Fandom: Originali
Genere: Introspettivo
Rating: PG
- The typical depressed schoolgirl.
AVVISI: Angst.
Commento dell'autrice: Scritta appositamente per un concorso, ma mi sta decisamente a cuore. Primo perché ho scoperto che l’obbligatorietà di un titolo è meno restrittiva di quanto non si possa pensare °_° Io mi sono sentita molto libera di scrivere ciò che volevo, tanto più che “sentimentalmente”, se così si può dire, mi ci sono ritrovata subito. C’è molto di mio, in questa storia, anche se, non c’è neanche bisogno di dirlo, l’esasperazione di fatti e sentimenti è talmente esagerata che se lo leggo non mi ci riconosco O.O Dedicata a tutti i poveri studenti che, come me, odiano il liceo ._."
Nota: Questo è l'indirizzo del concorso a cui la storia ha partecipato. Purtroppo non ha vinto ^^ E' arrivata terza... su tre XD Ebbene, non può essere sempre domenica è_é"
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Agognata Sera


Cuore, resisti almeno fino a stasera.
**

- Michi, come stai? La febbre è passata?
- Sì, grazie.
- Ma l’hai avuta molto alta?
- Trentanove e mezzo…
- Accidenti… comunque c’è la Pinsolo incazzata come una biscia!
- …?
- Ma sì, ti doveva sentire in letteratura italiana e tu sei sparita per cinque giorni… ha fatto come una pazza, ogni giorno a chiedere “e Margotti dov’è? Si è ritirata, finalmente?”… uno strazio…
- Sì.
- Sei preparata?
- Non ho potuto studiare.
- Ah, immagino che sarai stata male e tutto il resto… boh, chissà se ti giustifica…
**

- Margotti, ti devo sentire.
- Non posso venire la prossima volta?
- E’ un mese che cerco di sentirti, ma tu o stai male e ti assenti o il giorno prima sei andata dal dentista… guarda che già qua c’è il puntino, eh? Vieni o no?
- Io non ho potuto studiare, professoressa…
- E perché?
- Sono stata male, ho avuto la febbre alta…
- Sì, intanto domani c’è lo scrutinio, quindi se non vieni oggi non ti posso mettere la sufficienza. Non ho neanche un voto orale tuo, e la situazione allo scritto è disastrosa, per usare un eufemismo… che fai?
- …non sono preparata.
**

- Com’è andata a scuola, Michi?
- Abbastanza bene…
- Che ti hanno detto i professori dopo l’assenza? Ti ha svantaggiato?
- Non lo so ancora… dicono che la situazione è incerta perché ho pochi voti, ma probabilmente alla sufficienza ci arrivo…
- Ah, meno male. Non vogliamo nulla di particolare, io e tuo padre, lo sappiamo che la scuola non ti piace, ma almeno la promozione… esci dal liceo e poi potrai fare quello che vuoi…
**

Sì, ma io cosa voglio?
E come esco dal liceo?
**

- Michi, vieni qua.
- Che c’è, pa’?
- Che stavi facendo?
- Studiavo.
- Davvero?
- Certo…
- Mi ha chiamato la professoressa Piani.
- …come mai?
- Mi doveva parlare. Mi ha detto un sacco di cose che non sapevo.
- …
- Quante volte hai marinato la scuola, Michela?
- …
- Perché non fai mai i compiti?
- …
- Non vai mai interrogata.
- …
- Dice che ti bocciano.
**

- Michè, madonna, tua madre ha chiamato mia madre, ma cazzo, ma i tuoi non ne sapevano niente?
- Niente.
- Merda, adesso come fai?
- Non lo so.
- Eh, ma è sicuro che ti bocciano, ormai?
- Credo di sì.
- Cazzo, mi dispiace troppissimo, guarda, appena finisce la scuola usciamo subito insieme, anzi, vieni in villeggiatura con me che almeno ci svaghiamo un po’, ci stai? Va bene? Guarda che io ti sono sempre vicinissima, mi dispiace, mi dispiace troppo…
**

- Ludovica, smettila di piangere davanti alla ragazza.
- Ma cosa dovrei fare? Ho passato tutto l’anno a ripeterle di fare, per favore, quest’ultimo sforzo, così poi poteva uscire e stare anche a fare un cazzo tutto il giorno, o magari trovarsi un lavoro, ed invece lei niente, se n’è fregata, non gliene frega assolutamente niente…
- Adesso smettila, evidentemente ci sono stati dei problemi dei quali non ci siamo accorti, e lei non è riuscita…
- Ma quali problemi, quali?, me lo dici, quali?! Se lei non parla noi non possiamo sapere niente, e se crede che fuggire dalla scuola sia il modo migliore per dimostrarci che ha problemi si sbaglia di grosso!
- Possiamo parlarne dopo cena?
- Che senso ha parlarne dopo?! L’anno è perso, ormai, dovremo ricomprarle i libri, pagare un altro anno di iscrizione, me lo dici tu come facciamo? Tutti questi soldi! È vero che le avevamo detto che l’università non gliela potevamo pagare, ma almeno finire il liceo! Finire l’obbligo! Come faremo adesso, come?
- …Michela, vai in camera tua.
**

Io non ho problemi. È solo che studiare non mi piace, tutto qui. Lo trovo inutile e noioso, non so perché dovrei perdere tempo dietro la trigonometria e la filosofia e la geografia astronomica – la geografia astronomica! – quando so perfettamente che nella mia vita non me ne farò niente di niente e, per giunta, studiare è uno strazio insopportabile.
Tanto più che una volta ci ho pure provato, che mamma aveva pianto proprio il giorno prima perché nell’ultimo compito di fisica avevo portato un 3- e mi era scappato di bocca perché ero triste, era dispiaciuto anche a me. Ci ho provato, c’era la versione di latino il lunedì dopo, ci ho provato sul serio, ed io in latino non sono proprio zero, intendo dire, le frasi ogni tanto le traduco bene e poi so le regole di base, intendo le declinazioni ed un po’ di verbi, ed allora ho ripassato un po’ di cose, ci ho messo tutto il pomeriggio, cazzo, alla sera avevo un mal di testa che non vi dico, ed anche il giorno dopo ho ripassato tanto, e poi arriva al lunedì e faccio questa traduzione che mi sembra mi sia venuta anche bene, tutto sommato, e poi arriva al giovedì che la prof riporta i compiti corretti e bum!, disastro.
Ed anche un’altra volta, per l’interrogazione di matematica. O quello che è. Io finché sono numeri, dico, finché sono espressioni, equazioni, disequazioni, calcoli, infondo, riesco. Dico davvero. Ogni tanto mi fotte qualche segno sbagliato che mi sballa tutto il risultato finale, ma quantomeno le procedure le so. Però la trigonometria per quanto mi riguarda non è una scienza, è un mistero della fede. Voglio dire, non la capisco. Non capisco a che mi possa servire, non capisco nemmeno come qualcuno possa trovarla affascinante, non parliamo poi di divertente. Per me non ha senso. Però mi sono impegnata, dato che ero stata assente tutta la settimana e il prof Milano – che è un brav’uomo, davvero, se i prof fossero tutti come lui il mondo sarebbe migliore – mi aveva praticamente implorato di presentarmi almeno quel giorno, per poter evitare di mettere “non classificato” nella colonnina del voto del secondo trimestre, mi sono seduta alla scrivania ed ho studiato un poco di teoremi. Il giorno dopo arrivo a scuola e lui mi chiede i problemi. Che io lo so, sì, che non sono altro che applicazioni pratiche dei teoremi, ma io non li so applicare praticamente, non ci ho nemmeno mai provato, anzi, una volta ci ho provato, ma mi sono fermata a metà perché a un certo punto non lo capivo più e mi stavo sentendo male.
Io sono stupida, lo so, non ho mai avuto alcun tipo di talento particolare, la mia poi è una famiglia modesta, molto modesta, non mi hanno mai potuto dare più del cibo e di qualche giocattolo poco costoso una volta ogni tanto. Poi, da quando mamma non lavora più perché è incinta di Carmelo, siamo nello schifo. Per esempio, sulla strada da casa a scuola c’è un negozio che vende libri, l’altra volta mentre ci passavo davanti ho sollevato lo sguardo e c’era una copertina blu con un omino spaventoso stampato sopra, una cosa troppo intrigante, mi è piaciuta subito anche se non ho fatto caso al titolo. Così sono entrata ed ho preso uno dei volumetti fra le mani, ed ho visto che costava undici euro. Allora torno a casa e chiedo il permesso a mamma di comprarlo, e lei fa come una pazza. Che non dovrei mettermi a leggere libri perché dovrei impegnarmi di più a studiare, perché me lo ricordo quel votaccio al compito di fisica, vero?, che lei fa già tanti sacrifici per comprarmi i libri di scuola. Sono costati più o meno duecento euro, quest’anno, con tutto che avevamo il sussidio scolastico, un furto.
Il votaccio non l’ho avuto solo al compito di fisica, comunque. Gli altri anni sono sempre riuscita a passare per il rotto della cuffia, ma quest’anno no, quest’anno non mi riesce. Non si può essere sempre fortunati. Magari sarebbe bastato solo che mi impegnassi un po’ di più, ma adesso ormai è tardi per pensarci. Forse l’anno prossimo neanche frequenterò, magari il diploma non me lo prendo, perché mamma oggi ha pianto pensando all’iscrizione, il che vuol dire che forse a soldi non ci arriviamo, ma a me non dispiace, tanto a scuola non ci vado a fare niente, non mi piace. Mi dispiace un po’ per i miei che speravano mi andasse un po’ meglio, nella vita, ma va be, fra poco faccio diciott’anni, un lavoro lo troverò, vedrò di cavarmela, in qualche modo.
Che comunque, ci tengo a precisarlo, questi cinque anni di liceo sono stati infernali. Anche nei momenti in cui andava meglio, coi voti, stavo sempre male. Perché era tutto uno schifo, perché i ragazzi che ci sono non mi piacciono, non mi capiscono, anche la ragazza che prima al telefono mi consolava, sua madre e la mia si conoscono da molto tempo, ma io con lei a stento ci parlo, e sinceramente non ho voglia di parlare con una che se le va male uscirà col 100 agli esami, e non ci voglio andare neanche in villeggiatura, perché lo so che romperà tutto il tempo a dirmi quanto le dispiace per me, e non vedo cosa ci sia da dispiacersi se io per prima sto a posto.
Voglio dire, c’è di peggio nel mondo. Di certo non ne morirò.
Comunque, dicevo, prima, stavo sempre male. Stavo tanto male che la mattina quando uscivo di casa i vestiti mi sembravano tre taglie più stretti, mi sentivo strozzare. Anche lo zaino, con le sue cinghie, sembrava stringermi in una specie di trappola, ed era talmente pesante che avevo paura mi si dovesse spezzare la schiena mentre lui scendeva sempre più in basso fino a toccare il marciapiede. E poi quando entravo a scuola avevo un cerchio alla testa, allucinante, e non riuscivo neanche a ragionare. Senza parlare poi di quando tornavo a casa e dovevo mettermi a studiare, ogni libro un quintale da sollevare e posare sul tavolo, ed il peso poi aumentava, anche le pagine pesavano quintali, soprattutto quando superavano le dieci o quindici di numero, oppure l’orologio già segnava le sette.
Ed in quei momenti non facevo altro che aspettare la sera, il momento in cui finalmente potevo lasciare tutto dov’era e buttarmi sul letto, coprirmi fino a sopra la testa, accendere la radiolina con le cuffie ficcate nelle orecchie e seguire soltanto la musica. La musica mi piace, mi riempie la testa molto meglio dei pensieri. Pensare mi fa male perché quando penso mi vengono in testa solo cose brutte.
Alla sera non pensi. La sera, l’agognata sera. “Agognata” è un bel termine. A parte che è poetico, dico, ha un suono potente e disperato, secondo me. Di desiderio talmente profondo che ti spacca tutto dentro, ti lascia confusione peggio che se ci fosse stato un terremoto con crollo totale di tutto ciò che c’è all’interno del tuo corpo. Agognare è desiderare mortalmente, nel senso che se ciò che desideri non arriva ne muori.
Io mi sento morire quando è giorno e sto fuori dal letto. Mi sento pressata ovunque, da tutti, continuamente. È una sensazione fisica di milioni di mani che mi spintonano, mi sballottano qua e là, indicandomi malamente dove devo andare e cosa devo fare una volta arrivata lì.
Potessi passare le mie giornate in un perenne buio profondo, con la serranda abbassata e le coperte sopra i capelli, con la musica a palla nelle orecchie e circondata dal calduccio delle coperte e del mio materasso, altro che problemi, altro che pressione, dico, sarei la ragazza più felice del mondo.
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