Genere: Introspettivo.
Pairing: Bill/Bushido, Bill/Chakuza.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Angst, Flashfic, Slash.
- Dopo un litigio con Anis, Bill esce di casa. E cade in un cliché.
Note: *_* Bikuza, yay! No, Fedy, non odiarmi. È anche Billshido, visto? XD E poi è oggettivamente piccola e pucciosa, o almeno, io la trovo molto carina. Mi piace perché il Billshido è conflittuale e il Bikuza è dolce. Queste sono le caratteristiche che preferisco principalmente nei rispettivi pairing, quindi è ovvio provare dell’affetto XD
Titolo regalato dalla Tab. Partecipante all’Iniziativa Estemporanea Silenzio-Assenso di Criticoni.
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BACKLASH

Bill si muove fra le lenzuola con una certa fatica. È ancora intorpidito ed assonnato, e nel mezzo del semicoma post-alcolico in cui ancora si trova cerca a stento di ritrovare un briciolo di lucidità per ricordare cosa sia successo ieri sera, cosa sia stato di lui e perché non si trova fra le lenzuola familiari di Anis, col suo familiare odore addosso e col suo familiare tepore a riscaldarlo mentre si risveglia.
Piano piano, mentre riemerge dal cuscino contro il quale ha schiacciato il viso addormentandosi, ricorda. Il litigio con Anis, andare via di casa sbattendo la porta, dirsi che non avrebbe ceduto a nessuno stupido cliché, sarebbe andato di filato a casa di suo fratello e gli avrebbe chiesto ospitalità per la notte, solo per quella notte, poi, cazzo, sarebbe tornato a casa e lui ed Anis avrebbero sicuramente chiarito. D’altronde era sempre così, fra loro: non si divertivano se non potevano devastarsi a vicenda, dicendosi addosso di tutto, anche cose che non pensavano, ma soprattutto quelle che pensavano veramente, perché sono quelle, in fondo, che fanno più male. E dirgli che è uno stronzo e lo odierebbe se non lo amasse è mille volte più doloroso che dirgli che non lo ama affatto. Fa più male perché è più vero.
Bill continua a ricordare, stendendosi sul letto a pancia in su, mentre i suoi occhi si abituano alla luce del giorno che filtra in strisce irregolari che si allungano progressivamente sulla parete di fronte. Si stiracchia assieme alla luce e ricorda che invece in quegli stupidi cliché del cazzo c’è caduto con tutte le scarpe. Non è andato da Tomi, ha preferito infilarsi nel primo pub incontrato per strada, fregandosene della possibilità di incontrare fan – d’altronde, che fan rispondenti al suo target avrebbe mai potuto incontrare in un pub tanto schifoso alle tre del mattino? – ed anche di quella di incontrare paparazzi – si fottessero anche loro e si cercassero una vita, invece di sbranare ogni brandello della sua fino a lasciare solo le dannate ossa – ed attaccandosi ad una bottiglia di birra, poi un’altra, poi un’altra, e poi…? E poi…?
Qualcuno mugugna al suo fianco e si sposta più vicino a lui, poggiandogli un braccio sul ventre senza pesargli troppo addosso.
…e poi Chakuza, ecco.
Bill guarda i suoi lineamenti fieri e dritti, il profilo del suo naso, le linee sottili delle sue labbra, e lo osserva mentre lentamente si sveglia. Si aspetta un po’ che, quando l’austriaco avrà finito di schiudere gli occhi, si scosterà da lui con aria infastidita e imbarazzata, rendendosi conto di aver messo le mani dove mai – mai e poi mai – avrebbe dovuto. E invece non accade. Quando gli occhi verdissimi di Chakuza si piantano nei suoi, l’uomo non si allontana. Non sposta nemmeno il braccio. In realtà non si muove di un millimetro, se si esclude il movimento lento che i suoi respiri impongono al suo petto.
- Stai bene? – chiede piano, la voce ancora un po’ arrochita dal sonno. Bill ripensa ad Anis e a la sua voce gli rimbomba nelle orecchie fino a fargli dolere i timpani, solo per un istante. Poi ripensa alle mani di Chakuza che gli scivolano addosso, alle sue labbra sul suo collo, al suo corpo tutto pressato contro il proprio, e sorride.
Non sente il bisogno di rispondere. Chakuza non sente il bisogno di chiedere altro.
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