – sbotta a quel punto lui, pentitosi di avere sviato la mia attenzione sui suoi progetti notturni.
- Questo è molto più importante! Bill: ridammi le mie giacche. Tutte.
- Ma così non avrò nient’altro con cui uscire!
- Appunto!
- E io dico a tutti che sei gay!
Inorridisco e gli tiro un cuscino.
- Sei licenziato! – strillo istericamente.
- Non puoi licenziarmi!!! – sbraita lui, cominciando a tirarmi addosso cuscini a ripetizione neanche avesse trenta braccia.
- Ma che diavolo sta succedendo qui…? – annaspa incerto Tom, apparendo sulla porta del soggiorno con i capelli tirati su in uno strano chignon da vecchia nonna francese, i bermuda incastrati sotto l’orlo delle mutande per scoprire le gambe e la maglietta arrotolata dietro al collo a denudare il petto.
Io e Bill ci voltiamo a guardarlo e lanciamo un urlo unico e pure perfettamente sincronizzato.
- Tomi! – comincia Bill, - Come ti sei conciato?!
- Io…
- Tom, sei indecente. – continuo io, rimettendomi dritto ed andandogli incontro con aria disapprovante.
- Ma-
- Copriti subito, sei disgustoso!!! – strillacchia Bill coprendosi gli occhi ed agitandosi come una liceale sbadatamente entrata nello spogliatoio maschile durante le docce.
- Ha ragione tuo fratello, Tom, tira giù maglietta e pantaloni.
- Ma io ho caldo!!! – protesta lui, sgomento, - E sono venuto qui solo per controllare che non vi steste scannando! Perché adesso ve la prendete con me?!
- Perché non puoi andare in giro per casa nudo! – motivo io, mentre Bill, alle mie spalle, annuisce, perfettamente concorde, - Abbiamo paparazzi attaccati con le ventose pure ai vetri delle finestre! Sii un po’ più responsabile!
- Ma c’è un caldo che non si sopravvive!!! Perché non ci porti in piscina?! E perché sei vestito di tutto punto?!
- Esco.
- E perché litigavi con Bill?
- Voglio la mia giacca bianca.
- Ma ha le maniche lunghe!!!
- Sta bene coi jeans.
Tom abbassa lo sguardo sui miei pantaloni, nota la loro peculiare aderenza alle mie gambe e si lancia in un verso inorridito tremendamente simile ad un ew.
Io sospiro e cerco di tornare in me stesso. Insomma, sono un essere umano adulto e razionale. Sono tanto intelligente e tanto figo, posso sicuramente avere la meglio su due ragazzini deficienti senza che questo mi obblighi a perdere la mia dignità così, senza un motivo. Allora…
- …David, se vuoi la giacca te la vado a prendere io. – dice a quel punto Tom con aria serafica, fissandomi come fosse un cucciolo di alieno appena sbarcato sulla Terra e si aspettasse che io diventassi la sua guida spirituale attraverso i numerosi pericoli della vita.
- Nooo, Tomi! – piagnucola Bill dietro di me, senza tuttavia trovare la forza di abbandonare il divano e mettersi in piedi, - Traditore!!!
Tom scrolla le spalle ed io mi commuovo.
Anche lui è capace di prove di coraggio! Anche lui ha un’indipendenza! Un cervello! Un perché! Non è solo una medusa col cervello di un organismo monocellulare!!!
- Saresti molto gentile, Tom. – sorrido bonario, trattenendomi a stento dall’impulso di dargli un affettuoso buffetto sulla guancia.
Lui annuisce e sorride angelico, trotterellando felice in camera del fratello ed uscendone subito dopo con aria afflitta.
Preoccupato, mi avvicino.
- Tom? Dimmi che non è successo nulla alle mie giacche.
- No… - biascica lui, contrito, - Sono ancora tutte là…
…tutte?
- …è che proprio questa giacca bianca non la trovo! – conclude, sollevando improvvisamente uno sguardo cuccioloso e lacrimoso.
- …la mia giacca bianca! Cos’è successo alla mia giacca bianca?! – sbraito furente. Afferro Tom e lo sbatacchio di lato per farmi strada, prima di cambiare idea e cominciare a trascinarmelo dietro per l’elastico delle mutande che sporge dai pantaloni. Mi pianto di fronte all’armadio di Bill, lo spalanco… e la individuo. Immediatamente. Al centro dell’armadio. Perfetta e splendente come la ricordavo. Tenuta in perfetta cura.
- Era qui, razza di deficiente! – sbotto, schiacciandogli uno scappellotto pure piuttosto potente sulla nuca, - Come diavolo hai fatto a non vederla?!
Tom si sporge curioso verso la giacca, come a volerla esaminare da vicino.
- Ma David… - risponde infine, dubbioso, - Questa giacca non è bianca… è color perla!
Bill sghignazza in soggiorno. Non so se sia per questa scena idiota o per l’episodio dei Simpson che sta guardando in TV.
Io mi limito a scrollare le spalle, indossare la giacca e dirigermi con aria stanca verso la porta.
Esco pensando con un po’ di paura al fatto che sembra proprio io non sia l’unica checca alla moda di questa casa.
Sinceramente? Mi fa un po’ rabbia che mi si tolga così il centro della scena!
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