Genere: Pre-Erotico.
Pairing: José/Zlatan.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Pre-Slash, Pre-BDSM, AU.
- "Dal tono della sua voce, dalla pigrizia dei suoi gesti, dal disinteresse nei suoi occhi e dal suo atteggiamento svogliato si capisce facilmente che le sue non sono scuse sincere. E la triste realtà dei fatti è che, anche se lo fossero, a questo punto non sarebbero più sufficienti."
Note: Scritta per la Notte Bianca #11 di maridichallenge (♥) su prompt RPF Calcio, Coffeeshop!AU: Zlatan è il capocameriere ma ottiene sempre meno mance a causa dei suoi modi bruschi. Il titolare, dopo l'ennesima, prende provvedimenti a fine giornata; non si scontenta lo Special One, una roba di rara meraviglia partorita dalla superba mente del Def, che pur di poterla leggere ha prorogato la Notte Bianca fino alle prime luci dell'alba (cit.) XD
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- Settantacinque. – borbotta Mourinho, appoggiando entrambe le mani sulla scrivania e sollevandosi lentamente in piedi per osservare Zlatan (seduto di fronte a lui e con ancora indosso la divisa, nonostante l’orario di chiusura della caffetteria sia passato da un pezzo e in tutto il locale non sia rimasta un’anima oltre loro) da una posizione di vantaggio, - Sai spiegarmi questo numero, Ibrahimović?
Zlatan finge di pensarci. Ciondola la testa a sinistra, poi a destra. Poi, sulle sue labbra sottili si stira un sorriso sornione, e scrolla le spalle.
- Non saprei, - tenta, - Il numero di candeline sulla sua ultima torta di compleanno?
- No, imbecille. – ribatte lui, trattenendo a stento l’impulso di strillargli in faccia che le candeline sulla torta erano appena una cinquantina, - È il numero di reclami che hai ricevuto nel corso dell’ultima settimana.
- Ah. – commenta laconico Zlatan, allargando con due dita il farfallino nero stretto attorno al collo, - Mi dispiace.
Dal tono della sua voce, dalla pigrizia dei suoi gesti, dal disinteresse nei suoi occhi e dal suo atteggiamento svogliato si capisce facilmente che le sue non sono scuse sincere. E la triste realtà dei fatti è che, anche se lo fossero, a questo punto non sarebbero più sufficienti.
- Non voglio le tue scuse, Zlatan. – risponde José, battendo un paio di volte la punta dell’indice contro il ripiano del tavolo, - Non mi servono a niente le tue scuse.
- E se prometto di fare il bravo, da oggi in poi? – domanda Zlatan con un sorrisetto sghembo.
Irritato, José digrigna i denti e sbatte i palmi aperti contro il tavolo in un gesto nervoso e improvviso, al quale Zlatan risponde cambiando espressione all’istante. I lineamenti del suo volto si inaspriscono, le sopracciglia si congiungono al centro della fronte formando un solco che rende il suo viso un po’ più cattivo, e le sue labbra si serrano in un’unica linea sottile, quasi invisibile sotto la curva piena e ingombrante del suo naso.
- Ti sembra che io stia scherzando, Zlatan? – domanda José, la voce dura, ruvida, quasi minacciosa, più che rimproverante.
- No, signore. – risponde lui in un ringhio basso, guardandolo da sotto in su.
- Zlatan, - riprende José, girando attorno alla scrivania per avvicinarglisi e restando in piedi al suo fianco, fissandolo dall’alto con aria di superiorità, - Ho come l’impressione che, solo perché ti ho promosso capocameriere in così poco tempo, tu ti sia convinto, senza nessuna ragione, di poter fare ciò che credi, qua dentro. – si appoggia al tavolo, incrociando le braccia sul petto e contando sulla punta delle dita, - Di poter essere sgarbato con i clienti, di poter comandare a bacchetta i tuoi colleghi senza dimostrare loro il minimo rispetto, ma soprattutto di poter disobbedire a me. – aggrotta le sopracciglia, irritato, - E di poterla fare franca. È così? – domanda.
Zlatan continua a sfidarlo con lo sguardo – sempre fisso nel suo – e con l’immobilità assoluta – perché non muove un muscolo, anche se José gli si è avvicinato, anche se si è posto in una situazione di superiorità rispetto a lui, anche se, con la propria vicinanza, adesso lo sta minacciando quasi fisicamente. Ogni centimetro del corpo di Zlatan è teso nello sforzo di fare intendere a Mourinho che, delle sue parole e di ciò che pensa, gl’importi poco e niente.
José non ha bisogno di percepire quel lieve tremore che gli scorre sottopelle in scariche elettriche che gli fanno prudere le mani, per sapere che non è vero.
- È così, Zlatan? – insiste, chinandosi verso di lui.
- Sì, signore. – risponde Ibrahimović, stringendo le dita attorno ai braccioli della sedia, - È così.
- E cosa, se posso chiedere, ti ha convinto di questo fatto? – domanda José.
Zlatan continua a sostenere il suo sguardo senza vergogna.
- Non mi aveva mai chiamato nel suo ufficio dopo l’orario di chiusura, signore. – risponde, - Non mi aveva mai rimproverato.
- Aaah. – annuisce José, raddrizzando la schiena, - È stata colpa mia, dunque. Sono stato troppo morbido con te. Come darti torto, d’altronde? Quello che dici è vero. Non ti ho mai convocato qui. Non ti ho mai rimproverato. – gli si apre sulle labbra un sorriso soddisfatto, - Un errore al quale conto di porre rimedio immediatamente.
Le dita di Zlatan si serrano attorno ai braccioli in uno spasmo quasi incontrollabile.
- Signore—
- Vedi, Zlatan. – riprende José, allontanandosi dalla scrivania e girando attorno a lui, fermandosi proprio alle sue spalle, - Se fosse per me, ti lascerei essere sgarbato e presuntuoso coi clienti e coi tuoi colleghi quanto vuoi. Ma non posso in alcun modo permetterti di mancare di rispetto nei miei confronti. E devi capire che ogni cliente insoddisfatto che non torna a causa della tua scortesia, ogni dipendente che mi tiene qui oltre l’orario di chiusura per lamentarsi dei tuoi soprusi, è una mancanza di rispetto nei miei confronti. Quello di cui hai davvero bisogno, - conclude, appoggiando in un gesto improvviso entrambe le mani sulle spalle di Zlatan, - È qualcuno che ti insegni l’educazione, Zlatan. Qualcuno che ti faccia capire che, quando sei alle dipendenze di qualcuno, non puoi fare tutto quello che ti pare. Perché quando sei alle dipendenze di qualcuno, se quel qualcuno ti chiede di saltare, tu chiedi “quanto in alto?”. E se quel qualcuno ti chiede di metterti in ginocchio, tu chiedi “per quanto tempo?”. È chiaro?
José lo sente tremare impercettibilmente sotto le proprie dita. Non saprebbe dire se sia rabbia, la sensazione bruciante della sconfitta o qualcosa di diverso, ma trova la situazione piuttosto stimolante.
- Cristallino, signore. – risponde Zlatan in un ringhio sottile, carico di frustrazione.
- Bene. – annuisce José, allontanando le mani dalle sue spalle, - Ora alzati in piedi.
Senza dire una parola, Zlatan obbedisce, lasciando scivolare la sedia contro il pavimento con un rumore stridente. È più alto di lui, ma José non se ne sente intimorito.
- Voltati. – dice. Zlatan obbedisce anche a quell’ordine, e dopo essersi girato resta immobile a fissarlo, le braccia rigide lungo i fianchi, i pugni serrati con tanta forza da imbiancargli le nocche. José sorride compiaciuto, sollevando entrambe le braccia ed appendendole ai propri fianchi, piegando il capo in un gesto quasi invitante prima di parlare ancora. – E adesso, Zlatan, in ginocchio.
Riesce a scorgere senza alcuna difficoltà il lampo di odio puro, per niente diluito, che gli passa sugli occhi nel sentire quella richiesta. Ma come ogni lampo non è che una luce passeggera, una scarica elettrica che si disperde immediatamente. Quello che resta, del lampo, non è mai la scossa, ma il rombo del tuono che lo segue. E il rombo del tuono, in questo caso, è la sensazione quasi fisica del sorriso che si apre sulle labbra di Zlatan, un sorriso sprezzante, di sfida. Ed il suono della sua voce, quando finalmente risponde.
- Per quanto tempo, signore?
José si passa la lingua sulle labbra, affamato. Tanto per cominciare, una decina di minuti basterà.
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