Shot facente parte della serie Schmetterlingseffekt.
Genere: Introspettivo, Commedia.
Pairing: David/OMC, Bill/Chakuza, Bill/Bushido.
Rating: PG-13
AVVISI: Slash.
- "Non ci vuole la sfera di cristallo per capire che sarà un disastro, basta un minimo di buon senso; ma dal momento che questo è esattamente ciò che manca a tutti quanti, immagino che possiamo soltanto prepararci al peggio."
Note: Per quanto riguarda questo episodio, posso dire che ho voluto fortissimamente la prima parte - stressando la povera Tab perché la scrivesse dandomi esattamente ciò che volevo, peraltro XD - ed altrettanto fortissimamente ho voluto scrivere la seconda, perché Tom mi mancava tantissimo. L'interazione Tost invece è venuta fuori un po' dal nulla, ma come sempre ha funzionato perché questi due dovunque li si mette hanno una chimica fantastica ♥
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CHAOSTEORIE


Nell'ultimo periodo le cose sono state un po' movimentate; anche se forse questo non è esattamente l'aggettivo giusto per descrivere il tumulto sentimentale-lavorativo che ci ha travolti tutti quanti, che lo volessimo o meno. Il problema di lavorare con una persona come Bushido – e devo averlo già detto da qualche altra parte – è che non puoi davvero aspettarti di passare il tempo facendo quello per cui sei pagato e di rispettare, quindi, un contratto con dei punti ben precisi secondo i quali sei tenuto a comportarti tu e anche i tuoi datori di lavoro. Attualmente, io sono ancora sotto contratto con la Universal – che sebbene sia composta da una manica di schiavisti, sarebbe comunque un bel posto in cui lavorare – ma questo non sembra fregare a nessuno, né ai dirigenti dell'etichetta, né soprattutto a Bushido che da quando è risorto e mi ha chiesto una mano per farlo, ha deciso che io lavorassi per lui. Dal momento che questo non contrasta, ma anzi favorisce, gli affari della Universal, l'etichetta non ha alcun problema a lasciarglielo credere. Così io, in sostanza sono pagato dalla Universal per stare dietro a lui come un bambino ed evitare che faccia cose di cui tutti noi ci pentiremmo. Certo sarebbe tutto più facile se i problemi che Bushido è in grado di causare fossero scandali di medio livello – Anis Ferchichi trovato in possesso di droga – o uscite pubbliche di dubbio gusto – Anis Ferchichi chiede sesso orale in diretta televisiva al frontman dei Tokio Hotel, no aspetta, questa l'ho passata davvero –, cose per le quali basta una sana scrollata di spalle, o al più una bella conferenza stampa o un'azione legale per rimettere le cose a posto; ma Bushido no, lui è in grado di smuovere le montagne, generare valanghe e, con ogni probabilità, deviare l'orbita del pianeta.
Così, dopo essersi reso conto che allungare le mani su Bill questa volta non gli sarebbe servito a niente, perché ad allungare le mani sul mio cantante erano in due e, a meno di non dividerlo a metà, uno dei due doveva lasciare la presa, si è fatto prendere dalla depressione, si è probabilmente sfondato d'alcol come fa sempre quando il primo tentativo non gli riesce come dovrebbe e quindi ha fatto l'unica cosa che poteva fare dopo che la sbronza gli è passata e si è ritrovato nella stessa situazione di prima: ha fatto irruzione in casa mia nonostante io volessi rimanere fuori dall'intera faccenda.
Finché c'è stato da organizzare voli transoceanici ed inscenare la sua morte, non ho avuto grandi problemi ma le loro questioni di cuore sono un'altra faccenda; che può sembrare strano, ma è così che stanno le cose. Io sono il manager di una band musicale e il mio lavoro consiste sostanzialmente nell'organizzare: la vita dei miei ragazzini, i concerti, le conferenze stampa. Quando si parla di organizzazione, non c'è molta differenza tra sistemare le cose perché dopo il concerto ci sia una stanza pronta secondo i desideri di un artista, e oliare le persone giuste perché fingano che qualcuno sia sparito dalla faccia della terra. Si tratta solo di calcolare i dettagli e di mentire. Alcune persone sono geneticamente impossibilitate a farlo, io invece sono bravissimo. Io mento continuamente, mento alle fan quando i concerti vengono ritardati, mento all'etichetta quando Bill dovrebbe aver finito di scrivere una canzone e invece ha passato l'intera settimana a prendere il sole su una spiaggia caraibica con il fratello o con uno dei suoi svariati cavalieri, fa parte del mio lavoro e, in un certo senso, è giusto che io lo faccia. Certo mentire a Bill è stato doloroso, ma di sicuro non complesso, era una cosa che potevo gestire e organizzare. Questa situazione però, no.
Non rientrava nei miei compiti sistemare le cose fra Bushido, Bill e Chakuza. Non spettava a me e non volevo che mi spettasse perché, ad essere del tutto sincero, non avrei saputo da che parte prenderli, nemmeno se, per analizzare la situazione, avessi preso in considerazione cosa fosse meglio per Bill il quale, per quanto possa sembrare un'interpretazione troppo materna, è l'unica vera vittima di questo casino.
Si fa presto a condannare quando non si è stati costretti a vedere le persone soffrire o non si ha avuto paura di perderle da un momento all'altro. Io con Bill questa paura l'ho provata fortissima e ringrazio il cielo che ora sono qui a raccontarvi di come sta facendo un casino dietro l'altro, piuttosto che a parlare al passato di come lo abbiamo seppellito accanto alla bara vuota di Bushido. Com'era logico, la gente si sta permettendo di giudicarlo – lui, ma anche Bushido e Chakuza – ma senza sapere effettivamente che cosa ci sia dietro a tutta questa storia.
Io sono nove anni che mi prendo cura di lui e so di che pasta è fatto. So come si comporta, come ragiona e di cos'è capace. Immagino che cosa deve essergli passato per il cervello nei mesi in cui è rimasto improvvisamente solo e se si guardava intorno non sapeva come fare a rialzarsi o quale motivazione darsi per continuare anche lui a vivere quando l'unica che aveva era appena stata seppellita. Una ragione gliel'ha data Chakuza e lui ci si è attaccato con le unghie e con i denti. Il sentimento che li ha legati, ad un certo punto di questa storia, era così forte che perfino io ho tirato un sospiro di sollievo; mi sono permesso di sperare che un po' di quella felicità ritrovata potesse tenerlo al sicuro dalle mie menzogne. Non mi sorprende, quindi, che sia andato in pezzi quando Bushido è tornato e lui si è trovato nella condizione di dover scegliere fra due uomini ai quali, per un motivo o per l'altro, aveva legato la sua vita. Il suo cuore si è spezzato a metà e nella consapevolezza di non poter trovare una soluzione che non fosse dolorosa, è andato in confusione. Io la trovo una cosa comprensibile, o forse la penso così perché so quanto Bill sia fragile nonostante tutta la forza che possiede. Ho visto quella forza crescere nel corso del tempo e poi frantumarsi sotto un peso troppo grande per lui da sopportare. L'ho sentito cedere di colpo e non è stato facile nemmeno per me; non quando era anche colpa mia.
Quando l'ho incontrato la prima volta, Bill era un cosino spettinato, convinto che avrebbe spaccato il mondo con la sola imposizione della sua persona. Allora io ridevo, pensando che tuttalpiù sarebbero stati famosi per qualche anno e poi forse ci sarebbe stato spazio per farli diventare qualcos'altro e invece sono diventati un fenomeno su scala internazionale. Aveva ragione, a quanto pare, perché il mondo si è piegato al suo volere quasi quanto adesso tutti noi ci pieghiamo a quello di Bushido, ed è per questo che quei due si sono trovati, naturalmente. Hanno una forza di volontà così potente che tu non puoi fare a meno di stargli dietro, anche se uno è viziato e l'altro è assolutamente irragionevole.
Quando Bill e Bushido si sono incontrati, io sono andato dal mio naturopata e gli ho chiesto di prescrivermi qualcosa che mi aiutasse a suicidarmi nel sonno ma lui mi ha detto che non era necessario e che mi sarebbero bastate due gocce giornaliere in più di guaranà per sostenere i miei nuovi impegni. Naturalmente sarebbe stato più facile suicidarmi, ma alla fine ho superato anche questa, e guardate che non è stato affatto facile perché questi due hanno avuto una storia piuttosto travagliata, della quale per altro voi non sapete un accidente perché ciò che vi è stato raccontato – per bocca del re, dei suoi uomini o per la boccuccia santa della loro principessa – è solo ciò che è successo dopo quei due benedetti proiettili. Niente, se non qualche accenno e qualche sporadico episodio, vi è stato riferito di ciò che in effetti abbiamo passato prima che Bill e Bushido diventassero quello che erano quando poi Bushido è morto. Del fatto che la reazione della stampa non fu affatto rosea, ad esempio, per non parlare di quella della crew di Bushido, di Tom e – in misura minore – anche di quelle due anime disperate di Georg e Gustav che ancora mi meraviglio non abbiano preso armi e bagagli e si siano trovati un'altra band che non prevedesse un frontman impegnato nella scalata al trono del ghetto.
In qualche modo, però, ci siamo sistemati e sono consapevole che in gran parte è stato merito mio che ho impedito ai giornalisti di mangiarsi vivo Bill e ho impedito a Tom di togliere per sempre il saluto a quella diva di suo fratello mandando a peripatetiche anni di duro lavoro. Bill, durante tutto questo processo, in cui si è trovato nell'occhio del ciclone, è stato bravissimo, è stato forte e siccome ha la testa dura come il cemento mi ha aiutato a portare avanti la carretta della sua band semplicemente volendo con tutte le sue forze entrambe le cose: la sua carriera e anche Bushido che, diciamocelo, con lui sembrava non azzeccarci assolutamente niente.
E' stato quando è morto che Bill ha perso tutta la sua forza. Si è svuotato completamente come se, morendo, quell'uomo si fosse portato via tutto quello che era e non è più stato lo stesso da quel momento; anche quando Bushido è tornato. Chakuza non lo ha certo rimesso in piedi com'era prima, non poteva dargli quello che aveva perso, così ne ha fatto un Bill nuovo che non sapeva più da che parte andare, perché era un po' dell'uno e un po' dell'altro. E io una cosa del genere non la posso sistemare. Non c'è niente che io possa organizzare per far tornare le cose a posto. E non posso nemmeno mentire, anche se poi in realtà l'ho fatto quando appunto Bushido ha fatto irruzione in casa mia a dirmi che non ero stato un bravo collaboratore e, naturalmente a volere l'impossibile. Come fa sempre.
Lui da me voleva la chiave per risolvere le cose, visto che la sua non aveva sortito un grande effetto. Bushido non è abituato a non ottenere quello che vuole con i propri metodi, non ci arriva proprio che a volte le cose non vanno come vorresti. E' un concetto totalmente estraneo alla sua mentalità. E siccome l'ultima volta che aveva avuto bisogno di un miracolo, l'ho fatto io per lui, pensava, immagino, di poter ripetere l'esperienza; solo che io potevo farlo morire di nuovo, ma non potevo convincere Bill a scegliere lui.
Prima che mi si venga a dire che in realtà tutto quello che è successo dopo è colpa mia, io vorrei far presente che Bushido mi ha frainteso; anzi, meglio, ha finto di fraintendermi e nelle mie parole – per altro chiarissime – ha letto esattamente solo quello che voleva sentirsi dire, giusto per fare quello che pensava di fare fin dall'inizio ma avere anche il mio supporto, in qualche modo.
Quando gli ho detto che, secondo me, l'unica cosa che poteva fare era lottare per il grande amore della sua vita, intendevo dire che si rimboccasse le maniche e riprendesse a corteggiare Bill, non che gli mettesse le mani addosso ad ogni occasione favorevole portando sia lui che Chakuza sull'orlo della follia. Ma ovviamente non potevo davvero aspettarmi che Bushido si comportasse come una persona normale, quindi scemo io che l'ho anche solo pensato. E, aggiungerei, scemo anche Bill che il massimo che sia mai riuscito a fare per allontanarlo in questi mesi è stato dare di matto in mezzo ad un corridoio, rischiando di scatenare la rissa fra lui e Chakuza e dire candidamente al mondo che avevamo per le mani un triangolo.
Da lì le cose sono ovviamente precipitate – d'altronde mi sarei alquanto stupito se uno qualsiasi dei due uomini bruti si fosse fatto da parte con buona pace di tutti – ma io me ne sono tirato fuori, e di questo non mi vergogno. Quando Bill ha mollato Chakuza per rimettersi con Bushido per poi scoparci, chiamarlo Peter e farsi buttare di nuovo fuori di casa, io ho gettato la spugna. Sono un manager, mi sono detto, quando torneranno a cantare mi troveranno pronto ad accoglierli a braccia aperte.
Quindi di come siano andate poi effettivamente le cose per cui la Universal ha finito per dover gestire non solo l'outing di Chakuza, ma pure quello di Fler, io non lo so perché non c'ero e quando c'ero cercavo di non entrare in argomento, di non ascoltarli quando ci entravano loro e di tapparmi anche le orecchie emettendo suoni stupidi se necessario; tanto più che conosco Bill e so che è capace di covare l'inimmaginabile per periodi di tempo non umani e che per questo una soluzione semplice che prevedesse lui e Bushido felicemente fidanzati con altra gente a lavorare insieme di buon grado nella stessa etichetta senza tentare di schienarsi a vicenda o mandarsi a quel paese non era nemmeno ipotizzabile.
Io tutto volevo tranne che cercare di farlo capire all'uno all'altro, perché – nonostante si pensi il contrario – ho anch'io una vita, degli affetti e anche delle cose personali di cui occuparmi, pertanto li ho lasciati lì a fare qualunque cosa volessero fare per rovinarsi l'esistenza e ho dedicato questo periodo a me stesso. Nello specifico sono stato impegnato ad incanalare la quasi totalità della mia energia positiva nella ristrutturazione del mio appartamento ad Amburgo. Nella fattispecie, ho buttato giù la camera degli ospiti e mi sono regalato un salotto più grande, cosa che mi ha permesso non solo di ricomprare l'intero arredamento della stanza – quella di acquistare articoli di design è una gioia che mi concedo troppo poco spesso –, ma anche di pagare degli uomini che girassero per casa seminudi senza per questo venir arrestato. E mi hanno anche ridipinto le pareti! Adoro ristrutturare.
Uno di essi, che ieri ha finito di posare il parquet, ha deciso di trattenersi quando abbiamo scoperto un interesse comune, nel senso che a me piaceva lui e a lui piacevo io, così stanotte ne abbiamo discusso parecchio e siamo giunti ad una conclusione estremamente soddisfacente. Non mi svegliavo così rilassato forse da anni e sto seriamente pensando di fuggire con quest'uomo massiccio, ruvido e meravigliosamente straniero e di non fare mai più colazione su niente che non siano i suoi addominali scolpiti. Sono un uomo commosso; anche se il suddetto muratore, che poi a quanto pare sarebbe un piastrellista, al momento sta curiosando in mezzo alla mia collezione con quelle mani enormi che sono adatte a fare un mucchio di cose tranne che toccare i miei vasi Matti Klenell. Se non gli urlo, è solo perché al momento il suo nome mi sfugge.
Quando torna a posarlo sul mobile, il vaso ondeggia per due lunghi istanti durante i quali io trattengo il fiato mentre lui nemmeno se ne accorge e continua l'ispezione della mia camera, nudo e impunemente tale.
Mi ricorda Bushido, e anche se lo fa in maniera inappropriata, mi aiuta ad alzare il fondoschiena dal letto e ad accettare la dura realtà: la mia vacanza è finita e, che lo voglia o no, devo tornare ad occuparmi della mia carriera, o di quello che ne resta mentre, in mia assenza, Bill e Bushido ne hanno probabilmente decretato la rovina con azioni che non posso prevedere ma che sicuramente sono irreversibili, come quasi tutto ciò che fanno. In questi giorni io ho vissuto un'esistenza beata, privandomi volontariamente di qualsiasi notizia li riguardasse, consapevole che se fosse successo qualcosa di grosso, con ogni probabilità qualcuno sarebbe venuto a prelevarmi direttamente a casa; ciononostante non ho potuto evitare di ricevere la notizia peggiore, perché in sostanza riguarda me e tutto il lavoro che ho fatto anche se ero in vacanza: il tour.
Io spero che sia ben chiaro a tutti – soprattutto a chi sta pagando e pagherà questo progetto – che cosa andremo a fare e come finirà, perché in tutta onestà è meglio se partiamo preparati, piuttosto che credere che questa cosa funzionerà anche solo la metà di quello che si pensava e poi vederla frantumarsi come un castello di carte quando non girerà nemmeno per sbaglio, ve lo assicuro. Non ci vuole la sfera di cristallo per capire che sarà un disastro, basta un minimo di buon senso; ma dal momento che questo è esattamente ciò che manca a tutti quanti, immagino che possiamo soltanto prepararci al peggio.
Ad ogni modo, tragedie sentimentali a parte, c'era anche il problema pratico di mettere insieme dei brani da far cantare ai ragazzi nel corso ci questo mini-tour. Far lavorare le due parti era impensabile perché, aldilà di tutto, non ce n'era proprio materialmente il tempo, e poi Bill ci mette gli anni a buttare giù due righe, quindi anche a mettergli in mano un blocco, allontanarlo dai suoi uomini e costringerlo a pane ed acqua finché non avesse prodotto qualcosa, ci avremmo messo dei mesi. Così il blocco lo hanno dato a me e io ho fatto quello che ho potuto. Ho pensato che potevamo riciclare delle canzoni che i Tokio Hotel canteranno da soli e altre dell'Ersguterjunge che Bushido e Chakuza potranno riadattare a modo loro, e ne ho unita qualcuna su cui i rapper possano fare freestyle, in modo che sembri organizzata – non lo è, ma spero che siano abbastanza professionisti da riuscirci. In fondo è il loro lavoro no? E poi, naturalmente, Prinzessin, che per quanto sia effettivamente carina è il motivo per cui alla fine di questo mese infernale io ammazzerò qualcuno e probabilmente mi ritroveranno coperto di sangue mentre ancora tremo di rabbia repressa.
Il mio piastrellista senza nome mi guarda mentre decreto la fine del nostro proficuo incontro. Ci scambiamo dei biglietti da visita con dei numeri di telefono che non chiameremo mai, ma quasi mi dispiace quando lo accompagno alla porta e lui sorridendo mi dice “Se si alza, chiamami” e io rimango lì a guardarlo per qualche istante prima di capire che sta parlando del parquet.
Due giorni dopo sono di nuovo a Berlino, ho con me l'agenda e il programma da seguire, sono pronto a tornare a lavorare e ho pregato Madonna perché mi aiuti. Un tour che parte a metà ottobre senza quasi nessun tipo di promozione potevamo farlo solo noi, immagino; ma a quanto pare ha funzionato. Il giorno della partenza, ossia oggi, le date non sono ancora sold-out ma molto probabilmente lo saranno e, anche se tutti quanti sappiamo che questa incredibile fortuna è legata al fatto che Bushido è tornato dal regno dei morti per contrastare la relazione della principessa con il suo migliore amico, ringraziamo lo stesso perché poteva andarci molto, molto peggio. Poi mi torna in mente che Justin Bieber sta spopolando senza alcuna ragione logica e quindi mi rendo conto che, tutto sommato, anche noi avevamo delle speranze.
Quando partiamo siamo tanti, troppi, e sembra quasi che l'intera casa di produzione abbia deciso di partire per questo tour lasciando vuoti gli uffici. L'unico che resta sul marciapiede quando i tourbus si allontanano è Fler, che onestamente non so perché sia sempre in giro anche quando lavoriamo perché dovrebbe, non so, andare da Sido e lavorare anche lui; comunque non importa perché, contrariamente alle mie aspettative, siamo partiti davvero e Bushido e Chakuza non si sono ancora ammazzati. Se non lo fanno entro i prossimi venti minuti avrò perso duecento euro, certo, e Georg e Gustav saranno un po' più ricchi ma io sarò un uomo senza dubbio meno stressato e questa è una bella cosa nell'ottica dell'infarto mortale che sicuramente mi aspetta. Sento una spinta di ottimismo, finché non incrocio lo sguardo di Fler oltre il finestrino e all'improvviso vorrei che avessero lasciato sul marciapiede anche me.
*


La teoria del caos, o meglio una parte di essa, dice che ogni piccolo evento, ogni piccola variazione in uno stato iniziale, per quanto apparentemente innocua, provoca variazioni sempre più grandi mano a mano che lo stato iniziale si evolve. Sono perfettamente consapevole del fatto che l’effetto farfalla sia solo una parte di un concetto ben più ampio e articolato, ma punto primo io non ho studiato – o meglio, ho studiato solo fin dove è stato necessario, e non perché mi servisse ma perché lo diceva la legge, per cui tutta la mia cultura sul punto viene da The Butterfly Effect e poco altro, comprendetemi – e punto secondo a me non serve il concetto complesso, per spiegare ciò che voglio dire, e cioè che questa è una teoria assolutamente validissima, ma palesemente incompleta. Nel senso, un battito d’ali di una farfalla può sì generare un uragano in Cina, ma questo posto che ai venti cinesi freghi qualcosa del fatto che, chissà dove, una farfalla ha battuto le ali.
Non sto personificando i venti e gli uragani cinesi, se è quello che vi state chiedendo, e non sto nemmeno impazzendo, perché so che la vostra seconda domanda sarebbe stata questa: sto contestualizzando. A volte non basta che la farfalla e l’uragano siano parte di uno stesso sistema, perché il secondo venga influenzato dalla prima. A volte ai venti cinesi non frega un accidenti che la farfalla abbia spiccato il volo in Papuasia o chessò io, perciò se ne stanno quieti, e starebbero quieti anche se tutte le dannate farfalle del dannato mondo decidessero di spiccare il volo nello stesso dannato momento, tutte assieme, solo per cercare di provocarli.
Nelle ultime settimane, io ho smesso di interessarmi alla vita di mio fratello. Il che non significa che abbia smesso anche di volergli bene, ma solo che la mia sopravvivenza nell’ultimo periodo non ha potuto prescindere dalla mia ignoranza riguardo qualsiasi cosa gli fosse capitata. E sono convinto che, dalle parti di mio fratello, sia capitato ben più di una semplice farfalla che svolazza in giro. Eppure, i miei venti sono calmi.
Bill è sempre stato troppo, fin da quando era piccolo. La sua mania di protagonismo è sempre stata tale da offuscarmi, quasi, e la cosa non poteva che peggiorare mettendo su una band insieme. Da quando esistono i Tokio Hotel – da prima, da quando ne esisteva l’abbozzo – siamo sempre stati “Bill e il suo gemello Tom”. Il problema è che per me è sempre andato bene così, non mi sono mai lamentato, ho sempre trovato plausibile e normale che la mia vita dovesse girare attorno a quella di mio fratello, esserne in un certo senso la conseguenza. Ho sempre pensato di essermi arrabbiato tanto per la faccenda di Bushido perché Bill non me ne aveva parlato prima, ma la pura e semplice verità era che, trovandosi un uomo, Bill stava strappando dalla mia vita quel pezzo consistente che girava sempre e solo attorno a lui. Sarebbe stata la stessa cosa se si fosse trattato di un altro uomo o di una donna qualsiasi, avrei reagito in maniera identica.
Ci ho messo troppo tempo a capire che dovevo semplicemente riappropriarmi di quella parte di me che non gli era mai appartenuta ed aiutarla a crescere, ma quando finalmente l’ho capito è stato tutto molto più semplice. È la vita, uno deve saper crescere. Bill non è mai stato tanto bravo in questo, e il suo problema è che s’era innamorato di un uomo a cui stava bene così, e che perciò per qualche motivo s’è aspettato che, scomparendo, Bill sarebbe comunque rimasto lo stesso, immutabile come una fotografia.
Mio fratello è cresciuto controvoglia, ecco perché non riesce ad accettare di averlo fatto. Se n’è accorto troppo tardi, ecco perché per lui smettere di amare Bushido non è un’opzione. Non sarebbe soltanto smettere di amare un uomo, sarebbe arrendersi agli anni e ad una maturazione che non ha voluto. E questa cosa io la capisco, nei suoi meccanismi, perché conosco mio fratello, ma non sono sicuro di poterla reggere, in nessun modo. Ed ecco perché non ho fatto domande. Non ho chiesto informazioni. E fondamentalmente non so nulla.
In questo senso, essere sistemato nel tourbus con Bushido mi aiuta molto. Non mi aiuta in nessun altro senso, ovviamente, perché a me Bushido sta ancora sul cazzo – nel senso che anche se ora lo conosco meglio e per certi versi lo capisco più facilmente di quanto non lo capissi due o cinque anni fa, mi è rimasto addosso quello strascico di odio infantile che mi ha portato a distruggerne l’intera discografia investendola – e quindi sarei stato molto più felice di organizzarmi sul tourbus di Georg e Gustav, ma d’altronde, come mi ha detto David guardandomi con l’aria di uno assillato da una serie infinita di problemi irrisolvibili, “non possiamo mica lasciarlo da solo”. E no che non possiamo, per cui niente. E comunque, come appunto stavo cercando di dire, meglio qui che con Bill, perché non avrei proprio saputo come affrontarlo, il suo sguardo. Non avrei neanche saputo cosa aspettarmi, se aspettarmi che mi saltasse addosso annegandomi nel tragico racconto degli ultimi mesi della sua vita, o piuttosto che continuasse ad ignorarmi lasciandomi nella mia beata ignoranza. Me lo sono chiesto, prima che David mi esponesse il capolavoro progettuale della sua idea dei tre tourbus da spartire fra noi sei, ed ho concluso che è una delle numerose domande di cui non voglio la risposta. La vita è piena di domande di questo tipo, e io ho imparato a conviverci da tempo.
David ha preso molto sul serio questa faccenda del tour. Io sono convinto che sappia che questa cosa non potrà che essere un drammatico fallimento, ma sono anche convinto del fatto che purtroppo, da qualche parte dentro di lui, in fondo sta sperando che qualche mese di contatti ravvicinati e obbligati possa aiutarci a rimettere insieme quello che c’era prima, a ricucire gli strappi. David sta battendo le ali, ma ignora – volutamente o meno, questo non lo so – che ai nostri venti cinesi la possibilità di rimettere a posto le cose non interessa. Siamo troppo impegnati ad agitarci per i fatti nostri.
A me dispiace per lui, intendo, è un uomo molto pratico, conosce il suo mestiere e sa cosa aspettarsene, ma è anche un uomo molto romantico, in fondo, perciò probabilmente si sta illudendo riguardo qualcosa che non arriverà probabilmente mai, e sicuramente non adesso, non su questo tourbus né su nessuno degli altri che seguono questa carovana depressa che dovrebbe pensare a lavorare ed invece è troppo logora per pensare anche soltanto a cosa vuole. Ed è normale che sia così, intendo, l’organizzazione perfetta di David impedisce a Bushido e Chakuza di prendersi a pugni, questo è ovvio, ma ha anche delle implicazioni non esattamente piacevoli, e non è semplice sentirsi a proprio agio quando Georg e Gustav sono relegati in un tourbus come a rimarcare ulteriormente che con tutta questa situazione c’entrano solo per caso, Bill e Chakuza fingono di fingersi una coppia felice in un altro tourbus a caso e io e Bushido condividiamo il terzo perché almeno fra noi due David non deve aspettarsi che succeda niente di troppo grave.
Non mi si può certo biasimare se io, con tutta questa situazione, ho cercato di non avere niente a che fare il più a lungo possibile. Anche perché non c’è niente che io possa fare per risolverla, l’unico che possa prendere la decisione adatta – ed io non saprei nemmeno suggerire un’ipotesi – è Bill, ma Bill non vuole decidere. Bill vuole fingersi piccolissimo e aspettare che qualcun altro decida per lui, che degli uomini si prendano a cazzotti sul naso per la sua virtù, che un cavaliere arrivi in groppa al suo cavallo bianco e lo salvi. E questo non perché Bill, contrariamente al suo nomignolo, abbia mai avuto qualche fantasia alla Raperonzolo o alla Bella Addormentata nel Bosco, ma semplicemente perché mio fratello non ha mai saputo come tirarsi fuori dai guai da solo, ha sempre aspettato che fosse qualcun altro a salvarlo. Bushido forse pensava di averlo cambiato in tal senso, ma si sbagliava. Mio fratello cambia solo alle proprie condizioni, e pur crescendo non matura. Varia e basta, come i colori sullo spettro visibile, dal violetto al rosso, ma resta sempre la medesima cosa. Il suo cambiare è una questione di intensità, non di sostanza. Qualcuno prima o poi dovrà capirlo, e cercare qualcosa di utile da fare con questa consapevolezza, visto che io non ci sono riuscito.
La parte più razionale di me mi spiega che per Bill è più difficile di quanto non lo sia per tutti noi, il che è motivato appunto dal fatto che lui una soluzione non prova nemmeno a trovarla, si lascia naufragare fra i problemi, che è il modo peggiore per affrontarli, ma è sempre questa stessa parte razionale che, ogni volta che mi guardo allo specchio, mi ripete che a me non importa. Ed è vero, sapete?, indipendentemente da quanto assurdo possa sembrare. La mia spalla sarà sempre pronta ad accogliere le lacrime di Bill. Sempre. Sempre. Ma solo quando sarà lui a decidere che è da me che vuole venire a piangerle. Io non posso continuare a corrergli dietro, ha già sufficienti uomini che lo fanno, per un motivo o per un altro, e io non voglio e non posso essere uno di loro. Sono suo fratello, lui sa che ci sono, o almeno lo saprà quando deciderà di uscire dal tunnel del “nessuno mi capisce, nessuno può aiutarmi”, non ho alcun bisogno né motivo di comportarmi come se fossi il suo ragazzo. A lui non serve, e nemmeno a me.
Il disastro totale del primo concerto del tour stupisce solo David, e non riesco a capire perché. Se stava cercando di appellarsi alla nostra presunta professionalità perché tutto andasse nel migliore dei modi, mi sembra evidente che aveva fatto affidamento sul nulla. Ma poi David ci conosce, via, sa che Bushido è di un’irresponsabilità perfino irritante, sa che per Bill la professionalità è solo l’ultima delle note a fondo pagina del libro mentale in cui ha imparato a comportarsi da diva e sa che fondamentalmente Chakuza è uno che volendo è anche un gran lavoratore, ma Bill nella sua testa ha la priorità perfino sull’aria che deve ricordarsi da respirare. Da un simile manipolo di imbecilli – e non lo dico nemmeno con affetto – non poteva davvero aspettarsi un comportamento razionale. E così lui, come tutti, ha dovuto rassegnarsi di fronte allo spettacolo agghiacciante del rap svogliato di Bushido, degli attacchi fuori tempo e fuori tono di un Bill troppo impegnato a compiangersi per notare la folla di ragazzine adoranti ai suoi piedi proprio di fronte al palco, e di un Chakuza che ci prova ma non riesce a concludere niente di concreto perché morso da chissà che preoccupazioni e sensi di colpa, mentre Georg e Gustav sospirano, si danno da fare, non ricevono supporto e io strimpello la chitarra solo perché m’hanno detto che è questo ciò che devo fare.
A metà concerto, durante la pausa, Bill decide arbitrariamente di scorciare la scaletta. Nessuno protesta. Io guardo altrove. David prova a dire qualcosa e lascia perdere il secondo successivo. Torniamo sul palco e facciamo quattro canzoni a fronte delle dieci che in teoria dovevamo ancora proporre al pubblico, e quando torniamo dentro, una volta finito, da fuori non ci chiedono neanche il bis. È una cosa che non mi è mai capitata da quando ho cominciato a suonare, e mi rendo conto all’improvviso che un po’ fa male. La fama non è mai stata una certezza, nella mia vita, ma l’amore del pubblico che ci seguiva sì. Sentirlo scemare così improvvisamente – e solo per colpa della nostra evidente incuria – mi ferisce. Vorrei prendere tutti a ceffoni, riportarli in sé, strillare loro che c’è gente che ha pagato, di fuori, e che tutto ciò che possiamo e dobbiamo fare è tornare sul palco e fornir loro uno spettacolo che valga tutti i soldi che hanno speso, ma mi basta lanciare uno sguardo in giro per capire che parole simili non sortirebbero il minimo effetto. Temo che non riuscirei a scuotermi nemmeno da solo, figurarsi gli altri, perciò sospiro e seguo gli altri in una fila scomposta e lenta, finché non torniamo tutti a rifugiarci nei nostri tourbus, divisi per gruppo di appartenenza perché così quantomeno non dobbiamo guardarci negli occhi e odiarci.
Bushido si rintana nella sua cuccetta non appena mette piede all’interno del tourbus. Io resto sveglio, vago in giro senza sapere cosa farmene di me stesso mentre la carovana si mette in moto e fuori dai finestrini la notte si fa più buia che mai. Ci muoviamo verso la prossima città, verso il prossimo disastro annunciato, e io non trovo niente di meglio da fare che accendere il portatile e passare le ore a fare solitari. Ogni tanto cambio il mazzo di carte giusto per ravvivare un po’ il tutto e non vedere sempre le stesse identiche cose. Perché sono stufo di non veder cambiare mai niente. Perché mi fa rabbia non avere il potere di cambiare niente, tranne queste cose minuscole.
Il tourbus si ferma verso le quattro del mattino, ancora neanche albeggia. Io sono sveglio come quattro ore fa, e appena ci fermiamo scendo immediatamente. Siamo nella piazzola di una stazione di servizio, ci sono tutte le luci accese e c’è in giro un sacco di gente. Tutti gli autisti, tanto per cominciare, anche se molti stanno dandosi il cambio, quindi si aggirano sonnolenti per la piazzola bevendo solo un po’ d’acqua e rifiutando con un sorriso terrorizzato ogni offerta di caffè. Agitano pure le mani. Li adoro gli autisti di notte, li vedi che si tengono su solo per forza di volontà, sono creature da cui c’è sempre da imparare.
Anche tutti i membri dello staff sono svegli. Alcuni bevono un po’ di birra, sono per lo più riuniti a gruppetti e chiacchierano del più e del meno. Qualcuno prova a commentare l’esibizione di oggi, qualcun altro lo ferma immediatamente dicendo “guarda, non parliamone nemmeno”. Mi sale addosso una gran rabbia. Non contro di loro, in generale.
David se ne sta per i fatti suoi, seduto su una specie di ringhiera in ferro. Sorseggia un caffè annacquatissimo e probabilmente disgustoso e fissa il vuoto come se non capisse cosa ci stia a fare lì in quel momento. Mi avvicino e cerco di sorridergli. Mi riesce male, ma tanto lui non mi sta guardando.
- Dovresti essere a dormire. – mi dice atono, e manda giù un po’ di caffè.
- Non ho sonno. – rispondo io, appoggiandomi al suo fianco sulla ringhiera. – Come stai?
David ride amaramente, sbuffando un po’.
- Non lo so. – risponde sinceramente, - Ma la cosa importante dovrebbe essere come state voi.
Rido anch’io, dondolandomi un po’ avanti e indietro.
- Mi sa che non è importante nemmeno questo.
David sospira e mi guarda di sfuggita, prima di tornare a fissare il vuoto di fronte a sé.
- È solo qualche mese, Tom. – mi dice con aria rassicurante, - Portiamo a casa il lavoro e poi prometto che avrete un po’ di vacanza. Vi farà bene.
Io annuisco – anche se è un gesto più che altro istintivo, non è che davvero ci creda – e mi inumidisco le labbra.
- Chissà se ce la facciamo, a portare a casa il lavoro. – dico a mezza voce, allontanandomi di qualche passo. David mi guarda con gli occhi spalancati, come non potesse credere alle mie parole. È evidente che non aveva tenuto conto del fatto che il suo battito d’ali avrebbe potuto creare un uragano che, in qualche modo, gli si sarebbe ritorto contro.
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