Genere: Introspettivo.
Pairing: Cooper/Blaine.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lime, Underage, Incest, Angst.
- "Il regalo era stata un’idea di papà."
Note: Scrivere questa storia mi è stato molto utile per capire dove poter settare un certo limite alla mia indecenza XD Ho scoperto scrivendo questa Andercest che, sebbene io non abbia problemi a infilare bambini di dieci anni in storie a chiaro contesto sessuale, coi bimbi di sette ho problemi anch'io X'DDD Fatemi i complimenti, è una cosa importantissima che non sapevo e che ora so. E questo è peraltro l'unico merito di questa storia, visto che la odio di odio vero XD
Comunque, partecipa alla challenge di 500themes_ita per il prompt #89 (Beneamato peccato), ed anche alla Badwrong Week #3 @ maridichallenge, a tema incest, su prompt Glee, Blaine Anderson/Cooper Anderson, coniglio di pezza.
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A LOVESICK LULLABY

Blaine non si allontanava mai dal suo coniglio di pezza. Era uno dei primi regali che avesse ricevuto, il primo che Cooper gli avesse fatto in una vita da fratello in realtà abbastanza priva di qualsiasi tipo di regalo. Quando Blaine era nato, in Cooper la fiammella della rivalità non aveva impiegato moltissimo ad accendersi. Era stato un figlio unico per dodici lunghi anni, e quando erano sfumate sia la curiosità che il moto di improvviso, inaspettato e spaventosamente naturale affetto che l’aveva investito quando aveva posato gli occhi sul fragile e paffuto involtino di copertine di lana che sua madre gli aveva posato in grembo tornando a casa dall’ospedale qualche giorno dopo il parto, Cooper non era più stato granché contento di dover dividere la casa, i giocattoli e le attenzioni dei parenti col moccioso strillante che occupava abusivamente la culla in camera di mamma e papà.
Ma prima, prima di tutto questo, per qualche giorno la vita di Cooper era ruotata tutta attorno al suo nuovo fratellino minore. Blaine era arrivato a casa annegato in una tutina di lana azzurra che gli cascava da tutte le parti e dentro la quale il suo corpicino sembrava perdersi senza speranza, e la mamma, dopo averglielo poggiato sulle ginocchia per qualche minuto, l’aveva immediatamente portato in camera da letto, adagiandolo nella culla. Era stato allora che Cooper era corso in camera propria a recuperare il coniglio di peluche, e si era avvicinato.
Il regalo era stata un’idea di papà. Vedendolo diventare sempre più irrequieto man mano che la data prevista per il parto aveva cominciato ad avvicinarsi, gli aveva proposto di uscire insieme ed andare al negozio di giocattoli per comprare qualcosa che desse il benvenuto al fratellino, una volta che fosse arrivato. A Cooper l’idea di regalare qualcosa a un bambino che ancora nemmeno conosceva non era piaciuta granché, ma non aveva quasi mai avuto occasione di uscire assieme a suo padre, dal momento che spesso, quando c’era da accompagnarlo da qualche parte, era la bambinaia a provvedere, perciò aveva accettato l’invito di buon grado.
Il coniglio era stato scelto perché, una volta giunto al negozio di giocattoli, suo padre gli aveva detto di ricordarsi che all’inizio il fratellino sarebbe stato molto piccolo e fragile, e non avrebbe capito i giochi più complicati, come le macchinine, i robot, le costruzioni e i videogiochi con cui ormai Cooper giocava abitualmente. Serviva un regalo che fosse sicuro per il bebè, e quando Cooper aveva posato gli occhi sull’enorme coniglio di peluche e ne aveva tastato la morbidezza in punta di dita, aveva deciso che sarebbe stato il regalo perfetto.
Papà aveva riso sotto i baffi, soddisfatto della scelta. “Sarà più grande di lui, sai?”, gli aveva detto, e Cooper aveva annuito. Qualche settimana prima, la maestra Patty, che era stata via quasi un anno intero per dare alla luce il proprio bambino, era tornata a scuola per salutare gli studenti che sarebbero andati alle medie prima che lei tornasse dalla maternità. Aveva portato con sé il suo bambino appena nato, e Cooper ricordava di essersi stupito parecchio nel vederlo così piccolo. Per questo il coniglio sarebbe stato il regalo perfetto: una volta nato, Blaine sarebbe stato così piccolo da potersi nascondere tutto contro di lui, così sarebbe stato al caldo e al sicuro anche quando mamma non avrebbe potuto tenerlo in braccio.
Quel pomeriggio, Cooper si era avvicinato alla culletta con timore, preoccupato che mamma avrebbe potuto rimproverarlo per le dimensioni del peluche, ma mamma aveva sorriso, l’aveva lasciato libero di sporgersi sulla culla e posizionare il coniglio gigante proprio di fianco a Blaine, perché gli tenesse compagnia. Cooper l’aveva osservato per un po’, e Blaine non era sembrato interessarsi granché al suo nuovo amico, ma quando più tardi, dopo aver terminato i compiti, Cooper era tornato a sbirciare suo fratello, l’aveva trovato con un pugnetto ostinatamente chiuso attorno ad una delle lunghe e morbide orecchie del coniglio, ed aveva sorriso.
Poi Blaine aveva aperto gli occhi su di lui per la prima volta. Due grandi occhi castani confusi e assonnati avevano fissato Cooper per quelli che gli erano sembrati i minuti più lunghi della sua vita fino a quel momento, più lunghi perfino dei minuti che passavano da quando la maestra cominciava a sfogliare i nomi sul registro fino a quando non decideva quale alunno volesse interrogare quel giorno.
Blaine non aveva sorriso. Non aveva neanche pianto, però, si era limitato a continuare a fissarlo con aria quasi inquisitoria, mentre Cooper sentiva i battiti del proprio cuore farsi più accelerati, come il ritmo dei propri respiri.
Alla fine, era stato lui il primo a cedere. Si era allontanato dalla culla, inspiegabilmente turbato da quanto accaduto, ed era corso via, rifiutandosi categoricamente di tornare mai più in quella stanza, o di ritrovarsi nuovamente in una situazione tale da potersi sentire così osservato dal suo fratellino minore.
Da quel giorno, il coniglio non si era più mosso dal fianco di Blaine. Blaine gli era cresciuto accanto, ed anche Cooper. Sette anni dopo, Blaine era ancora un bambino. Cooper, invece, non lo era più da un pezzo, ma certe cose non erano cambiate. Non era cambiata la mano di Blaine sempre stretta attorno alle orecchie ormai logore del peluche, non era cambiato il continuo fuggire via da Blaine di Cooper, soprattutto non era cambiato il modo in cui Blaine lo guardava, gli occhi bene aperti, l’espressione seria, come lo stesse studiando, o peggio ancora, giudicando.
Poi era successo che all’improvviso, ogni notte, Blaine aveva cominciato a scivolare fuori dal proprio lettino, uscire guardingo dalla propria cameretta ed affrontare il corridoio buio in passi svelti e spaventati, per poi intrufolarsi in camera di Cooper e scivolare sotto le coperte assieme a lui, il fedele coniglio sempre con sé.
La prima volta, Cooper se n’era accorto, ma non aveva avuto il coraggio di dire niente. Blaine era scivolato accanto a lui e si era raggomitolato contro la sua schiena, stringendo con un braccio il coniglio a sé e girandogli il braccio libero attorno alla vita. Cooper non aveva chiuso occhio, e la mattina successiva l’aveva sentito catapultarsi giù dal letto e tornare in camera propria ben prima che suonasse la sveglia.
La seconda volta, Cooper l’aveva aspettato. Si era messo a letto nella stessa posizione del giorno prima, ed aveva fissato la parete fino a quando non aveva sentito la porta aprirsi in uno scricchiolio appena udibile, e poi il suono dei passi di Blaine reso ovattato dalla moquette che ricopriva il pavimento. Il fruscio delle lenzuola che venivano sollevate, il cigolio del materasso mentre Blaine si sistemava accanto a lui, la sensazione momentanea di freddo dovuta al naso di plastica del coniglio premuto contro la schiena nuda.
La terza volta, non era più stato in grado di tacere. Quando Blaine s’era steso accanto a lui, premendosi contro la sua schiena, Cooper si era voltato lentamente, per evitare di fargli male, e nel buio l’aveva guardato negli occhi. Blaine aveva trattenuto il respiro, terrorizzato.
“Perché?”, aveva chiesto Cooper. Blaine aveva deglutito.
“Non stiamo mai insieme,” aveva risposto.
Per qualche motivo, era sembrata ad entrambi una motivazione sufficiente.
*
Era andata avanti senza che nessuno dei due sentisse più il bisogno di specificare perché, di porre un freno o di discutere la cosa. Blaine sarebbe comunque stato troppo piccolo per capire per quale motivo fosse sconveniente mettersi a dormire nel letto del proprio fratello maggiore, e quando Cooper si ritrovava da solo a riflettere, in realtà, ponendosi la stessa domanda, si sentiva un po’ confuso: non c’era niente di male a dividere il letto. Per quale motivo avrebbe dovuto sentirsi così turbato dal semplice fatto di dormire con suo fratello? Non stavano facendo niente di male. Non avrebbero mai potuto fare niente di male. Erano fratelli. E Blaine era ancora un bambino.
Ma Cooper avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto quantomeno sospettare che una situazione così non potesse che evolversi in maniera catastrofica. Era una sua responsabilità, era lui il fratello maggiore, era il più grande, e non c’era modo che, a quell’età, Blaine potesse essere pronto a distinguere giusto e sbagliato ad una prima occhiata. E lui avrebbe dovuto insegnarglielo, avrebbe dovuto fermarlo quando si era presentato il momento, avrebbe dovuto guardarlo negli occhi e dirgli no, e forse allora anche il loro rapporto sarebbe tornato normale, ma non l’ha fatto. Non l’ha fatto e non ci sono scusanti, per questo. Non ci sono giustificazioni che tengano, a volte Cooper ci pensa e sa che non ci sono neanche delle motivazioni sufficienti, non tanto per scusarlo, ma quantomeno per dargli una scappatoia. Sì, ho sbagliato, e non posso essere perdonato, ma l’ho fatto perché…
Non ci sono perché. Non ce ne sono mai stati. Cooper deve vivere con questa consapevolezza, ed è più facile farlo quando Blaine non c’è, è più facile farlo quando, anche se c’è, lui non fa che maltrattarlo.
Quella sera, però, no.
Era una notte silenziosa, lui sonnecchiava sdraiato su un fianco. Era nervoso, gli capitava spesso, sua madre era convinta che fosse una questione di carattere, lo chiamava “il mio piccolo porcospino”, perché per ogni minima cosa scattava a chiudersi a riccio, ed avvicinarglisi senza essere punti dai suoi aculei era pressoché impossibile. Cooper odiava quel soprannome, lo trovava ridicolo. E sapeva che non si trattava di una questione di carattere, non si era mai trattato di una questione di carattere, era sempre stata una questione di Blaine. Tutto, in ogni momento, era sempre stato una questione di Blaine.
Quella notte, sembrava che Blaine non dovesse presentarsi, ed era questo, sommato a tutto il resto, a rendere Cooper così nervoso. La preoccupazione per il non vederlo arrivare, sommata al fatto di essere perfettamente consapevole che non avrebbe dovuto volerlo lì, lo stavano mandando fuori di testa. Cooper era stato fuori di testa, a volte. Così arrabbiato con se stesso da non vedere niente, da non ragionare più. Non era stata una bella sensazione.
Conosceva un modo per calmarsi, ed era lasciarsi scivolare una mano oltre l’orlo dei boxer e toccarsi lentamente. Non erano le carezze in sé a rasserenarlo, neanche gli orgasmi veri e propri. Erano piuttosto una specie di piacevole effetto collaterale, e non erano quelli che Cooper cercava, quanto più tenersi impegnato con qualcosa di fisico, tangibile, che producesse un effetto immediato sul suo organismo, migliorandogli l’umore. Era questa l’unica cosa che gli interessava, anche quella notte, mentre accarezzandosi pigramente si voltava sulla schiena, e si accorgeva di suo fratello, un ginocchio puntato sul materasso, un piede penzolante a mezz’aria, il coniglio di peluche stretto al petto, gli occhi spalancati e pieni di paura e fissi su di lui.
Cooper aveva tirato fuori la mano dai pantaloni in un gesto secco, immediato, perfino violento, scattando a sedere.
- Blaine! – aveva quasi gridato.
- No! – aveva sibilato lui, saltando sul letto e premendogli una mano sulla bocca. Cooper l’aveva guardato fisso, il cuore gli batteva tanto forte da confonderlo. – Non ti arrabbiare. – aveva detto Blaine, e poi aveva afferrato la sua mano con la propria, riconducendola esattamente dove l’aveva trovata. – È tutto a posto. – aveva sussurrato, concentratissimo mentre guidava la mano di Cooper in una serie di carezze lente dall’alto verso il basso. – È tutto a posto.
Non era tutto a posto. Non era per niente tutto a posto, neanche lontanamente, aveva pensato Cooper, mentre la mano di suo fratello, una carezza dopo l’altra, si sostituiva alla propria, e il silenzio della stanza si gonfiava dei suoi ansiti e dei respiri incerti ed eccitati di Blaine, ed il coniglio di pezza, ignorato, scivolava a terra e sotto il letto, dove sarebbe stato dimenticato per anni, finché Cooper non l’avrebbe ritrovato di nuovo.
*
Tiene il coniglio sollevato in aria per le orecchie. Non riconosce quasi più la sua vecchia stanza, sono anni, ormai, che non la vede. I suoi genitori non sono mai stati contenti della sua decisione, quando è andato da loro vaneggiando di trasferirsi ad Hollywood il più presto possibile, e fare fortuna, in qualsiasi modo, suo padre si è arrabbiato, e sua madre ha pianto per ore.
Blaine, seduto sulla sedia a giocare ai videogiochi, non ha neanche sollevato lo sguardo.
Sono passati quasi dieci anni, da allora. Immerso nel silenzio, Cooper guarda il coniglio di pezza, logoro e impolverato, e vorrebbe lanciarlo dalla finestra, perché solo guardarlo gli dà la nausea.
- Cooper. – dice la voce di suo fratello alle sue spalle. È inattesa, per un attimo è perfino troppo. Cooper si volta di scatto, nascondendo il coniglio dietro la schiena. – Quando sei tornato?
Negli occhi di Blaine c’è sempre lo stesso sguardo. Cooper lo sa, c’è anche nei propri.
- Da qualche minuto. – risponde.
Blaine deglutisce a fatica. Resta sulla soglia per un sacco di tempo, Cooper non ha idea di cosa voglia fare o di cosa stia pensando, tutte le opzioni lo spaventano.
Poi, Blaine fa un paio di passi avanti. Entra in camera e si chiude la porta alle spalle.
Il coniglio di pezza cade a terra un’altra volta.
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