Fandom: Originali
Genere: Romantico
Rating: PG
AVVISI: Girl's love.
- Forse non cambia niente comunque, ma le possibilità mancate sono rimpianti che ti porti dietro per la vita.
Commento dell'autrice: XD Mwha, una oneshot di denuncia sociale XD Scherzi a parte, era nato come tentativo di illustrare *unicamente* la possibile reazione di una coppia gay di fronte al non raro impulso di avere un bambino, ma poi, com’è ovvio, come tutto, è sfociato nel racconto di una storia d’amore che alla fine si conclude con un nulla di fatto. Della storia fra Lena e Mari rimane solo amarezza, solo un rimpianto. E, come cerca di dire Lena stessa nel finale, prima che Mari l’interrompa, forse perché sentirsi dire una cosa simile le farebbe comunque ancora troppo male, probabilmente si sarebbero lasciate lo stesso, ma non è una questione di cosa succede alla fine dei conti, è una questione di possibilità mancata. È questo, il rimpianto maggiore che spero di aver messo bene in risalto.
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Chances


- Ma la cosa che mi fa più incazzare è che, sapendo perfettamente cosa ero venuta a chiederti, perché mi conosci da sette fottutissimi anni, e sapendo anche che non me l’avresti concesso, sei comunque rimasto ad ascoltare questa mia patetica filippica senza interrompermi! Hai idea della quantità di tempo che ho perso qui?! Hai perso tempo anche tu, e perché? Perché sei un coglione! Avresti dovuto fermarmi!
- Adesso calmati, Mari, e che cavolo! Ti presenti qui, ben consapevole di non possedere uno che sia uno dei requisiti richiesti per l’adozione di un bambino e mi chiedi di aiutarti in quella che è, a tutti gli effetti, una crociata già persa! Cosa vorresti che facessi?!
- A parte il fatto che la normativa sull’adozione è razzista e disgustosa, ti sto dicendo un’altra cosa: se sapevi che mi avresti detto no, perché mi hai lasciato pontificare?
- Anche tu sapevi che ti avrei detto no, ed hai pontificato lo stesso. Ho pensato che magari era solo un modo per sfogarti, ecco perché non ti ho fermato…
- …ma come cazzo ragioni?! No, perché non capisco proprio! Ah, basta, fanculo.
Si alzò, sistemando la gonna al ginocchio e stirandone le pieghe.
- Vai via?
- Vado via sì, che ci sto a fare qui?
- Potrei invitarti a prendere un caffé!
- Ed io potrei strangolarti, tanto per cambiare!
- Capito l’antifona. Salutami Lena!
- E tu salutami la mano con cui dovrai passare la serata tutto da solo, visto il tuo carattere di merda.
- Anche io ti voglio tanto bene!
**

- Perché sei così furiosa? Datti una calmata!
- Ho sprecato la mattinata! Avrei potuto fare qualcos’altro.
- Tipo?
- La spesa!
- Ti avevo detto che l’avrei fatta io, ed infatti…
- Non capisci. Non è questo il punto. È stato pesante per me andare da lui e dirgli “sai quant’è importante per me, questa faccenda dell’adozione, io e Lena saremmo veramente felici se potessimo avere un bambino”.
Lena sbuffò, distribuendo i pacchi di pasta che aveva comprato al loro posto sullo scaffale.
- Che c’è? – chiese Mari stupita avvicinandosi alla sua ragazza, per poterla guardare meglio negli occhi.
- Sono stanca di questa storia del bambino, ok?
- …che intendi?
- Senti. Evidentemente, fisicamente parlando non ci è permesso avere un figlio autonomamente. Per una fecondazione assistita dovremmo andare in Svizzera o che so io, o rimanere in Italia e fare tutto clandestinamente come criminali, e a quanto pare per l’adozione non siamo socialmente idonee. Mi sto stressando, non ne voglio più sentire parlare.
- …va bene, Lena, scusami. Non pensavo… - abbassò lo sguardo, mentre la vista le si offuscava, - che per te fosse tanto pesante.
- Lo è, perché tu non sembri interessata ad altro! Mi dici che senso ha dal momento che, lo sai, non hai speranze?!
- Scusa…
- Ah, fanculo! Spero che almeno capisca che non ti sto parlando così perché io un bambino non lo voglio. Tu sai perché sono furiosa, vero?
- Sì… sì. È il mio modo di affrontare la cosa, non il bambino in sé…
- Esatto.
Esatto… raccontamela, Lena… raccontatela.
- E adesso basta. Se, un giorno, cambieranno le leggi, vedremo cosa fare.
Mari aveva sempre odiato i periodi ipotetici.
**

- Pare che stasera non sarò solo, dunque!
Ci mise poco a notare le lacrime e cancellare dalla faccia quell’espressione beota di scherno, per concentrarsi completamente su di lei.
- Che è successo?
- Niente. Posso restare un po’?
- Sì, certo… hai litigato con Lena?
Schietto e privo di qualsivoglia discrezione. Bravo Dami.
Mari annuì lentamente, abbandonandosi pesantemente su uno dei divani in pelle bianca del salotto.
- Fammi indovinare: non le è andata giù la faccenda dell’adozione.
Lei esitò un attimo.
- In un certo senso.
- Guarda, Mari, a me dispiace davvero, ma…
- No. Non è per il tuo rifiuto.
Sfilò le scarpe, raggomitolandosi poi sul divano con le ginocchia al petto.
- Il problema sono io.
Dami si sedette sulla poltrona di fronte al divano, accavallando le gambe.
- Il mio modo di insistere sulla cosa.
L’uomo infilò una mano in una tasca dei pantaloni, estraendone un accendino ed un pacchetto di sigarette. Ne accese una.
- Non lo vuole davvero, questo bambino. – concluse abbassando lo sguardo e lasciandosi sfuggire un sospiro.
Dami aspirò ed espirò, emettendo uno sbuffo di fumo che velocemente si dissolse nell’aria.
- Insomma… - disse chinandosi in avanti verso la donna, - E’ innegabile che tu sia un po’ fissata con questa storia.
Mari sollevò lo sguardo su quello, sincero, dell’amico.
- Ma fottiti, va’! – disse saltando in piedi e cercando frettolosamente le scarpe per terra.
- Oh… che fai?
- Me ne vado, cazzo! Uno viene qui per farsi consolare e che fai tu? Mah.
- Aspe’, Mari! Calmati adesso! Vedi? È perché t’incazzi così facilmente che finisci col litigare con tutti!
- Parla l’uomo evidentemente circondato da donne in atteggiamento venerante.
- …ok, grazie della solita, adorabile frecciatina.
- Sì, scusa. Ma quando ci vuole…
- Ok, ok. Adesso siediti e parliamone.
Obbedì di buon grado.
Effettivamente, si sentiva pesante. Ma pesante in molti sensi.
Innanzitutto, si era osservata, anche se dall’interno e non con occhi assolutamente imparziali, e sì, si era resa conto di avere insistito un po’ troppo. Quando aveva parlato con Lena del bambino lei era sembrata entusiasta quanto lei. Lo era davvero, probabilmente. Ma ecco, capita anche nelle migliori coppie che si dica “massì, va’, facciamo un bambino!”, e poi si ritorna coi piedi per terra e ci si chiede come fare a mantenerlo, a chi lasciarlo mentre si va al lavoro, e queste sono solo questioni di ordine pratico, non parliamo poi di quelle di ordine psicologico-etico-sociale quali, ad esempio “riuscirei ad essere un buon genitore?” o “ad anteporre al mio il bene di mio figlio?” e così via.
Il ritorno alla realtà, quando la coppia è omosessuale, è ancora più duro. Non perché la mentalità omosessuale sia poi così terribilmente aliena rispetto a quella degli altri, ma per difetti di conformazione legale e sociale che negli ultimi anni di questo mondo sembrano acuirsi in maniera irrazionale ed ingiustificata. Già la frase “facciamo un bambino”, azione quantomeno meccanicamente semplice quando si è etero, risulta inappropriata. Come giustamente le aveva fatto notare Lena, si parte già dal presupposto del viaggio in Svizzera o dell’adozione – tutte cosine semplici semplici, eh? E ci si complica ancora di più la vita se lavori part-time e la tua ragazza frequenta ancora l’università – che poi sarebbero difficoltà anche per coppie normali, comunque. Senza un soldo, non solo non puoi andare da nessuna parte, ma entri immediatamente nel gioioso gruppo delle “persone a cui mai e poi mai si dovrebbe affidare un bambino”.
Dopo l’entusiasmo, entusiasmo?, iniziale, per Lena era arrivato il risveglio, ed il conseguente sconforto. Sconfitta dalle difficoltà prima ancora che si presentassero, appena in prospettiva, aveva cominciato a detestare l’idea del processo che porta ad avere un bambino, e quindi il bambino stesso, che di quel processo è immancabile risultato. Immancabile, più o meno.
Per Mari invece era stato diverso. Chissà perché, l’immagine dolce di un bambino per casa non era riuscita a scivolare fuori dai suoi sogni, risalenti addirittura all’infanzia, probabilmente, e dunque sì, era stata noiosa, irritante, ripetitiva e pesante. Ma solo perché non aveva alternative. Non c’era altro modo per dimostrare, a Lena per prima ed al mondo poi, che il semplice fatto di non poter ottenere qualcosa non gliela faceva dimenticare, non faceva dimenticare il torto, la frustrazione, la possibilità mancata. Perché è anche una questione di possibilità.
“Non è così che funziono io, non sono portata a rassegnarmi”, aveva constatato spesso, ed era vero.
- Ma perché insisti tanto nel volere un figlio? Avresti difficoltà infinite solo per comprare ciò di cui avrebbe bisogno, senza pensare poi a quelle che dovresti affrontare nell’inevitabile scontro con i membri più “aperti” di questa nostra società…
Perché? Bella domanda. Cui non avrebbe mai potuto rispondere, perché non aveva mai formulato una risposta di tipo verbale. La sua motivazione era di stampo puramente visivo. Cioè, un giorno aveva guardato Lena, non ricordava cosa stesse facendo, non era importante, ma l’aveva guardata, quell’immagine si era fusa con i suoi sogni di bimba ed aveva pensato “ecco, mi piacerebbe avere un figlio da lei”, e quel desiderio non se n’era andato più.
**

- Posso restare a dormire qui?
- Sei tanto spaventata dal dover affrontare la più che giustificata e legittima stanchezza di Lena?
- Non fare domande importune…
- Ok, ok! Comunque sì, certo che puoi restare, tanto non ho ospiti.
Mari lo fissò a lungo. Poi parlò.
- Un giorno ti insegnerò ad amare per bene le donne.
- Che cazzo vuol dire?!
- Bè, non puoi fare a meno di far scappare tutte le donne che, in un modo o nell’altro, riesci a portarti a letto…
- Non sono io che le faccio scappare, lo decidono loro autonomamente, e senza neanche degnarsi di chiedermi un parere.
- Se lo fanno tutte mi sa che il problema sei tu, non ti illudere.
- …bè, a dire la verità non proprio tutte… tu sei rimasta.
- E guarda caso sono l’unica che non ti sei scopato! Credo di avere individuato la natura del problema!
- Ma va’! – disse tirandole addosso una gigantesca maglietta a mezze maniche, - Cerca di andarti a coricare, prima che ti spezzi in due.
**

- Ciao…
- Ciao…
- Ti prego, dimmi che non sei ancora arrabbiata con me per lo sfogo di ieri!
Mari sollevò uno sguardo stupito.
- …dimmi tu che non sei ancora arrabbiata con me per come mi sono comportata in questi mesi!
- …ah, ho capito. Stanotte sei stata da Damiano che ti ha fatto riflettere sulle tue numerose colpe… - disse Lena ironica, incrociando le braccia sul petto.
- Io sono perfettamente in grado di comprendere le mie colpe da sola, se permetti. – asserì lei ferita nell’orgoglio.
- Sì, come no. – concluse Lena, accompagnando le parole pungenti ad un sorriso talmente dolce, talmente luminoso, talmente intimo che Mari scordò l’offesa e quasi le corse incontro, baciandola sulle labbra.
- Allora che hai deciso? – chiese Lena quando si furono separate.
- Mmmh… per ora non parliamone. – disse Mari zittendola con un altro bacio e correndo con le mani al gancio del reggiseno.
**

“Ora” divenne un tempo insolitamente lungo. “Per ora non parliamone” vuol dire “adesso baciami, che ho voglia, ma quando abbiamo finito riprendiamo l’argomento”. Ed invece era diventata un’intera settimana di silenzio, e Lena era abbastanza intelligente – e soprattutto abbastanza innamorata – da capire che la questione era tutt’altro che chiusa, piuttosto persisteva minacciosa sopra le loro teste, sotto forma di nuvoloso rimpianto inespresso.
Il che voleva dire che non importava quanto l’argomento “figlio” fosse per lei fastidioso da affrontare, perché semplicemente andava fatto.
- Mari, dobbiamo parlare. – disse gravemente una domenica mattina mentre facevano colazione.
- Che c’è? – chiese la donna, preoccupata dal tono, sollevando lo sguardo su di lei.
Lena posò il cucchiaio con cui stava recuperando i biscotti dal latte e, dopo aver assunto un atteggiamento se possibile più serio di quello di poco prima, parlò.
- Perché questa ostinata ed infantile elusione del problema?
Anche Mari posò il cucchiaio, e si chinò in avanti, sporgendosi verso la sua ragazza, e parlandole con cautela ed a bassa voce, come coi pazzi, o con i mocciosi. Già di per sé abbastanza offensivo.
- E’ successo qualcosa che mi sono persa…?
Lena sbatté una mano sul tavolo.
- Non prendermi in giro! So bene che, anche se non ne parli, non fai che pensare al fatto dell’adozione!
Mari sbuffò.
- Che palle, Le’!
- Sì, sarà, ma dobbiamo parlarne lo stesso.
L’altra si fermò a guardarla, silenziosa.
- Tu dimmi cosa ci sarebbe di cui parlare.
Bè. A questa cosa, nel particolare, non aveva pensato.
- Perché come la cosa mi fa sentire lo sai, e sai pure che comunque non c’è niente da fare. Le lamentele sono sterili. E poi… - abbassò lo sguardo sul latte, - mi fa male che a risollevare la questione sia proprio tu.
- E perché? – chiese spalancando gli occhi.
- Me lo devi chiedere?! – esclamò Mari alzando improvvisamente la voce, - Tu non l’hai mai voluto, e vedere le mie speranze definitivamente distrutte per te è stata una liberazione!
Punta sul vivo, per qualche secondo Lena non seppe che fare. Poi, lentamente, si alzò in piedi e pensò di uscire dalla stanza. Mari lo intuì.
- Non ci provare! Non abbandonerai questa stanza fuggendo, e magari sbattendo la porta come se la colpa fosse la mia presunta insensibilità nei tuoi confronti, o come se ti avessi offeso mentendo sul tuo conto! – disse, e dopo averla aggirata, fu lei ad uscire, lasciandola in cucina, sconvolta, a fissare le mattonelle.
**

- Sembra che voi due vi siate fatte la strana idea che casa mia possa essere un porto franco per quando litigate e non volete vedervi per un po’.
- Ti prego, Damiano, non sono in vena.
- Vorrei solo capire cosa diavolo vi sta succedendo e perché vi ostinate a trascinarvi dal vostro povero avvocato come se possedesse la soluzione per ogni problema!
- Non è così, ho solo bisogno di un posto dove stare finché non le sbollisce la rabbia.
- Ah, quindi intendi dormire qua?!
- Che problema c’è? Non mi faresti mai niente, e senza dubbio io non farei mai niente a te.
- Potrei essere in dolce compagnia!
- Ti prego! Non ti ho mai visto portare una donna a casa, concludi e ti fai mollare sempre nell’arco di un paio d’ore, e sempre all’interno del locale in cui hai rimorchiato. Non sei mica una persona normale…
- Quando tu e la tua donna la smetterete di preoccuparci ad osservare la mia vita sentimentale, forse riuscirete a gestire un po’ meglio la vostra.
Lena incassò senza fiatare.
- Comunque fai come vuoi, ormai questa casa è un albergo ad ore. – concluse porgendole una maglietta presa da un cassetto.
- C’è l’odore di Mari, qui.
- A prova tangibile che mi sfruttate come rifugio di guerra.
**

- E’ stata qui, io lo so.
- Arrivi tardi. Si è volatilizzata prima di colazione.
- Se la stai nascondendo ti trucido.
- Controlla negli armadi, se ti fa stare meglio. – sbuffò Dami mandando giù l’ultimo boccone di Buondì e partendo all’assalto della caffettiera già colma.
Con sguardo sprezzante, Mari si limitò ad aprire le porte di due o tre stanze a caso ed assicurarsi che, effettivamente, non celassero niente.
- Allora dov’è?
- Che ne so? – disse Dami con una scrollatine di spalle, sorseggiando il caffé, - Sarà a casa, no?
- Vengo da lì.
- Forse è in facoltà?
- Non mi ha detto che doveva andarci.
- Perché, invece ti aveva detto che voleva venire qui?
- Certo. Io so sempre tutto. Allora, mi vuoi dire dov’è?
- Non lo so! Io e Lena non siamo così intimi da dirci dove andiamo e quando ci muoviamo!
- Perché invece lo siete abbastanza da offrirvi ospitalità durante la notte, vero? – ribatté Mari con un sorrisetto sarcastico.
Dami realizzò e schioccò le dita.
- Perché tu invece contavi sul contrario, vero?
- Certo! Non trovando asilo qua sarebbe tornata a casa, io l’avrei perdonata e sarebbe stato tutto più o meno come prima.
- E non sarebbe stato più semplice perdonarla subito ed evitare di coinvolgere me? Stronza!
Mari scrollò le spalle.
- Sarebbe stato diverso. Perché avrebbe dovuto fare lei il primo passo e chiedere scusa per tornare a casa.
- Per quanto io ritenga tutto questo ridicolo, infantile e veramente bastardo, tanto da somigliare ad una pratica sadica, potevi almeno chiamarmi per avvertirmi di questo tuo piano diabolico, e non le avrei nemmeno aperto la porta.
- Va’, sei un essere inutile. Cosa ti ha detto quando è andata via?
“Credo che stare con Mari non sia giusto. Non posso darle quello che vuole, non potremmo averlo comunque, è meglio che per un po’ le stia lontana”.
- Nulla.
**

Seduta davanti al pc, Mari tentava di ragionare.
Dove cazzo è? Cosa vuole fare? Cosa aspetta a tornare?
Non doveva pensare a Lena, voleva concentrarsi sul benedetto solitario che aveva di fronte. Ma… come eludere il ricordo? Lei non usava affatto spesso il computer, Lena lo usava molto di più per le tesi e per tutte quelle cose che gli universitari fanno e di cui lei non sapeva niente. E per cercare di evitare di pensare ossessivamente alla sua ragazza scomparsa che non le rispondeva al telefono, cosa si metteva a fare? Con cosa occupava la mente? Con lei sotto un’altra forma, ovviamente, con lei sotto forma di documenti word e così via.
Si passò una mano sulla fronte, spegnendo il pc. Dopo un attimo di immobilità, sollevò la cornetta del telefono al suo fianco e compose il numero di casa di Dami.
- Pronto?
- S’è fatta vedere?
- Oh, ciao Mari, anche io sono contento di sentirti!
- …
- …no, nessuna novità.
Scoppiò a piangere, mordendosi il labbro inferiore. Poteva sentire l’imbarazzo di Dami, dall’altro lato. Il suo non saper cosa fare.
- Vuoi che venga da te?
- No… - rispose con voce lamentosa per via delle lacrime.
- Guarda, avvicino un po’, non mi va di lasciarti sola mentre stai così…
Cercò di riprendere il controllo, deglutendo.
- No, dai… sto bene… Oh, sono già le dieci, io mi vado a coricare, ci sentiamo.
Interruppe la conversazione, prima che Dami potesse replicare, e lasciò la cornetta fuori posto, perché non voleva essere disturbata. Filò a letto, ma sapeva già che non sarebbe riuscita a prendere sonno.
**

- Senti, tu te ne devi andare. – disse Dami recuperando la giacca dall’appendiabiti all’ingresso.
Lena, stordita e spaventata dalla possibilità di rimanere senza un letto (e sempre senza un soldo) nel bel mezzo della notte, si limitò a rivolgergli un’occhiata supplichevole, senza sapere cosa dire.
- Dico sul serio. Tu, se proprio vuoi, puoi anche non tornare più da Mari, ma non puoi espormi a questo pericolo. Io sono il suo migliore amico, lo capisci? Non posso ospitarti, soprattutto perché dovrei mantenere il silenzio sulla tua presenza qui, e questo non mi va giù.
Sospirò, aprendo la porta.
- Vado da lei, non farti trovare a casa quando torno.
Lena si abbandonò sul divano, senza forze, cercando di riflettere.
**

Quando lo vide spuntare, nonostante fino ad un minuto prima non desiderasse altro che rimanere sola, si sentì molto grata. Gli si gettò fra le braccia, stringendosi disperatamente a lui, aggrappandoglisi alla giacca in un gesto di tenerezza che non le era usuale, più che mai nei suoi confronti.
- Adesso calmati, dai… - disse lui spingendola dentro casa e chiudendosi la porta alle spalle.
Lei continuò a singhiozzare, camminando all’indietro senza averne consapevolezza, unicamente perché a guidarla era Damiano.
- Mari… forza, forza… siediti.
Obbedì, e lui la seguì nel movimento, sedendosi al suo fianco sulla panca dell’ingresso.
- Ma perché sei venuto, eh? – gli chiese con imbarazzo, asciugando con foga le lacrime dalle guance.
- Che mi chiedi? Non potevo lasciarti da sola…
- Non mi hai riportato lei, però…
- …come avrei potuto?
Mari scosse il capo.
- Non avresti potuto, è vero. Ascoltami, Dami… sono contenta che tu sia qui, ma davvero… l’unica cosa che potrebbe consolarmi adesso sarebbe vederla entrare da quella porta, per restare.
- …
- …scusa.
Dami chiuse gli occhi e sospirò.
- Senti, vieni a dormire da me.
- No, devo…
- Tu vorresti stare qui in attesa del suo fantomatico ritorno, ma se fino ad ora non s’è vista dubito la si vedrà prima di domattina, ed io so che tu, pur sapendolo, saresti in grado di restare sveglia ad attendere anche per tutta la notte, per non dire tutta la vita. Non posso consolarti, ma almeno posso salvarti da una nevrosi.
**

Quando sentì girare la chiave nella toppa, si alzò immediatamente in piedi, come se farsi trovare in quella posizione – come stesse per andar via – la giustificasse dal trovarsi ancora lì. E siccome era già alzata, le venne facile, quando riconobbe la figura di Mari accanto a quella di Damiano, fare un passo indietro, terrorizzata dallo sguardo sconvolto della sua ragazza e da quello attonito dell’uomo.
- Che ci fa qui?
La voce di Mari, per quanto bassissima, risuonò nella stanza con un fragore tale che risultò impossibile non sentirla, ma la sua domanda non ottenne comunque risposta.
- Lo sapevi, vero? È impossibile che non lo sapessi.
Damiano capì che giustificarsi sarebbe stato sbagliato quanto mentire, e si limitò ad annuire, borbottando una scusa.
Mari si fece avanti, andandole vicino. Lena non si mosse.
- Sono stata preoccupata per te. – le disse, - E mi sei mancata molto. Ma adesso probabilmente riesco a vedere quello che tu stessa volevi che io vedessi lasciandomi sola così. Sono stati… tre anni intensi.
Si voltò, incedendo verso la porta. Lena abbassò lo sguardo, e presto fuggì in un’altra stanza.
- Mari… - provò ad attirare l’attenzione Dami mentre usciva, ma lei lo fermò.
- Chiamami domani. Vado a letto, adesso.
E glielo disse senza neanche guardarlo negli occhi. Lui le chiuse la porta alle spalle e poi raggiunse Lena nell’altra stanza, per assicurarsi che non facesse qualche pazzia. La trovò seduta in un angolo, in lacrime. Avrebbe voluto chiederle perché piangesse, dal momento che la fine di una storia le cui pretese si stavano facendo troppo pesanti era esattamente ciò che voleva, ma poi pensò che non necessariamente le due cose erano connesse, e le mise una mano sulla spalla.
La storia fra Lena e Mari finì senza un preciso chiarimento, e così Lena non capì mai fino a che punto Mari l’avesse amata, e Mari non seppe mai se veramente Lena odiasse poi tanto l’idea di avere un bambino con lei. È raro, d’altronde, che con tanti punti ignoti una storia possa andare avanti.
**

Si rividero l’anno dopo, alla festa di un comune amico. Si sorrisero e si salutarono calorosamente. Erano tutte e due sole.
- E come sta Damiano? Siete… ancora amici?
- Sì. – rispose Mari sorridendo, - E tu stai bene?
Lena annuì. Mari la guardò con tenerezza.
- Sai… - disse dopo mezz’ora di silenzio pieno di ricordi, - a volte penso che forse, se ci si fossero presentati meno intoppi e fossimo riuscite ad avere quel bambino mentre anche tu ne eri così entusiasta, allora… - sospese la frase dal chiaro finale.
- Io penso… - cominciò Lena a disagio, guardandosi la punta delle scarpe.
- Sì, lo so cosa pensi. Hai ragione. – la interruppe Mari concludendo.
Lena aveva ragione, sì, ma la possibilità l’avevano mancata lo stesso.
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