Genere: Erotico, Romantico.
Pairing: Zlatan/José.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Bondage, Lemon, Slash.
- Zlatan ed il suo preziosissimo autoregalo di compleanno, 3 ottobre 2008. E José che ci va ingiustamente di mezzo, Dio mi perdoni.
Note: Era il tre ottobre duemilaotto, Zlatan festeggiava il suo ultimo compleanno all’Inter e nessuno sapeva che sarebbe stato l’ultimo, perché lui era ancora felice di starci, in nerazzurro, allora, e lui e José si amavano con una passione esaltante, come dimostrano le quote dell’intervista, che sono tutte scrupolosamente vere fino all’ultima virgola, compresa l’ultima domanda in cui nessuno aveva chiesto a Zlatan di parlare del Mou ma lui ha ritenuto giusto farlo comunque XD Il giorno dopo, il quattro ottobre, contro il Bologna, Ibra avrebbe segnato uno dei gol più belli della sua carriera, di tacco, e l’avrebbe festeggiato sorridendo felice come un bambino. E l’Inter avrebbe giocato una delle partite più belle della stagione. *momento di tristezza nostalgica random* T_T
Questo, comunque, è solo un porno orribile e tremendo che Def mi ha chiesto di scrivere per non ricordo più quale allucinante associazione d’immagini su MSN. Ricordo solo che si concludeva col bondage, appunto, e con un dildo. E infatti qui c’è sia il bondage che il dildo, ma soprattutto c’è il porno che io non sono capace di scrivere, motivo per cui tutta questa shottina (che alla fine ha pure superato le duemila parole, senza un perché) fa abbondantemente schifo. Evvabbe’.
Il titolo è rubato a un verso di Time Is Running Out dei Muse, ora e sempre siano lodati. :*
Pairing: Zlatan/José.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Bondage, Lemon, Slash.
- Zlatan ed il suo preziosissimo autoregalo di compleanno, 3 ottobre 2008. E José che ci va ingiustamente di mezzo, Dio mi perdoni.
Note: Era il tre ottobre duemilaotto, Zlatan festeggiava il suo ultimo compleanno all’Inter e nessuno sapeva che sarebbe stato l’ultimo, perché lui era ancora felice di starci, in nerazzurro, allora, e lui e José si amavano con una passione esaltante, come dimostrano le quote dell’intervista, che sono tutte scrupolosamente vere fino all’ultima virgola, compresa l’ultima domanda in cui nessuno aveva chiesto a Zlatan di parlare del Mou ma lui ha ritenuto giusto farlo comunque XD Il giorno dopo, il quattro ottobre, contro il Bologna, Ibra avrebbe segnato uno dei gol più belli della sua carriera, di tacco, e l’avrebbe festeggiato sorridendo felice come un bambino. E l’Inter avrebbe giocato una delle partite più belle della stagione. *momento di tristezza nostalgica random* T_T
Questo, comunque, è solo un porno orribile e tremendo che Def mi ha chiesto di scrivere per non ricordo più quale allucinante associazione d’immagini su MSN. Ricordo solo che si concludeva col bondage, appunto, e con un dildo. E infatti qui c’è sia il bondage che il dildo, ma soprattutto c’è il porno che io non sono capace di scrivere, motivo per cui tutta questa shottina (che alla fine ha pure superato le duemila parole, senza un perché) fa abbondantemente schifo. Evvabbe’.
Il titolo è rubato a un verso di Time Is Running Out dei Muse, ora e sempre siano lodati. :*
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Bound And Restricted
Non passano neanche due secondi da quando Zlatan si affaccia con un sorriso furbo in camera di José a quando gli si fionda addosso, spingendolo di malagrazia fino al letto ed assicurandosi di chiudersi la porta alle spalle con un calcio bene assestato, di modo che tutti in Pinetina sentano che la stanza del mister è chiusa e, per tale motivo, è assolutamente necessario per motivi di ordine pubblico starne il più lontani possibile. D’altronde, non c’è niente di più bello di quella logica immediata, pratica e così tipicamente maschile che si instaura subito fra compagni di squadra, anche dopo pochi giorni di conoscenza. È una logica di opportunismo che si basa sulla sempre benemerita regola della beata innocenza: se attorno a te sta avendo luogo qualcosa di estremamente disturbante – e sì: la punta di diamante della squadra che, nonostante conviva da anni con la stessa donna ed abbia già un pargolo e ne aspetti un altro in dirittura d’arrivo, scopa regolarmente col nuovo CT portoghese arrivato da appena quattro mesi, decisamente è qualcosa di estremamente disturbante – ignorala. Magari la cosa estremamente disturbante non scomparirà, ma tu non ne sarai toccato, e sarà ancora tutto perfettamente a posto.
- Già finita l’intervista? – chiede José, atono, senza neanche provare a frenare l’irruenza dello svedese, che lo spinge a stendersi sul materasso dopo aver lasciato cadere lo zaino che portava in spalla per terra, per poi letteralmente saltare a stendersi al suo fianco. – Fai piano o farai saltare le doghe!
- Oh, piantala. – lo zittisce Zlatan con un bacio svelto a fior di labbra, - Comunque sì, finita l’intervista. – risponde annuendo e fissandolo con un certo interesse. José non riesce a spiegare la natura di quello sguardo, perciò – un po’ curioso e un po’ silenziosamente spaventato – si allontana di qualche centimetro per indagare.
- Ed è andata bene?
- Benissimo. – e se la voce di Zlatan potesse in qualche modo somigliare ad un cinguettio, questo sarebbe probabilmente il tono che userebbe. José ne è inquietato.
- …che cos’hai detto? – cerca di informarsi, incerto.
- Un po’ di questo, un po’ di quello. – scrolla le spalle Zlatan, ridacchiando compiaciuto, - Ho parlato tanto bene di te.
- Che. Cosa. Hai. Detto. – ripete José, curandosi di aggrottare le sopracciglia e metter su l’espressione più minacciosa che possiede in campionario, calcando bene col suo italiano incerto su ogni singola parola che pronuncia. Naturalmente l’effetto non può che essere esilarante per Zlatan, che appunto ride e se lo tira contro stritolandolo neanche fosse un ragazzino di dieci anni, fra i suoi rimbrotti infastiditi in rigoroso portoghese.
- Lo vedrai stasera. – taglia corto, scendendo ancora una volta ad accarezzargli le labbra con le proprie. – Seeenti… - continua poi, con aria allusiva, e José comincia subito a borbottare.
- No! – si lamenta, disincastrandosi risolutamente dalla stretta e provando a rotolare giù dal letto un attimo prima che Zlatan lo afferri per la vita e torni a stringerselo addosso, - Sono le… - cerca l’orologio sul comodino con aria allarmata, - le dieci del mattino! Fra poco-
- Andiamo! – lo interrompe Zlatan, il tono ugualmente lamentoso, mentre struscia il naso contro la sua guancia ruvida, - Oggi passerò praticamente ogni singolo momento libero con Helena e Maxi, sono riuscito per un miracolo a liberarmi dall’intervista mezz’ora prima apposta per stare un po’ con te e-
- E noi non scoperemo! – prova a insistere José, tentando un’altra volta la via della fuga. Zlatan impiega tutta la propria forza per trattenerlo, e José non riesce a scappare davvero, e la smette anche di agitarsi e lamentarsi nel momento in cui Zlatan si piega su di lui e gli sussurra dolcemente “andiamo… è il mio compleanno”, sfiorandogli il lobo con le labbra ad ogni parola e sospirando appena in conclusione di quella mezza preghiera. José trema un po’ e sospira a propria volta, abbandonandosi alla sua stretta. – Che avevi in mente? – chiede, dimenandosi un po’ perché Zlatan gli conceda almeno lo spazio per sbottonare la camicia.
Lo svedese sghignazza, mettendosi seduto ed allungando un braccio a recuperare lo zaino ancora ai piedi del letto, per poi aprirlo ed immergersi al suo interno quasi con tutta la testa per frugare in mezzo al ciarpame che contiene, sotto lo sguardo basito e un po’ incerto del mister. Quando riemerge, lo fa con un sorriso da spaccone che José spaccherebbe volentieri a cazzotti, e con due fasce di seta nera che, invece, gli danno i brividi fino alla base della schiena.
- Non esiste. – scuote lentamente il capo, annichilito.
- Mi lasci fare? – chiede invece Zlatan, il sorriso che si fa più furbo ma anche in qualche modo più sincero. José regge il suo sguardo per sessanta secondi contati – ci arriva appena, dando fondo a tutte le proprie energie, perché davvero si sentirebbe troppo stupido ad arrendersi ancora prima di un minuto – e poi l’uomo sbuffa, stendendosi sul letto e terminando di sbottonare la camicia, per poi lasciarla ricadere distrattamente sul pavimento. E sollevare le braccia.
- Allora, te la dai una mossa? – chiede a propria volta, quasi stizzito, e Zlatan ride, tornando al suo fianco e stendendo bene le fasce, prima di farle passare entrambe attorno ai polsi dell’uomo e dietro le sbarre della testiera del letto, legandolo stretto ma abbastanza da concedergli un minimo di spazio per qualche movimento.
- Potevo togliertela io, la camicia. – sussurra sulle sue labbra, baciandolo a fondo per qualche secondo prima di scivolare lungo il profilo del suo viso e del suo collo.
- Ah, sì, avresti… - mugola un po’ José, chiudendo gli occhi, - avresti sicuramente aspettato di togliermi la camicia, per legarmi. Naturalmente.
Zlatan ride, fermandosi a stringergli un capezzolo fra i denti e mordendo piano, al solo scopo di zittirlo.
- Magari ti avrei legato… - sussurra, sfiorandolo leggermente con la lingua, - e poi ti avrei strappato la camicia di dosso. – conclude, tornando a mordere un po’ più forte.
José ringhia un lamento di gola, fra i denti, stringendo le ginocchia attorno alle spalle di Zlatan quando lui scende a slacciargli la cintura con un mezzo sorriso.
- E così avrei detto addio a cento euro di camicia Armani. – trova la forza di ribattere, ma è una forza che si perde del tutto quando Zlatan scende a lambire la sua erezione con la punta della lingua, per tutta la sua lunghezza.
- Sta’ un po’ zitto… - lo minaccia quindi, con un ghigno preoccupante, - o dovrò usare l’altro regalino per tapparti la bocca.
José solleva il capo, improvvisamente interessato, anche se la sua non è tanto una curiosità positiva quanto più un sacro terrore che un po’ gli ricorda quello che provava quando sua madre, buon’anima, gli diceva di stare attento agli zingari per strada, quando andava a comprare il pane, che rapivano i bambini, poi li bollivano vivi e se li mangiavano col sale.
- Quale altro regalino? – chiede, cercando di ritrarsi dalle labbra di Zlatan, che nel mentre sono tornate a chiudersi su di lui.
- Quello che ho fatto a me stesso. – precisa lui con un altro sorriso sghembo e spaventoso, allontanandosi e recuperando lo zaino per tornare a rovistare al suo interno. Quando la mano grande di Zlatan riemerge da quella nuova, spaventosa e filopornografica versione del borsone di Mary Poppins, stringe fra le dita un dildo di dimensioni ragguardevoli, di fronte al quale José si sente perfino più intimorito di quanto non si sentisse rispetto al pensiero della buon’anima di sua madre, poco prima.
- Zlatan…! – prova a fermarlo, rimpiangendo ogni singolo minuto di quella appena iniziata e già tremenda giornata, e soprattutto il singolo momento in cui ha deciso di poter concedere a Zlatan più spazio e fiducia di quanto in effetti meritasse, - Non-
- Tranquillo. – sorride ancora lo svedese, avvicinandosi a lui, perfettamente a proprio agio, - È più piccolo di me, l’ho misurato. Se puoi sopravvivere ad uno…
- Zlatan, non intendo- - ma non riesce a concluderla, quell’accorata quanto inutile impennata d’orgoglio, perché Zlatan lo zittisce bruscamente, baciandolo a fondo mentre gli lascia scorrere il dildo addosso in una carezza leggera che gli dà il solletico e la pelle d’oca.
- Buono… - gli sussurra sulle labbra, e José non è in grado di capire se sia un’opinione o un ordine, e in ogni caso non trova che sia il momento giusto di discuterne. Vorrebbe essere in grado di obbedire al proprio cervello – che gli sta urlando di prendere Zlatan a calci lasciandogli appena la forza di scioglierlo, per poi liberarsi da quelle catene di seta, finire di farlo fuori a legnate e sparire per sempre senza mai voltarsi indietro – ma il corpo non vuole saperne, e non dipende solo dall’essere legato. Zlatan è troppo vicino, tutto qua.
E lui non può davvero dire di no a Zlatan, non può farlo se Zlatan lo guarda in quel modo e lo tocca in quel modo e sfiora tutta la lunghezza del dildo con la lingua, una volta, due, tre, per inumidirlo per bene, senza mai staccargli gli occhi di dosso, e allo stesso modo non può dirgli di no quando lui gli chiede di allargare le gambe – “fammi posto, voglio sentirti addosso mentre mi chiedi di scoparti” – e gli soffoca fra le labbra ogni singolo gemito mentre lo penetra lento col dildo, masturbandolo con la mano libera seguendo il ritmo delle spinte, senza prendere niente per sé, senza pretendere niente per sé, e il dildo si muove e così fanno le dita di Zlatan e la bocca di Zlatan, che lo lascia finalmente libero di gemere e ansimare e chiamarlo per nome e chiedere pregare implorare per essere scopato più forte più in fondo di più, e sì dice Zlatan, sì, cazzo, sì, e il dildo scompare e si sostituisce il suo cazzo, duro e caldo ed è davvero più grande del dildo, fanculo, José si inarca e si spinge contro di lui seguendo i suoi movimenti svelti e furiosi – Zlatan è selvaggio, è selvaggio sempre, quando gioca, quando parla, quando scopa, cazzo, soprattutto quando scopa – e Zlatan cerca di tenerlo fermo per i fianchi, lo indirizza dove vuole, e José serra i muscoli tutti attorno a lui – e niente, non c’è speranza di trattenerlo, quel ringhio simultaneo e prorompente che germoglia nelle gole di entrambi mentre vengono, Zlatan dentro José, José fra le dita di Zlatan.
Cercano entrambi di ritrovare un ritmo decente per il loro respiro, ed entrambi sorridono quando si rendono conto che quel ritmo l’hanno modellato l’uno sul respiro dell’altro. Zlatan si solleva sulle braccia, un po’ a fatica, e si lascia ricadere sul materasso al fianco di José, con un mugolio di fastidio quando sente sotto la schiena la pressione ancora un po’ umida e tiepida del dildo. Lo recupera e se lo rigira compiaciuto fra le mani per qualche secondo, prima di metterlo via con una risatina divertita, mentre José si volta a guardarlo con la sua solita espressione priva d’inflessioni particolari, ma che ormai Zlatan ha imparato a definire disapprovante.
- Se mi slegassi, magari, invece di giocare col tuo regalino nuovo… cos’è, l’hai provato prima su di me per vedere se lo potrai riutilizzare su te stesso poi? - lo prende in giro, e Zlatan ride ancora mentre si allunga a recuperarlo, lasciandoglielo scorrere quasi distrattamente fra le natiche e costringendolo a rabbrividire ancora.
- Magari invece ho intenzione di riutilizzarlo sì, ma ancora su di te. – lo minaccia con un ghigno supponente. José risponde con un calcio su uno stinco in seguito al quale Zlatan ride e si rassegna a sciogliere i nodi delle fasce, liberando i polsi di José ed osservandolo con attenzione mentre se li massaggia, soffiando un po’ per il dolore sordo dell’intorpidimento dovuto all’immobilità prolungata.
- Si sono stretti mentre scopavamo… e comunque, Cristo, puoi essere un po’ meno devastante, ogni volta? Mi hai fatto male.
Zlatan rotea gli occhi, sbuffando sonoramente.
- Sei una lagna spaziale, Dio mio. Non ti toccherò più neanche con un dito. – sbotta.
- Volesse il cielo. – si lamenta una voce da fuori.
- Fatti i cazzi tuoi, Marco. – rispondono entrambi, in coro, e poi si guardano negli occhi e ridono – e, da fuori, allontanandosi, ride anche Marco.
Tami sta preparando la cena – si sente l’odore della sua canja fin lì in salotto, nonostante villa Ratti sia più che grande, enorme – Titi e Zuca stanno giocando ai suoi piedi sul tappeto – o meglio, Titi disegna e Zuca si ostina a inquietarla per ottenere la sua attenzione – e José non riesce a staccare gli occhi dal televisore. Zlatan parla con Scarpini e ride e ride e ride ed è bellissimo.
- Tanti auguri, Zlatan, si vede che sei felice! – dice Scarpini, e José sorride, e sorride anche Zlatan.
- Sono molto felice, provo a stare bene tutti i giorni anche quando sono in un periodo molto difficile. – risponde annuendo, - Quando una persona è contenta, si vede che sta bene.
L’intervista scorre tutta fra una risata e l’altra, finché Scarpini non prende e fa una domanda che José non si sarebbe mai aspettato – non posta in questi termini, non così esplicitamente. E dire che, frequentando spesso la Pinetina, anche Roberto ha avuto modo di capire cos’è che sta succedendo fra lui e Zlatan.
- Quanto è importante per lei José Mourinho?
E infatti è con un sorriso malizioso che Zlatan risponde.
- Mi ha dato tante responsabilità, fiducia, libertà in campo. Tutto quello che mi serve per fare le mie cose, per giocare con le mie qualità e fare tutto quello che posso. – sorride, ravviandosi una ciocca di quei tremendi capelli dietro un orecchio, - Secondo me lui fa tutto con i suoi giocatori, - spiega allegro, - sa quello che deve fare per ottenere il massimo da ognuno di noi. Quando vede un giocatore, - e per un attimo si ferma, guarda dritto in camera, prima di tornare a guardare a Scarpini e continuare, - sa quello che deve fare. Per questo ho detto che lui è il più completo di tutti gli allenatori che ho avuto sinora.
José non riesce davvero a seguire tutto il resto del discorso, perché le parole di Zlatan stanno ancora rimbombando da una parete all’altra della sua testa, e non sembrano intenzionate a lasciarlo presto in pace. Non è una cosa della quale si senta davvero disposto a lamentarsi, comunque.
- Come sta l’Inter in questo momento? – chiede Scarpini, mentre Tami chiama dalla cucina.
- Andiamo, bambini, è pronto. – dice José. Zuca comincia a ciondolare per il corridoio e Titi si lagna un po’, prima di decidersi a mollare il suo benedetto disegno e seguirlo. José sorride ancora e cerca il telecomando.
- Dobbiamo continuare come abbiamo fatto sinora, magari vincendo qualche trofeo. – risponde Zlatan, con una scrollatina di spalle. Chissà come starà festeggiando, adesso. – Però gli obiettivi sono lì e devi fare tanto lavoro per vincerli. Poi – aggiunge con una risatina, - con the special one tutto può succedere. – conclude, occhieggiando disinvoltamente alla camera.
José inarca un sopracciglio e lo guarda, sbuffando una mezza risata ironica. Poi scuote il capo, spegne la tv e si decide a raggiungere la canja di Tami.