Fandom: Originali
Genere: Drammatico/Introspettivo/Romantico/Triste
Rating: R
AVVISI: Slash.
- La crescita di due uomini, in un amore diverso, mai nato e mai finito.
Commento dell'autrice: Una vera liberazione. Prima di tutto, una delle oneshot originali più lunghe della mia carriera. Secondo poi, una bella yaoi XD Con POV maschile, giusto per complicarci la vita. Mi sto esercitando parecchio, ultimamente, e credo che i risultati si stiano facendo vedere. Scherzi a parte, sono fierissima di questa storia, perché ha strappato un “bella, approvata” alla Caska (*___*) il che è davvero tutto dire XD Come dicevo all’inizio, scriverla è stata una liberazione. L’idea originale prevedeva un’AU su "Last Exile", con protagonisti Dio e Lucciola (indovinate nelle parti di chi XD), ma più andavo avanti più la cosa prendeva pieghe troppo “originali” per non desiderare di staccarmi dal contesto “fic” per inserirmi in quello del racconto. Mi ha perseguitata per molti mesi XD La scena della finestra, all’inizio, me la sognavo perfino XD
Nota: Questa fic ha partecipato alla diciottesima edizione del concorso, ed è arrivata prima ^___^
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Absolution


Getto uno sguardo veloce all’orologio al polso, giusto per accorgermi di quanto sia tardi e decidere di aumentare ampiezza e frequenza del passo. Il sacchetto della spesa che reggo saldamente nella mancina balla ad ogni mio movimento, ed ogni sua dura sporgenza – è pieno di scatolette rettangolari e spigolose – mi si conficca nel polpaccio generando un terrificante dolore acuto e persistente che baderei ad evitare se non fosse tanto tardi e non fossi sicuro che lui stia aspettando me per mangiare. Cosa che non è affatto salutare. Non puoi basare la tua organizzazione alimentare sulle visite di uno che ti viene a trovare una volta al giorni quando esce dall’ufficio. Se lo sapessero gli assistenti sociali che me l’hanno affidato da quando i suoi sono morti, probabilmente mi metterebbero in galera.
…e comunque, vista la vita dissoluta che conduce il mio cuginetto, e visto che come io gliela conceda perché di quella vita sono parte più che attiva, probabilmente sarei da galera anche se lui mangiasse con un po’ più d’ordine.
Infilo la chiave nella toppa ed entro senza chiedere permesso.
Lui è completamente nudo e sta appoggiato di schiena sulla finestra, il capo voltato verso destra, la guancia attaccata al vetro, il suo respiro si lascia attorno una breve chiazza di vapore che svanisce prima del respiro successivo, gli occhi guardano fuori, nella fitta pioggia di questa serata invernale.
- Ti vedranno tutti. – commento celando l’imbarazzo che, sempre, mi provoca la vista del suo corpo.
Una lieve scrollata di spalle mi comunica il suo profondo disinteresse per l’eventualità.
- Tanto si vede solo da metà schiena in su.
Non accenna ad allontanarsi da dov’è. Non sorride, non mi guarda.
Il suo atteggiamento tipo, quando arrivo. Crede di avvicinarmi con l’indifferenza ostentata. Bè, è vero, ci riesce.
- Hai fame?
- Sì. – annuisce, - Mi fai qualcosa tu?
- Certo. – dico abbandonando la sala e sparendo nel corridoio, diretto in cucina.
Pulisco il piano cottura ogni volta, quando finisco di preparargli la cena, e sempre pulito lo ritrovo quando torno il giorno successivo. Il che vuol dire che o è molto pulito quando maneggia pasta e condimento… o non li maneggia affatto.
- Hai mangiato qualcosa oggi? – grido al vuoto, rimanendo poi immobile e silenzioso in attesa della risposta.
- No.
- Non ti fa bene!
Sento dei passi leggeri sulla moquette del pavimento, ed in pochi secondi lui mi appare davanti, le mani ai lati della porta scorrevole, le gambe semidivaricate. Non si è rivestito.
- Cosa fai?
- Pensavo ad una cotoletta veloce, è tardi e non ho molto tempo…
Blocca ogni suo movimento ed il suo sguardo addosso a me si fa pesante.
- Che vuol dire?
- Cosa? – chiedo con noncuranza mentre afferro la graticola da uno sportello sotto il lavandino e la metto a scaldare sul fuoco.
- Che non hai tempo.
- Non ho detto che “non ho tempo”, ma che “non ho molto tempo”. Non preoccuparti, ti farò compagnia mentre mangi.
- Sai che non è questo che mi interessa.
- …
- Avanti, non dirmi che sei in una di quelle serate del “non si fa, non è una bella cosa”…
- …
- …
- Quanti anni hai?
- Lo sai.
- Tu ripetimelo.
- Diciassette. E ora che te l’ho ripetuto?
- Niente. Volevo solo sentirmelo dire ancora, così potrò biasimarmi una volta di più.
Rotea gli occhi, sbuffando annoiato, svanendo in corridoio.
So che odia quando faccio così. Ma io ne ho bisogno per sentirmi meno debole, per fingere con me stesso che almeno a resistere ci provo, e che quando cedo non cedo a lui, ma ai miei desideri nei suoi confronti. È differente. E poi so che anche lui sa che è solo un atteggiamento – uno come i suoi – e che alla fine a letto con lui ci andrò lo stesso.
**
- Come sta zia? – mi chiede con un sorrisetto malizioso mentre, emergendo tra le coperte, mi si avvicina.
- Non dovresti chiamarla zia… è tua cugina, come me. – lo rimprovero.
- Sì, ma tu sei giovane, è facile pensare a te come ad un cugino.
- …mia moglie è di un anno più piccola di me…!
- Ma sembra vecchia.
- Adesso basta. – mi sollevo a sedere, stizzito, - Dovrei già essere a casa.
- Ok. – dice lui sorridendo.
È soddisfatto, è stato doverosamente servito.
È un sorriso tranquillo e felice, il suo, come se la mia stizza fosse solo giocoso risultato di scherzose parole fra amanti. Ma la mia stizza è tutt’altro che giocosa. È più che reale, perché deriva dalla mia profonda convinzione che questo ragazzino, di me, non rispetti nulla che appartenga alla mia vita fuori da queste casa. Che poi è la maggioranza di me, visto il minimo tempo che passo qui.
Come se avessi importanza solo in sua funzione.
**

Sono pronto a confermare immediatamente qualsiasi tipo di teoria spieghi il perché ed il per come degli universi paralleli, dato che io ne frequento uno abitualmente ed ho bisogno di qualche certezza scientifica per non impazzire.
Io so che la vista di un ragazzino nudo che si rattrista per l’eventualità che io, per una sera, non possa scoparmelo, in condizioni normali dovrebbe sconvolgermi e, probabilmente, anche preoccuparmi, ma chissà perché quando mi trovo in quella casa non mi sfugge nulla più di un rossore d’imbarazzo non per la stranezza della situazione, ma per tanta bellezza e tanto desiderio.
Perché la sua bellezza è tanta. Un corpicino tanto sottile, quella peluria lieve sul petto e sulle guance, più scura e fitta su gambe e braccia, ma così bionda – come la sua chiarissima carnagione ed i capelli più che dorati direi quasi solari (anche se non è un aggettivo da capelli, lo so) impongono – da risultare quasi invisibili se non con gli occhi delle mani, e la sua aria seria o, quando è a letto, maliziosa, e quella boccuccia dalle labbra sottili e violacee, e le espressioni di meraviglioso abbandono di cui il suo viso ovale si tinge quando lo attiro a me e ne faccio ciò che voglio – sì, cio che io voglio, ed il fatto che poi lo voglia anche lui e che per questo mi si conceda non ha alcuna importanza.
Ed è tanto anche il suo desiderio, lo sento nelle sue mani quando esitano e mi cercano, nelle sue cosce quando mi si chiudono addosso, nella sua lingua quando mi scivola silenziosa sulla pelle giù fino al bacino e nei suoi occhi, languidi, quasi lucidi quando sporca le lenzuola dopo l’esplosione di un orgasmo.
**

- Sei già passato da lui?
- Sì. – mormoro sedendomi a tavola senza appetito.
- Come sta?
- Bene. potresti, comunque, andarlo a trovare anche tu ogni tanto.
Mi pento subito di averlo proposto. Sarebbe capace di farsi trovare nudo anche da lei.
- Lo sai che quel ragazzino mi mette a disagio.
Grazie a Dio.
- Bè, mette a disagio anche me, - mento, non è disagio, il mio, - ma qualcuno si dovrà pure prendere cura di lui.
- Già. Ti è sicuramente molto grato.
- Penso di sì.
Mia moglie non sembra vecchia. Certo, non dimostra i trentacinque anni che ha, ma non gliene daresti comunque più di quaranta.
Lei ed il mio piccolo amante si sono visti solo una volta, quando ci arrivò la lettera del notaio della mia cugina di secondo grado, che era sua madre, del ragazzino, dico, e che ci annunciava che era volontà dei genitori lui fosse affidato a me – unico parente in città mentre gli altri abitano tutti nel paesino d’origine a qualche chilometro da qui – che dovevo essere anche l’amministratore dei beni che gli avevano lasciato – l’appartamento e qualche migliaio di euro in banca – fino a quando lui non fosse stato in grado, con la maggiore età, di entrarne legalmente in possesso.
Quella dei suoi genitori è una storia strana. Intendo, non puoi partire per una romantica gita in macchina e lasciarti un testamento firmato ed autentico alle spalle. È logico che se per caso cadi in un burrone tutti penseranno si sia trattato di un suicidio premeditato. Come puoi lasciarti dietro un figlio abbastanza grande da capire la premeditazione e tormentarsene ma anche abbastanza adolescente da tenersi tutto dentro senza offrire neanche l’opportunità di un liberatorio dialogo, senza sentirti quantomeno in colpa?
Quando i genitori muoiono ci sono molto modi per reagire, o semplicemente agire. Tra questi, l’indifferenza e la freddezza di cui si ricopriva mio cugino quando non si trovava in teneri atteggiamenti con me. Così era anche quando lo vedemmo nell’ufficio del notaio. Così rimase impresso nella retina di mia moglie, e poi nel suo cervello che, ancora sconvolto dalla semplice idea della perdita di una persona a lei teoricamente vicina in quanto vicina a me in termini di parentela – sì, mia moglie è un po’ ipersensibile – elaborò quell’immagine di semplice ma estrema reazione disinteressata in qualcosa di decisamente inquietante. Che perdura tutt’ora.
- Sei stanco? Hai una strana espressione.
- Sì, sono un po’ stanco.
Mi si avvicina e comincia a massaggiarmi le spalle ed il collo. È sempre stata brava a farlo, ha imparato da piccola, sua madre praticamente la costringeva a farlo ogni giorno, e l’esperienza rende maestri autodidatti. In momenti come questi ricordo che sì, un tempo l’ho amata. E questo mi fa ricordare anche che adesso non l’amo più. E rende casa mia opprimente ed invivibile, per quanto lei sembri non accorgersene.
**

- Sei uscito? – chiedo entrando, trovandolo incredibilmente vestito.
- Veramente stavo per farlo.
- Oh… e come mai?
- …mi stai chiedendo perché ho voglia di uscire sabato sera? Sono un liceale, e tu mi stai chiedendo questo senza sentirti un idiota?
- Grazie davvero.
Ridacchia, mi si avvicina, mi afferra per la cravatta e mi bacia.
- I miei compagni di classe si sono fatti risentire, stasera festeggiamo il nostro Natale.
- Ma a Natale mancano ancora quattro giorni!
- Sì, ma da oggi in poi gli altri saranno tutti impegnati con le loro famiglie, quindi non avremo altra occasione di vederci…
- Capisco. E dove andate?
- Abbiamo prenotato in pizzeria, poi andremo a casa di qualcuno, penso.
- Ti serviranno soldi, quindi.
- Ovvio. Ma non più di una trentina di euro, tranquillo.
- Tranquillo tu, sono soldi tuoi. So da dove detrarli per rimborsarmi. – dico sghignazzando. Lui sbuffa e spalanca gli occhi.
- Ma che razza di mantenuto sono, io?!
- Nessuna razza, non sei un mantenuto!
Ride.
Io questi momenti semplicemente li adoro. Viva gli animi romantici.
… ho bisogno di dire che non detrarrò un bel niente dal suo conto in banca?
- Dunque non potremo neanche cenare insieme, stasera?
Ma chi ci pensa, alla cena?
- Eh. Comunque io dovrei rincasare per le due, due e mezza massimo…
Un orario inutile, cazzo. Come faccio a muovermi di casa a quell’ora?
- …sì, lo so che non potrai venire.
Il mio sguardo dev’essere stato eloquente.
- Verrai domani, almeno?
- Certo.
**

Dannate siano le notti invernali. C’è freddo, anche se non abbastanza da permettere una bella nevicata che, quantomeno, sarebbe coreograficamente piacevole da guardare. Questa pioggia, congelata e pesante, elude il mio ombrello aiutata da un vento incerto sulla sua direzione ma molto sicuro della sua potenza. Sono zuppo, agitato e terrorizzato, perché alle due ho lasciato mia moglie a poltrire nel letto, mi sono vestito e mi sono catapultato a piedi fin qui, con la furia del drogato in crisi d’astinenza, ed anche la sua stessa disperazione cieca. Nella fretta ho anche dimenticato a casa le chiavi del suo appartamento, ed è per questo che ora sto qui a prendere acqua neanche fossi una pianta e mi stessero innaffiando.
Lui è ancora fuori. Io batto i denti e mi stringo nel cappotto che quasi cola acqua.
- Oh!
L’esclamazione stupita alle mie spalle è tinta della sua voce.
Ah, ringrazio Dio.
- Che ci fai tu qui?!
Allarmato, mi si avvicina di corsa, spingendomi frettolosamente sotto la minuscola tettoia del portone del palazzo e cercando le chiavi nelle tasche dei jeans.
- Ma perché non sei entrato? – chiavi nella toppa. Porta aperta. Il gelo persiste, ma almeno il bagnato no. Purtroppo, non riesco ancora a spiccicare una parola.
- Volevi morire congelato? Sali dai, ti do una scaldata.
Sembra accigliato e preoccupato. Così carino.
In ascensore, ridacchia.
- Sei fortunato, visto che credevo che non saresti venuto quasi rimanevo a dormire fuori per evitare la pioggia.
Mi faccio passare un brivido e finalmente ritrovo la forza di parlare.
- E com’è che sei tornato?
Sorride ed arrossisce, ma non risponde. Evita la mia domanda con un’altra.
- Zia?
- A casa, dorme. Non sa niente. E non chiamarla zia!
- Sì, sì. – dice ridendo.
Ascensore all’ottavo piano. Usciamo. Lui apre la porta e vengo investito da un adorabile tepore domestico che mi permette di sciogliermi.
- Vedi di spogliarti, così provo ad asciugare anche i vestiti, oltre a te. Comunque per stasera da qui non ti puoi muovere.
Mi passo una mano fra i capelli, scuotendo via l’acqua.
- Scherzi?
- No. Adesso chiamo zia e invento qualcosa.
Chiudo gli occhi, rassegnato, sfilando cappotto e giacca e gettandomi sul divano della sala.
- Scusami, ti si rovinerà la tappezzeria.
Risponde con una scrollata di spalle sedendomi accanto e reggendo in mano un cordless.
- Numero?
Non faccio in tempo a finire di dettarglielo che, dai meandri delle tasche del cappotto che ho abbandonato sgraziatamente per terra, emerge il trillo acuto del mio cellulare.
Sguardo al display: sì, è mia moglie.
Lui mi ruba letteralmente l’apparecchio dalle mani, e risponde.
- Pronto? Sì, sono io. – cielo! Mia moglie l’ha riconosciuto?! – L’ho chiamato perché avevo un po’ di febbre e mi serviva una tachipirina. Sì, lo so, però adesso è lui ad avere la febbre. Non ti allarmare, è bassa, ma non mi sembra saggio farlo uscire con questo tempo, non credi? Sì, tranquilla, domani mattina torna. Sì, glielo dirò. Grazie, ciao.
Chiude la conversazione, riconsegnandomi il telefono.
- Zia noiosa. Mi ha pregato di dirti che si è molto preoccupata, e che quando decidi di uscire in piena notte devi avvertirla. Ma lo fai spesso? – ridacchia.
Scuoto il capo, silenzioso.
Mi fanno male gli occhi, e la testa. Probabilmente la bugia del mio cuginetto si sta trasformando in realtà.
- Oh, ti senti male? – mi chiede, dandomi un colpetto sulla spalla. Io mi riscuoto, sedendomi più compostamente e riaprendo gli occhi.
- Certo, bene non sto. – dico sbuffando.
Lui annuisce e si alza, dirigendosi in bagno, dal quale immediatamente torna con un phon ed una tovaglia in mano.
- Ti asciugo i capelli, tu intanto finisci di spogliarti ed asciuga il resto. – dice lanciandomi il telo di spugna.
Obbedisco meccanicamente, continuamente scosso da tremori ghiacciati dentro alle ossa.
- Assurdo. Sei troppo cretino!
- Sì, è proprio così che volevo concludere la serata, guarda!
- Ma stai zitto…
Il phon si accende e mi ronza attorno, avvolgendomi di aria calda.
- E poi la serata non è ancora finita.
**

Già da mezz’ora, dopo avermi detto di stare tranquillo e riposarmi senza preoccuparmi di niente, lui ha posato la testa sul cuscino accanto a me, e s’è addormentato con una tenera espressione sul volto. Ma nonostante le sue raccomandazioni sincere, senza un briciolo d’ironia né di pietà nel timbro, l’imbarazzo non mi passa, e mi lascia qui sveglio a sopportare i dolori della febbre.
Sì, certo, non mi aspettavo, ovviamente, di poter lavorare a pieno regime stando male come sto, ma neanche di non essere in grado di garantire neppure le condizioni minime di movimento meccanico necessarie per dare il giusto finale a questa giornata!
Tra l’altro, è la prima volta che mi capita di fare cilecca con lui.
È massacrante.
Io e lui parliamo poco, ci vediamo poco, sappiamo, tutto sommato, poco l’uno dell’altro, non abbiamo che il sesso. Eppure, in qualche modo, mi sono innamorato. Se, anche solo per una notte, il nostro unico legame si scinde, non mi resta più niente. Tranne la voglia di piangere sul suo sonno profondo.
**

- Scusa ancora per ieri…
Mi spalanca gli occhi addosso.
- Ma no! Figurati che io mi sono stupito perfino quando ci hai provato, era abbastanza chiaro che non ci saresti riuscito…
- …
- …cioè, non ci sarebbe riuscito nessuno, con quella febbre!
Dio, come mi sento… vecchio, malaticcio ed inutile… non posso sentirmi così, non ho neanche quarant’anni, e la febbre è passata, eppure…
Mi si avvicina silenzioso, aggirandomi per abbracciarmi alle spalle.
- Mi ha fatto piacere dormire un’intera notte con te, e svegliarmi con te stamattina. È stata una cosa molto… dolce. Rassicurante. Grazie.
**

- Cosa facciamo per Natale, alla fine?
- Bè, dobbiamo andare in paese da tua madre, c’è tutta la famiglia e vengono anche i miei…
- Eh, sì.
- Dovremo portare anche tuo cugino.
- Logico.
- Spero che ti abbia ringraziato per quello che hai fatto per lui l’altra volta…
- …?
- Sì, uscire a notte fonda nel diluvio universale solo per portargli una medicina, non sarebbe mica morto senza… facendoti prendere anche la febbre!
- Bè, mi ha ospitato a casa sua per la notte, ha ricambiato il favore…
- Come minimo! È stata colpa sua se ti sei ridotto in quelle condizioni!
- Non stavo poi così male…
Mia moglie sta diventando incredibilmente ostile nei confronti del mio amante. Terrificante.
**

- Zia mia ha chiamato, oggi.
Gli passo un braccio attorno alle spalle, attirandolo a me.
- Dovresti smetterla di chiamarla zia… e comunque, che ti ha detto?
- Mi ha parlato di Natale. Non ho molta voglia di venire in paese, ma almeno saremo insieme.
Mi stringe una mano.
Adoro quando è così romantico.
Lo avvolgo con le braccia, stringendomelo al petto. Lui si distende per aderire a me completamente. Io lo sento, questo sentimento forte nei suoi confronti. Lo sente anche lui, credo. Ma non ho coraggio di dirglielo. “Sai, ti amo”. Sarebbe così semplice. Eppure mi manca qualcosa. Forse la certezza che anche lui provi lo stesso, non so.
Il punto è che a volte mi pare che questo ragazzino sia l’unica cosa al mondo che voglia, l’unica di cui abbia veramente bisogno. Questo, credo, mi spaventa molto. Perché lui è, per natura, terribilmente infedele.
**

Per la verità è successo una sola volta. O almeno, di quella volta e solo di quella ho una certezza, perché l’ho vista con i miei occhi.
Entrai in casa con le chiavi, come al solito, e subito sentii movimenti agitati dalla camera da letto. Il fatto, poi, che lui non girasse seminudo per la casa, mi allarmò. Mi diressi verso la stanza e lo trovai disteso sul lettone matrimoniale su cui si era insediato da quando i suoi non c’erano più, in compagnia di un bel giovanotto biondo come lui, anche se meno chiaro. Stupito, non spiccicai una parola. Lui mi fissò per qualche secondo.
- Ciao. – mi disse alla fine.
Io non risposi, puntando gli occhi sull’altro ragazzo.
- Un tuo amico? – chiesi a mio cugino, sempre guardando il suo compagno di letto.
- Sì. Ma stava andando via.
Il ragazzo voltò repentinamente la testa, sconvolto. Evidentemente non aveva alcuna intenzione di andare via. Lo sguardo gentile ma fermo di mio cugino che insisteva nel suo invito ad allontanarsi, però, dovette convincerlo a smettere di cercare di resistere, tanto che si alzò e, coprendosi col lenzuolo, andò raccattando i suoi indumenti sparpagliati qua e là, andandoli poi ad indossare in bagno.
Nudo e compostamente disteso sul cuscino, il mio adorabile cuginetto sostenne il mio sguardo di fiera disapprovazione, sorridendo lievemente.
Pochi secondi dopo, la porta di casa si aprì e si richiuse, e noi fummo soli.
- Come l’hai conosciuto?
- Me l’ha presentato un amico.
- Spero siate stati attenti…
- Sì. Sono un bimbo responsabile, io… - commentò ironico. Il tono mi infastidì.
- Se vuoi sapere come la penso, non siete affatto una bella coppia.
Si mi se in ginocchio, facendomi segno di avvicinarmi al letto e sedermi, cosa che feci senza neanche pensare.
- Sei geloso?
Strinsi i pugni.
- Sì.
Sorrise contro la mia spalla – s’era appoggiato prima di chiedermi se fossi geloso.
- E’ stata solo un’avventura. Io amo te.
Non risposi. Lui si arrabbiò un po’.
- Non puoi pretendere fedeltà da me, tu sei sposato!
- Ma ti sono fedele comunque.
Mi afferrò saldamente per la camicia, tirandomi indietro fino a farmi distendere sul letto.
- Smettila di essere arrabbiato con me. – ordinò perentorio.
- Non sono arrabbiato. Sono offeso e tradito.
- Allora smettila di essere offeso e tradito.
Si chinò su di me, baciandomi. Già con la mano gli sfioravo la schiena.
Lo perdonai. Ma me lo scopai con una violenza tale che lui scoppiò a piangere.
**

È una cosa di cui mi pento spesso. Sia l’averlo perdonato che quella scopata folle. Per una settimana dopo l’accaduto pretese che non lo sfiorassi neanche con un dito, e la paura che gli leggevo negli occhi mi massacrava perché la mia reazione non era stata altro che amore ferito, e non sentivo di meritare una tale punizione.
In compenso, da allora in poi, credo, lui mi fu molto fedele. E cominciò a sviluppare nei miei confronti anche un sentimento molto più tenero di quello che c’era stato prima. Forse perché finalmente aveva avuto prova di quanto potente fosse il mio amore, forse semplicemente perché adesso aveva paura di quelle che potevano essere le sue conseguenze.
- Ma oggi non torni a casa?
- Mh? Perché, che ore sono?
- Quasi mezzanotte.
- Cazzo!
**

Qui in paese nevica già da un bel po’. La festa di Natale è cominciata stamane, 24/12, alle dieci del mattino, e proseguirà stanotte almeno fino alle due. Poi raggiungeremo i nostri letti degli ospiti e lì dormiremo fino a mezzogiorno di domani, momento del Pranzo di Natale.
Mio cugino è stato sommerso di doni e soldi, ma è nervoso, lo vedo nei suoi gesti. Ogni tanto, quando è circondato da parenti che gli chiedono come vada a scuola, mi lancia un’occhiata implorante aiuto, ma io non posso fare niente per lui.
- Ma che ha quel ragazzino? – mi chiede mia moglie sottovoce, - Ti guarda come se fosse disperato…
- Forse è solo un po’ scosso, non vede i parenti da un anno…
- Sì, bè, anche tu, ma non mi sembri così sconvolto…
- Scherzi?! Rivedere tua madre mi ha profondamente turbato…
Ridacchia, mi da un colpetto sulla spalla e si allontana.
Io cerco gli occhi di mio cugino, e quando lo trovo sorrido, cercando di rincuorarlo.
**

- Madonna, giornata del cazzo…
Il mio cugino di palese orrido umore mi si getta addosso, stringendomi alla vita.
Mi guardo intorno. Non c’è nessuno e non credo che qualcuno verrà in camerino nelle prossime ore – sono le due passate. Ok.
- Dovevi vederli, tutti a chiedermi informazioni su tutto, scuola, casa, amici, ma nessuno che mi ha chiesto come stessi…
- Dai, è normale…
- Sì, ma è anche patetico.
- Nemmeno io, però, ti ho mai chiesto “come stai”.
- Ma tu come sto lo sai
Lo bacio.
- Per dire la verità, - continua lui quando ci separiamo, - uno che me l’ha chiesto c’è stato.
- E cioè?
- Zia.
- Dovresti… ah, va bè… comunque, vedi? Lei è una persona schietta e sincera.
- Infatti diciamo che l’ho apprezzato. Però non ho apprezzato quello che ha detto dopo.
- …?
- “Mi dispiace tanto per i tuoi genitori”. Cioè, cazzo, neanche li conosceva! Dì che ti dispiace per me, ci fai una figura migliore, no?
Scrollo le spalle.
- Mia moglie in questo senso è molto sensibile.
- Sensibile i miei coglioni…
- Ma smettila di essere così scurrile…
Sbuffa.
- Stai cercando di fare il papà?
So cos’ha. Devo stare tranquillo, non devo rispondere alla provocazione.
- Come potrei? Sono tutto meno che un padre, per te.
- Ma certo. Chissà che avrebbero detto tutti se avessi detto “oh, tutto a posto, mi sono anche trovato un amante, indovinate chi…?”… sai che faccia zia…
- Adesso smettila, perché mi devi fare pesare queste cose?
- Bè, è soprattutto colpa tua se sono dovuto venire a questa festa schifosa. Se io fossi stato adottato da un’altra famiglia, invece di essere messo sotto la tutela di uno come te, adesso starei al calduccio in un letto, felice come una pasqua, intento a fissare commosso il cellulare nuovo di zecca che mi hanno regalato…
Lo so che non dovrei rispondere alle provocazioni. So che è solamente giù perché è stata una giornata pesante, perché i parenti l’hanno assillato da morire e perché grazie a questo lui non ha fatto altro che pensare ai suoi genitori, passando così probabilmente il Natale peggiore della sua vita, e che è solo per questo che adesso si sta sfogando con me, anche perché non potrebbe farlo con nessun altro, ma…
…cazzo, lo sento così distante. E vicino, contemporaneamente, perché è tutto pressato contro di me, in quest’angolino buio. E mi sento furioso come quella volta. La stessa lucida furia.
Provo a toccarlo teneramente sul petto, cercando di riportare la tensione al livello più sessuale e meno rabbioso cui era quando l’ho baciato, pochi minuti fa, anche se mi sembra siano passati secoli.
- No, dai. – dice lui, secco, allontanandosi per quel poco che gli è possibile.
Io non mi arrendo. Non mi va di essere arrabbiato con lui, voglio baciarlo ancora.
- Smettila, non mi va!
Mi spintona, ma io continuo la carezza, forzandola verso il basso, all’attacco della zip dei pantaloni.
- Oh! Finiscila!
Gli pianto la lingua in bocca mentre lo afferro violentemente per costringerlo a girarsi e chinarsi, spingendolo a puntare i gomiti sulla fredda scaffalatura in metallo, ricolma di polvere ed oggetti inutilizzati da anni, che ricopre tutta la parete.
Quando lascio andare le sue labbra, sempre, però, tenendolo fermo per i polsi per evitare che scappi, lui prende fiato. I pantaloni gli cadono giù dalle gambe come fossero unti. Ha gli occhi chiusi ed ansima un po’. Dev’essere scomoda, la sua posizione. Un po’ mi dispiace.
- Di nuovo no… - lo sento mormorare flebilmente mentre supero gli slip ed affondo.
**

Merda, merda, merda!
Non ho occhi per nessuno mentre vago per la casa in cerca di mio cugino, che sembra essersi perduto chissà dove.
- Che è? – chiede mia madre preoccupata, - Non trovi il bambino?
“Bambino?”, penso confusamente per un attimo. Poi realizzo a chi si riferisce, ed annuisco.
- Madonna, trovalo! Fuori si perde…
Ah, già! La campagna, ho dimenticato la campagna circostante la casa! So dove cercarlo – per quanto l’immensità del territorio mi spaventi.
Con un sorrisone esco dal villino e mi inoltro nel primo campo che trovo. È pieno di pecore che pascolano, però sono molto lontane, quindi sono tranquillo. Ho sempre avuto terrore di pecore e capre. Hanno teste troppo grosse e pericolose.
Del cugino nessuna traccia. In lontananza scorgo una specie di capannone degli attrezzi. Magari…
Mi avvicino e sbircio da una finestra rotta. Mi pare che non ci sia nessuno. Le mie ipotesi vengono confermate quando apro la porta e guardo per bene. Buio, puzzolente e vuoto in maniera desolante.
Ne esco con un sospiro, asciugandomi il sudore dalla fronte con la manica della camicia. O almeno credo che sia sudore. Scopro che non lo è quando, toccando i capelli, li trovo fradici e, in cerca di una spiegazione, guardo verso l’alto, venendo immediatamente accecato da una goccia di pioggia per occhio.
Perfetto. La pioggia proprio mi mancava. Sono ancora raffreddati dall’ultimo bagno. Morirò di polmonite cercando il ragazzo che amo e che ieri ho praticamente stuprato, ecco il mio destino.
- Sono qua sotto. Vieni anche tu, non voglio che ti ammali. – dice una voce conosciuta dal retro del baraccone. La seguo come se mi stesse indicando la strada per la salvezza eterna.
- Scusa! – dico subito, appena la sua immagine invade il mio campo visivo.
Lui scuote il capo.
- Sono stato odioso… - si biasima, stringendosi nelle spalle ed accoccolandosi meglio sotto la tettoia.
- Non devi dire così. Tu eri depresso ed io non ho capito niente! – mi affetto a contraddirlo sedendomi per terra al suo fianco. Evito di menzionare alla realtà secondo cui capivo e comunque ignoravo per furia.
Lui annuisce. Sembra aver accettato tutto, sembra avermi perdonato.
- Fra noi due non può più funzionare. – mi comunica senza guardarmi.
Io spalanco gli occhi. Per quanto mi riguarda, ha smesso perfino di piovere.
- Ti ho chiesto scusa… - mormoro debolmente stringendo i pugni sulle ginocchia bagnate.
- Non è questo. Non solo.
Ha un sorriso triste, sul volto, che sarebbe splendido se non fosse la prova visibile della mia fine.
- E’ che forse tu non sei l’uomo adatto a me.
- Ma che vuol dire?! – protesto agitato mentre, lo sento, gli occhi mi si riempiono di lacrime.
- Non lo so. Forse la spiegazione è un’altra, ma io ho solo diciassette anni, e non te la so dare. Però sento che fra noi non può andare.
Abbasso lo sguardo e piango.
- Ma io ti amo. Merito almeno un motivo…
Annuisce lentamente.
- Vero. Per dire la verità credo la tutta la nostra relazione sia stata un errore…
Oh, Cristo…
- Non fraintendermi, mi è piaciuto stare con te, ma… forse io non ero pronto per una relazione.
- Intendi… per tutto quel fatto dei tuoi genitori?
Annuisce.
- Forse loro non erano esattamente i migliori genitori del mondo, ma mi mancano. Credo di aver solo cercato un po’ d’affetto in più, in te…
Questa commozione mi fa male. dovrei essere molto più triste, molto più adirato. Dovrei cercare di convincerlo a non lasciarmi.
- Mi devo liberare di un peso.
Mi si avvicina ancora un po’. Io gli passo un braccio attorno alle spalle, stringendolo a me.
- In che senso?
- Nel senso che devo parlare di una cosa.
- Mh-hm. Ok.
- Riguarda i miei genitori.
Lo invito a parlare stringendo un po’ la presa sulla sua spalla. Spero di rassicurarlo, almeno un po’.
- Io so come e perché sono morti.
Per un attimo mi manca il fiato.
- Pensi di averlo intuito? – chiedo malsicuro ignorando platealmente quel certissimo “so”. Ed infatti lui scuote la testa.
- Mamma ha parlato con me prima di fare… tutto. – sospira rumorosamente, - La firma di papà su quel testamento è autentica, ma incerta. Era ubriaco, quando mamma gliel’ha fatta fare. Lei aveva scoperto che lui la tradiva, e che aveva intenzione di lasciarla per la donna di cui adesso si era innamorato. Mamma questa cosa non l’ha potuta sopportare. È stata lei a gettare la macchina giù dal burrone, non è stato un incidente.
- …e tu sapevi tutto questo?
Domanda banale, ma davvero… non so cos’altro dire.
- Sì. Ho provato a farla desistere, ma lei non ha voluto sentire ragioni.
Si interrompe, stringendo le ginocchia al petto ed accasciandosi contro la mia spalla.
Davvero, ho difficoltà a realizzare ciò che ho sentito.
- Sono stato tanto male.
Ma è normale. È normale, tesoro mio, vita, è normale che tu abbia sofferto, è normale che anche adesso tu abbia voglia di piangere, e che tu sia scosso da singhiozzi folli che coprono il rumore della pioggia, e sai?, sarebbe normale anche se adesso tu mi odiassi, se pretendessi di non vedere più la mia schifosa faccia, perché io, stronzo che diceva e pensava d’amarti quando non faceva che obbedire ad egoistici istinti d’attrazione priva di ogni conseguenza affettiva, non solo non ho capito il tuo dolore, non solo quando l’ho intuito ho fatto finta di non vederlo, non solo non mi sono preso la briga ed il disturbo di indagare le cause del tuo male, ma ho abusato di te, ti ho violentato, ho violentato il tuo cuore, il tuo bisogno d’amore.
- Scusa se quella volta ti ho tradito. – conclude, - E’ stata una brutta cosa, lo so, e non lo rifarei, ma… non mi sembrava di trovare in te quello che cercavo, ed ho pensato che forse sarei riuscito a trovarlo in un’altra persona. Poi però l’ho capito, sai?
- Cosa? – chiedo nascondendo lacrime di cui non sento il diritto.
- Che tu eri l’unico col quale potevo mostrarmi per quello che ero. O, comunque, l’unico al mondo del quale m’importasse attirare costantemente l’attenzione. Almeno un certo tipo d’attenzione. Anche se poi… - ridacchia, - quella che ricevevo non era la stessa che ricercavo.
Per un attimo, mi ritrovo di nuovo senza parole. Poi, ricordo l’inizio di questa conversazione, e realizzo che oltre a riportare in vita i suoi e cancellare dalla sua memoria ogni traccia dell’ultimo anno della sua vita, cosa che comunque non è nelle mie facoltà, la cosa migliore che posso fare per lui è rispettare la sua volontà. Dopo essermi scusato ancora.
- Avrei dovuto capire. Scusa. Scusa davvero. Scusa anche per la mia… - non so come chiamarla. Strano, vero? - …cattiveria.
Fa spallucce.
- Avremmo dovuto fare un po’ di più entrambi. Non parliamone più, ok?
Sì, hai ragione, non parliamone più.
- Comunque sei assolto. Anche perché io con te sono stato molto felice, a volte. E poi, credimi, in un’altra situazione sarei di certo rimasto con te per tutta la vita.
Lo bacio sulle labbra un’ultima volta, e poi mi alzo in piedi.
- Tu rimani qui? – chiedo accennando un passo sulla via del ritorno.
- Per ora sì.
- Ok. Ciao.
Mi saluta con la mano, sorridendo.
È disperatamente bello. E, credo davvero, adesso più che mai, disperatamente lo amo.
Assoluzione. Dissoluzione del legame. Devo essere davvero molto triste, perché al solo pensarci ricomincio involontariamente a piangere.
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