Fandom: Originali
Genere: Romantico
Rating: R
AVVISI: Boy's love.
- Fantocci, macchiette, adorabili figli del pettegolezzo.
Commento dell'autrice: Che storia scema XD Mi piace perché riprende dei pettegolezzi che girano sul serio, a scuola mia :) Anche se ovviamente non si spingono al livello patologico di questi qui XD In realtà l'idea di una scuola così pettegola mi diverte da morire, ma dubito che esistano sul serio posti del genere. Scritta abbastanza di getto dopo aver ascoltato l'adorabile canzoncina di cui parlo anche nella storia, figlia di un gruppo di studentelli amici miei XD :*
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All's About Sex


Lo chiamavano Feedback, come quell’effetto della chitarra elettrica, perché quando aveva cominciato a suonare sbagliava spesso e faceva un casino con l'amplificatore, e gli veniva sempre fuori quel suono. Il suo vero nome era Alessandro, ma non lo sapeva quasi nessuno. A scuola lo conoscevano tutti, perché era il leader dei Dogs Flock, che oltre a scrivere qualcosa per conto loro erano anche la più famosa coverband dei Led Zeppelin in tutta la città. Lo conoscevano anche perché aveva dei capelli scioccanti: ricci talmente fitti, definiti, minuscoli e regolari da sembrare finti. Li portava sempre raccolti in una coda, anche se le ciocche più corte sfuggivano presto all’elastico e ricadevano ai lati del viso, fastidiose e incontrollabili. Stava con Lucienne, una ragazza di colore, bassa e carina, di cui nessuno sapeva niente perché non veniva a scuola con noi e a Feedback non piaceva parlare dei fatti suoi con troppa gente.
Anche Enrico a scuola era famoso. Perché aveva una voce splendida, intensa, sensuale, profonda. Perché era bello, longilineo, dalla pelle bianchissima, gli occhi verdi e tanti corti capelli rosso scuro. E soprattutto perché era bisessuale, l’unico, o per lo meno l’unico dichiarato, in tutto il liceo. Portava sempre un orecchino a sinistra, un lungo filo d’argento con un piccolo pendente sferico alla fine. Gli sfiorava il collo ad ogni movimento. Maschi e femmine non potevano non guardarlo.
Gli piacevano i Muse. Piacevano anche a Feedback. Feedback suonava da Dio, Enrico cantava da Dio. Quando si erano conosciuti era risultato abbastanza chiaro per entrambi – ed anche per tutti gli altri - che sarebbe stato l’inizio di qualcosa di grande, anche se non si capiva ancora bene cosa.
Erano nati così i Monotònia. Inizialmente non si esibivano spesso, e non provavano neanche tanto, sia perché Feedback era impegnato coi Dogs, sia perché Enrico aveva promesso di fare Clopin nel musical della scuola, “Il gobbo di Notredame”. Pare che questa situazione sia durata più o meno sei mesi. Formalmente, i due erano amici, perché era impensabile che avessero il gruppo insieme e non si conoscessero neanche – come in realtà, invece, era.
Poi il musical andò in scena, ed Enrico si liberò dai suoi impegni. Si dice che abbia telefonato, in piena notte, a casa di Feedback, apposta per sentirlo e dirgli che da quel giorno in poi per lui sarebbero esistiti solo i Monotònia, anche se gli permetteva di continuare a giocare coi Dogs. Si dice anche che questa cosa abbia molto indispettito Feedback, che il giorno dopo sarebbe andato da Enrico appositamente per spaccargli il muso e dirgli che, fanculo, potevano fare entrambi quel cazzo che volevano, e potevano considerare chiusa la parentesi Monotònia. Questo discorso sarebbe avvenuto in sala professori, che a quanto pare era vuota.
Solo che a questo punto la documentazione si divide in due rami ben distinti e separati. La prima versione dei fatti era quella del semplice litigio, in seguito al quale però i due erano riusciti a comprendersi e venire a patti, ed alla fine i Monotònia erano sopravvissuti. Queste voci si sono perse nel vento. Troppo poco interessanti.
La seconda versione è più avvincente. È sopravvissuta di più. Dice che Feedback era, sì, effettivamente andato in sala professori con Enrico per spaccargli il muso eccetera eccetera, ma dice anche che Enrico non era dello stesso avviso. Che Enrico si sarebbe scusato con un sorrisetto infantile e terribilmente malizioso, che avrebbe preso Feedback per un polso, l’avrebbe condotto lievemente verso una poltrona, l’avrebbe fatto sedere, si sarebbe inginocchiato davanti a lui, gli avrebbe slacciato i pantaloni e gli avrebbe fatto un pompino lì, senza pensare a nient’altro. Poi, anche qui ci sono due versioni dei fatti. C’è chi dice che Feedback l’abbia presa molto serenamente, si sia fatto fare il pompino e buonanotte; e c’è chi dice che Feedback si sia alzato a metà, come rendendosi conto tutto in un momento che stava succedendo qualcosa di strano, e sia uscito dalla sala dei professori senza dire una parola, rosso in viso e nervoso. Entrambe le versioni, comunque, confermano il volto di Enrico assolutamente sereno, soddisfatto e rilassato per tutto il resto della settimana.
*

A ripensarci oggi ad anni di distanza è incredibile come un pettegolezzo simile possa essere sopravvissuto tanto. Sono già dieci anni ed ancora ne parliamo, io ed i miei amici, quando ci capita di ripensare al liceo. Ed è inutile che precisi quanti altri mille e mille “scandali” siano avvenuti in quella scuola, e quanto a lungo anche di quelli si sia parlato. Non ne ricordo nessuno, solo questo. Perché quella che avevamo abilmente confezionato intorno ad Enrico e Feedback era una storia di seduzione segreta, di debolezza contro le proprie voglie, una storia di sesso consumato nei posti più impensabili. Questo conferma un po’ la teoria secondo cui tutto è sesso, alla fine dei giochi. Anzi, diciamo che la conferma in pieno.
Quante cose si sentivano, riguardo Feedback ed Enrico. Le ricordo tutte, con dovizia di particolari.
C’era la storia dello sgabuzzino dei bidelli, cazzo, quanto ne avevamo parlato in classe; si diceva che un giorno Enrico fosse uscito dall’aula chiedendo il permesso per poter andare in bagno, e fosse andato dritto in laboratorio di fisica, dove stava la classe di Feedback in quel momento. Con una scusa, avrebbe fatto uscire Feedback e l’avrebbe spintonato con malagrazia nello sgabuzzino dei bidelli, di cui miracolosamente aveva le chiavi – questo è il potere della chiacchiera – dove gli avrebbe fatto un pompino tale da farlo quasi gridare. Ed alcuni sostenevano perfino che dopo quel servizio Feedback avesse insistito per scoparsi Enrico lì ed in quel momento, ma lui l’aveva fermato perché non avevano preservativi.
Cazzo, ricordo ancora la descrizione che Giuseppe – il ragazzo che mi raccontò questi fatti – mi fece dell’espressione di Feedback una volta tornato in laboratorio. “Stravolto, le guance rossissime, quasi ansimava, e poi era agitato e nervoso, e dopo mezz’ora ha chiesto di uscire di nuovo! Capisci?!”.
Poi c’era la storia di “Prendimi ancora”. Che era una canzone dei Dogs. I Dogs, come ho già detto, ogni tanto si esibivano anche con qualcosa di loro. Si racconta che il ritornello di quella canzone l’abbia scritto Enrico, mentre le strofe siano di Feedback. La storia dice che un pomeriggio, a casa di Feedback, dopo un paio d’ore di sesso sfrenato – sono sempre un paio d’ore o tutta la notte, nei pettegolezzi… tranne quando si vuol essere maligni. Allora sono massimo tre minuti – Feedback chiese ad Enrico per quale motivo non avesse mai provato a scrivere qualcosa di suo. Allora Enrico s’era alzato dal letto e, ancora nudo, s’era andato a sedere alla scrivania, aveva preso carta e penna e dopo una decina di minuti era tornato dall’altro con quattro frasi buttate lì una accanto all’altra: “Prendimi, prendimi ancora. Stordiscimi, stordiscimi ancora. Abbracciami, abbracciami ancora. Riempimi, riempimi ancora”. Leggendole, Feedback s’era messo a ridere ed aveva detto che faceva schifo, sembrava una canzone dei Placebo e non l’avrebbe mai cantata in pubblico. Al che Enrico aveva risposto che quelle erano le uniche cose cui riusciva a pensare quando stavano insieme. E poi gli aveva fatto giurare che avrebbe trasformato quelle quattro parole in una canzone, che sarebbe stata la più bella canzone dei Dogs Flock, e che avrebbero dovuto suonarla per ogni esibizione.
Ho visto un bordello di concerti dei Dogs, quella canzone non è mai mancata. Anche se non è affatto bella.
Giuro, più ci penso più mi sembra assurdo.
Che erano cazzate lo sapevamo tutti, più o meno. Cioè, sì, c’era qualche primino che ancora, quando sentiva la storia dall’inizio, ci cascava. Le ragazze andavano in sollucchero, me lo ricordo. Ma non era questo il punto, non era che fosse vero, né che fosse plausibile. Ogni tanto – non serviva neanche che fosse tanto spesso, bastava una volta al mese, o ogni tre settimane – qualcuno inventava una qualche sonora minchiata ed andava in giro dicendo “ah, sai, mi hanno detto questo e quest’altro…”; la risposta tipica alla domanda “chi te l’ha detto?” era “ah, sai, sono le classiche cose che tutti dicono, ma mai per primi…”. Come a dire, la notizia non ha paternità, o ti fidi o ti fidi. Ma era divertente, era eccitante, era da guardoni senza essere perverso, era qualcosa di cui ci faceva piacere parlare.
Era qualcosa di pericolosissimo. E me ne accorgo se penso che Lucienne e Feedback si lasciarono proprio per queste stronzate.
*

Le storie che contribuivo a diffondere per la scuola non erano mai mie. Lasciavo che fossero gli altri a crearle. Capitava che le ingigantissi, che aggiungessi un particolare, una volta ogni tanto, ma non ho mai inventato niente di sana pianta, mi limitavo a lavorare su ciò che già avevo.
Tranne una volta. L’unica volta in cui mi sia azzardata a dar moto al pettegolezzo per prima. E lo feci solo perché quella volta era vero, ne avevo la certezza e non era poi tutto questo scandalo. Solo che era una scena tenera, l’avevo vista per caso e nessun’altro era con me, sarebbe stato un peccato lasciarla sprecarsi così nella mia memoria.
“Ho uno scoop sensazionale”, avevo detto ridacchiando a Grazia, la mia migliore amica, “Questo li supera tutti”. Lei aveva ipotizzato potesse trattarsi di una qualche scopata selvaggia sulla scrivania del preside. Io ero scoppiata a ridere dicendo che era qualcosa di più soft. Qualcosa di romantico. Qualcosa di reale. E poi avevo raccontato quello che avevo visto in aula di informatica.
Dovevo usare il pc per una ricerca. Avevo aperto la porta, giusto un po’, per vedere se ci fosse qualcuno dentro. Avevo riconosciuto in un battito di ciglia i capelli di Feedback. Avevo socchiuso la porta, spiando. Era con Enrico, chiaramente.
Lucienne l’aveva appena lasciato, credo. Era in lacrime, tutto rosso e disfatto. Aveva appoggiato il viso sul collo di Enrico, e lui giocherellava coi suoi capelli, respirandogli addosso, cercando di calmarlo senza far nulla di particolare, semplicemente aspettando. “Non posso credere di essere venuto proprio da te…”, gli aveva detto. “Ehi, siamo sempre amici…”, aveva risposto Enrico sbuffando. “Sì, ma anche tu sei un po’ colpevole…”, “Eh? Perché?!”, “Perché sei quello che sei, e alla gente piace parlare di te…”, “Beh… anche tu sei quello che sei! Chi è che mi abbraccia in pubblico?!” – sì, si abbracciavano spesso in pubblico – “Quelle sono cose innocenti…”, “Ok, spiegaglielo e tornerà tutto a posto.”, “No… lei ci crede. Crede a tutto quello che le hanno detto su di noi.”. M’aveva preso un colpo non indifferente. Quello era stato il primo momento in cui m’ero sentita colpevole di tutto quello che avevo detto, di ogni parola e di ogni volta che avevo pensato di dire qualcosa a qualcuno.
Enrico si era limitato a scrollare le spalle, stringendo Feedback un po’ più forte. “Allora lasciala perdere. Hai poco da fare, e sinceramente penso che non ne valga la pena. Comunque io ci sono sempre, lo sai, no?”. Feedback aveva sollevato le braccia e le aveva strette attorno a lui. Erano teneri, lo erano davvero. Era quello il motivo per cui alla gente piaceva parlare di loro, perché erano teneri, splendidi e scandalosi. E una cosa tanto bella sarebbe stata la loro dannazione, purtroppo.
Comunque, il senso di colpa che, per un secondo, vedendo piangere Feedback, avevo provato, era svanito nel giro di un attimo, perché appena finito di spiare avevo già voglia di far circolare quella voce, quella scena. L’ho già detto, no? Troppo bella per restare solo mia. Grave errore. Si dovrebbe sempre cercare di preservare le cose tanto belle.
Non posso fare a meno di pensare sia stata anche colpa mia se alla fine Feedback ed Enrico litigarono, sciolsero i Monotònia e smisero di parlarsi, oltre che di abbracciarsi.
*

Quella era la fine della storia, fino a stamattina.
Ok, immaginatemi liceale, immaginate che venga da voi con un sorrisetto emozionato sulla faccia e che con tono pettegolo vi dica…
…non potete immaginare chi ho visto oggi mentre facevo una passeggiata dalle parti del Giardino. Uno scoop sensazionale, uno scoop che camminava su quattro gambe allineate. Feedback ed Enrico. Ed erano mano nella mano.
Sì, ci penso e mi sembra una cosa dell’altro mondo. Cioè, erano cazzate, no? Perché loro erano solo amici, ed eravamo stati noi a montargli addosso tutto quel baracchino di sesso, baci e pompini; eravamo stati noi a separarli. Ed invece eccoli là, più uniti che mai, più uniti di quanto non fossero a scuola, camminare insieme giù per via Libertà, chiacchierando cazzeggiando ridendo scherzando, una gioia per gli occhi, mi sono sentita commossa.
Enrico è sempre bellissimo. Feedback ha tagliato i capelli, ma è sempre carino. Chissà se si fa ancora chiamare Feedback… chissà se suona ancora. Cazzo, son passati dieci anni, puttana miseria, e guardateli, uomini fatti.
E la cosa più piacevole da vedere è stato l’orecchino di Enrico. Sapete, una delle cose che aveva contribuito all’esplosione dei pettegolezzi su loro due era stato quel dannato orecchino. Quello col pendente sferico. Un giorno, senza un perché e senza preavviso, il pendente era sparito ed al suo posto era comparso un plettro nero che alcuni erano pronti a giurare fosse quello che usava Feedback. Ed il plettro nero era ancora lì, stamattina, quando ho guardato.
Cristo, devo chiamare Grazia. Immediatamente.
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