Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: José/Zlatan.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, AU, Lemon, Dub-Con.
- "Ho domato bestie più feroci di te, Zlatan."
Note: Scritta per la Notte Bianca #5 @ maridichallenge, su prompt Gladiatori!AU. Ogni riferimento storico reale è da intendersi come puramente casuale e non intenzionale XD Non ho fatto alcun tipo di ricerca per scrivere questa storia, non è temporalmente contestualizzata (se non per un generico "antico impero romano") ed è più che altro uno spudorato tentativo di rip-off della serie Spartacus: Blood And Sand. #sporny
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CATENE

Le assolate terre portoghesi non assomigliano in niente alle ripide e appuntite scogliere nordiche alle quali Zlatan è abituato. Non ha visto molto del Portogallo – non avrebbe potuto essere diversamente, d’altronde, dal momento che è qui da meno di tre giorni, tutti passati fra le sbarre di una cella e quelle di un carro per il trasporto degli schiavi – ma quello che ha visto non gli piace. Non c’è poesia nelle distese di terra coltivata che si estendono a perdita d’occhio, non c’è poesia nel brillio accecante del mare sulla costa, non c’è poesia nemmeno nei promontori dalle curve gentili e dalle discese dolci che si scorgono all’orizzonte e sulle quali gli alberi riescono ad arrampicarsi fin quasi in cima.
Ripensare a casa è controproducente. La grazia delle scogliere a strapiombo sull’oceano, il colore scuro e intenso dell’acqua di mare, la neve sulle cime delle montagne, le ampie distese di terra incolta battuta dagli zoccoli dei grandi pascoli di bovini di montagna, ogni cosa nella sua memoria splende di luce propria, brilla della magia del Nord, del bagliore scintillante della neve e del rosso intenso della terra sotto il ghiaccio che la custodisce.
Il sole abbagliante del Sud non può competere, non potrà mai. Eppure sarà obbligato a chiamarlo casa.
Viene introdotto all’interno della villa coi polsi legati. Lo sono anche le caviglie, anche se il nodo è abbastanza morbido da permettergli di camminare. Non di correre, però, e già da solo questo basterebbe a suggerirgli di non tentare neanche la fuga, concetto che le guardie che lo scortano non fanno che sottolineare in maniera del tutto superflua.
La casa in cui si trova non assomiglia per niente alle case della sua gente. È un edificio alto, su due piani almeno, in pietra liscia, bianca e levigata. Le pareti sono decorate da mosaici ricchissimi, più ricchi di quelli che ha visto nella casa del mercante di schiavi che l’ha comprato dopo la sua cattura. Niente di neanche lontanamente assimilabile alle basse case in legno, paglia e fango del suo popolo.
- Fa’ il bravo, - dice il mercante nell’accompagnarlo verso la stanza privata in cui il padrone della villa li attende, - Se non riesco a venderti a lui, giuro su tutti gli dei che ti faccio a pezzi e ti do in pasto ai maiali.
Zlatan aggrotta le sopracciglia, le mani che tremano dalla voglia di chiudersi attorno al grasso collo del suo carceriere. Ha provato a venderlo già a quattro nuovi padroni diversi, ma tutte e quattro le volte è stato restituito al mittente con l’obbligo di restituire il denaro. Non si fa addomesticare facilmente, è scontroso e violento, un pericolo per i padroni, un sobillatore per gli altri schiavi, non è adatto a vivere in mezzo alla normale servitù, è come una tigre selvaggia in mezzo agli animali domestici.
Non sa davvero come il mercante possa credere che stavolta sarà diverso, ma quando gli viene ordinato di aspettare immobile dove viene lasciato e, dopo aver osservato il mercante scomparire dietro una porta, posa lo sguardo sugli uomini che combattono fra loro in cortile, armati di spade di legno e pesanti scudi dello stesso materiale, comincia ad intuire qualcosa.
Il mercante esce dalle stanze private del padrone della villa dopo pochi istanti, con un sorriso incredibilmente soddisfatto dipinto sul viso dalle gote già rosse di vino annacquato.
- Vuole vederti da solo, prima di acquistarti. – dice, afferrandolo per la catena che lega il collo ai polsi e alle caviglie e trascinandolo bruscamente verso la porta, - Cerca di non dare sfoggio del peggio di te, come al solito.
Zlatan non risponde, ma d’altronde raramente lo fa. Supera la porta nel clangore delle proprie stesse catene, ritrovandosi in un ambiente molto più piccolo di quello che aveva immaginato. Sembra uno studiolo, o qualcosa di simile. C’è una scrivania coperta di pergamene dietro la quale un uomo dai capelli brizzolati, avvolto in una tunica dagli eleganti decori color porpora e oro, sembra intento a leggere un documento.
- Le condizioni alle quali il tuo padrone ti vende sono particolari. – osserva con voce vagamente curiosa. Oltre lo spesso foglio di pergamena, Zlatan non riesce a scorgere il suo viso. – Qual è il tuo nome?
- Zlatan. – risponde lui seccamente, restando in piedi di fronte alla scrivania.
L’uomo abbassa la pergamena, e finalmente Zlatan riesce a vederne il volto, la pelle ambrata un po’ bruciata dal sole, le sopracciglia folte piegate in un cipiglio severo, le labbra sottili, gli occhi dallo sguardo intenso, di un colore indefinibile fra il castano e il verde.
- Zlatan. – ripete l’uomo, lasciandosi scivolare il suo nome sulla lingua e fra le labbra come una parola magica, - Vieni dalle terre del Nord. Sai dirmi il perché di condizioni simili nel tuo contratto di vendita? – domanda, sollevando nuovamente la pergamena, - Perché, se ti acquisto, non posso ridarti indietro?
- Sono già stato restituito parecchie volte. – risponde lui, guardando altrove con aria quasi annoiata.
- E i motivi?
- Non sono stato un buon servitore.
Le labbra dell’uomo si piegano in un sorriso quasi divertito, e Zlatan lo osserva sollevarsi in piedi con esasperante lentezza, girare attorno alla scrivania e poi sedersi sul ripiano proprio di fronte a lui, per niente intimorito dalla loro differenza d’altezza o di possanza fisica.
- Qui non avrai alcun bisogno di esserlo. – dice, - Sai cos’è un ludus?
Zlatan aggrotta le sopracciglia. Cerca un significato da ricondurre a quella parola, ma non ne trova uno, e dopo pochi istanti lascia perdere.
- Il mio latino non è tanto buono. – risponde con una scrollata di spalle. L’uomo sorride ancora, quasi compiaciuto dalla sua ignoranza.
- Gli uomini che hai visto combattere nel cortile sono gladiatori. O meglio, - aggiunge con un sorriso che non ha nulla di modesto, - alcuni lo sono. Altri sognano di diventarlo. Altri non hanno alternative. Tutti, comunque, servono un solo scopo: rendere me più ricco. E sarà quello che farai anche tu. – dice, lasciandogli scorrere addosso uno sguardo fra il suggestivo e il giudicante, - Combattendo per me.
Zlatan aggrotta le sopracciglia, infastidito.
- E se mi rifiuto? – domanda. L’uomo ride, una risata piena, allegra, genuinamente divertita. Si solleva dal ripiano della scrivania, lisciandosi addosso la tunica e girandogli intorno per osservarlo più attentamente.
- Siete tutti uguali, voi guerrieri. – commenta distrattamente mentre sembra prendere le misure di ogni singolo muscolo visibile sottopelle, - Tutti così sicuri di avere una voce in capitolo. Tutti così convinti della vostra forza, del vostro onore. Tutti rigidi come il più prezioso dei metalli, infrangibili, indistruttibili. – l’uomo afferra la catena che lo imprigiona e gliela gira attorno al collo in un movimento improvviso, tirando con forza. Zlatan porta entrambe le mani alla gola, ma è troppo tardi: la catena è già stretta abbastanza da mozzargli il respiro, e mentre lui gorgoglia disperatamente sente le gambe cedere senza possibilità di appello, e le ginocchia gli si piegano senza che lui possa fare niente per impedirglielo.
Si appoggia al ripiano della scrivania, cercando di concentrarsi per inspirare quanta più aria possibile, ma non ne passa e sufficienza, e i polmoni bruciano come un incendio.
- Ho domato bestie più feroci di te, Zlatan. – gli ringhia l’uomo all’orecchio, poggiandogli una mano sulla schiena ed obbligandolo a piegarsi ancora di più, - Pensi di poter avere la meglio su di me perché sei più giovane? Più forte? Perché hai maggiore esperienza in combattimento? – Zlatan si sente addosso il suo ghigno incattivito, e trema, trema davvero per la prima volta nella sua vita quando lo sente premersi ostinatamente contro di sé, libero dalla tunica e pronto a marchiarlo nel peggiore dei modi. – Non puoi, - prosegue l’uomo, lasciandolo finalmente libero di respirare, ma solo per costringerlo a guardare la catena che ora stringe fra le mani, - Perché niente di tutto questo importa, Zlatan. Questa è la tua unica verità, adesso. – spiega con voce quasi paziente mentre le catene diffondono la loro sinfonia di cattività senza speranza nell’aria ormai satura dei loro respiri affaticati, - Questa è l’unica vita che ti resta.
Secondi, minuti o ore dopo, Zlatan, in ginocchio, guarderà il volto impassibile del suo nuovo padrone. Ancora sconvolto dai tremori del dolore e dell’orgasmo più violento che abbia mai provato nella sua intera esistenza, avvicinerà il volto al suo inguine e sentirà sulla lingua il sapore di un uomo, per la prima volta da quando è al mondo. Lo farà tenendo gli occhi chiusi, imprimendo bene la memoria precisa di quel sapore assieme a tutte le altre, e sentirà qualcosa annodarsi dolorosamente e poi altrettanto dolorosamente disfarsi all’altezza del suo stomaco quando lo sentirà venire senza freni dentro di sé.
- Da adesso mi appartieni. – dirà il suo padrone, e Zlatan, abbassando lo sguardo annuirà.
- Sì. – dirà senza neanche provare vergogna, - Sì, dominus.
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