Genere: Erotico, Introspettivo.
Pairing: Bill/Tom.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Angst, Incest, Language, Lemon, PWP.
- Salta fuori che i gemelli sono andati a vivere insieme in un appartamento per due. La produzione pretende un'intervista per parlare apertamente della cosa. A David l'ingrato compito di dirlo a Bill e Tom. Che ne fanno un affare di sesso. E di primaria importanza, anche.
Note: O___O Lo so. Cioè, lo so O_______O È allucinante. È una porcata, è volgarissima ed è assurda O___ò Vorrei anche poter dire “è una PWP”, ma su questo glissiamo, cortesemente. Doveva e voleva esserlo. Non solo è degenerata in una schifezza, ma è degenerata pure in una roba seria. Non ho parole, il mio coefficiente di discutibilità va aumentando di fanfiction in fanfiction. Vi prego solo di non odiarmi e tollerarmi T.T Prima o poi passerà a ricomincerò a scrivere cose vagamente decenti.
Comunque ho una quantità enorme di persone da ringraziare (e con cui scusarmi, per riflesso XD). Quindi: grazie in primo luogo a Bea ed Elisa, che mi hanno mostrato il video in cui Bill e Tom litigano. Video al quale ho reagito sbottando “ma come fa Tom ad essere sexy pure quando litiga?”. Frase che poi è incomprensibilmente sfociata in “devo scriverci su una PWP!”. Intento che poi s’è trasformato in questa fanfiction. E poi la gente mi chiede perché mi ritengo stupida. Voglio dire…!
Grazie anche alla mia neechan, che mi ha fatto un bannerino stupendo <3 Che è stato molto d’incentivo per costringermi a finirla nonostante se ne stesse andando per i fatti propri. E che la leggeva e mi diceva cosa ne pensava, salvandomi dalla paranoia. E devo anche scusarmi con lei, perché nessuno ti farà mai male quanto me è un verso di Konstantine dei Something Corporate. E io non l’avrei mai conosciuta senza di lei. E mi dispiace di averlo usato in questa fic, ma ci stava troppo ç.ç Lo so che serve pure per un’altra cosa ç.ç *si prostra ai piedi della neechan invocando pietà*
Solito ringraziamento a Nai che è evidentemente onnivora (o filolizzica, perché si ostina a leggere tutto ciò che produco nonostante certe volte mi esprima in cagate pazzesche tipo questa). È anche merito suo se la fic ha preso una piega particolare: lei mi ha rivelato che Bill e Tom erano pazzi. Perciò era ovvio che andasse così.
Un grazie immenso anche a Sara: non fosse esistita lei (e non fosse esistito 99 Luftballons), tutta la tirata autocitazionista pseudo-romantica di Tomi non avrebbe mai avuto luogo. Mi scuso anche perché mi pare di aver attinto un po’ ad uno stile piuttosto decadente che ricorda un po’ le sue storie. Spero proprio di non aver toppato niente e di aver rielaborato il tutto per come giusto e doveroso. Comunque la ringrazio, perché le sue storie sono splendide e fonte d’ispirazione perenne e io la amo <3
Con le fangirl (e con l’adorata Meg, soprattutto!) devo scusarmi per la volgarità immane e disgustosa di Bill sul finale X’DDD Ma insomma. Una volta tanto, ci sta pure che non sia solo Tomi, quello zozzo. Oh. Io sono per le pari opportunità!
Ciò detto, ho concluso. Grazie per la pazienza, come sempre la logorrea rischia di ammazzare me e tutti coloro che mi circondano “XD Bacioni ^*^
PS: Mi scuso per eventuali castronerie o errori di battitura, ma ho promesso alla neechan che gliel’avrei fatta trovare pubblicata domattina, perciò non ho tempo per il betaggio >_<
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ANGRY SEX

Tom era rimasto spalmato sul divano in quella sua posa abbandonata e tremendamente caratteristica da quando erano rimasti soli. Quando David era uscito, strillando infuriato che per quel che lo riguardava potevano decidere quel cavolo che volevano, purché si presentassero l’indomani all’intervista con Bravo con qualcosa da dire, Bill s’era immediatamente alzato, ed aveva preso a vagare dal soggiorno alla cucina con aria isterica, digrignando i denti ed ignorando il telefono quando aveva squillato.
Dal canto proprio, neanche Tom aveva fatto qualcosa per sgretolare quella tensione infantile ed ostinata che s’era creata fra loro.
Non aveva fatto niente anche perché dipendeva soprattutto da lui se la situazione era quella.
Avevano litigato come furie, davanti ad un manager del tutto allibito, per una cazzata che aveva assunto proporzioni cosmiche senza un valido motivo. O meglio, per un motivo che Bill trovava validissimo e che Tom non poteva fare a meno di giudicare idiota.
“È trapelata la notizia che siete venuti a vivere qui da soli”, aveva detto loro David, con l’aria pensosa e un po’ scazzata che metteva su quando aveva da ridire con la casa discografica, “La produzione vuole un’intervista. Bravo”.
Bill e Tom avevano prevedibilmente storto il naso e mimato una smorfia di puro disgusto, ritirandosi sul divano come due ricci.
“Lo so, lo so”, aveva continuato il manager, massaggiandosi la fronte, “Non abbiamo alternative, temo. Allora? Che si fa?”.
E poi era precipitato tutto.
Era precipitato tutto perché avevano entrambi sentito proprio il malsano bisogno di ricordare che nonostante la convivenza e l’attaccamento e tutto erano comunque due persone differenti, e perciò avevano sbottato l’uscita contemporanea più triste della loro intera storia.
“Ovviamente confermiamo”, aveva detto Bill.
“Smentiamo tutto”, aveva detto Tom.
David li aveva guardati entrambi con aria curiosa, e loro s’erano voltati l’uno verso l’altro, aggrottando le sopracciglia.
“Tom!”, l’aveva richiamato il gemello, sottintendendo un fin troppo palese non fare il bambino che lui non aveva gradito affatto.
S’era praticamente voltato dall’altra parte, nonostante avesse da tempo passato i cinque anni, lamentandosi che le voci che circolavano su di loro erano già abbastanza fastidiose senza che dovessero per forza metterci il carico da undici annunciando una convivenza con tutti i crismi.
Bill l’aveva presa malissimo.
“Non hai protestato tanto, quando l’abbiamo deciso!”, aveva urlato, tanto per cominciare, per poi proseguire con tutta una sequela di insulti di fronte ai quali perfino David aveva sentito il bisogno fisiologico di impallidire.
David faceva bene a sconvolgersi.
Il problema era che non aveva la più pallida idea del perché effettivo per il quale avrebbe dovuto farlo.
*
La loro relazione era cominciata già da un po’. Almeno, così avrebbe detto Tom, se avesse dovuto ridurre i termini del suo rapporto con Bill su un piano di “normalità”.
La loro relazione era cominciata già da un po’.
In realtà, la loro relazione non era mai cominciata davvero. A meno che non fosse stato concesso loro di mettere il punto d’inizio nel momento esatto in cui erano venuti al mondo. Ma metterla in questi termini suonava un po’ eccessivo anche per loro, che dell’eccesso avevano fatto una politica di vita.
Quindi, “la loro relazione era cominciata già da un po’”. Almeno da quando avevano avuto la sfiga di ubriacarsi entrambi e risvegliarsi da una trance alcolica parecchio agitata nel bel mezzo di un bacio umido e violento che non aveva potuto aspettare neanche una camera da letto, per avere luogo.
Tom avrebbe ancora potuto descrivere con estrema dovizia di particolari il proprio sguardo terrorizzato riflesso in quello ugualmente terrorizzato di Bill. Non è bello riprendere coscienza di te dopo circa tre ore di totale assenza di raziocinio ed accorgerti che se nella tua bocca c’è ancora una sola lingua è unicamente perché la tua è impegnata ad esplorare la bocca di tuo fratello.
L’ubriachezza poi era passata, ovviamente.
Altrettanto però non si poteva dire dei baci.

Seriamente: quanto schifo fanno gli esseri umani? Non riesco nemmeno a guardarlo senza desiderare di…

E “desiderare” era diventato prestissimo “fare”.
Fare era un problema. Era un dannatissimo problema, soprattutto se dovevi condividere la casa con altre tre persone.
Fare era diventato impossibile, nel loft di Amburgo.
Perciò, per fare più tranquillamente, s’erano trasferiti.

Ecco perché David dovrebbe essere irrequieto. Mica per altro.

Vista la situazione, comunque, non c’era da stupirsi se Bill l’aveva presa tanto male, quando lui aveva affermato che, di fronte all’immenso popolo adolescenziale tedesco, avrebbe negato la loro convivenza.
Poteva immaginare perfettamente i pensieri del proprio gemello. Qualcosa di molto simile a “e che cazzo, Tom!”. E basta. Perché non c’era davvero bisogno di aggiungere altro, oltre ad una protesta volgare ed esasperata. Il sottinteso, in effetti, era già fin troppo evidente: non ti chiedo mica di ammettere che scopiamo, stronzo vigliacco che non sei altro, ma almeno non rinnegarmi come fossi una malattia infettiva.
Tom poteva perfino capire la sua rabbia. In fondo, se avesse dovuto avere a che fare con se stesso, si sarebbe detestato da solo. Sapeva di poter raggiungere vette di intollerabilità considerevolmente alti. Era una specie di talento naturale del genere.
In qualche modo, però, non era solo odio ciò che Bill provava per lui. La sua rabbia non faceva che confermarlo.

Fece per alzarsi dal divano e dirigersi stancamente verso la camera da letto, nel tentativo di affogare nel sonno almeno un po’ di quell’angoscia immotivata che l’aveva preso appena aveva capito che avrebbe dovuto ammettere di essersi trasferito in un appartamento per due col proprio fratello, ma non riuscì neanche a compiere un passo prima di essere fermato da una voce tonante, infastidita e che conosceva fin troppo bene.
- Dove credi di andare?
*
Bill sospettava che, anche sforzandosi per mille anni, non sarebbe mai riuscito a capire veramente per quale motivo suo fratello godesse tanto nel farlo infuriare. Eppure erano sempre stati appiccicati, fin dalla nascita. Non si erano mai separati per più di una settimana, a voler esagerare. E non aveva neanche l’alibi dell’“non ti conosco molto bene come persona”, perché accidenti, se esisteva un essere umano in tutto il mondo a poter vantare di conoscerlo, be’, quello era Tom. E sapeva perfettamente cosa lo mandava in bestia, così come sapeva perfettamente quali toni non doveva usare con lui e cosa poteva permettersi di dire senza meritare un calcio nelle palle o meno.
- Dove credi di andare? – gli chiese, trattenendo a stento l’irritazione nella voce, una mano saldamente piantata su un fianco e un piede a scandire il ritmo nevrotico del battito del proprio cuore sul pavimento.
- In camera. – rispose Tom senza cambiare espressione.

Sai anche che voglio litigare. E sei uno stupido stronzo vigliacco, se me lo lasci fare.

- Ti senti a disagio, Tomi? – sibilò, sottolineando il suo nome con una nota sarcastica e pungente che vide riflessa nella piccola ruga che si formò fra le sopracciglia di suo fratello.
- No. Tu invece ti senti particolarmente stronzo?
Non aveva usato soprannomi. Non aveva usato ironia.
Probabilmente voleva solo restituirgli il colpo.

Seriamente: siamo due idioti. Avevamo un rapporto stupendo, prima di imbarcarci in questa follia. Perché abbiamo dovuto rovinare tutto…?

- Sei stato scorretto! – lo rimproverò, andandogli vicino con incedere bellicoso, - Scorretto ed offensivo! Cosa ti costa ammettere che vivi con me? Tanto ormai lo sanno già tutti!
- Mica è normale andare a vivere con tuo fratello quando ci si potrebbe permettere anche due o tre appartamenti per ciascuno. – ritorse lui, guardando altrove.
- Non è normale neanche scopartelo, il fratello con cui vivi. – asserì cupo.
Tom digrignò i denti. Un rumore minuscolo, appena percettibile, eppure spaventoso e densissimo.
Bill si ritrovò coi brividi su tutto il corpo.
- Vado in camera. – annunciò Tom, dopo essersi preso abbastanza tempo per calmarsi ed evitare di vomitargli addosso la sequela di insulti che avrebbe meritato.
- Tu non vai da nessuna parte. – soffiò Bill, ed in due passi gli fu accanto, lo arpionò per il polso e lo trattenne vicino a sé, stringendo tanto da farsi male da solo.
Tom era tesissimo. I suoi lineamenti erano duri e contratti. I suoi occhi brillavano di fastidio. Tremava quasi. Anzi, tremava proprio: il suo labbro inferiore sembrava incerto fra la prospettiva di aiutare la bocca a rovesciargli addosso tutta la frustrazione che stava provando e quella di obbligarla a chiudersi e restare in silenzio.
Bill rimase immobile a guardarlo, senza lasciarlo andare, e Tom si sporse verso di lui.
- Stai passando il segno. – gli bisbigliò addosso, - Non mi fare incazzare, Bill.
Lo affrontò a muso duro, senza spostarsi di un millimetro, nonostante il suo fiato sulle labbra lo avesse completamente terrorizzato. Tom era un ragazzo dolce, ed era anche un ragazzo inoffensivo. Ma Tom sapeva pure farti paura. Tom non aveva bisogno di minacciarti, per farti sentire sotto scacco.
La minaccia di Tom era di tipo incredibilmente fisico. Gli stava dicendo “guarda che non abbiamo più tredici anni. Non sarei più io, a prenderle”. Glielo stava dicendo e non solo non aveva bisogno di dirglielo, ma neanche di farglielo notare in maniera particolarmente smaccata. In fondo, lo stava solo guardando. In fondo, era solo il suo dannato respiro addosso. In fondo, era solo la sua bocca ad un centimetro dalla propria. In fondo, erano solo i suoi occhi a scrutarlo con quella vena di cattiveria priva di scrupoli che può esistere solo tra fratelli, perché solo tra fratelli sei sicuro che anche se tiri la corda un po’ troppo, anche se la tiri tanto da lasciare i segni sulla pelle, prima o poi sarai perdonato. Perché le corde a lungo andare si spezzano, certi legami invece no.
Era un po’ frustrante che Tom potesse avere simili privilegi. Poteva essere scorretto come un fratello e concedersi anche i capricci di un amante. Non doveva giustificare mai praticamente niente.
Poteva dirgli cose come quella.
E passarla liscia.
Come fratello e come amante.
Su tutta la linea, sempre.
Bill strinse le dita sottili attorno al suo polso, più di quanto non avesse fatto fino a quel momento. Vide la decisione di Tom incrinarsi, nello stesso istante in cui un brevissimo segno di dolore gli attraversò gli occhi, prima che lui potesse tornare perfettamente padrone delle proprie sensazioni.
Bill lo osservò con attenzione. Tom si passò la lingua fra le labbra e poi si mordicchiò il labbro inferiore, come volesse resistere all’impulso di spaccargli la faccia, e potesse farlo soltanto investendo la propria aggressività in qualche altra attività.
Il movimento della sua lingua era ipnotico, accidenti a lui.
Tutti gli svantaggi sia dei fratelli che degli amanti.

Ho davvero fatto male a scegliere proprio mio fratello come amante.

Si sporse in avanti, ed erano talmente vicini che le loro labbra si incontrarono praticamente subito. Meglio: un tragitto troppo lungo avrebbe costretto Bill a pensare e pentirsi.
Un tragitto troppo breve, però, non gli dava modo di riflettere abbastanza.
Dischiuse le proprie labbra su quelle di Tom, e cercò la sua lingua con la propria, ma suo fratello non rispose con la stessa sollecitudine. Anzi, si tirò indietro, strattonando violentemente il braccio e liberandosi anche della sua stretta, rimanendo poi a guardarlo con aria infastidita.
- Non sono proprio in vena. – gli disse Tom, stringendosi il polso con una mano e massaggiandolo dolcemente.
- Neanche io. – scollò lui a mezza voce, non prima di aver buttato giù deglutendo un magone non meglio identificato che s’era formato e fatto immenso nella sua gola in quei pochissimi secondi, - Non lo so perché ti ho baciato. – concluse, abbassando lo sguardo sul polso di Tom, sulla cui pelle dorata spiccavano dei segni rossastri che sarebbero probabilmente diventati lividi a breve.

Non lo so davvero, giuro.
Forse perché quando riporto tutto al piano fisico smetti subito di essere arrabbiato con me.
Forse perché voglio fartela pagare.
Forse perché sei sempre bellissimo.

Ma in realtà non so neanche perché abbiamo litigato, Tomi. Non lo so e non m’interessa, perché al momento desidererei solo non averlo mai fatto. Non averti mai chiesto niente. Non aver mai preteso quella dannata conferma. Non aver mai preteso neanche un bacio, da te.
E dire che so di avere ragione…
So che le mie pretese sono legittime. Perché perfino la parola amore è troppo riduttiva per noi, troppo scontata, troppo labile, non abbastanza densa. Tutte le mie pretese sono legittime. Perché dopo di te non viene niente, e tu lo sai.

Però io ti odio quando tu odi me. E non puoi negarlo: ci sono dei momenti in cui mi odi con tutto te stesso.


Sì, forse era proprio per questo che adesso aveva tanta voglia di baciarlo, di accarezzarlo, di spogliarlo. Perché lo odiava. Perché sentirsi odiato da lui lo riempiva di una paura irrazionale e di una quantità di rabbia tale che da solo proprio non riusciva a sopportarla. E per questo giocava anche con la rabbia di Tom. La istigava, la fomentava, la coltivava come una piantina e poi la osservava affacciarsi e germogliare.
Senza nessuna soddisfazione. Ma almeno non era più l’unico a covare sentimenti tanto meschini.
Si sporse ancora, afferrando Tom per il colletto della maglia e tirandoselo vicino, cercando le sue labbra con più prepotenza. Lui combatté, ribellandosi un poco, tirandosi indietro fino a lambire la parete con la schiena, e poi, quando capì che nessuna rivolta fisica avrebbe potuto fermarlo, mentre insisteva a giocare con la sua lingua, riversò tutta la propria rabbia nel loro bacio. Lo afferrò a propria volta per il colletto, tirandoselo contro esattamente come aveva fatto Bill poco prima.
Era un gioco di supremazia.
Un gioco che aveva vinto sempre Tom.
Perché era lui il più capriccioso fra loro due. Era lui il più spaventato.
Era lui il meno… coinvolto, forse?

Vaffanculo. Il solo pensiero mi dà la nausea.
Vaffanculo, vaffanculo, Tom. Se è vero, non te lo permetto.


Si separò da lui, richiudendo immediatamente le labbra sulla pelle sensibile del suo collo, prendendo a succhiarla avidamente, come un vampiro. Pericoloso come una bestia affamata. Tom lasciò andare un lamento che aveva poco di compiaciuto e molto di stupito e sofferente.
Non era affatto delicato.
I suoi modi erano sempre stati bruschi.
Non era lui quello bravo a letto.
Non era lui quello che sapeva sempre cosa fare.
Non era lui quello sempre gentile premuroso buono dolce tutto.
Quello era Tom. Tom sapeva sempre dove mettere le mani. Tom sapeva sempre cosa toccare e quando farlo. Tom era il re.

Non oggi, fratellino.

Lo costrinse a voltarsi, afferrandolo per la vita e schiacciandolo contro il muro, mentre Tom sbottava in un altro lamento improvviso e portava avanti le mani, per frapporle fra il proprio viso e la fredda solidità della parete.
Era leggerissimo.
Davvero leggerissimo.
Gli si gettò addosso, aderendo completamente a lui. Poteva sentire la sua schiena inarcarsi contro il proprio petto. Era una sensazione incredibilmente inebriante: aveva preso il potere dove Tom lo reggeva più saldamente. Stava comandando lui.
Era solo l’illusione di un attimo, e lo sapeva bene, ma era dolce. Dolcissima.
- ‘Cazzo fai? – ansimò Tom, spingendosi contro di lui per allontanarsi dal muro, ed ottenendo come unico risultato soltanto che lui si sentisse ancora più eccitato dalla situazione.
Bill non rispose. Si limitò a scivolare con le mani sotto la sua maglietta, divorando centimetri su centimetri di pelle caldissima, dall’inguine al ventre al petto, e fermandosi a giocare distrattamente con i capezzoli.
- …hai le dita fredde… - borbottò a bassa voce Tom, ansimando pesantemente un paio di volte, prima di riacquistare potere sul proprio respiro. – Smettila.
Suo fratello scosse il capo, chinandosi sulla curva del suo collo ed assaggiando la pelle salata dalla nuca alla sommità della spina dorsale. Sentì Tom rabbrividire sotto le sue labbra, ed inarcarsi ancora di più contro il suo petto, fino a fare aderire completamente i loro bacini.
Fu in quel modo che si accorse della sua erezione.
- Che ti sei messo in testa? – gli chiese ancora. Ma sapeva già che Bill non avrebbe risposto.
Le sue dita continuarono inesorabilmente a marcargli la pelle in un viaggio lento e quasi sfiancante, tornando indietro dal petto fino all’elastico dei boxer, al quale si appesero con falso disinteresse.
Tom rimase in silenzio per un po’, considerando con cura la pressione lieve di quelle curatissime dita addosso alla sua pelle ormai bollente, e poi si lasciò andare ad un ghigno poco divertito e molto infastidito, poggiando la fronte contro la parete.
- Se devi farlo, fallo.
Bill si mordicchiò un labbro.
- Non se tu non mi guardi. – disse a bassa voce. Ed era un sibilo incattivito. Quanto di più lontano dal sesso potesse esistere. Ed anche quanto di più vicino.
Afferrò Tom per le spalle, costringendolo a voltarsi e schiacciandolo di nuovo contro il muro. Affrontò con coraggio tutta la rabbia e la disapprovazione che leggeva nei suoi occhi, ricevendo in cambio solo un’occhiata di schermo che lo ferì davvero profondamente – ma d’altronde, suo fratello era sempre stato un campione nel fargli del male. In ogni modo possibile. Non c’era nessun dolore che potesse essere paragonato a quello che gli procurava suo fratello quando lo feriva consapevolmente.
Lo baciò ancora, senza neanche chiudere gli occhi. Tom invece lo fece. Abbassò le palpebre e si rifiutò di guardare oltre.
Un’altra piccola vittoria.
Un’altra vittoria inutile.
Gli sbottonò i jeans, pressandosi contro di lui e prendendo macchinalmente atto dell’erezione che, alla fine, aveva colto anche lui.
Era più un dato di fatto che una constatazione stupita.
C’era più qualcosa che potesse davvero meravigliarlo? S’era giocato perfino la più minuscola traccia di felicità, innamorandosi – se poi amore era davvero – di quello stronzo di suo fratello?
I jeans di Tom caddero a terra immediatamente – enormi e ingombranti e totalmente inutili com’erano – nel momento stesso in cui Bill lo liberò dalla cintura. Eliminato l’ostacolo dei vestiti, non fu difficile ritrovarsi a breve completamente coperto contro la pelle di suo fratello – completamente nudo.
Era dannatamente eccitante.
Lo stava odiando in quel momento come mai.
Perché era uno stronzo, un bugiardo, un codardo ed un egoista.
Lo desiderava al punto da stare male.
Tom gli sollevò gli occhi addosso e rise apertamente.
- Ed ora che intendi fare? – chiese, sfidandolo.

Bastardo. Tu dovresti sentirti in soggezione. Dovresti sentirti piccolo e stupido.
Sei nudo.
Ed io sto comandando l’azione.
E sto per mettertelo nel culo, brutto stronzo.
Io ti odio, ti odio a morte, ti odio, ti odio…


Lo afferrò per i fianchi, spingendoselo ancora contro. Voleva scoparselo. Voleva essere lui a scoparselo. E voleva che Tom lo guardasse in faccia, mentre lo faceva. Voleva che lo vedesse distaccato e padrone e cattivo ed impietoso. Voleva dimostrargli che poteva esserlo anche lui. Che non doveva passargli neanche per l’anticamera del cervello la possibilità di essere lui “a comandare”.

Non c’è nessuno che comanda, qui, Tomi.
Neanche io, è tanto ovvio che mi sento quasi stupido.
Non comando neanche io, ma quanto è vero che ti odio e ti amo e ti vorrei morto e solo mio, non comandi neanche tu.


Tom era davvero leggerissimo. Quasi neanche sentiva il suo peso, nonostante fosse lui l’unico a reggerlo, a più di un metro da terra, schiacciato contro la parete congelata. Le gambe intrecciate dietro la sua schiena, Tom aveva piantato le dita sulle sue spalle ed aveva cercato una posizione che non fosse scomoda né eccessivamente ridicola, e poi s’era sdraiato leziosamente contro il muro, osservandolo con un sorriso irridente sulle labbra.
Bill aveva sollevato due dita ed aveva studiato attentamente il suo profilo coi polpastrelli, neanche dovesse premurarsi d’imprimerselo nella memoria in modo quasi fisico – anche più di quanto già non fosse. E quelle stesse dita, poi, le aveva fatte passare attraverso le sue labbra. L’aveva obbligato a leccarle, succhiarle, bagnarle e renderle scivolose e sfuggenti. L’aveva obbligato ad essere lui stesso il garante di ciò che stava per accadere.

Ed allora perché? Perché, anche se sono io ad importi le cose, sembra sempre che sia tu a concedermele?

Lo accarezzò lentamente fra le natiche, stuzzicando con le dita umide la sua apertura, senza però mostrare segno di volerla forzare. L’aveva guardato ancora in faccia, ma Tom era su un altro pianeta: gli occhi chiusi ed il capo abbandonato fra spalla e parete, respirava pesantemente e probabilmente s’era pure reso conto della sentenza che s’era tirato addosso.
Bill lo afferrò per il mento, strattonandolo poco delicatamente verso di sé e costringendolo a guardarlo, mentre, in un gesto quasi unico, lo penetrava sbrigativamente con un dito. Tom si morse un labbro con inaspettata violenza, ma non gli concesse neanche la soddisfazione di un mugolio. Piuttosto, si sporse in avanti e gli afferrò un labbro fra i denti, mordendolo con la stessa violenza con la quale s’era morso da solo.

Il tuo sangue ed il mio sangue hanno esattamente lo stesso sapore.

Non ho intenzione di risparmiarti niente.


Non aspettò neanche che Tom si fosse abituato alla presenza estranea del suo dito nel proprio corpo, prima di sfilarlo senza alcuna dolcezza e sostituirlo con qualcosa di ben più pericoloso.
E sarebbe stato stupendo, per Tom, che il dolore fosse una questione di poco conto. Perché così avrebbe potuto continuare a ricoprirlo di ghigni e supponenza, ed oltre a frustrarlo non avrebbe cambiato niente.
Ma il dolore non era una questione di poco conto.
E perciò Tom urlò.
Urlò e si gettò indietro, sbattendo lievemente la testa, prima di tornare a spingersi in avanti ed affondare il viso fra i capelli di Bill, mentre lui continuava a penetrarlo.

Senza la minima pietà.
Cos’è che si prova, Tomi?
Fa male, vero?


E dire che suo fratello non l’aveva mai fatto soffrire in quel senso. Era sempre stato discreto, delicato, dolce, devoto. Gentilissimo. Era sempre stato capacissimo di anestetizzarlo con mille cure, mille rimedi, mille droghe naturali tutte proprie. Il suo profumo, le sue carezze, i suoi baci, quelle mani caldissime ed incredibilmente talentuose, perfino in quel frangente.
Ma Tom era immune a qualsiasi tipo di sofferenza emotiva. Perché rispondeva alla cattiveria con la rabbia e con altra cattiveria, mai con la tristezza. Era intoccabile.
L’unico modo in cui poteva farlo soffrire, l’unico modo in cui poteva fargli pagare almeno una parte di tutto il dolore che gli causavano le smentite, le battutacce e le groupie che continuava a frequentare in nome di una reputazione che non poteva in alcun modo essere ridimensionata, o “cos’avrebbero pensato tutti?”, era quello.
Male fisico in cambio di male sentimentale.

Non potrei mai dirtelo.
Non capiresti mai.


Continuò a spingersi impietoso dentro di lui. Senza neanche offrirgli il sollievo di una carezza.
Tom, per conto proprio, non ne cercò.
Quando gli si abbatté addosso, ansante, dopo essere venuto, Tom rise pianissimo contro il suo orecchio, prima di baciarlo.
- Me lo sono meritato, eh…? – lo sentì sussurrare.

Non so se ridere o piangere.
Pure se lo sapessi, credo non farei niente del genere.

*
Anche a voler essere particolarmente indulgente con se stesso, Tom non si sarebbe mai perdonato per ciò che aveva lasciato accadesse quella notte. La notte in cui, per la prima volta in assoluto, lui e Bill s’erano concessi di riposare in un abbraccio caldissimo e privo di schermi, non avevano perso solo il candore e l’innocenza del loro rapporto: avevano perso anche l’amore.
Di amore in senso stretto non avevano nemmeno mai parlato, per dirla tutta. Suonava scontato, suonava banale, suonava pure assurdo svegliarsi una mattina ed ammettere ad alta voce qualcosa che in fondo avevano sempre saputo.
Però, da quel giorno in poi, di amore non c’era stata proprio più traccia. Restava l’odio di quando litigavano furiosamente, la gelosia di quando non si dedicavano abbastanza tempo e la frustrazione derivante dal dover vivere i loro sentimenti nel più discreto e perfetto silenzio.
Andando a letto con Bill, Tom aveva perso un fratello. E non aveva guadagnato niente.

Se non è sfiga questa.

Se non è idiozia…


Seduto sul divano accanto a lui, Bill fissava il vuoto con aria assorta. Le sopracciglia aggrottate e le labbra strette in una smorfia di disagio e disappunto, sembrava un bimbetto che avesse appena capito di aver compiuto l’errore più madornale della sua intera esistenza.
Era mortalmente carino.
Sollevò stancamente un braccio, poggiandoglielo sulla guancia e ravviandogli dietro un orecchio una ciocca di capelli scivolata a solleticargli il viso.
- Che c’è? Prima fai le cose e poi ti incupisci? Così uno come fa a rimproverarti?
Tutto il suo corpo si tese, e Bill si raggomitolò ancora di più su se stesso, allontanandosi da lui. Tom si lasciò andare ad una risata breve quanto assassina, prima di scivolargli addosso.
- Fammi un po’ di spazio, va’. Sono tutto dolorante. – borbottò, costringendolo a distendere le gambe per poggiare il capo sul suo grembo. – Non sei affatto bravo. Sei un egoista pure nel sesso. L’avevo sempre sospettato, ma ora ne ho le prove. – si lamentò. Ma sorrideva. E questo era un dettaglio che a Bill proprio non poteva sfuggire.
- …scusa… - sussurrò infatti, mordendosi l’interno di una guancia, probabilmente per non scoppiare a piangere come un moccioso.
Tom scrollò le spalle.
- Se mi prometti che la prossima volta sarai più delicato, te lo faccio rifare.
Anche Bill sorrise lievemente, chinandosi su di lui per rubargli un bacio a fior di labbra.
- Guarda che non mi hai lasciato fare niente… - precisò, tornando a raddrizzare la schiena, - Quello che mi hai “dato”, me lo sono preso io…
Tom rise, sollevando giocosamente una mano a tirargli piano i capelli.
- Presuntuoso pure!
- E tu sei una merda. Lasciami andare, mi fai male! Ma chi cavolo me l’ha fatto fare di accettare quest’assurdità…
Tom piegò le labbra in un ironico sorriso di scherno.
- Nessuno ti farà mai male quanto me. – commentò a mo’ di risposta.

Già. Ed io non sono me stesso quando tu non sei accanto a me, e nella luce della luna restiamo solo noi due, e dopo di te non viene niente, e nella notte… nella notte…
…vero, Bill?


Bill non aggiunse una parola.
Aggiunse solo un bacio. Di quelli che mettono punto e suonano pure come una – l’ennesima – resa incondizionata.
Forse non era neppure così fondamentale parlare d’amore, in fin dei conti.
- …ma sono le tre del mattino! – strillò Bill, scattando in piedi e rovesciandolo violentemente sul divano, - Ma ‘cazzo abbiamo nella testa?! Domani abbiamo l’intervista alle otto! Cristo! Che diremo a David?!
- …wir wollten nur redden?
Bill lo sferzò con una tale occhiataccia che non solo Tom desiderò di non aver mai suggerito quell’ipotesi, ma anche di non aver mai avuto delle labbra per parlare né una mente per ideare pensieri – dementi o sensati che fossero.
- Tom? Comincio a pensare che non dovevo tapparti il culo, ma la bocca.
Tom spalancò gli occhi, rabbrividendo letteralmente dalla punta dei piedi alla punta dei capelli. Dopodichè, si premurò di procurarsi una coperta ed un cuscino decorosamente morbido: quando Bill cominciava ad essere sboccato, era decisamente meglio stare alla larga.

E sia.
Forse non è neppure così fondamentale parlare d’amore.
Forse neppure parlare e basta.
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