Genere: Drammatico.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Rape, Underage.
- L'incubo più spaventoso di tutti.
Note: Dunque, prima di tutto la storia è stata scritta per il P0rn Fest #5 @ fanfic_italia, anche se mi sento un po' in imbarazzo (leggi: a disagio) nel postarla all'interno di questa manifestazione, visto l'argomento di cui tratta. Però va be'. Comunque sia, inizialmente non era nata per affrontare quest'argomento, voleva essere una roba completamente diversa e al massimo dub-con, ma mentre ero più o meno a metà mi sono accorta che in realtà la storia stessa mi stava raccontando una vicenda diversa, e a quel punto non potevo ignorarla e continuare per la mia strada, perché era palesemente quella sbagliata, ed ho dovuto assecondarla per forza.
Tutto questo per dire boh, non lo so neanch'io. Il prompt era Ragazzino/Incubo, Like a frightened child I run from the sleep that never comes (Emilie Autumn, 4 o' clock) Nota: Incubo NON è inteso come il demone (incubus), se tu che l'hai promptato ti ritrovi a leggere queste righe: mi dispiace molto :(
ATTENZIONE: La storia affronta in maniera metaforica ma al contempo abbastanza palese il problema degli abusi sui minori all'interno della famiglia. Leggete solo se l'argomento non vi disturba eccessivamente.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Rape, Underage.
- L'incubo più spaventoso di tutti.
Note: Dunque, prima di tutto la storia è stata scritta per il P0rn Fest #5 @ fanfic_italia, anche se mi sento un po' in imbarazzo (leggi: a disagio) nel postarla all'interno di questa manifestazione, visto l'argomento di cui tratta. Però va be'. Comunque sia, inizialmente non era nata per affrontare quest'argomento, voleva essere una roba completamente diversa e al massimo dub-con, ma mentre ero più o meno a metà mi sono accorta che in realtà la storia stessa mi stava raccontando una vicenda diversa, e a quel punto non potevo ignorarla e continuare per la mia strada, perché era palesemente quella sbagliata, ed ho dovuto assecondarla per forza.
Tutto questo per dire boh, non lo so neanch'io. Il prompt era Ragazzino/Incubo, Like a frightened child I run from the sleep that never comes (Emilie Autumn, 4 o' clock) Nota: Incubo NON è inteso come il demone (incubus), se tu che l'hai promptato ti ritrovi a leggere queste righe: mi dispiace molto :(
ATTENZIONE: La storia affronta in maniera metaforica ma al contempo abbastanza palese il problema degli abusi sui minori all'interno della famiglia. Leggete solo se l'argomento non vi disturba eccessivamente.
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LIKE A FRIGHTENED CHILD I RUN FROM THE SLEEP THAT NEVER COMES
Il ragazzino si strinse la coperta attorno alle spalle, ostinandosi a restare seduto sul letto – la schiena contro la testiera e le ginocchia strette al petto – invece di stendersi e provare a dormire come la mamma gli aveva suggerito mezz’ora prima, augurandogli la buonanotte.
Non era mai una buona notte. Non lo era più ormai da tempo.
Nel raggomitolarsi il più possibile sotto le coperte, come potessero proteggerlo, il ragazzino si guardò intorno, controllando che tutto fosse esattamente come doveva essere. La luce da notte era accesa, l’armadio chiuso a chiave, la porta socchiusa per assicurarsi un ulteriore spiraglio di luce che provenisse dal corridoio. Erano sollevate anche le serrande, di modo che la debole, pallida luce della luna potesse attraversare il vetro e illuminare almeno una porzione di pavimento in una macchia bianca dai contorni regolari e oblunghi.
Pioveva lievemente, ma a lui non dispiaceva. Il ticchettio continuo e ritmico delle gocce di pioggia contro la finestra gli teneva compagnia, gli dava qualcosa su cui concentrarsi.
Cominciò a contare per tenersi sveglio. Aveva scoperto il trucco quando la mamma, per cercare di aiutarlo a dormire, dopo aver provato e fallito con favole, ninne nanne, minacce e tazze di latte caldo col miele alle undici, gli aveva suggerito di provare a contare le pecore. Dopo un paio di notti, il ragazzino si era accorto che lo stratagemma, invece di aiutarlo a dormire, sembrava dargli una considerevole mano a tenersi sveglio. Concentrarsi sui numeri gli teneva la mente attiva, scattante, e soprattutto dover ricominciare da capo ogni volta che sbagliava lo spronava a stare ancora più attento, per sbagliare il meno possibile.
Contò assieme alle gocce di pioggia. Uno, due, tre, quattro. Cinque, sei, sette, otto.
Era stanco. Nel tentativo di dargli una mano a dormire – senza comprendere che lui, di dormire, non aveva affatto voglia – mamma l’aveva iscritto a calcetto. Tre giorni a settimana, al pomeriggio, lui usciva da scuola e si recava al campetto, dove l’allenatore lo aspettava con altri dieci ragazzini pronto a farlo correre per ore e ore e ore. “Ti farà bene,” gli aveva detto la mamma dopo averlo accompagnato lì la prima volta, “I bambini con l’insonnia spesso semplicemente non riescono a stancarsi abbastanza da avere sonno la sera. Così mi ha detto il dottore, almeno.”
Il dottore, sì. Ma cosa poteva saperne, lui? Quando mamma l’aveva portato nel suo studio medico per una visita, preoccupata dalle sue condizioni dopo averlo osservato con sconcerto sempre maggiore non dormire per quattro giorni di fila, lui gli aveva chiesto per quale motivo non riuscisse a dormire, ma il ragazzino non gli aveva detto niente, no. Certe cose, quando le descrivi ad alta voce, diventano troppo reali per poter essere tollerate. E così lui aveva scrollato le spalle e si era limitato a rispondere “non lo so”.
Il risultato di quel silenzio era stato il calcetto, appunto. In effetti, il calcetto gli rendeva difficile restare sveglio. Al venerdì, quando tornava a casa dopo quattro ore di allenamento, alle volte non aveva neanche la forza di mangiare. Restava a tavola, con la testa ciondolante, e fissando il piatto gli veniva da piangere al pensiero di non poter dormire neanche quella notte.
Era una questione di incolumità. Sarebbe bastato perdere il controllo anche per un solo secondo perché lui tornasse.
Il solo pensiero dell’incubo fu sufficiente a far rabbrividire il ragazzino fin dentro le viscere, costringendolo a stringersi ancora la coperta attorno alle spalle. Chiuse gli occhi, fingendo di indossare un mantello dell’invisibilità: se era invisibile, l’incubo non poteva vederlo.
Ma era così caldo, lì, sotto quella coperta, e lui era così stanco. Stremato. Provò a riaprire gli occhi, ma le palpebre erano troppo pesanti, e non ci riuscì. Aveva solo voglia di dormire, avrebbe dato qualsiasi cosa per un paio di ore di sonno, ed anche la paura non sembrava più sufficiente a tenerlo sveglio.
L’incubo emerse dalle profondità della sua mente, come sempre. Da un’ombra dalla forma indistinta, da una macchia la cui grandezza non era nemmeno importante. A lui non serviva spazio, per passare. Bastava uno spiraglio. Come i gatti, era in grado di passare anche attraverso le fessure sottilissime sotto le porte. Non c’era luogo in cui non potesse giungere, non c’era angolo in cui nascondersi.
Il ragazzino tremò nell’osservarlo avvicinarsi. Dapprima non era che un’ombra confusa nel buio della stanza. Poi divenne testa, braccia e gambe, ed il ragazzino cercò di nascondersi dietro le proprie stesse mani, senza riuscire a impedirsi di sbirciare attraverso gli spiragli fra le dita.
Era alto, magro, si muoveva in modo strano. Stava curvo su se stesso, come se un peso invisibile gli schiacciasse le spalle, e la matassa confusa di capelli neri che gli scivolavano disordinatamente sulla fronte, sulle guance e sul collo, era leggera e impalpabile, come una nuvola carica di pioggia.
Ma la cosa più spaventosa era la sua faccia. Il ragazzino lanciò uno strillo muto quando vide il suo sorriso cattivo emergere dall’oscurità, quel taglio orizzontale che piegava le labbra violacee in una linea inquietante sempre immobile, gli occhi vuoti, gialli, le pupille rosse, due minuscoli puntini sempre persi nel vuoto – sempre fissi su di lui – il pallore innaturale, cadaverico della sua pelle, le larghe occhiaie che si spingevano a colorare perfino gli zigomi e lo sbuffo di trucco sbavato attorno alla bocca, come il sorriso perenne di un clown.
Al ragazzino non facevano paura i clown. Al ragazzino faceva paura lui.
- No! – pigolò, scuotendo il capo, - No, ti prego, vai via! – lo implorò, le spalle e il petto scosse dai singhiozzi. L’incubo non si fermò, avanzò fino al letto e sollevò una gamba, salendo in ginocchio sul materasso proprio al suo fianco. Il ragazzino continuava a tremare terrorizzato, ma a lui questo sembrava non importare.
Gli sfilò la coperta dalle spalle, ghignando cattivo mentre il ragazzino provava inutilmente a scappare, scivolando giù dal letto. Lo afferrò per i polsi, riportandolo al suo posto ed inchiodandolo al materasso con tutto il peso del proprio corpo, il sorriso che si allargava sempre più man mano che la forza con la quale il ragazzino si dimenava sotto di lui andava facendosi sempre più debole.
- Mi piace quando piangi. – disse l’incubo, la voce ruvida e insopportabile, stridula come unghie su una lavagna ma allo stesso tempo profonda come il rombo del tuono, - Piangi più forte.
Il ragazzino strizzò le palpebre, lasciando le grosse lacrime che aveva accumulato agli angoli degli occhi libere di scivolargli lungo le guance, bagnando il cuscino. L’incubo gli lasciò scivolare le mani sul petto, da sopra il pigiama, e il ragazzino poteva sentire le sue unghie acuminate pungere nonostante il tessuto pesante. Si dimenò ancora, pianse più forte e provò l’irresistibile impulso di scalciare con violenza quando sentì qualcosa crescere fra le gambe dell’incubo, e premere contro il suo stomaco.
- No, no, no! – urlò, spalancando gli occhi. Provò a chiamare aiuto, ma la voce non usciva. Non era neanche certo di essere riuscito a urlare, e le gambe dell’incubo, intrecciate alle sue, gli impedivano di muoversi.
Soffocò un ringhio frustrato e spaventato quando sentì la sua mano insinuarsi oltre l’orlo dei pantaloni, sfiorandolo dapprima lievemente. Biascicò qualcosa, aprì gli occhi e, con la vista annebbiata, provò a sbirciare il suo viso. Quel ghigno terribile era ancora lì, sembrava che l’incubo si stesse divertendo a torturarlo. Scosse il capo e mugolò, ma non era chiaro neanche a lui il perché, quando le sue dita si chiusero con forza attorno alla sua erezione, accarezzandolo ritmicamente dal basso verso l’altro.
- No… - mugolò straziato, mentre si accorgeva con orrore di aver cominciato ad ondeggiare il bacino seguendo il ritmo delle carezze dell’incubo.
- Ti piace. – gli sussurrò lui, sfiorandogli le labbra serrate con la punta della lingua, - Lo so che ti piace.
- No! – rispose il ragazzino, scuotendo ancora il capo, ma schiudere le labbra fu abbastanza per concedere all’incubo spazio sufficiente per baciarlo. Un bacio vero, come quelli dei grandi. Avrebbe dovuto saperlo, lo sapeva anche, che sarebbe bastato offrirgli uno spiraglio qualsiasi. Era stato uno stupido.
Pianse ancora, un mugolio liquido dopo l’altro, mentre l’incubo lo baciava profondamente, sfiorando la sua lingua con la propria in carezze sempre più audaci e sensuali, ma nonostante la paura, nonostante le lacrime, il brivido che gli corse lungo la schiena fu sufficiente a farlo gemere e tremare tutto.
L’incubo lo baciò un’altra volta e poi smise di accarezzarlo, sollevando il suo bacino dal materasso per sfilargli di dosso i pantaloni. Seminudo e tremante di voglia sporca e sbagliata e paura accecante e dolorosa come una ferita aperta, il ragazzino rimase lì, steso sul letto, guardandolo dal basso con gli occhi rossi e pieni di lacrime, le guance che bruciavano come avesse fuoco vivo sotto la pelle.
- Mi farai ancora male? – gli domandò in un sussurro abbandonato. L’incubo scosse il capo, i denti aguzzi a fare capolino fra le labbra. Mentiva, e il ragazzino lo sapeva, perché era già successo, perché sapeva quanto male potesse fare e sapeva che non mancava volta in cui lo facesse, ma chiuse gli occhi e piegò il capo, lasciandosi andare alle sue mani mentre l’incubo lo forzava a schiudere le gambe e poi s’insinuava fra le sue cosce, premendosi ostinatamente contro la sua apertura.
Il ragazzino se lo sentì scivolare dentro e strinse i denti, gemendo controvoglia. Scosse il capo, piangendo e mugolando “piano, piano, ti prego”, ma l’incubo finse di non sentirlo, prendendo a muoversi dentro di lui. Avanti e indietro, avanti e indietro, e bruciava come l’inferno, ed era spaventoso al punto che il suo cuore batteva nel petto tanto forte da far pensare al ragazzino che prima o poi, più prima che poi, si sarebbe fermato, si sarebbe spento, avrebbe smesso di funzionare per stanchezza. “Mi romperai,” pensò, sollevando una mano e mordendosi con forza il pugno per concentrarsi su un dolore che si infliggeva da solo, così da distrarsi da quello che gli stava infliggendo l’incubo, “mi spezzerai in due, e io morirò”.
Ma non accadde, come non accadeva mai. L’incubo si spinse dentro di lui ancora e ancora, accarezzandolo fra le gambe nel vano tentativo di rendere il tutto più piacevole – una premura inutile. Il ragazzino scosse il capo, strinse i denti, si tese tutto, per sfregamento meccanico si sentì riscaldare le viscere e venne, ma l’orgasmo non rese più piacevole proprio niente.
L’incubo gli si sollevò di dosso solo molti minuti dopo. Il ragazzino sospirò di sollievo nel sentirlo scivolare via da sé. Si raggomitolò su un fianco, coprendosi con il lenzuolo e nascondendo il volto contro il cuscino mentre il dolore sordo al bassoventre cominciava a farsi più acuto, più pungente, e le lacrime ricominciavano a bagnargli le guance.
Tenne gli occhi chiusi tutto il tempo. Non aveva voglia di vederlo andare via. Sapeva già che il giorno dopo sarebbe stato ancora lì, che tutti l’avrebbero visto e, come mamma, nessuno avrebbe capito. L’incubo sarebbe stato seduto a tavola con tutto il resto della sua famiglia, avrebbe bevuto il caffè e letto il giornale e nessuno se ne sarebbe accorto. A nessuno sarebbe interessato.
Almeno adesso poteva dormire.
Non devi affatto dispiacerti!
Ovvio che, in un fest come questo, quando si prompta ci si aspetta p0rn.
Ed effettivamente qui di p0rn non c‘è proprio nulla… ma non è affatto una cattiva cosa.
Principalmente, io speravo di leggere una fanfiction ben fatta, e quella ho trovato :) non una storia bella, perché di “bello” non c‘è niente nella vicenda descritta, ma ben resa, e direi che tu l’hai saputa rendere ottimamente.
(Ti rispondo qui anche per questo, per commentare nell’ambito più della storia che del fest.)
Quando ho promptato questa storia mi aspettavo noncon effettivamente, o almeno dubcon, ma non mi aspettavo una metafora così realistica. Trovo che sia molto efficace.
In breve: mi piace quello che hai fatto col mio prompt u_u
Tommykaine
28/12/2011 18:04