Genere: Introspettivo/Romantico
Rating: PG13
- La storia di un ragazzo innamorato di una donna sposata, condita con una massiccia dose di seghe mentali ;)
AVVISI: Nessuno.
Commento dell'autrice: Uhm… il primo aggettivo che mi viene in mente per questa storia è “simpatica”. Una cosa a metà fra il personale e l’estraneo, fra il comico, l’introspettivo ed il romantico. Mi è piaciuto scriverla, più la prima parte – quella più spensierata, per intenderci – della seconda, però alla fine sono soddisfatta del risultato nella sua interezza, anche se la quantità di seghe mentali del protagonista è arrivata a farmelo detestare, questo racconto ._."
Rating: PG13
- La storia di un ragazzo innamorato di una donna sposata, condita con una massiccia dose di seghe mentali ;)
AVVISI: Nessuno.
Commento dell'autrice: Uhm… il primo aggettivo che mi viene in mente per questa storia è “simpatica”. Una cosa a metà fra il personale e l’estraneo, fra il comico, l’introspettivo ed il romantico. Mi è piaciuto scriverla, più la prima parte – quella più spensierata, per intenderci – della seconda, però alla fine sono soddisfatta del risultato nella sua interezza, anche se la quantità di seghe mentali del protagonista è arrivata a farmelo detestare, questo racconto ._."
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Bravehearts
- Bè? Te ne vai?
Lei mi sorride dolce, un po’ imbarazzata, finendo di rivestirsi.
- Se non torno a casa neanche stanotte si preoccuperà…
- Preoccuparsi? Io direi piuttosto che comincerà a sospettare qualcosa…
Ridacchia.
- Il concetto di fondo è lo stesso.
- Scusa, ma non puoi dirgli che sei stata a fare il turno in ospedale?
- …non per la seconda notte consecutiva, Luci…
Abbasso lo sguardo e faccio una smorfia, conscio di apparire né più né meno di un bambino insoddisfatto. Lei si china su di me e da bambino mi tratta, carezzandomi i capelli e lasciandomi un bacino sulla fronte.
- A domani… - mi dice teneramente dopo avermi salutato, mentre esce dalla mia camera da letto.
Mentre la guardo, con gli occhi della mente, scendere le scale, uscire dal palazzo ed entrare in macchina, mi chiedo cosa ci faccia una come lei con uno sfigato come me. È laureata in medicina e fa, appunto, il medico al Civico, luogo in cui, tra l’altro, l’ho conosciuta. Ricordo benissimo quel giorno – appena tre mesi fa, quindi è logico che lo ricordi, però fa figo dire così – assurdo: per festeggiare il fatto che ero riuscito a passare statistica al primo colpo ed alla grande (trenta, olè!) i miei colleghi all’università decidono di portarmi fuori a fare “baldoria” tutta notte. Neanche ricordo cos’ho ingurgitato al Malaluna nel breve spazio temporale di tre ore. Praticamente svengo e mi devono portare all’ospedale di peso. Quando riapro gli occhi mi trovo di fronte questo angelo biondo dalle fattezze sì umane, ma immensamente ricordanti la sua natura divina, e la prima cosa che riesco a dire, badando solo al richiamo del mio corpo, è “ugh… dov’è il bagno?”. Lei ride, mostrando un sorriso degno di una pubblicità Colgate, e mi indica una porta poco distante verso la quale mi fiondo per permettere alla mia vescica di liberarsi da ciò che la opprime. Quando ritorno nello stanzone, tra i risolini divertiti degli altri pazienti, lei è scomparsa. Io mi do al panico. Torno sul letto e mi aggomitolo tutto continuando a darmi dell’idiota e per la figura di merda, e perché temo che non la potrò più vedere. Pochi secondi dopo sento un “Non hai fame?” meravigliosamente dolce, mi volto, visualizzo: è lei!
- Un po’… - rispondo con un sorriso imbarazzato.
Mi guardo intorno. È giorno. Possibilmente è anche pomeriggio. Confermo l’ipotesi guardando l’orologio appeso al muro opposto a me: sono le tre, il che giustifica la mia fame ma non mi chiarisce le idee. Fortunatamente lei, oltre ad essere bellissima, è anche telepate, e mi toglie dall’imbarazzo risolvendo il quesito prima ancora che io possa porgerglielo.
- I tuoi amici ti hanno portato qui stanotte e praticamente sei passato dallo svenimento al sonno profondo senza che io potessi fare niente. – dice con voce allegra.
Io m’imbarazzo.
- Mi… mi dispiace di aver occupato una branda per una sciocchezza…
Lei ride, ha una risata da bambina.
- Non preoccuparti, sai quanti ne arrivano come te…?
Mi appoggia un vassoio pieno di cibo sulle ginocchia.
- Adesso mangia, su. Il pollo dovrebbe essere buono.
Questo il mio primo incontro con Roberta. Il secondo avviene miracolosamente per strada, mentre mi struggo d’amore per questa donna di cui allora non conoscevo nemmeno il nome. La vedo camminare, splendida, a fianco di un uomo dall’aria distinta e con un bambino di neanche quattro anni attaccato ad una mano.
Sento come un crack – il rumore delle mie fantasie che crollano in milioni di miliardi di pezzettini – e rimango a fissarla a bocca aperta come un ebete. Lei si volta, mi vede, mi fa un sorrisetto e nient’altro – ma sarà poi stato un vero sorriso? Magari me lo sono immaginato…
Così pare finita, no? Eppure poco fa mi avete beccato nudo su un letto con lei che si rivestiva, quindi evidentemente NON è finita così.
Il terzo, fatidico incontro avviene grazie alla tachicardia di mia nonna, per fortuna ancora viva, vegeta ed in piena salute.
- Lucià, mi sento male.
- Che è nonna?
- Che so… il cuore…
La carico in macchina e la porto all’ospedale di gran corsa. Non ha niente, un’accelerazione anomala del battito cardiaco dovuta all’affaticamento (aveva appena finito di pulire casa…). Il fatto sconvolgente è che a visitarla è proprio LEI che, a distanza di un mese e mezzo dall’incontro per strada sembra avermi completamente rimosso dalla memoria. Certo, non è che io in questo periodo abbia fatto chissà che voto di castità&fedeltà in suo ricordo, ma va bè. Decido comunque di tentare la sorte e, messa nonna in un angolino a chiacchierare – incredibile la capacità che hanno le anziane signore di attaccare bottone fra loro con la massima naturalezza – mi avvicino alla dottoressa.
- Ehm…
Primo problema: “ciao” o “buongiorno”? E’ già la terza volta che ci vediamo, il che giustificherebbe un informale “ciao”, ma d’altra parte non ci siamo neanche presentati, quindi perché non un tranquillo ed educato “buongiorno”?
- Ah… ciao!
…adoro questo suo modo di togliermi d’imbarazzo ogni volta che parliamo…
- Ciao! Ti ricordi di me, dunque?
Lei mi guarda con un’adorabile espressione svampita e poi sorride imbarazzata.
- Temo di no… - risponde stringendosi nelle spalle.
Crack 2 – la vendetta. Di nuovo speranze infrante. “Questa donna è tremenda”, penso rassegnato, e m’industrio per farle ricordare chi sono, quando lei, d’improvviso, sussulta.
- Ah! Ho capito chi sei!
M’illumino d’immenso guardandola quasi commosso, mentre lei soffoca una risatina.
- Tu sei… “bagno”… vero?
…
…
…
Vorrei sprofondare sottoterra, cazzo! Mai possibile che le sia rimasto impresso uno dei momenti di peggiore imbarazzo della mia vita?! Odio, odio!
- S-Sì, sono io…
Lei ridacchia.
- E’ un piacere rivederti!
Cerco di risollevarmi con un “anche per me!” convinto da esperto seduttore, ma serve poco al suo scopo.
Decido comunque di provarci, in ogni caso peggio non potrebbe andare.
- Senti… che ne diresti di uscire insieme una volta o l’altra?
Tanto, questo tipo qui non è mica di quelle che tradiscono il marito col primo idiota che…
- Uhm… perché no?
Lo fa! Lo fa! VAI!!!
- Stasera sei libero?
…sta facendo tutto lei… oddio, è divina…
- Sì, certo!
- Allora perché non andiamo a mangiare una pizza e ci conosciamo meglio?
- Ah-ha… se mi spieghi dov’è casa tua ti passo a…
Mi fa l’occhiolino, maliziosa.
- No, è meglio di no. Conosco un posto carino nei paraggi, si chiama “Pilgrim”… lo conosci?
MI VUOLE SALASSARE! CHE RAZZA DI MATTA E’ PER PROPORRE AD UN UNIVERSITARIO DI ANDARE IN UNO DEI RISTORANTI PIU’ CARI DI PALERMO?!
- S-Sì, certo che lo conosco… - dico con una certa riluttanza. Lei se ne accorge e ridacchia ancora.
- Eh, scusami, hai ragione, forse è un po’ caro per te…
- Ma no! Assolutamente! – in un lampo decido di dar fondo ai sudati risparmi per comprare il cellulare nuovo: questa donna mi fa impazzire, e se è tanto buona da darmi una chance non voglio sprecarla.
Ci diamo appuntamento per le otto e mezza, ed io ad e venti sono già lì, mi sono mosso a piedi, da sfigato quale sono; lei arriva in pompa magna a bordo di una Citroën ultimo modello che è la fine del mondo. Anche LEI è la fine del mondo, per inciso. Per la prima volta vedo la sua cascata biondo grano libera da elastici ricaderle morbida sulle spalle e sulla schiena, perfettamente liscia e curata, e ne rimango abbagliato.
Durante la cena siamo a nostro agio, parliamo del più e del meno evitando però accuratamente l’argomento “vita privata”: questo perché l’appuntamento doveva servire per conoscerci meglio, ovviamente.
Ma fa nulla, alla fin fine va benissimo così. Dopo la cena sembra riluttante ad andare via, e si fa strada in me la gioiosa idea di essere riuscito a farcela; però cerco di non illudermi, non si sa mai.
- Vuoi che ti accompagni a casa? – sorride alzandosi in piedi.
Io ricambio il sorriso.
- Ah… grazie!
Saliamo in macchina, le spiego come arrivare al mio appartamento. Dopo una decina di minuti, lei posteggia sotto casa mia.
- Bè, allora ciao… spero di rivederti…
Roberta mi mette una mano sul ginocchio, io mi fermo immediatamente, la guardo. Si avvicina. MI BACIA. Resto sconvolto. Incredibile, mi dico, e non so ripetermi altro. Frattanto, rimango fermo come un idiota e lei, giustamente, dopo qualche secondo di attesa, si discosta imbarazzata.
- S-Scusa… - si affretta a dire. – Devo aver frainteso… credevo di… - abbassa lo sguardo, - …di piacerti, ecco…
A quel punto, però, mi desto. “Non esiste”, mi dico, “che dopo aver speso centodue euro e venticinque centesimi io mi faccia sfuggire questa occasione”. La prendo per mano senza dire una parola, quasi la trascino fuori dalla macchina – lei mi segue silenziosa, non fa storie – dentro il portone, su per le scale, in casa, attraverso le porte fortunatamente già aperte e sul letto, a rotolarci come pazzi tutta notte.
Il resto della storia è facilmente immaginabile, vero?
E così si arriva ad oggi, a me se quello stesso letto che ormai è impregnato del suo profumo, che, nudo come un verme, la guardo andare via in tutto il suo elegante splendore.
Il problema è che nelle storie assurde come questa, molto spesso si presenta un terrificante quanto inopportuno inconveniente: ti innamori. E non solo. T’innamori perdutamente, ossessivamente, selvaggiamente, oserei dire. E più assurda è la storia, più fuori luogo è la presenza del tuo sentimento, più questo è forte, più è forte la sofferenza. E tu provi a reagire, ci provi sul serio, cerchi di convincerti di non amare poi così intensamente, richiami qualsiasi pensiero estraneo all’oggetto del tuo desiderio come inconfutabile prova di distacco, ti privi volontariamente della presenza di quella persona, occupi la mente, ti stordisci con qualsiasi pretesto per non pensare a nulla, dato che – alla fine te ne accorgi – dimenticare non puoi, ma è tutto inutile. Questo è successo circa una settimana fa, se ve lo state chiedendo.
Poi cambi periodo. L’amore va a fasi, come la crescita. Entri nel periodo della rassegnazione. La cupa rassegnazione. Sei ancora volontariamente lontano da chi ami ma hai ormai capito che non resisterai a lungo, e la cosa ti fa una rabbia non comune.
Poi prendi il coraggio a due mani, bandisci l’orgoglio e trovi la forza di ripresentarti da quella persona speciale che, se è abbastanza misericordiosa, apre le braccia e ti riaccoglie, e se non lo è ti manda semplicemente vaffanculo dandoti dell’ipocrita egoista opportunista senza palle. (io sono stato fortunato, in questo senso).
La cosa buffa è che queste storie d’amore assurde sono, molto spesso, viste in maniera completamente diversa dalle parti in causa. Inutile dire che, anche in questo caso, più la storia è assurda più le due versioni saranno agli antipodi. Secondo l’amato, l’amante ha un mucchio di ragioni per amare, dalla noia, alla voglia di dimostrare qualcosa (a sé stesso ed agli altri), alla voglia di dimenticare sentimenti passati. Raramente la risposta al “perché ti ama?” sarà il più semplice ed ovvio “perché sì. È così e basta.”. Dalla parte dell’amante, invece, l’amato è freddo, distaccato e crudele (nonostante poi effettivamente possa essere tutto il contrario), oltre che irrimediabilmente irresistibile.
Ma piantiamola con le seghe mentali e torniamo a questo povero me nudo ed infreddolito che si prepara a passare quello che gli resta della notte insonne e solo nel lettone.
Come se poi, in realtà, su questo povero me attuale ci sia qualcosa da dire. Si arriva ad un punto in cui rimangono solo le seghe mentali per occupare il pensiero. Il che può sembrare un paradosso. Ed in effetti lo è.
Quando penso a tutta la gente che è invischiata in certi sentimenti assurdi come il mio, che mi costringe ad amare una splendida donna sposata di dieci anni più grande di me, ed anche peggiori, mi vengono i brividi. Ed io almeno ho la fortuna di essere ricambiato. Ho legato a me Roberta, in un modo o nell’altro, facendo l’amore con lei. È il glorioso meccanismo dell’ “odore del sesso”, già decantato da un mio ben più famoso omonimo. Quando Roberta si alza dal letto sorridendo e cercando di ingannarmi con quel suo fare tenero e materno, ce l’ha addosso. E ce l’ha addosso anche quando si riveste, esce e torna da suo marito. Ed è un odore che sentiamo solo noi due, perché è il nostro, è quello della nostra intimità. È la mia esclusiva su di lei.
Badate, non sono tanto ingenuo da pensare che il mio marchio le impedisca di darsi ad un altro – cacchio, ha un marito e non mi ha mai detto di non amarlo o di avere problemi con lui – ma è già qualcosa. Qualcosa di mio su di lei. Per me è importante.
Ma è solo una consolazione. Mai perdere di vista questa verità fondamentale, mai. Almeno non quando si è lucidi, suvvia, un po’ di realismo. E poi io sono convinto che lei sappia di darmi semplicemente il contentino, quando viene a letto con me, eppure questo non toglie valore al suo gesto, non cancella il fatto che lei mi voglia quanto io voglio lei. Ed è questa consapevolezza la mia consolazione, non l’atto in sé. Perché non m’interesserebbe nemmeno farlo con lei. Ecco, mi basterebbe stringerla, accarezzarle i capelli, darle magari un bacino ogni tanto, e neanche questo addirittura, non mi servirebbe necessariamente arrivare oltre. Per l’intimità che mi concede sono immensamente grato.
…ma mi sentite parlare? “Concedere”! Che verbo. Mi fa sentire un buono a nulla. Ma è veramente così che la vedo: ogni suo gesto tenero, dal più innocente al più audace, è come un dono divino. Se ci penso è una cosa inaudita. Se evito di rifletterci è meglio.
Insomma, dove voglio arrivare con tutto questo? Voglio diffondere il mio verbo? La mia saggezza in campo amoroso? Ma come, se questa saggezza non mi appartiene minimamente? No, non è saggezza che voglio diffondere. Non sono consigli donati dall’alto della mia esperienza. È solo un po’ di coraggio.
Io lo so, che ci siete. Milioni di ragazzi e ragazze innamorati/e delle/i loro migliori amiche/i che non li/le ricambiano, persone innamorate di uomini e donne già sposati, come me; e voglio andare anche oltre, perché gli amori “inopportuni” non si fermano qui: persone innamorate di altri col loro stesso sangue o del loro stesso sesso, e per questo allontanati e maltrattati, amori che nascono in situazioni di conflitto, assurdità di ogni tipo; e il coraggio che cerco di darvi è basato su questa certezza: si sopravvive, ragazzi. A volte male, a volte peggio, a volte infuriandosi, a volte deprimendosi, ma si sopravvive. Se avete una speranza aggrappatevici con tutte le vostre forze, se non ne avete, non dico di rassegnarvi e dimenticare, ma non arrampicatevi sugli specchi, perché si scivola verso il basso e basta.
So che tutti voi volete soltanto la felicità di chi amate, so che desiderate solo star loro vicini. Per fare questo, e continuare a farlo anche dopo un eventuale rifiuto, ci vuole un mucchio di coraggio, davvero. Ci vuole coraggio, ci vuole forza. Non potete trovarla in nessun altro. Solo voi stessi potete tirarla fuori. E da nessun altro che da voi stessi. Se amate, siate pronti ad affrontarne le conseguenze e le responsabilità: non esiste amore senza pesi di questo tipo. Pesi tutt’altro che dolci.
Sono sempre stato convinto che si possa scegliere sia di amare che di non amare più, la volontà umana non ha limiti. Per smettere di amare basta non vedersi più resistendo ad ogni impulso ed occupando incessantemente il cervello, basta volerlo. Dunque, se decidete, invece, di continuare comunque ad amare, fatelo pienamente, appassionatamente, in modo da non avere rimpianti in futuro.
Girano le chiavi nella toppa della porta del mio appartamento, rumore di tacchi veloci sul pavimento di marmo, poi attutiti dalla moquette della camera da letto, e lei mi appare di fronte con un larghissimo sorriso ed un leggero fiatone.
- Mio marito si trattiene a lavoro fino a tardi, possiamo stare insieme ancora un po’! – dice in un gridolino gettandomisi fra le braccia.
Io sorrido e la bacio.
- Hai voglia di mangiare? Ti preparo qualcosa! – dico entusiasta. Lei sorride maliziosa e mi blocca a letto, sciogliendo i capelli ed abbagliandomi per l’ennesima volta.
- Vediamo di non perdere tempo, eh piccolo…?
Bè, se siete fortunati, pazienti amici miei, vi andrà bene; già, perché temo di dover ridurre il tutto ad una questione di mera fortuna, alla fine. Voi, intanto, date il massimo. Quindi coraggio.