Fandom: Originali
Genere: Generale.
Rating: R.
AVVISI: Het, Slash, Threesome, Angst. (In continua evoluzione.)
- "Nonostante gli sforzi congiunti dei più eminenti scienziati e dei governi della Terra riuniti in assemblea, nonostante gli svariati tentativi operati nei più disparati modi, attingendo a piene mani alle più varie risorse dell'intelletto umano, mettendo a punto le più sofisticate tecnologie che consentissero di risparmiare la maggior percentuale di risorse naturali e artificiali fornite dal pianeta, non è stato possibile evitare il collasso dell'ecosistema. [...] Oggi, primo gennaio 2161, il primo contingente militare terrestre, guidato dal generale Robert Carnival, muove i primi passi sul suolo di Minthe.
E qui comincia la nostra storia."

Note: Raccolta delle varie entry che ho scritto per le Chronicles of Minthe. Ogni capitolo è dedicato a un personaggio diverso, ed i capitoli (corrispondenti ognuno ad un'entry) sono ordinati cronologicamente.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
THE CHRONICLES OF MINTHE
GIORNO 14: DANIEL PORTMAN

HDR #535AS35B, in dotazione al soldato semplice Portman, D. N° matricola: 594726.
Registrazione #10.
Data: 14/01/2161
Ora: 01.23.35
Condizioni fisiche: CODICE VERDE.
Coordinate geografiche: 46°22'N, 2°21'E.

Non so che ore sono, ma so che è notte e che, nonostante la coperta, fa freddo, quando il coltello atterra a pochi centimetri dal mio piede sinistro, nel terriccio polveroso e giallastro sul fondo della buca. Lo osservo per qualche secondo, il mio cervello è del tutto incapace di dargli un senso. Accarezzo per un secondo la consolatoria idea che possa essere un regalo del cielo, non so, una prova che Dio ha deciso di mandarmi in questo momento di intenso bisogno per convincermi una volta per tutte della sua esistenza anche se mi sembrava che ci fossimo lasciati senza alcun rimpianto una volta che, cresciuto, non avevo più dovuto seguire i miei genitori alla funzione domenicale solo perché non potevano lasciare me e David da soli a casa.
C'è qualcosa di familiare nel modo in cui la lama dal taglio stravagante, simile a quello di un pugnale da esposizione, brilla del riflesso delle due lune che rischiarano il cielo notturno, ma il mio cervello si rifiuta di dare un'importanza alla cosa, almeno fino a quando la corda scura non si srotola lungo la parete rocciosa come un serpente, arrivando quasi a sfiorare il terreno.
Nessun intervento divino, apparentemente. Sollevo lo sguardo ed identifico subito il volto pallido e rotondo del ragazzino che si affaccia dal buco nel terreno, cercando di identificarmi nel buio del fondo di questo fosso. Lo fisso sbattendo le palpebre per qualche secondo, e lui mi ricambia l'occhiata con lo stesso stupore che riempie adesso i miei occhi, ma dura solo pochi istanti, il tempo sufficiente per lui di cominciare ad innervosirsi, ed incoraggiarmi pertanto a darmi una mossa.
Sospingo il coltello più vicino alle mie mani con il piede, allungo le dita il più possibile fino a stringerlo saldamente e poi recido le corde. Serve più tempo di quanto pensassi, o forse il tempo sembra dilatarsi solo a me, perché comincio a rendermi conto di quello che sta succedendo, della situazione in cui mi trovo e di quanto sia pericolosa.
Mi sollevo in piedi, sgranchendo gambe e braccia. Fanno male, e l'umidità nella notte sembra essermi penetrata nelle ossa, rendendo difficoltoso ogni movimento. Ciononostante, non posso fare altro che continuare a muovermi: mi avvicino alla corda e, stringendola con forza fra le dita, mi arrampico fino in cima alla buca, sperando che il ragazzino, lassù, sia abbastanza forte da reggere il mio peso. Mentre avanzo un centimetro dopo l'altro, non posso fare a meno di sorridere, e pensare a quanto sarebbe orgogliosa di me Trish adesso, nel vedermi affrontare con tanta agilità e competenza un'impresa che, fino a prima dell'addestramento militare, sarebbe stata per me assolutamente impossibile.
Arrivato in cima, mi isso oltre il bordo e mi alzo in piedi, scrollandomi la polvere di dosso mentre sollevo il capo per indirizzare al ragazzino un cenno di gratitudine, ma non faccio in tempo a concludere il gesto che il ragazzino mi tira addosso qualcosa, prendendomi in pieno volto. E' un mantello, e dopo esserci scambiati una rapida occhiata capisco che è meglio se lo indosso.
Il ragazzino aspetta che abbia finito e poi mi conduce silenziosamente attraverso l'enorme tendone sotto il quale i feriti più gravi riposano, chi per stanchezza, chi probabilmente perché forzato da qualche droga, o medicina. O magia. Ci sono persone in condizioni perfino peggiori di quelle in cui si trovava la ragazzina quando l'ho tirata fuori dalle macerie.
Il pensiero mi colpisce all'improvviso, e mi fermo in mezzo alla stanza, così all'improvviso che anche il ragazzino, nonostante stia camminando svelto verso l'uscita, i pugni chiusi e gli occhi fissi sull'obbiettivo, se ne accorge, e si volta a lanciarmi uno sguardo smarrito. Non so come chiedergli quello che vorrei chiedergli, per cui resto lì immobile, e lui, allarmato, mi si avvicina, afferrandomi una mano per trascinarmi verso l'uscita, ma io oppongo resistenza e, quando lui mi guarda ancora, scuoto il capo, libero la mano dalla stretta nervosa delle sue dita e faccio come per prendere qualcuno in braccio, sperando che capisca.
L'occhiata ansiosa che mi lancia mi dà la certezza che abbia capito. Lo vedo esitante, ma non intendo andarmene da qui prima di averla vista, di essermi assicurato che stia bene, di sapere con certezza di aver fatto una, almeno una, una sola cosa buona da quando sono arrivato qui. Gli stringo una mano fra le mie con forza, pregandolo con gli occhi, e lui cede con un sospiro, accompagnandomi fra le brande quasi attaccate l'una all'altra, tanto poco è lo spazio in cui s'è dovuto trovare posto per tutti, finché non la vedo.
I suoi capelli biondi, così chiari, scivolando in morbidi boccoli lungo il suo corpicino minuto sembrano quasi argentei, nella pallida luce lunare. Mi ricorda Trish così tanto, e non perché le assomigli, ma perché ricordo che quest'immagine è l'ultima immagine che conservo di lei. La donna che ho amato per tutta la vita, stesa su un letto in un ospedale a malapena decente, i capelli biondi sparsi sulle spalle e sul cuscino, gli occhi chiusi, i lineamenti distesi come se stesse semplicemente dormendo, nonostante l'immobilità assoluta del suo corpo suggerisse un tipo di sonno completamente diverso.
Mi avvicino come, suppongo, mi avvicinerei ad un'apparizione mistica, trattenendo il respiro, allungando una mano con esitazione mentre mi azzardo a sfiorarle un braccio e mi lascio andare ad un sorriso sollevato nel sentirlo caldo e morbido, indiscutibilmente vivo sotto le dita.
Mi volto verso il ragazzino e sorrido anche a lui. Condividiamo un breve momento di gioia, poi ricordo le sue gambe. Mi volto nuovamente a guardarla dormire. Al di sotto della pesante coperta che le copre la parte inferiore del corpo, riesco solo a vedere la loro sagoma. Le indico, voltandomi nuovamente a guardare il ragazzino. Il suo sguardo s'intristisce, mentre scuote lentamente il capo. Abbasso gli occhi, realizzando che sono riuscito a salvarla, ma non ad impedire che questa guerra le lasciasse addosso una traccia indelebile. Guardo il palmo della mia mano destra, la ferita che lo stesso coltello che mi ha liberato mi ha inflitto qualche giorno fa si sta richiudendo senza problemi. Spero che la cicatrice rimanga, che rimanga una traccia di tutto questo anche a me.
"Mi dispiace," sussurro nel silenzio assoluto che pesa sulla stanza. Il ragazzino mi appoggia una mano sulla spalla e, quando io mi volto a guardarlo, scuote il capo e sorride, rispondendomi con una parola nella propria lingua. Credo significhi grazie.
*
Quando finalmente riesce ad accompagnarmi fuori dall'ospedale, il ragazzino è nervoso. Vedo che si trattiene dallo spingermi fuori nella notte solo per cortesia e gratitudine, ma continua a guardarsi intorno come se si aspettasse che da un momento all'altro qualcuno potesse spuntare alle sue spalle per rimproverarlo o punirlo per la sua disubbidienza.
Mi volto a guardarlo con aria smarrita, mentre penso che, oltrepassata la soglia, non c'è nessun posto, per me, su questo pianeta. Non posso tornare alla Freema, nella migliore delle ipotesi mi metterebbero sotto indagine per sospetta diserzione e controllerebbero l'HDR -- non posso permettermelo. Al di là dell'accusa di alto tradimento che ne seguirebbe, c'è il rischio che riescano a risalire all'ubicazione di questo posto. E non voglio che accada.
Lui mi dice qualcosa, io ovviamente non lo capisco. Punta il dito verso un punto imprecisato, una direzione generica verso la quale suppongo voglia che io mi allontani. Guardo quel punto, e non c'è niente per me là. Non c'è niente per me da nessuna parte, eccezion fatta per questo posto. Qui c'è questo ragazzino, qui c'è la bambina che ho salvato, qui ci sono persone per le quali sono stato utile.
Non voglio andare da nessun'altra parte.
Lui mi fissa per un po', sconcertato dalla mia immobilità, e poi sbuffa qualcosa, suppongo mandandomi a quel paese mentre si volta e torna dentro, senza più degnarmi di un'occhiata. Io mi guardo intorno e, poco lontano da qui, noto una macchia verde smeraldo di cespugli ed alberi bassi. Mi avvicino ed esploro il posto, niente più che un po' d'erba e un letto di foglie secche.
Mentre mi rannicchio per terra, stringendomi nel mantello che porta attaccato addosso l'odore esotico della pelle del ragazzino, penso che dovrò farmelo bastare, almeno per un po', e chiudo gli occhi.

back to poly

Vuoi commentare? »





ALLOWED TAGS
^bold text^bold text
_italic text_italic text
%struck text%struck text



Nota: Devi visualizzare l'anteprima del tuo commento prima di poterlo inviare. Note: You have to preview your comment (Anteprima) before sending it (Invia).